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CUBA dopo il crollo del comunismo


di Giulio Girardi

EDIZIONI BORLA, 1995. 266 PAGINE L. 36.000


Prefazione all'edizione Italiana di Fausto Bertinotti

Avverto il lettore che si accosta a questo testo che si tratta di un libro militante. Forse è proprio per questo che mi piace molto, ma certamente la mia preferenza personale importa poco. Ciò che più conta è dare un senso a questo aggettivo: perché militante? Non in senso banalmente partitico o propagandistico. Basterebbe anche una superficiale conoscenza dell'autore per escluderlo. Quindi va inteso nel senso più semplice ma essenziale: Girardi, attraverso un'analisi concreta della realtà cubana condotta senza pregiudizi di qualunque genere e segno, giunge alla conclusione che essa rappresenta la materializzazione, certamente imperfetta, della possibilità di un'alternativa alla società capitalista nel nuovo ordine mondiale. In base a questa convinzione, come vedremo tutt'altro che scontata persino nell'ambito della sinistra più accesa, Girardi definisce e difende, lungo tutto il libro, una posizione, che ha tratti di originalità, di solidarietà critica nei confronti dell'esperienza cubana. A sua volta questo è il fondamento, il grimaldello per forzare quel blocco culturale, conseguenza e causa del materiale blocco economico, di cui Cuba è vittima da tanti e tanti anni, ma in modo ancora più accentuato e drammatico dal 1989 in poi.
Per compiere questa analisi Giulio Girardi, e lo dichiara esplicitamente, deve non solo sgombrare il campo dalle fumisterie ideologico-propagandistiche del liberismo dominante, ossia dalle tematiche del fallimento storico del comunismo fino a quella del capitalismo inteso come vertice e fine della storia umana, ma anche, il che è assai più difficile per tutti noi europei, da ogni visione eurocentrica del mondo. Non è frequente incontrare tanta saggia umiltà in un intellettuale europeo, soprattutto se, come in questo caso, non solo proclamata, ma praticata con estrema coerenza personale.
A questo riguardo mi riesce difficile sottacere un ricordo personale. Quando vidi per la seconda volta Fidel Castro nel '91 - ero allora membro di una delegazione della CGIL inviata alle celebrazioni del I' maggio - gli esposi qualche dubbio, qualche richiesta di chiarimento sulla realtà del suo paese. La sua risposta fu semplice: dovevamo essere noi europei in primo luogo a fare uno sforzo di comprensione e di analisi dell'esperienza rivoluzionaria cubana, e non tanto i cubani a doversi giustificare con il movimento operaio europeo. Non vi era iattanza in quella risposta, ma la profonda consapevolezza dell'ordine delle contraddizioni dominanti nel mondo contemporaneo, cioè quelle fra Nord e Sud e quindi della necessità, per comprenderle davvero, di fare una scelta di umiltà intellettuale, propedeutica per ogni militanza politica, di guardare l'intero mondo attraverso il caleidoscopio dei molteplici bisogni del Sud. Una scelta di campo quindi - per molti, fra cui Girardi, una scelta di vita - ma di un campo non demarcato dalle ideologie o dai muri di Berlino, ma dalla comprensione e dalla solidarietà con i bisogni e le ragioni della parte più dolente, e perciò più vera, dell'umanità.
Non sta a me disegnare i punti di incontro tra questa scelta e il messaggio cristiano: lo fa Girardi e a quelle pagine direttamente rimando il lettore. Voglio invece sottolineare la modernità politica che informa questo testo nel suo approccio alla questione cubana. Esprimere solidarietà critica vuole dire evitare ogni forma di reticenza, ogni peloso giustificazionismo che pure ha contrassegnato parte della tradizione storiografica e dell'atteggiamento di settori della sinistra nei confronti delle esperienze storiche del socialismo realizzato in Unione Sovietica, nell'Est europeo o in Oriente. Quelle tragiche debolezze hanno demolito ogni spirito critico, contribuendo ad aprire una voragine nelle coscienze di milioni di donne e di uomini, privi di una strumentazione analitica per giudicare i fenomeni del dopo 1989. Si potrebbe dire - lo riconosco, non senza enfasi che il sonno della ragione, critica, indagatrice, impietosa, ha partorito i mostri dell'omologazione alla piattezza culturale derivante dalla pervasività nel globo intero del modello e del dominio dell'impresa capitalistica. Il sonno della ragione critica è a noi nemico quanto la peggiore propaganda dei mass-media alimentati dai grandi centri di potere.
Girardi lo sa bene: la sua ricerca di verità si congiunge con una passione non letteraria, ma interamente coinvolgente verso le cause dei più deboli, del Sud - non tanto e non solo geograficamente inteso - del mondo.
L'operazione culturale qui condotta è tanto più straordinaria, quanto più martellante l'offensiva propagandistica sulla fine del comunismo, sulla irrealizzabilità pratica dei suoi ideali, o, più ancora, sulla inevitabile perversità di queste realizzazioni, che ha saputo sfondare persino in ampi campi della sinistra, già scompaginata dal dramma del 1989. Non intendo fare la morale a nessuno ma certamente sostenere che tra il disvelamento delle aporie delle società del «socialismo reale» dell'Est europeo - URSS in testa - e l'abdicazione verso ogni possibilità di costruire concretamente un'alternativa al sistema capitalistico esistente, vi è un salto logico, politico, storico del quale ha approfittato l'interpretazione del liberismo dominante che, come dice Girardi in apertura di volume, postula appunto: «fallimento del comunismo, morte del marxismo, vittoria del capitalismo».
t incredibile come di fronte a questa sirena, la ragione si obnubili. Così che «l'isola dell'orgoglio» - splendida definizione di Cuba dello scrittore italiano Romano Costa svanisce, o diventa un sogno per bambini, come «l'isolachenonc'è» di James M. Barrie, l'ideatore di Peter Pan. Chi è vittima di questo indotto oscuramento non si accorge più che Cuba vanta una condizione sociale come nessun altro Stato del Terzo Mondo, che la sua politica sanitaria è all'altezza, o addirittura invidiata, dei più grandi paesi industrializzati, che infatti il tasso di mortalità infantile è il più basso dell'America Latina - e non solo -, che il livello di scolarizzazione è per converso il più alto. Certo, tanti anni di feroce embargo economico decretato dagli Usa, unicamente ora alla fine dell'interscambio economico con i paesi del «Campo socialista», hanno determinato situazioni drammatiche del paese. Queste, insieme al fatto che a non tantissimi chilometri di mare sono in vetrina zone tra le più ricche ed opulente del mondo, avrebbero potuto determinare ben più massicce propensioni alla fuga e all'emigrazione, se non fosse radicato nel popolo cubano l'orgoglio di avere intrapreso una strada difficile, ma libera ed autonoma della quale provare fierezza pur fra tante sofferenze. Una strada, peraltro, che ha assunto un valore emblematico e trascinatore in primo luogo per tutto il continente latinoamericano - ma, come si sa, non solo -, e proprio per questo considerata un pericolo costante dagli Usa. Cambiano le generazioni, mutano i riferimenti culturali, tramontano i miti, eppure il volto di Che Guevara torna continuamente a campeggiare su bandiere e striscioni, in ogni parte del mondo, ovunque vi è una tensione, una lotta sociale, un movimento corale, di popolo. Così è stato, ad esempio, da noi, recentemente, il 12 novembre '94 a Roma, nella più grande manifestazione del dopoguerra, ove innumerevoli erano le insegne con impressa l'inconfondibile sagoma del Che, e così è sempre, particolarmente quando sono i giovani a tenere la scena. Non sono cioè nostalgici veterocomunisti che amano il Che, sono i giovani, sono le giovani generazioni che al loro comparire sulla scena sociale e politica ogni volta rinnovano il loro entusiasmo per chi, con un coraggio persino temerario, ha saputo indicare e praticare una strada di liberazione. Ma quel coraggio, se nel Che trova una personalizzazione conquistata sul campo, non è un caso isolatamente eroico: è un fatto collettivo, corale, di popolo.
Per Cuba bisogna dunque parlare di un miracolo di capacità di resistenza di fronte ad un pluriennale embargo economico, a un blocco culturale, alla caduta di punti di riferimento, materiali e non solo ideali, che l'isola aveva nel mondo. Pretendere da essa le soluzioni dei problemi sollevati da altri riguardo alla costruzione di una società socialista, è davvero ingeneroso. A questa storia così positiva si intrecciano certamente le tutt'altro che trascurabili vicende della irrisolta coniugazione della democrazia politica con la costruzione dell'economia socialista.
Esistono a Cuba prigionieri politici, ma nello stesso tempo nessuno può annoverare l'isola tra i paesi nei quali vengono lesi i diritti civili secondo il giudizio assai attento di Amnesty International. La stessa storia del Partito Comunista Cubano presenta episodi di intolleranza, persino qualche volta meschinità che si incontrano, analogamente, anche in tutti i partiti comunisti dell'Occidente. Non è una giustificazione, ma un ragionevole tentativo di contestualizzare una vicenda complessa, sì.
Insomma a nessuno è permesso - è questa una delle tesi del libro che mi è più cara - di ritagliarsi un'immagine di Cuba a piacimento. Essa viene qui descritta con partecipazione piena e piena libertà analitica. Proprio per questo il risultato è convincente. Soprattutto quando Girardi sottolinea il carattere di laboratorio sociale per l'alternativa che Cuba rappresenta. Dopo la fase che può bene essere definita come dipendente dall'URSS, anche se la realtà cubana è irriducibile a qualunque altra, fase che è stata prevalente per diversi anni e le cui ragioni storiche sono evidenti, è ciò quello che più attrae l'autore e noi: -quello cioè in cui si ricerca costantemente di dare una risposta in «corpore vivo» ai grandi dilemmi che mano a mano si sono affacciati nella storia dei tentativi di inveramento delle istanze rivoluzionarie di costruzione di una nuova società e di un nuovo stato. In ciò sta il contributo di Cuba all'America Latina e al mondo. Riuscirà? Non v'è risposta all'infuori dell'impegno diretto di noi tutti a militare con critica convinzione dalla parte di questa ragione e di questa speranza.

FAUSTO BERTINOTTI
Segretario politico del Partito della Rifondazione Comunista


Prefazione all'edizione spagnola di Fernando Martínez Heredia

Con questo libro, Giulio Girardi rompe il blocco culturale contro Cuba. Il blocco economico ha inteso punire Cuba, per essersi liberata dal dominio degli Stati Uniti e per il cattivo esempio che ha dato, resistendo per 35 anni e organizzando la propria vita in funzione dei suoi cittadini. Oggi il blocco economico è una delle armi utilizzate contro Cuba dagli Stati Uniti, forse la più rivelativa del loro sottosviluppo politico e della loro arroganza imperiale. Il blocco culturale contro Cuba è un fatto di portata ancora più grave; fa palle di un'offensiva mondiale intesa ad estirpare non solo ogni ribellione, ma ogni diversità che possa contrapporsi all'omogeneizzazione astratta che oggi il capitalismo impone a tutti.
Senza futuro né passato, il mondo deve respingere o deridere gli ideali, deve abbandonare le speranze riguardanti l'equità nella distribuzione delle ricchezze, la pratica della solidarietà fra le comunità ed i popoli, i progressi nella condizione umana. La battaglia principale di questa guerra culturale è quella della vita quotidiana: in essa debbono diventare normali le disuguaglianza e ingiustizie più gravi, in essa tutti debbono consumare lo stesso cibo spirituale e seguire le stesse istruzioni generali. Senza trascurare le forme tradizionali di dominio, si lavora così in modo totalitario alla formazione di un'opinione e di sentimenti pubblici, con l'aiuto di immagini colorite e del loro accompagnamento. In questo mondo, per Cuba non c'è posto. Il blocco culturale s'incarica di squalificarla, etichettarla o caricaturarla, ma soprattutto di cancellarla e di consegnarla all'oblio.
Questo non è, pertanto, un libro innocente. Accettando una sfida più profonda e decisiva, Girardi doveva assumere un impegno personale e collocare il suo tema - il processo rivoluzionario cubano - sul terreno della conoscenza. Due esigenze veramente difficili e che le idee oggi dominanti fanno sembrare antitetiche. Conciliandole, Girardi realizza la solidarietà qualificata che consiste nel sottoporre Cuba al vigore della conoscenza, sollevarla aldilà della diatriba della menzogna diventata luogo comune, dei sofismi, mantenendola al tempo stesso lontana dagli elogi rituali, dalla manipolazione e dalla compassione. E riesce a comunicare l'emozione individuale all'analisi sociale, a trovare le domande che conferiscono a questo libro il carattere di contributo scientifico sociale, ad andare molto aldilà dell'esperienza fenomenica e dei tratti apparenti del caso studiato, a stabilire dei ponti che mettano il lettore in rapporto con la materia offerta alla sua intelligenza ed ai suoi sentimenti.
L'autore assume con chiarezza il suo impegno, che non è solo etico e politico, ma anche culturale e teologico: compito essenziale per il suo scopo. Una vita intera di dedizione cristiana ai più umili del mondo avalla la persona di Giulio Girardi: una vita che non è il caso di ricordare qui. L'esperienza lo aiuta senza dubbio a superare le insidie che i condizionamenti pongono a tante persone ben intenzionate. Giulio pensa in senso contrario all'eurocentrismo ed all'imperiocentrismo, perché «guarda dall'interno» del mondo che studia. In effetti, accompagnare e prendere posizione è una condizione necessaria. Ma non è sufficiente: dev'essere completata con la ricerca, con l'analisi spregiudicata, se si vuole veramente rendere servizio. La verità, diceva Gramsci, un italiano che Girardi ammira, ed anche molti di noi, è sempre rivoluzionaria. Essa esige quindi che si rompa il blocco culturale, riscoprendo la verità di Cuba, comprese le sue contraddizioni.
Girardi richiama la nostra attenzione sui due significati di queste contraddizioni. Cuba è segno della contraddizione tra il dominio del Nord e la ribellione dei popoli del Sud, tra la fine di un socialismo che ha preteso di chiamarsi «reale» e la promessa di un socialismo che sia realmente liberato, tra le forme di cristianità legate o subalterne ai poteri e la speranza cristiana che diventa progetto di liberazione. D'altro lato, Cuba è travagliata da contraddizioni interne, come processo rivoluzionario, che segnano la sua attività e la sfidano ad avanzare. La vera ricchezza di Cuba e la sua importanza per il mondo sta nell'«intreccio fra resistenza ed elaborazione di alternative» in una ricerca «vivace, partecipativa e creatrice». Unirsi a questa ricerca significa quindi, invece di difendere il diritto di Cuba ad essere un relitto del passato, avere fede nel fatto che la Cuba socialista è un germe del futuro; invece di arrendersi al capitalismo, continuare a cercare le strade del socialismo per i popoli del Sud e di tutto il mondo.
Questo libro rappresenta un vero contributo agli studi cubani. Dalle sue ipotesi di interpretazione derivano argomentazioni molto ricche sull'esistenza dì due progetti di socialismo e di esperienze, idee e credenze diverse, che ad essi corrispondono nel caso di Cuba; ed anche sulle tappe che si possono distinguere nella storia del processo e sui suoi condizionamenti. Si tratta di un testo interpretativo, nel quale le vaste conoscenze di Girardi sul tema del socialismo e su diversi casi concreti, gli offrono la possibilità, che egli ha valorizzato molto bene, di ricavare grande profitto dai dati di cui dispone, di fare dei paragoni ed alcune generalizzazioni, pur senza trasformare il caso cubano in un'illustrazione delle sue idee generali.
Il tema della seconda parte, i rapporti fra la rivoluzione cubana e il cristianesimo, è affrontato alla luce delle contraddizioni fondamentali che l'autore ha segnalato nella prima parte. là quindi naturale che vi si cerchino rapporti fra l'ecclesiocentrismo e l'imperiocentrismo oppure tra il marxismo economicista di tipo sovietico e l'ateismo e settarismo antireligioso. Esaminando conflitti e convergenze, Girardi ritiene che gli atteggiamenti contrastanti della rivoluzione cubana nei confronti della religione sono un aspetto assai significativo della contraddizione generale tra due modelli di socialismo. Ma il suo approccio non si limita alla politica o alla sociologia. Egli approfondisce il contenuto culturale del cristianesimo e del socialismo sviluppando nella terza parte il tema della confluenza tra un marxismo umanista e un cristianesimo rivoluzionario. Fidel Castro, ed il confronto tra Camillo Torres e il Che Guevara sono i punti di riferimento di questa ricerca.
Desidero richiamare l'attenzione sul terreno nel quale in questo libro Girardi colloca la questione religiosa. Non vi si trovano tracce di «dialoghi» fra poteri estranei, di moderazione delle antinomie o di concessioni mutue. Fede religiosa e rivoluzione contro il capitalismo sono attributi, angosce, privazioni o speranze della persona nella sua globalità, impegnano ognuna tutto l'individuo, come quando un popolo che si pone in marcia diventa uno e più grande e più capace, ma nello stesso tempo urta in mille modi contro se stesso.
Mi piace questo scenario nel quale, in mezzo a tanto pessimismo, scetticismo e cinismo, si pensa e si argomenta intorno ad un futuro di liberazione e di promozione umana, in cui né il socialismo né il cristianesimo (anche se in questo contesto preferisco parlare di fede religiosa) potranno realizzarsi senza spogliarsi delle loro insufficienze e deviazioni, senza passare ad uno stadio superiore. Così diventerà possibile sperare il Regno e l'associazione di liberi produttori, lottare per la salvezza e per la fine di tutte le dominazioni.
Ho avuto la grande soddisfazione di conversare molte volte con Girardi nel corso di questi anni sul tema di Cuba, e anche su cristianesimo, marxismo e rivoluzione socialista. Su questi temi ho scritto, ampiamente, testi che abbiamo discusso. Non intendo qui entrare nel merito del ricco filone di tesi e di suggestioni che egli presenta nel suo libro: lascio questo compito ai suoi lettori. Desidero solo ricordare all'amico, impegnato nella solidarietà con il Nicaragua, quanto egli ci diceva un giorno di settembre, di otto anni fa, di ritorno a Cuba: che questa era la prima rivoluzione vittoriosa in un paese latino, un segno di speranza per l'America Latina e per l'Europa, ma che era sconosciuta nella stessa sinistra; per cui era urgente mostrare che essa era davvero un segno di speranza. Prospettava per questo la necessità di proporre un'immagine più dialettica di Cuba, che includesse i suoi dibattiti, le sue contraddizioni, le sue ricerche.
Dietro questo libro vi è appunto una lunga, coraggiosa e tenace dedizione allo studio, orientato a tale scopo. Giulio è stato paziente, ha ricercato; ha avuto la capacità di sentire, di ascoltare i cubani, compresi quelli che pensano in modo diverso da lui. Ha messo i suoi ideali al servizio dell'argomento che studiava, per ottenere che il risultato fosse all'altezza di questi ideali. Non ha fatto l'elogio della rivoluzione (se ne sono fatti, è necessario, ne ha fatti anche lui): ha posto su di essa delle domande. Se mi si permette di mescolare parole dal significato difficile e incerto, Girardi ha riunito il lavoro del militante, dell'intellettuale e del fratello. Ha realizzato un'opera di amore efficace, un libro senza concessioni.
Ha così risposto espressamente al blocco culturale, alla sfida che il caso di Cuba lancia a tutti gli esseri umani. In questo modo egli conferisce a Cuba il significato che gli sforzi ed i sacrifici dei suoi figli le hanno conquistato; ma che in tante forme le viene negato, che non viene percepito, con pregiudizio per tutta l'umanità. A noi cubani egli ricorda il gravissimo impegno che abbiamo assunto, di sostenere la nostra utopia imperfetta senza che perda il suo carattere di utopia e pertanto trasformando ed approfondendo il socialismo. Egli contribuisce al dibattito che è indispensabile, per fissare la direzione e per tornare ad avanzare. E rafforza quanti tra noi si ostinano a credere che le persone e il mondo possono essere trasformati.

La Habana, Aprile 1994

FERNANDO MARTINEZ HEREDIA
Ricercatore del CEA (Centro para el estudio de América, La Habana, Cuba)


Presentazione di Giulio Girardi

La rivoluzione cubana è diventata uno dei grandi segni di contraddizione del nostro tempo. Prendere posizione su di essa significa interrogarsi, in questo momento cruciale, sul senso della vita e della storia.
Segno di contraddizione in primo luogo tra il Nord e il Sud del mondo. Nel momento in cui le potenze del Nord celebrano il loro trionfo sul comunismo e pretendono d'instaurare sulle sue macerie un «nuovo ordine mondiale», proclamando la «fine della storia», Cuba alza la bandiera della ribellione dei popoli del Sud, annunciando con essi l'inizio di una nuova storia.
Segno di contraddizione anche nella sinistra internazionale, fra coloro che considerano la rivoluzione cubana un caso tra gli altri di «socialismo reale» e pertanto si uniscono al coro che annuncia la sua morte imminente; e quelli che scommettono sulla sua originalità, sulla sua capacità di resistenza e di rinnovamento.
Questo conflitto è una delle forme concrete che assume oggi la polemica sulla vita e la morte del marxismo, cioè sulla possibilità di un'alternativa alla società capitalista nel nuovo ordine mondiale. Escludere tale possibilità significa sanzionare definitivamente la morte del marxismo; riaffermarla significa contestare questa sentenza e reinvestire il patrimonio della tradizione marxista nell'esplorazione e nella costruzione del futuro.
Cuba è anche un segno di contraddizione per i cristiani. Da un lato infatti, le chiese istituzionali, a Cuba ed a livello internazionale, coinvolgono la rivoluzione cubana nella condanna generale del comunismo e preannunciano, al fianco della cultura dominante, il suo crollo imminente. Dall'altro, esistono a Cuba e in tutta l'America Latina comunità cristiane che, ispirate spesso dalla teologia della liberazione, intrattengono nei confronti della rivoluzione cubana una solidarietà profonda, percependo nel suo progetto e nella sua stessa realtà contraddittoria molti tratti di quella società giusta e fraterna che sognano. Esse sentono che un fallimento della rivoluzione cubana metterebbe in dubbio la possibilità di incarnare nella storia attuale i valori cristiani.
In questa riflessione, la mia preoccupazione metodologica fondamentale è stata quella di superare i miei pregiudizi eurocentrici e di osservare il processo, in tutta la misura del possibile, dall'interno, assumendo come bussola il progetto rivoluzionario cubano nella sua ispirazione originaria. Mi hanno aiutato ad operare questo cambiamento di prospettiva i numerosi incontri che ho potuto avere a Cuba, per vari anni, con persone o gruppi impegnati in forme diverse in una ricerca rivoluzionaria: come il Centro per lo Studio dell'America, il Centro di Studi sociopolitici e di opinione, il Centro di studi del Consiglio ecumenico di Cuba, il Centro di Studi Socio-religiosi dell'Accademia delle Scienze, l'Istituto di filosofia dell'Accademia delle Scienze, la Casa de las Americas, la Facoltà di Filosofia dell'Università di La Habana, il Dipartimento America del Comitato Centrale del Partito, ecc. Incontri che sono stati per me fonte di grande arricchimento e nei quali ho potuto verificare il clima di onestà, libertà e fiducia che si respira oggi in molti settori culturali e politici della rivoluzione. Debbo ringraziare molto particolarmente Fernando Martínez, Darío Machado e Zeida Sánchez per i loro contributi ricchissimi e fraterni. Tuttavia, assumo personalmente la responsabilità della sintesi cui sono pervenuto e degli errori che essa indubbiamente contiene.
Tutti i testi che compongono questo libro hanno un carattere incompiuto. Essi fanno parte di una ricerca che sto conducendo e che penso di sviluppare, al fianco delle compagne e dei compagni cubani, in questa ora cruciale della loro storia e della nostra. Ho deciso tuttavia di pubblicarli così come sono, per il desiderio di contribuire subito al compito, che considero urgente, di rilanciare a livello internazionale il dibattito sul caso cubano e di imprimere in tale modo alla solidarietà con la rivoluzione cubana una nuova qualità.
Questi saggi vorrebbero appunto contribuire a rompere il blocco culturale del quale è vittima la rivoluzione cubana e che non è meno micidiale del blocco economico e politico. Il blocco culturale è una forma di assedio, decretato dalle transnazionali dell'informazione, che impedisce la comunicazione della verità sulla rivoluzione cubana e ne impone a livello mondiale un'immagine deformata; provocando nei confronti di essa una reazione di ostilità e scoraggiando qualunque forma di solidarietà.
Rompere il blocco culturale significa far conoscere la verità sulla rivoluzione cubana, con tutte le sue contraddizioni, nella convinzione che la verità è la sua migliore alleata. Rompere il blocco culturale, significa dissipare l'immagine di Cuba immobile nella difesa dei suoi principi e rivelare l'importanza politica e culturale del laboratorio cubano, impegnandosi attivamente e criticamente nella sua ricerca.
Queste riflessioni sono dirette particolarmente a coloro che, nella sinistra internazionale, considerano archiviata la questione cubana; e la legano ad un passato che non tornerà più. Certo, non intendo per parte mia fornire risposte ai grandi interrogativi implicati in questa esperienza, ma solo tentare di risollevarli; ed ottenere che essi rimangano aperti, così come la ricerca fondamentale che esigono. Perché questa ricerca non riguarda solo il futuro di Cuba, ma quello del continente latinoamericano e, credo anche, di tutta l'umanità.

GIULIO GIRARDI

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