Testimonianza di Domitila, una donna delle miniere boliviane
ASSOCIAZIONE NOVA CULTURA EDITRICE
190 PAGINE L. 20.000
INDICE
Conversazione tra Moema Viezzer e Domitila Barrios de Chúngara
Avvertenza
Il paese
La miniera
Dove vive il minatore
Come lavora il minatore
Una giornata di noi mogli
L'organizzazione operaia
La mia vita
Pulacayo
Siglo XX
La sapienza del popolo
Il Comitato delle casalinghe
Come entrai nel comitato
Nella pampa di Sora-Sora
"I lavoratori si sacrificano"
Il massacro di settembre
Le "palliris"
Il Che in Bolivia
II massacro di San Giovanni
L'arresto
Di nuovo in prigione
Los Yungas, il confino
Di nuovo nella miniera
Il popolo e l'esercito
La forza dei lavoratori
Chi di voi può rispondermi?
Un triste incidente...
Alla Tribuna dell'Anno Internazionale della Donna
Incontri con esiliati
1976
Quello che il mio popolo chiede
Introduzione
La storia di Domitila, che Moema Vezzier, ricercatrice brasiliana, ha voluto scrivere, è il racconto di una donna di "Siglo XX", paese minerario della Bolivia; una storia come tante altre in quei Paesi dove i popoli sono costretti all'umiliazione ed alla negazione di ogni elementare diritto.
L'aveva incontrata in Messico nel 1975 durante la Conferenza Internazionale delle Donne. E questa donna boliviana, povera, senza lauree, nessun viaggio in aereo, aveva impressionato la platea per la capacità di presentare con estrema chiarezza l'amara vita della sua gente: il coraggio di lottare contro la dipendenza, lo sfruttamento e la violenza del capitalismo e dei suoi politici e militari.
CHIEDO LA PAROLA è la fotografia di questa fibra dell'anima che diventa capace di aprire il cammino alla speranza. È la storia della riappropriazione della cultura popolare, della ribellione a quella imposta da chi ha potere e ricchezze, ribellione contro ogni oppressione, interna o esterna, che ha sempre calpestato ogni aspirazione ad una vita degna di essere vissuta.
Domitila riconquista la propria dignità attraverso un processo lento, tortuoso, difficile e spesso violento che la porta a subire l'umiliazione e la sofferenza del carcere e della tortura.
Nella militanza che intraprende comincia a capire e disegnare tracce che mettono in discussione il sistema capitalista che tutto sacrifica al dio denaro, non importa se i sacrificati sono uomini, donne e bambini, ciò che conta è che essi producano per aumentare sempre più i profitti. Mette in discussione anche i ruoli delle persone, l'azione di certi leaders sindacali e politici.
Questo libro, che viene ripubblicato vent'anni dopo la sua prima edizione, si inserisce in un contesto all'apparenza molto cambiato, come la sparizione del blocco socialista e il processo formale di democratizzazione in diversi Paesi dell'America Latina, ma sostanzialmente nulla è cambiato nella vita di quei popoli relegati al ruolo di produttori delle condizioni consumistiche dei Paesi industrializzati. Ciò è già di estrema gravità e diventa anche una beffa atroce se non si costruiscono le reali e immediate condizioni dei diritti più elementari, quali: pane, lavoro, salute, scuola, trasporti,... in definitiva: una equa distribuzione delle risorse ed un nuovo fraterno rapporto fra i popoli.
Di fatto si è allargato il "fossato" che divide il "Nord" dal "Sud".
Non ci sono ricette semplici, né tempi brevi ma è la storia di Domitila e delle tante donne e uomini come lei che tengono aperta la speranza verso il futuro.
Anna Del Favero
8 marzo 1995
Conversazione tra Moema Viezzer
e Domitila Barrios de Chúngara
Moema
. Domitila, tu hai espresso il desiderio di far delle precisazioni circa alcune interpretazioni che della tua testimonianza sono state date. Cosa vorresti dire?
Domitila
. Ecco, in primo luogo penso che il libro sia un racconto e che vada letto tutto e non isolando questo o quel capitolo, in modo che il lettore possa avere una visione panoramica dei fatti raccontati. Penso anche che questo racconto sia possibile utilizzarlo per un'analisi e per una critica, ma che non vi si debba cercare una linea teorica. È né più né meno il racconto della mia esperienza.
Per esempio, quanto al partito, sebbene la mia testimonianza riguardi soprattutto il sindacato, penso appunto che la lotta di liberazione del popolo la debba guidare un partito che sia l'autentico partito degli oppressi e degli sfruttati, i lavoratori. Voglio dire che noi dobbiamo avere il nostro partito e lo dobbiamo guidare noi, no? Perciò, a quanto io vedo della realtà boliviana - la mia è una visione limitata, perché non ho la possibilità di conoscerla tutta - credo che sia necessario fare in modo che gli intellettuali siano al nostro fianco, perché noi la nostra lotta non la vogliamo fare da soli, operai e contadini soltanto, invece dobbiamo poter contare anche sugli intellettuali. Questi però devono avere una visione delle cose adeguata alla nostra realtà, applicando correttamente la teoria marxista-leninista alla realtà della Bolivia. E nel partito l'egemonia deve essere della classe operaia e dei contadini, ma non deve mancare la partecipazione di altri strati popolari. Mi hanno rimproverato di non aver parlato dei quartieri degli emarginati; ma ho già detto che la realtà del nostro paese non la conosco completamente. Spesso provo a immaginare come si viva in quei quartieri; io non ci ho mai vissuto, ma so che lì stanno ancor peggio di noi minatori, e quindi mi succede spesso di pensare a come dovranno essere le con dizioni di vita dei contadini, degli emarginati e di tanti altri su cui non sono ben informata, se già le nostre sono così cattive. Però del mio popolo non voglio parlare in via puramente teorica. Forse per questo non ho menzionato alcuni gruppi sociali, il fatto è ripeto che non li conosco. Che cosa potrei dire su questo o quel quartiere di miserabili, su questa o quella compagna contadina, visto che non ne so niente? Non voglio parlare in forma teorica, quel che voglio è conoscere queste realtà.
Moema
. Secondo alcuni tu sosterresti che tutti i problemi della liberazione della donna si risolvono con il socialismo.
Domitila
. No. Quel che penso è che il socialismo - in Bolivia come dappertutto - sarà il meccanismo che creerà le condizioni grazie alle quali la donna conquisterà ciò che le spetta, e questo avverrà con la sua lotta, la sua partecipazione. La sua liberazione sarà anche opera sua.
Penso però che in questo momento la cosa più importante sia lottare per la liberazione del nostro popolo assieme ai maschi. Non che accetti il maschilismo, per conto mio il maschilismo è un'altra arma dell'imperialismo come lo è il femminismo. La lotta fondamentale secondo me non è tra i sessi, ma quella della coppia, cioè di uomini e donne uniti. E nella coppia metto anche i figli e i nipoti, che a partire dalla loro condizione di classe devono integrarsí nella lotta di liberazione. Credo che oggi sia questa la cosa fondamentale.
Moema
. Che cosa pensi del metodo seguito nel raccogliere e nell'elaborare il materiale di questo libro?
Domitila
. Vorrei sottolineare soprattutto questo aspetto. Sono stata intervistata da centinaia di giornalisti, di storici, da gente del cinema, della televisione, venuti da varie parti del mondo per incontrarmi. Del resto, in Bolivia arrivano moltissimi antropologi, sociologi, economisti a svolgere delle ricerche. Ma di tutti i materiali che raccolgono, solo una minima parte tornano alla classe, al popolo che li ha espressi, come ben sai. Perciò mi sembra che si debba chiedere a queste persone, se davvero vogliono collaborare con noi, di riportare fra noi le documentazioni raccolte qui, come hai fatto tu con questo libro. In modo che tutto questo serva allo studio della nostra realtà. Chiedo la parola dovrà servire al popolo, perché è stato il popolo a scriverlo. E così anche deve essere per i film, i documenti, gli studi che si fanno sul popolo boliviano: devono tornare in Bolivia, perché dobbiamo poterli utilizzare noi, altrimenti continueremo a non sapere nulla della nostra realtà e non avremo gli strumenti che ci aiutino a comprenderla e a trovare i modi per cambiarla. Sono infatti pochissimi i materiali di cui disponiamo.
Per questo concordo pienamente sul metodo di lavoro che abbiamo seguito noi due. È giusto riconoscere che tu Moema hai capito e reso perfettamente quello che io intendevo dire. Spero che in Bolivia si raccolgano le esperienze del popolo non solo per elaborarne delle pure teorie, delle teorie oltretutto estranee a noi, ma in modo che servano - come appunto dice il titolo che hai scelto per il nostro libro - al nostro popolo per esprimersi in prima persona.
Quanto al metodo seguito, vorrei dire soprattutto questo: dopo il lavoro di trascrizione e ordinamento del racconto registrato, questa testimonianza torna adesso alla classe lavoratrice, affinché tutti i lavoratori - operai, contadini, casalinghe, tutti, compresi i giovani e gli intellettuali che intendano stare dalla nostra parte - tutti insomma raccogliamo queste esperienze, scopriamo e analizziamo gli errori da noi commessi in passato, sì che, correggendoli, si possa far meglio in avvenire, avere degli orientamenti migliori e accostarci a una visione più completa della realtà del nostro paese, creando noi stessi gli strumenti che ci mancano e rendendo più efficace la nostra lotta, per liberarci definitivamente dall'imperialismo e instaurare il socialismo in Bolivia. Credo che sia questo lo scopo fondamentale del libro.
La Paz, 10 marzo 1978
Domitila Barrios de Chúngara
Moema Viezzer
Avvertenza
La storia che sto per raccontare non vorrei assolutamente che fosse interpretata come una vicenda personale. Perché penso che la mia vita sia legata a quella del mio popolo. Ciò che è successo a me, potrebbe succedere ad altre centinaia di persone nel mio paese. Ci tengo a chiarirlo, perché c'è stata gente che ha fatto molto piú di me per il mio popolo, ma che è morta e non ha avuto l'opportunità di diventare nota.
Perciò dico che non voglio raccontare solo una vicenda personale. Voglio parlare del mio popolo. E lasciare una testimonianza dell'esperienza che in tanti anni di lotta abbiamo accumulato in Bolivia, deporre il mio granello di sabbia con la speranza che la nostra esperienza serva un minimo alla nuova generazione, a quelli che verranno.
Vorrei anche aggiungere che considero questo libro un completamento dell'attività che ho svolto alla Tribuna dell'Anno internazionale della donna. In quella sede avevamo i minuti contati per parlare e dire tutto ciò che ci stava a cuore. Ora ho la possibilità di farlo senza limiti.
Mi piacerebbe, infine, che il racconto della mia esperienza personale e dell'esperienza del mio popolo che sta lottando per la sua liberazione - alla quale sono legata - arrivasse nelle mani della gente piú povera, di quelli che non hanno soldi, ma che hanno bisogno di un orientamento, di un esempio utile per la loro vita futura. Per loro accetto che si scriva il mio racconto. Non importa su quale carta verrà stampata, ma vorrei che servisse ai lavoratori e non solo agli intellettuali o a quelli che con i libri fanno affari.
Domitila Barrios de Chúngara
È possibile acquistare il libro direttamente alla
NCE
o direttamente all'
ASICUBA