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Lettera ad un consumatore del Nord

Editrice Missionaria Italiana 178 pagine L. 18.000


I soprusi, le ingiustizie, lo sfruttamento, sono fatti troppo gravi e dolorosi per farli oggetto di puro approfondimento culturale, lo spettacolo televisivo o di discussioni accademiche. L'ingiustizia va affrontata per risolverla. Perciò questo libro parte da te, dagli ingiusti meccanismi economici che ti coinvolgono, dalle complicità che tuo malgrado hai con gli speculatori, dalle responsabilità che puoi assumerti a fianco degli oppressi.

IIa edizione, IIIa ristampa 1996. 198 PAGINE L. 18.000


INDICE

Presentazioni
- Un piccolo potere da prendere sul serio (Alexander Langer)

- Con la fionda di Davide (P. Alex Zanotelli)

Cap. I: IL TUO CONSUMO, LA NOSTRA EMARGINAZIONE
Un invito che ti disorienta - Le disparità sociali - I poveri assoluti - La povertà organizzata - Poveri perché inutili - Cambiare è possibile.

Cap. II: IL TUO CONSUMO, IL NOSTRO DEFICIT ALIMENTARE
Dagli schiavi...-... ai prodotti agricoli «Offro caffè, acquisto grano» - Il peso delle colture per le esportazioni - Trattate in guanti bianchi - Le due facce della medaglia - Un'inversione calcolata - La necessità dell'autoproduzione - La macchina della fame.

Cap. III: IL TUO CONSUMO, IL NOSTRO AMBIENTE
Il Sahel - L'equilibrio tradizionale - Deserti e noccioline - Il disastro del Sahel - L'assalto alle foreste - Il suolo delle foreste tropicali - Da foresta a deserto - L'effetto sui corsi d'acqua - Il legno duro per l'esportazione - Tagli dieci, distruggi cento - L'assalto degli emarginati - Nella catena dell'allevamento Sovvenzioni alla distruzione - La foresta negli hamburger - La situazione nel Sud-Est asiatico - Il destino degli indios - Ripercussioni a livello planetario - L'effetto serra - Medicinali perduti.

Cap. IV: IL TUO CONSUMO, IL NOSTRO SFRUTTAMENTO ...
Alla mercé dei mercanti - I conti in tasca al contadino - Dall'autoproduzione al mercato - All'insegna del debito - Nelle maglie degli speculatori - La concentrazione della terra - Espulsi con la forza - Forzati ... . ... ed ingannati - Espropriati senza risarcimento - Privati dei pascoli - Un popolo ignorato - Il trionfo dell'economia d'esportazione - Onnipresenza delle piantagioni - Misure incomparabili - La presenza straniera - La proprietà locale - Classismo residenziale - Paghe ed orari - Ridotti in catene - I lavoratori stagionali - Un paternalismo feudale Nell'inferno della città - I boias frias - Il lavoro minorile - Cenerentole del sud - Nessun rispetto per la vita umana.

Cap. V: IL TUO CONSUMO, IL LORO GUADAGNO
I guadagni degli intermediari locali - La cassa di stabilizzazione - Prelievi per fini antisociali - Esclusi dalle importazioni - L'onda lunga dei prezzi internazionali - Le vendite a termine - La speculazione Due esempi di speculazione - Il controllo del mercato internazionale - Le strategie dell'onnipresenza Forme tradizionali in declino - Come essere sempre garantiti - A loro i guadagni, agli agricoltori i rischi Controllo a valle - Conquistare i consumatori, spezzare i concorrenti - Il 90% del denaro si ferma a Nord.

Cap. VI: DAL CONSUMO ALLA SOLIDARIETÀ ...
Tre proposte concrete: Boicottaggio, acquisti alternativi, solidarietà.

APPENDICE: Il commercio equo e solidale in Italia: cos'è e come si è sviluppato - Le botteghe Terzo Mondo in Italia - Le responsabilità che puoi assumerti - L'apertura di un «angolo Terzo Mondo» - L'apertura di uno «spaccio Terzo Mondo» - L'apertura di un negozio Terzo Mondo - L'informazione oltre la vendita.

APPELLO


PRESENTAZIONI

UN PICCOLO POTERE DA PRENDERE SUL SERIO

Questa «lettera» si situa nella migliore tradizione della scuola di Barbiana: essa analizza e svela, con pazienza, precisione e ricchezza di dettagli ed in un linguaggio facilmente accessibile, un circolo vizioso apparentemente inesorabile, visto dalla parte di chi ne rimane schiacciato.
E come nella «Lettera a una professoressa», redatta dai ragazzi di Barbiana sotto la guida del loro priore don Lorenzo Milani, anche qui lo si analizza non per il semplice gusto di sapere, ma soprattutto per trovare qualche leva per spezzarlo.
Il circolo vizioso, illustrato attraverso l'itinerario di numerosi prodotti da tanto o da poco tempo familiari alle nostre tavole ed alle nostre abitudini quotidiane, genera miseria e dipendenza nel «terzo mondo», rendendoci spensierati complici di una catena di sfruttamento e di distruzione delle persone e della natura. Il caffè che beviamo, i mobili di legname tropicale che danno lustro e prestigio alle nostre case, le gomme delle nostre automobili o biciclette
... tutti ingranaggi, insieme a tanti altri, di una macchina complessa e precisa che determina il destino di milioni di persone, di interi paesi e continenti, di vasti ecosistemi.
Per centinaia di milioni di esseri umani la coltivazione di tanti prodotti agricoli, l'allevamento di bestie e la pesca, l'estrazione dei tesori della terra è rimasta schiavitù, a dispetto dei principi democratici e sociali che caratterizzano il nostro tempo, e la dimensione che questa schiavitù ormai ha raggiunto e rischia di raggiungere ulteriormente, si trasforma anche in minaccia per gli equilibri della natura: supersfruttamento degli uomini e delle terre, deforestazione ambientale e sociale sono strettamente legate. I deserti che la nostra civiltà crea, feriscono il tessuto umano e culturale quanto e come la corteccia naturale del pianeta. Per altre centinaia di milioni di persone gli stessi meccanismi provocano invece la loro espulsione dalla terra, dai boschi o dai mari da cui traevano sussistenza e li trasforma in profughi ambientali e sociali, sradicati da quella comune madre-terra che aveva garantito all'ininterrotta catena dei loro antenati cibo, casa e vestiario.
Cosa fare contro un'ingiustizia così macabra, distruttiva non solo per chi la subisce più direttamente, ma anche per chi nella miope ottica a breve ne appare beneficiato, perché può comperare a poco prezzo il frutto della terra e del lavoro altrui? Come iniziare a fermare l'infernale ingranaggio, da dove cominciare un'azione equilibratrice, cosa fare per riparare ai danni ed ai torti che tanta parte dell'umanità e del pianeta subiscono attraverso la legalissima e spietatissima violenza dei commerci, dei prezzi e delle borse?
Quando i popoli del sud del mondo iniziavano i percorsi spesso poi avveratisi fallaci - della loro liberazione politica, per conquistare l'indipendenza nazionale, la parte delle popolazioni del nord solidale e generosa, informata e sensibile alla giustizia decise di appoggiare queste lotte, cercando di diventare una specie di «quinta colonna»: alleati dei movimenti di liberazione all'interno delle cittadelle del colonialismo e dell'imperialismo. Attivarsi in Francia per l'indipendenza dell'Algeria, negli USA per il sostegno al Vietnam e sostenere in tutto il mondo il boicottaggio economico contro il regime dell'apartheid in Sudafrica erano altrettante forme di riparazione ad ingiustizie commesse anche in nostro nome e di appoggio ai processi di liberazione in quei paesi.
Forse poteva sembrare più eroico e più entusiasmante sfilare con le bandiere di qualche fronte di liberazione, ma ciò che questa «lettera» ci propone non è meno importante, e forse persino più efficace. Ci viene proposto di usare finalmente quel piccolo potere che la nostra civiltà ci lascia, e che agli effetti pratici conta più del voto e dello sciopero, e di usarlo dalla parte del Sud del mondo.
Il piccolo potere è il potere del «consumatore»: parola orrida, perché mette a nudo la dimensione vera del nostro ruolo assegnatoci dal sistema, qualità assai più vera e più penetrante del nostro essere magari cittadini o elettori, ma termine realistico per designare la funzione che ci spetta nel potente universo delle merci e del denaro. La costruzione teorica, l'ideologia (cioè: la falsa coscienza diffusa a protezione del sistema), non cessa di ripeterci che il consumatore è il coronamento e destinatario finale di ogni bene ed ogni servizio e che tutto è fatto per accontentarlo e servirlo sempre meglio. Ma nella pratica si sa che il consumatore dagli strateghi del mercato è considerato bestia da ingrasso e da macello non meno che gli animali allevati nelle stalle industriali: altrettanto prevedibile e manovrabile, altrettanto facile da nutrire e da mungere. E che i suoi gusti e le sue preferenze possono essere indotte e pilotate dalla persuasione pubblicitaria, e che in ogni caso obbediscono a leggi dominate dal denaro e dalla convenienza, non da scelte ideali e di valore.
E se si tentasse, finalmente, di prendere sul serio questa leva che ci troviamo in mano, e che finora noi stessi lasciamo che si ritorca contro di noi, felici di lasciarci ingannare dalla persuasione pubblicitaria e di perpetuare lo stato di beata ignoranza e complicità? Se si cominciasse non solo a rivendicare, ma a praticare una maggiore autodeterminazione, su fronti apparentemente poco politici e poco eroici, quali la scelta della nostra alimentazione, dei nostri acquisti per la casa, dell'uso dei nostri soldi, del tipo di prodotti e di imballaggi da accettare o da rifiutare.
Grande peso possono avere, certamente, le scelte personali, soprattutto se spiegate e propagandate adeguatamente: fa differenza rifiutare un prodotto in silenzio, o spiegarne il motivo in un colloquio col direttore del supermercato, seguito magari da una lettera al giornale cittadino o da un cartello portato davanti all'ingresso del punto di vendita. L'obiezione di coscienza nei confronti di prodotti macchiati da troppo sangue, da troppa distruzione ambientale, da troppo sudore malpagato, da troppa infelicità di bambini derubati della loro infanzia è una slélt4 altrettanto valida e forte quanto quella nei confronti del servizio o delle spese militari. Ma per pesare ha bisogno di moltiplicarsi e di farsi conoscere, di generare dibattito e sensibilizzazione - e di offrire alternative accettabili anche per cittadini che non se la sentano ci trarne conseguenze semplicemente ascetiche, di rinuncia totale (come in alcuni casi è pure necessario).
Ecco perché in questa «lettera» si propone di legare la scelta personale di consumatore consapevole e solidale, informato e capace di generare «scandalo», a comportamenti più collettivi e più politici, e alla costruzione di scambi meno iniqui e meno nocivi.
Quando, agli inizi dei movimenti operai, i lavoratori si accorsero che il magro salario veniva immediatamente rimangiato dai loro padroni sotto forma di affitti e di prezzi da pagare nei negozi, cominciarono ad organizzare, con l'aiuto dei sindacati, cooperative di consumo e cooperative edilizie. Allora l'obiettivo era di abbassare i prezzi, saltando l'intermediazione padronale.
Oggi, nei confronti del Sud del mondo, si possono fare scelte simili, peraltro in alcuni casi già avviate e sperimentale su piccola scala nel mondo del volontariato e della solidarietà, della conversione ecologica e della sensibilità sociale.
Solo che non ci si deve più proporre di abbassare i prezzi, ma paradossalmente - di aumentarli, per renderli più veraci e più corrispondenti al valore reale dei beni e dei servizi offerti e quindi meno invitanti alla dissipazione ed allo spreco. Certo, saltare le molte intermediazioni parassitarie, e ladresche che spezzettano il percorso del caffè o delle banane, della soia o del caucciù e lo caricano di ingiustizie e crimini, è già molto. Ma dovremo arrivare a sfuggire al mondo senza qualità dell'offerta massiccia di prodotti in quantità, la cui fabbricazione e vendita provoca devastazioni umane, sociali ed ambientali «in partenza», e spesso effetti nocivi anche «in arrivo», visto che i boomerang dei nostri pesticidi esportati cominciano a tornare indietro. Ormai è interesse anche nostro, non solo obiettivo di generosa solidarietà, assicurarci che la qualità ambientale e sociale dei prodotti che acquistiamo contribuisca al riequilibrio invece che provocare squarci e ferite le cui ripercussioni Finiscono senz'altro per riverberarsi anche su di noi - al più tardi quando i profughi di un ordine economico ingiusto bussano alle nostre porte. sotto forma di immigrati sradicati.
Conoscere e scegliere bene l'impatto sociale ed ambientale dei nostri acquisti e consumi, ridurne attentamente la nocività ed aumentarne invece l'equità e la compatibilità ecologica, organizzare e usare circuiti capaci di promuovere e diffondere scelte accettabili, contribuire a finanziare - sia con le scelte di acquisto, sia con l'investimento dei propri risparmi - strutture solidali ed attente anche agli equilibri naturali, denunciare e boicottare commerci e prodotti iniqui e nocivi (e sono la vasta maggioranza), approfondire e diffondere l'informazione e la consapevolezza di fatti e circostanze, esigere sul piano politico e sociale che i nostri governi, le nostre amministrazioni locali, le nostre cooperative, i nostri sindacati, le nostre associazioni facciano scelte giuste ed evitino la complicità in quelle ingiuste: ecco un piccolo programma di sostegno ad una «lotta di liberazione» che la gente nel Sud del mondo conduce anche per noi, e che questa «lettera» ci aiuta a capire e concretizzare.

ALEXANDER LANGER


CON LA FIONDA DI DAVIDE

Da pochi giorni ho iniziato a vivere nella bidonville di Korogocho, una delle più tristi di Nairobi. Vederla e sperimentarla sotto una pioggia torrenziale nella notte di Capodanno ha rievocato in me la scena dell'Inferno dantesco. Oltre centomila persone sono accatastate in un piccolo lembo di terra fra due torrenti.
E solo quando ci si immerge («discese agli inferi») in questo mare di gente e di fango che si comincia a percepire la sofferenza umana, il grido dei poveri. A contatto con la gente, di baracca in baracca, tocchi con mano il loro quotidiano martirio. Una sofferenza che va crescendo: sono i poveri che pagano le assurde politiche del Fondo Monetario o della Banca Mondiale; sono essi che pagano le logiche del mercato.
Questi due anni passati a stretto contatto con i baraccati delle due Soweto (ve ne sono cinque a Nairobi con questo nome!) me l'hanno confermato. Ricordo il volto pietrificato dalla sofferenza di mamma Njeri:
«Oggi ho lavorato tutto il giorno a raccogliere caffè - mi diceva amareggiata - ed ho ricevuto in compenso 14 scellini (circa mille lire). Con questo ci devo vivere io, mio figlio di quindici anni che frequenta la scuola e le mie due figlie (ambedue ragazze madri). Ma con questi soldi posso solo comprare un po' di polenta e di erbe (sukumawiki) per fare un po' di cena!» Poi, guardandomi con quel suo viso nobile, ma sofferente: «Padre, fino a quando?».

È un caffè davvero amaro per i poveri!

E proprio vivendo accanto a mamma Njeri, nei bassi fondi della storia nei gironi infernali delle baraccopoli del Terzo Mondo e sentendo sulla mia pelle la sofferenza degli impoveriti che ho colto l'importanza di questa «Lettera» indirizzata ai consumatori del Nord del mondo.
Perché essa fa propria la condizione di mamma Njeri, dei miei baraccati e propone delle azioni per andare tutti insieme verso la giustizia.
Questa Lettera fa piazza pulita di alcuni luoghi comuni che servono solo a mettere a posto le coscienze e denuncia con forza e chiarezza i meccanismi che impoveriscono tutte le mamme Njeri del Sud del mondo.
È chiaro che la mia gente, i baraccati e i contadini poveri del Terzo mondo sono le vittime di Das Kapital (non quello di Marx), delle leggi del mercato, delle multinazionali che qui approdano perché trovano mano d'opera a basso prezzo e non pagano i costi sociali. In una parola, sono le vittime di un meccanismo economico che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Oggi il potere del denaro è totale e totalizzante: domina il mondo come un piccolo villaggio. Mai come oggi (dopo il crollo del muro di Berlino) si può parlare del trionfo dell'impero del denaro. Ci troviamo di fronte al Golia imperiale.
«Questo Golia imperiale, questo gigante militare armato fino ai denti che brandisce con una mano l'arma più potente della storia, si erge oggi sulla montagna della storia insultando il popolo di Dio (I Sam. 17, 4-1 1). Eppure l'impero delle armi è tale e le esigenze del Vangelo tali, che non possiamo più fronteggiare questo Golia con le sue stesse armi: l'armatura di Saul non «serve» (1 Sam. 17, 39). La nostra sola arma è la fionda di Davide».
Così in maniera molto plastica, l'americano Ched Myers scrive nel suo libro Binding the strong man (Immobilizzando l'uomo forte), che è una splendida «lettura politica» del Vangelo di Marco. E prosegue: «Noi nordamericani (e italiani!) dobbiamo cominciare dove Marco inizia: con la chiamata a conversione.

Tutto il resto dipende dalla nostra risposta a quest'invito che chiaramente sottintende la presa di coscienza del proprio peccato inteso come partecipazione all'ingiustizia storica. Soltanto ripudiando il "sogno americano" e incontrando il mondo reale «fuori dalle mura», noi potremo vedere il lato tenebroso del nostro sogno che i poveri vivono come un incubo. Per i due terzi dell'umanità, infatti, non si prospetta un futuro migliore, ma un amaro ciclo di violenza e povertà. Noi siamo i beneficiari di un sistema che quotidianamente infligge croci ai poveri del mondo. Dobbiamo riconoscere che la nostra prosperità è la conseguenza di un sistema di latrocinio e di sfruttamento».
Se convertirsi significa dire di no a questa logica economica, allora dobbiamo avere il coraggio di dire di no all'imperium.. Questa è oggi la nostra responsabilità storica: la conversione che Dio richiede.
È chiaro che questo comporta un cambiamento radicale del nostro stile di vita, ma anche qualcosa di più. «Noi dobbiamo volgerci verso coloro che sono stati estromessi "fuori dalle mura della città" del culto metropolitano della modernità - conclude Ched Myers - perché è lì con loro "fuori le mura" che Gesù vive e muore ed è lì dove dobbiamo peregrinare anche noi se vogliamo incontrare Gesù».
Ecco perché ho scelto di «scendere agli inferi» e di vivere nelle baraccopoli. Perché qui sento di incontrare per davvero Cristo di nuovo crocifisso nella carne dei poveri. Perché qui sento di capire fino in fondo il Vangelo di quel povero Cristo.
Come missionario sono chiamato a convertirmi a essere rimesso in discussione da questo Cristo crocifisso oggi nella carne dei baraccati di Korogocho. Siamo tutti chiamati a convertirci ai «poveri», a ritrovare il soffio di speranza che è il loro più grande dono. Sono essi, infatti, la turbinosa profezia contro il Golia imperiale, sono essi la «fionda di Davide». Nella misura in cui tu decidi di intraprendere il cammino di conversione e di assumerti la responsabilità di dire no all'impero, tu potrai dare forza alla «fionda di Davide». Questa «Lettera» ti dice come, proponendoti delle azioni non violente nel campo dei consumi, un ambito di vitale importanza per il gigante economico.

Se saprai usare intelligentemente l'«arma» del boicottaggio, oltre che alla liberazione dei poveri, contribuirai alla creazione di un mondo più giusto. Ma devi saper organizzare la resistenza! Non si tratta, infatti, di un'azione individuale, ma di un'azione collettiva. Non servono don Chisciotte che vanno all'attacco dei mulini a vento: occorre un movimento. Ecco perché in questo volume si insiste sulla necessità di organizzare la resistenza. «t ovvio - vi si legge - che il boicottaggio può diventare uno strumento di rivendicazione internazionale solo se attorno ad esso nasce un grande movimento... Tuttavia non sprecare le energie per creare dal niente una rete organizzativa». Esiste, infatti, una serie di organismi di volontariato, di gruppi impegnati, di movimenti ecologisti e nonviolenti che possono costituire un'ottima rete per far partire e rendere efficace tale boicottaggio.

È chiaro che tutto questo non è facile, perché si tratta di scuotere un colosso mondiale, il Golia imperiale. Ma non temere: la Bestia si può vincere! «L'atteggiamento più pericoloso - si afferma giustamente in questa Lettera - che va allontanato come una tentazione è il pessimismo. Non dire che contro i colossi della terra non ce la faremo mai e che quella mondiale è una dimensione troppo vasta per essere gestita dal basso. Sui sensi di impotenza i padroni e i governanti costruiscono i loro imperi».
Ricordati sempre che il colosso economico mondiale, al pari della statua di Nabucodonosor (Daniele 2) ha i piedi di argilla. Sono convinto che il boicottaggio è uno dei mezzi più efficaci per colpire il Golia imperiale e sgretolare i suoi piedi.
Questa convinzione mi ha spinto a prendere la penna in mano, nonostante la mia riluttanza. Da quando mi trovo a Nairobi infatti, provo sempre più difficoltà a scrivere ed anche la decisione di preparare questa presentazione è stata sofferta.
A farmi rompere gli indugi è stata anche la semplicità del contenuto e del metodo di questa Lettera che ritengo degna della miglior tradizione della Scuola di Barbiana.
Questo riferimento non è casuale. So, infatti, che il responsabile del Centro che ha preparato questa Lettera è Franco Gesualdi, un allievo di don Milani, un prete che è stato anche per me un autentico maestro.

Mi auguro che questa Lettera, come le altre di don Milani, venga utilizzata non solo da gruppi impegnati, ma diventi parte integrante della scuola italiana.
Don Milani aveva usato parole di fuoco per la cecità della scuola del suo tempo e l'aveva definita «questa scuola vile». Se fosse vivo oggi, il Priore di Barbiana non direbbe lo stesso? Ricordo la Lettera ai giudici: «Ci presentavano l'impero come la gloria della patria. Avevo tredici anni, mi pare oggi... - scrive don Milani - saltavo di gioia per l'impero. I nostri maestri si erano dimenticati di dirci che gli etiopi erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini, mentre loro non ci avevano fatto proprio nulla. Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente, non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere più precisi obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti.
E dopo essere stato così volgarmente mistificato dai miei maestri quando avevo tredici anni, ora che sono maestro io (... ) vorreste che non sentissi l'obbligo, non solo morale, ma anche civico di demistificare tutto? (... ) Perseguite i maestri che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da allora ad oggi non hanno più studiato, né pensato, non me!»
Oggi la scuola si fa bella. Può dimostrare, libri di testo alla mano, che più nessuno difende Mussolini o Hitler. Ma proprio per questo è ancora più «vile», perché nasconde ai ragazzi che oggi le guerre si combattono su un altro piano: quello economico. Nel Sud del mondo il taglio dei salari, la disoccupazione, il rincaro del prezzo del pane sono conseguenze di un'impostazione economica che fa gli interessi del Nord e mietono milioni di vittime specie tra i bambini, le donne gravide, i deboli.
Questa Lettera è un'occasione offerta alla scuola per abbandonare il piano della viltà: che la adotti come strumento per aiutare le nuove generazioni a capire che il sistema economico in cui vivono e di cui godono i benefici è responsabile di crimini ben maggiori di quelli perpetrati dai nazisti. Il risultato di questo nostro sistema è «l'olocausto degli empobrecidos», come padre

Fausto Marinetti lo definisce in quel suo sconvolgente libro dagli inferi del Nord-Est del Brasile.
Per tornare a te, consumatore del Nord, sento la necessità di dirti un'ultima cosa: prendere coscienza della realtà, boicottare, è molto, ma non è ancora sufficiente. Devi anche cominciare a cambiare, a modificare il tuo stile di vita, a consumare di meno. Devi imparare a diventare più povero, ad accontentarti di avere di meno... per essere di più!
Mi sembra che questo aspetto non sia stato abbastanza sottolineato in questa Lettera, mentre lo ritengo più fondamentale del boicottare. Ciò che ti invito a fare è in profonda sintonia con quel povero Cristo e con tutta la tradizione dei grandi Padri della Chiesa (Agostino, Ambrogio, Crisostomo) i quali affermano che se alcuni sono poveri è perché altri hanno accumulato o ereditato di «più». Ora questo di «più» - essi affermano rimane proprietà rubata finché non è condivisa con i poveri.
Si scopre allora la verità di quanto va affermando L. Boff: «La povertà può essere guarita, curata dalla povertà stessa». In questo sta anche la tua salvezza, la salvezza di questa unica terra che è stata messa nelle nostre mani. Te lo posso dire e scrivere solo perché sono sceso in questa allucinante baraccopoli di Korogocho. Qui nei bassifondi della storia, nei sotterranei dell'impero, sto ritrovando la speranza, quella dipinta sui volti degli impoveriti del sistema, sul volto di questi baraccati crocifissi, sul volto del Crocifisso oggi, ma che ci precede in Galilea, nelle Korogocho d'Africa, in tutte le Korogocho del mondo.
Questi baraccati danno a me e anche a te il coraggio di continuare a resistere alla Bestia, al Golia imperiale con la «fionda di Davide».

Nairobi, 23 gennaio 1990

P. ALEX ZANOTELLI
Dalla baraccopoli di Korogocho


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