RAVE DROGHE IMMAGINARI URBANI AUTOGESTIONE
L’AUTOGESTIONE DEI SAPERI E IL SAPERE DELL’AUTOGESTIONE
INTRO
Lo spazio dell’esistenza contemporanea è lo spazio del mercato globale, uno spazio che al paradigma del ciclo fordista - piramidale, verticalizzato, con sottounità regionali, provinciali, comunali, strutturate in catene lineari che comunicano tra loro passando per i rispettivi vertici - sostituisce un modello reticolare in cui saltano le antiche gerarchie lineari e le continuità spaziali, cosicchè ogni zona della rete può liberamente interagire con ogni altra senza i vincoli della geometria euclidea, per dirla con Revelli
1 .
E’ lo spazio in cui i forti possono rompere il legame di prossimità territoriale con i deboli.
I diversi centri ricchi spezzano le catene lineari che li connettevano alle rispettive periferie e comunicano ormai tra loro, disegnando degli spazi reticolari a geometria variabile, mutante.
Di fatto, oggi, i centri ricchi fanno circolare informazioni e capitali orizzontalmente tra loro attraverso la rete ad alta velocità, assai più di quanto ognuno di essi non faccia verticalmente con il rispettivo territorio.
La tendenza del neoliberismo globale è quella di rompere definitivamente questo legame, blindare i centri ricchi e lasciare che le periferie precipitino nel "delirio balcanico", nella guerra etnica diffusa e locale, tra milioni e milioni di vite umane che diventano merce da consumare ore-pasti nello spettacolo della tele-visione via cavo.
E’ uno spazio sincronico (tempo reale) e insieme discontinuo, che traduce un mondo in transizione, cangiante, inquieto, costitutivamente incapace di assestarsi su baricentri stabili di equilibrio.
In questo spazio esistenziale si moltiplicano - con modalità lussuose o disumane - le zone di transito, le occupazioni temporanee (dalle occupazioni "legalmente" abusive ai club di vacanza, dai campi profughi alle catene alberghiere).
Un mondo in cui si è ormai sviluppata una fittissima rete di mezzi di trasporto che sono anche spazi abitati, un mondo in cui grandi magazzini, distributori e carte di credito riannodano i gesti di un commercio muto e promosso ad una individualità solitaria, effimera, passeggera
2 .In questo spazio, tra i frammenti del muro di Berlino e le macerie spettrali della fabbrica fordista, si muovono le comunità nomadi dei Ravers.
I Ravers o altrimenti estatici, sono gli abitanti dei Rave.
Un Rave è essenzialmente un momento rituale nel quale le identità frantumate dalla crisi del modello fordista si ricompongono in una dimensione comunitaria, libertaria e nomade, che è anche adattamento "indolore" al brusco e radicale cambiamento di forma prodotto dalla terza rivoluzione industriale, forma la cui complessità è ancora difficile da interpretare criticamente perchè tendenzialmente irriducibile alle coordinate della ragione moderna.
La transe allora come risorsa per governare il passaggio, la transizione, per adattarsi alle forme complesse del presente trasformandole, deturnandole da mostro panico in motivo di gioia estatica.
Il farmakon che favorirebbe la transe è l’ecstasy (MDMA), che tra le droghe metropolitane illegalizzate è quella più diffusa e consumata nelle feste.
I Rave sarebbero momenti autogestiti dove si produce socialità, comunità e sensi (visioni di mondi, orizzonti di desiderio). La produzione secondo modi e forme transitorie e autogestite vede la convergenza di interessi e desideri fra loro contrapposti così come fu per lo stato-nazione nel conflitto moderno tra capitale e lavoro. Piace all’imperialismo globale nel momento in cui la società è capace di autoprodursi a costo zero e in misura compatibile al mercato globale. Ma l’autogestione è anche soprattutto un modo di concepire l’esistenza svincolandola dalla schiavitù neoliberista. In questo senso sarebbe incompatibile al dominio della forma-merce e quindi luogo di conflitto e terreno di lotta.
In italia il dibattito sul movimento techno con la sua mistica tribale del comunismo nomade ed empatico ha assunto come sempre (sic!) il tono fortemente ideologico del politico-politicante.
H. Bey, che dell’autonomia nomade e psico-empatica è il profeta, scrive "i gruppi politici non hanno ancora compreso i principi del piacere, mentre i gruppi life style non hanno ancora compreso la politica"
3 .Questa affermazione sembra riproporre la storica e triste separatezza tra un agire politico e uno creativo.
Pensiamo sia creativo ogni spontaneo apporto che trasformi una condizione vissuta come insoddisfacente, frusta, obsoleta.
La distinzione fra gesto estetico e gesto politico così come si è riprodotta fino ad oggi ci stanca e ci imbarazza, avendo noi come unico parametro di misura del nostro agire quotidiano l’efficacia nel trasformare lo stato di cose presenti in modo da creare e organizzare mondi a misura dei nostri desideri.
Lavorare poco e vivere felici. Tutti.
36okk
RivaReno122
1
M. Revelli, il Manifesto, 4 Febbraio 1996, pag. 9.2
cfr. M. Augè, I non-luoghi, Eleuthera3
Hakim bey, Rave Off, Castelvecchi editore, pag.149
IMMAGINARI URBANI AUTOGESTIONE
Dario: Come molti sanno le droghe fanno parte della vita quotidiana di tutti, dall’aspirina ai sonniferi, dal caffè al tabacco, dall’hashish all’alcool, ed alcune provocano una pericolosa dipendenza, ed è il caso per esempio delle sigarette, le quali producono una dipendenza che si traduce con uno dei più grossi affari economici di tutti i tempi, sto parlando del giro di affari mondiali delle multinazionali produttrici di sigarette. Ci sono droghe, come la marijuana che è stata coltivata per numerosi usi da diversi millenni, che è diventata illegale nel corso di questo secolo. Ci sono droghe, come l’eroina, parente della morfina, che è stata sintetizzata nei laboratori delle industrie farmaceutiche ed immessa nel mercato per poi essere dichiarata illegale nel corso degli anni sessanta. A proposito di quanto sto dicendo c’è una ottima ricerca compiuta dai compagni di Rozzemilia dal titolo l’ignoranza è tossica, a cui rimando per ulteriori approfondimenti disintossicanti in merito a queste tematiche. Quindi, abbiamo a che fare con delle sostanze, LE DROGHE, che si trovano in natura o possono essere sintetizzate in laboratorio, per fini terapeutici o ludici1, ed abbiamo a che fare con LA DROGA, che è invece il mostro che esiste nell’immaginario collettivo delle metropoli, prodotto ad arte dall’industria del consenso, un vero e proprio capro espiatorio. Pur troppo anche molte compagne e compagni che si muovono nell’area dell’antagonismo con impegno straordinario per molte cose, inciampano nel trabocchetto della DROGA, succede che il proprio immaginario non sia poi così autonomo da quello costruito dall’industria del consenso, per cui le droghe hanno a che fare con qualcosa di esotico, fricchettone, echeggiano siringhe e vite distrutte, accattonaggio, ecc...
Sostanze diversissime come l’hashish - che è parte della ritualità indu-scivaita - e l’eroina - che è la "merda" che sappiamo - e nuove droghe che hanno una domanda di massa come l’ecstasy, sono illegali. Sopratutto nella coscienza collettiva non sono droghe diverse, diventano LA DROGA, l’allucinazione inventata dal proibizionismo, che strizza l’occhio al narcotraffico mondiale.
Nel corso di questo inverno2, qui al 36 occupato autogestito si sono verificati dei momenti molto duri, con assemblee accese che vedevano alcuni occupanti convinti assertori di proibizionismo in tema di droghe. La situazione è sempre stata problematica. Il 36 si trova accanto a Piazza Verdi, cuore della cittadella universitaria e il luogo storico della socialità antagonista bolognese. Il comune e la questura bolognese hanno nel corso degli anni concentrato lo spaccio delle droghe illegali in questa zona della città; gli intenti di questura e comune sono sempre stati denunciati dagli occupanti come meschina manovra per destabilizzare le pratiche di autogestione nel cuore dell’università e della città.
L’equazione antiproibizionismo uguale siringhe nel braccio, è molto diffusa nell’immaginario delle metropoli, anche nei ceti sociali scolarizzati e nelle università.
Tentiamo, con queste giornate di studio autogestito, di fare un pò di luce su queste tematiche, e per questo abbiamo invitato dei ricercatori e degli educatori che da anni compiono studi attinenti ai rapporti fra potere , metropoli, droghe e stati di coscienza. Abbiamo con noi il professore G. Lapassade, antropologo, docente all’università di Parigi, il professore Piero Fumarola, sociologo, docente all’università di Lecce, l’antropologo G. Samorini, redattore della rivista ALTROVE e membro del comitato scientifico della SISSC (società italiana per lo studio degli stati di coscienza), e con loro Gianni de Giuli, Roberto Panzacchi, Vanna Vecchioli, che si muovono nel campo della cooperazione sociale e dell’educazione.
Fumarola: Ringrazio il collettivo del 36 per aver dato a me, ai colleghi che sono qui ed ai tutti presenti la possibilità di affrontare queste problematiche che sono di interesse per tutti, e sopratutto sono felice, come docente, di fare una lezione in luogo occupato ed autogestito dentro l’università di Bologna. Il mio contributo a questo seminario sarà di tipo didattico, una lezione ex-cattedra, spero di essere il più chiaro possibile. Il nostro approccio è di tipo strutturalista e fenomenologico. Una metodologia che storicamente si contrappone a quello che è lo sfondo della cultura accademica italiana, di tradizione crociana, idealisti e crociani sono stati tutti i nostri insegnanti, gentiliani in alcuni casi. Pochi si sono avvicinati alla fenomenologia del filosofo Paci, per esempio. La nostra tesi e la seguente: è possibile confrontare con un modello comparativo, che spiegherò tra un attimo, fenomeni psichici che si danno in contesti storici e culturali anche molto differenti tra loro. Tale comparazione è possibile a partire dal fatto che ogni civiltà o società si può vedere come costituita in un elemento, la natura (la marxiana struttura), ed un elemento sovrastrutturale, la cultura. L’attenzione ai fenomeni psichici relativi tanto alla natura quanto alla cultura dell’uomo, ci introduce nella problematica degli stati modificati di coscienza e della transe. Premesso che la nostra prospettiva è in contrapposizione con Canevacci ed il gruppo che ha pubblicato ricerche sulle transe metropolitane per COSTA & NOLAN, vediamo di precisare che cosa noi intendiamo per S.M.C.3 e per transe.
Gli S.M.C. sono delle forme di coscienza che sono proprie della natura umana, che è strutturalmente la stessa per tutte le culture, e che sono per tanto quotidianamente esperibili da chiunque.Il sonnambulismo, lo stato ipnotico, gli stati di passaggio dalla veglia al sonno (stato ipnagogigo) o dal sonno alla veglia (stato ipnopompico), tutti gli stati di coscienza che si danno quando l’io ordinario presenta caratteri dissociativi. La transe si definisce invece come il dispositivo con il quale si socializzano gli S.M.C. attraverso le tecniche che nell’insieme formano i sistemi rituali. Quindi gli S.M.C. si situano ad un livello umano universale di natura, le transe si innestano su questo ad un livello di elaborazione sovrastrutturale, la cultura. Lo psicologo americano Tart ha scritto un libro, Stati di coscienza, che è di fondamentale interesse per l’approccio sistemico al problema; la tesi è la seguente: la modificazione dello stato di coscienza viene provocata da una situazione di crisi alla quale l’io ordinario non sa dare risposte. Le situazione critiche variano da quelle quotidiane, come stanchezza, stress, dolore, alle quali l’organismo risponde col sonno-REM o con forme di allucinazioni simili, a situazioni critiche straordinarie, incidenti, traumi, come le violenze sessuali, alle quali l’ organismo risponde con l’Out of Body Esperience, che è una dissociazione radicale e fortemente allucinatoria, simile alla esperienza sciamanica. Per esempio, il dolore è la natura del fenomeno critico, la sofferenza è la cultura, cioè il modo con cui si organizzano e controllano le crisi, per cui si può dire che la sofferenza è la transe del dolore. Ivan Illich, studioso a cui è dedicata l’omonima scuola popolare di musica qui a Bologna, afferma che quella in cui viviamo è una società americanizzata che ha inibito la capacità di elaborare tecniche per autogestire e superare situazioni critiche, ed ha progressivamente instaurato un complesso sistema di dipendenze per le quali si è dentro un meccanismo che lega la situazione critica vissuta dal soggetto alla pillola, alla droga-psicofarmaco, zittisce i sintomi ed occulta le cause, ammanettando il soggetto all’industria farmaceutica del capitalismo. Tale situazione è complessiva, vale a dire che all’individuo viene negata la capacità, che esiste per tutti a livello di natura, di elaborare tecniche per organizzare e gestire tutti i momenti critici del vivere, la capacità di autorganizzare l’ordine del proprio equilibrio. Esistono delle culture, le cosiddette culture sciamaniche, che istituzionalizzano la transe, la ritualizzano attraverso vere e proprie drammaturgie collettive, nelle quali lo sciamano ricopre il ruolo di vero e proprio professionista della modificazione psichica: dalla sua "visione" dipende la salute della collettività. Diversa e per certi versi opposta alle esperienza sciamanica è la transe rituale di possessione, nella quale il soggetto in transe si dissocia da se per incarnare un’identità altra, con il corpo che si muove ed opera secondo i modi propri di questa identità altra. Entrambe le forme di transe, sciamanica e di possessione, hanno un tratto fondamentale in comune: la dissociazione psichica che fa si che l’unità dell’io si sdoppi, ed una parte del sé vola per inseguire l’altro come nel viaggio sciamanico, oppure si assenta per far posto all’altro, come nella possessione, mentre l’altra parte del sè osserva ciò che accade, come uno spettatore, ciò che LAPASSADE chiama l’osservatore nascosto.
A conferma della tesi di Lapassade dell’ osservatore nascosto ci sono le esperienze di Renato Curcio e di altri detenuti politici, raccolte nel libro Il Bosco di Bistorco (ed. Sensibili alle Foglie).
Renato ci raccontò a Lecce un’esperienza drammatica vissuta in carcere durante una visita corporale. In quella situazione di forte violenza psicologica e di stress intollerabile e senza via "ordinaria" per evitare la tortura, Curcio entrò in uno stato di delirio allucinatorio, e si vide fuori-di-sè, estraneo a quel corpo e quindi non toccato da quella violenza. E’ una allucinazione che abbiamo gia definito come Out of Body Experience. Le esperienze di S.M.C. e di transe sono diffuse tra i prigionieri detenuti con molti anni di carcere alle spalle; gli S.M.C si manifestano spontaneamente, come risorsa, come risposta a delle condizioni critiche di esistenza. Nicola Valentino, per esempio, ha provato due tipi di transe: l’autoipnosi ed il dipingere quadri, l’attività artistica; perché anche il fare artistico è legato agli S.M.C. Abbiamo qui un saggio molto bello, scritto da un’artista, un D.J., forse un nostro amico, che si firma Demian, pubblicato in Rave Off, (ed. Castelvecchi). Demian pone in questo articolo un problema molto serio, cioè quello delle autonomie sociali nei processi creativi. Parlando dei rave, Demian precisa che questi non hanno nulla a che fare con la transe. Io considero questo saggio un notevole contributo a questo seminario ed alla comprensione dei rapporti tra metropoli, transe e rave.
"Ripudio chi recita il ruolo dell’antropologo di tendenza tirando fuori accrocchi analitici assolutamente non rapportabili a questo tipo di realtà. (I rave,ndr.) Odio i giornalistucoli di simil-tendenza che, non avendo neanche la padronanza della terminologia, provano a sfruttare situazioni del genere per farsi un curriculum."4
Questo è quanto dice Demian: è fantastico!
Se dovessimo partire da questo ragionamento, e cioè, se si dice che non c’è transe nei rave non avrebbe senso la nostra presenza qui. L’argomentare di Demian è viziato dal modo crociano di interpretare le cose proprio della cultura italiana: per Demian non è possibile confrontare situazioni come quelle dei rave party con le pratiche del sufismo o della mistica popolare di Baghdad, come invece io tendo a pensare.
Sono convinto che tutti voi abbiate sicuramente qualcosa da dire in proposito; certo molto più di me, che finora ad un rave non ci sono mai stato, ne ho mai consumato l’ecstasy.
Conosco solo racconti di chi ci è stato. Per questo trovo molto utile questo seminario.
Noi siamo convinti che nei rave ci sia transe, a meno di pensare che ballare per quattordici ore di fila sia un fatto normale, ordinario. I contenuti psichici di una transe da rave sono stati elencati da Pochettino5 in Rave Off, e ci induce a supporre che questo tipo di transe non sia di tipo dissociativo come per lo sciamanesimo e la possessione, ma di tipo mistico-estatico. Questa particolare forma di transe viene definita da Tart e da altri, come di tipo superiore, il rapporto ad un ordine gerarchico di stati di coscienza.
Questo argomento è puramente folle: come si fa a distinguere se uno stato di coscienza sia superiore o inferiore? L’orgasmo, che è una transe con uno stato di coscienza particolare che fa parte della vita quotidiana e fa anche molto bene alla salute, è una transe superiore o inferiore? Gli S.M.C. non hanno nessun ordine gerarchico, sono multipli, si può essere insieme tre, quattro, uno, nessuno e centomila.
Pochettino nel definire la transe mistica-estatica cita un’esperimento che Pahnke effettuò il venerdì santo del 1960, noto poi come il venerdì santo della psichedelia. Ho conosciuto personalmente Pochettino ed ho avuto modo di verificare come l’esperienza di transe estatica vissuta in un rave coincida con quella mistica della tradizione sufi: al Forte Prenestino presentavano il secondo numero di Altrove, e per illustrare il tipo di transe dei rave fu mostrato il mio video sulla transe sufi dei balcani. Per Pochettino era necessario vedere il mio video per intuire che cosa sia un rave. Lo stato di coscienza viene descritto così:
1. Unità - una sensazione di unione con se stessi e con le persone vicine.
2. Obiettività e realtà - descritte come qualità noetiche.
3. Trascendenza dello spazio-tempo - comprensione dell’eterno e dell’infinito.
4. Senso del sacro - sentimenti di timore reverenziale e rispetto descritti come mystericum tremendum.
5. Umore profondamente positivo - sentimenti di amore spirituale piuttosto che erotico.
6. Percezione del paradossale - aspetti che sfidano le leggi della logica aristotelica.
7. Ineffabilità dell’esperienza.
8. Transitorietà - la durata temporanea è importante per importante per distinguere l’esperienza dalla psicosi.
9. Cambiamenti positivi nell’atteggiamento e/o nel comportamento - si impara a riconoscersi come accettati, piuttosto che come esseri inaccettabili.6
Questa è l’esperienza descritta come propria dei rave, qualcosa che si avvicina alla mistica psichedelica degli anni ’60...
Pablo: C’è una profonda differenza tra l’uso cosciente delle droghe che è propria della cultura psichedelica degli anni ’60 e l’abuso sregolato a cui assistiamo in questi tempi. Oggi, inoltre, le sostanze che dovrebbero indurre o favorire l’alterazione psichica sono miscugli di anfetamina e morfina o non si sa che altro...
Samorini: E’ giusto il discorso sulla qualità e la quantità delle sostanze, parametri che certamente condizionano gli stati si coscienza...
Lapassade: C’è una forte differenza tra la cultura psichedelica degli anni ’60 e quella di oggi, forse addirittura una opposizione; C’è qui con noi una studentessa che si sta laureando con una tesi sulla cultura psichedelica, e che potrà aiutarci a capire meglio...
Beatrice: Il professore Lapassade mi ha chiesto di fare una ricerca sui i rave e l’ecstasy, ma io ho rifiutato, perché mi interessa il discorso sulla psichedelia e sento che non è proprio la stessa cosa dei rave...
Fumarola: La cultura psichedelica significa droghe particolari, erbe magiche, funghi allucinogeni...
Beatrice: ...Si, non è solo questo, per me il discorso sugli stati di coscienza è qualcosa di molto intimo, individuale, io sono convinta che nei rave ci sia transe e che sia giusta l’intuizione di Lapassade; io ho partecipato ad un rave-party nel 1990 in una chiesa sconsacrata di Roma, e c’era davvero tanta gente fuori-di-testa, ma non è la stessa cosa della cultura psichedelica, non mi interessa il consumo di ecstasy
Samorini: ...E’ urgente un chiarimento, prima di tutto fra di noi che facciamo ricerca sugli S.M.C., riguardo al significato preciso della parola psichedelia, l’abuso di questa parola non è certo di aiuto:: l’ecstasy, cioè MDMA7, effettivamente non è una sostanza psichedelica, come invece l’LSD8. Sono diverse le sostanze, sono diversi gli stati di coscienza indotti, sopratutto sono diversi gli effetti nella lunga durata. Le pasticche di ecstasy consumate nei rave e nelle discoteche, sono empatogeni, non psichedelici.
Lapassade: Sono d’accordo con Samorini nel tenere distinti il fenomeno rave dal fenomeno psichedelico, così come le sostanze empatogene da quelle psichedeliche. Per me, lo ripeto, c’è più che una differenza, c’è una opposizione: "l’esperienza psichedelica è prima di tutto un fatto individuale, molto intimo, interiore, a differenza dei rave dove è essenziale l’aspetto comunitario di massa. Vorrei tornare sulla transe, che è ciò che accomuna gli S.M.C. e la loro gestione sociale. Noi riteniamo che nei rave ci sia transe nel senso etnologico, e questa è la tesi anche di Caroline Fontana.
Fumarola accennava prima alle forti affinità tra la transe sufi e ciò che accade nelle discoteche o nei rave-party. Ho pochissima familiarità con le discoteche, però ho fatto molte indagini etnografiche nelle comunità sufi del Marocco ed ho studiato quel tipo di transe.
.Mi è capitato di assistere ad un rituale Dhikr presso la comunità sufi di Roma; Dhikr è una parola che significa ripetizione, rievocazione, ed il rito consiste nel ripetere ipnoticamente il nome divino fino alla allucinazione identificatoria, come ha ben rilevato l’antropologo francese Gilbert Rouget.
Ho avvicinato uno degli adepti, alla fine del rito, quando era ancora visibilmente in transe, con l’espressione del volto fortemente modificata.
Gli ho chiesto se era in transe e mi ha risposto che era in uno stato di Dhikr.
La parola transe è assente dalla tradizione sufi, così come non esiste nel tarantismo, nello sciamanesimo, nelle possessioni. E’ presente nel vocabolario europeo e nel lessico dei ricercatori, ed è spesso motivo di enorme confusione, per via dei significati anche molto diversi di cui viene investita.
Da qui anche le incomprensioni e le polemiche, penso, con Demian e gli autori di Rave Off. Evidentemente questi autori pensano la transe nei termini della psichiatria ottocentesca, e cioè come un comportamento allucinato con urla e convulsioni isteriche. Per precisare meglio quanto sto dicendo e per arrivare ai rave, cito un’altra esperienza antropologica, mi riferisco alle "visioni mariane" accadute a Salerno. Qui c’era un gruppo di ragazzini che affermava di vedere la madonna9. S’è sparsa la voce e sono cominciati i pellegrinaggi per entrare in contatto mistico con la divinità.
Un giorno - io e Fumarola eravamo lì a studiare il fenomeno - durante le preghiere capitò che un gruppo di fedeli giunti da Napoli entrassero in una forma di transe che è normale nella cultura partenopea e molto diffusa nel meridione, come nel tarantismo, con comportamenti di tipo isterico. Nei riti festivi della madonna dell’Arco, vicino Napoli, tali comportamenti sono di casa, determinano quella che noi chiamiamo transe napoletana, e l’alterazione psichica che quella cultura associa alla comunione mistica con la divinità è ritualizzata con una transe di questo tipo. A Salerno accadde che questo gruppo di napoletani in transe fosse allontanato dai carabinieri e condotti in infermeria, perché evidentemente la madonna di Salerno a differenza di quella di Napoli non tollerava il loro baccano. Furono portati dal medico per essere "curati"...
Fumarola: Io e George proponemmo di far suonare un’orchestra di tammorianti al posto dell’infermeria, ma i carabinieri non ci dettero ascolto...
Lapassade: Questo è vero, ma al di la dell’aneddoto, che fa sorridere, rimane il fatto di come certi comportamenti che hanno a che fare con la religiosità popolare, vengano ritenuti non - o poco - compatibili con il senso del sacro proprio delle culture dominanti.
Il parroco, i carabinieri ed il comitato organizzatore dei pellegrinaggi avevano quindi proibito questa forma di transe - di preghiera - perché incompatibile con i comportamenti desiderati dalla madonna a sentire loro, con le forme ufficiali del culto - diciamo noi.
Per tornare ai rave, quindi, Caroline Fontana, studiando le transe nei rave a Parigi, ha notato anche li il manifestarsi di comportamenti che ricordano le transe di tipo napoletano, con corpi che si dimenano in terra e mimiche di tipo isterico, e notava come questi atteggiamenti fossero intollerati, come questi soggetti fossero prontamente allontanati, bollati semplicemente come "presi male", ubriachi forse.
Queste transe sono proibite nei rave. Come dice Pochettino, nei rave si pratica una transe di tipo estatico-contemplativo, proprio come piace alla madonna. Nei rave, allora, c’è un modo di inquadrare la transe, di organizzarla in un certo modo ed altri no. Quindi, per Caroline Fontana, la descrizione che Pochettino fa della transe dei rave nel numero tre di Altrove, risponde a ciò che alcuni pensano che sia la giusta transe, a scapito di altre forme di transe che si differenziano dalle forme del sacro così come si danno nella tradizione cattolica.
In questi giorni sono stati pubblicati degli studi compiuti da ricercatori cattolici, per i quali satana10 è attivo nelle discoteche, nella sua triplice identità di sesso, droga & transe. C’è da ridere, tutto ciò ha dell’assurdo, è sinonimo di stupidità e di caccia alle streghe. La Fontana, che ha partecipato a diversi rave consumando l’ecstasy, ci dice che nei rave possono manifestarsi diversi tipi di transe: c’è una transe di tipo ludico-festoso, che è la più diffusa ed è simile al contenuto psichico dello sballo da discoteca; ci possono essere transe con crisi più intensa e particolari, come si diceva prima, transe di tipo napoletano e transe di tipo estatico, nel senso di Pochettino, che però e diffusa solo per una élite che non coincide con l’esperienza rave così come è vissuta dalla totalità dei partecipanti...
Fumarola: Penso sia utile fare delle precisazioni, nel senso che ci sono comunque delle differenze tra la discoteca, rave legale in discoteca, ed il rave illegale nei luoghi occupati
Lapassade: Giusto. Noi abbiamo in genere diffidenza per le discoteche, che sono dei posti inseriti in un discorso di profitto economico; ci sono forti differenze con i rave-party ma anche forti affinità.
Le droghe, per esempio: la festa del sabato sera in discoteca o nei rave-party è associata sopratutto alla consumazione delle pasticche di ecstasy. Renato Curcio mi raccontava che aveva avuto modo di parlare in carcere con degli spacciatori, i quali gli avevano confessato di non aver mai consumato l’ecstasy, di averla venduta sì, ma consumata mai, perché è "roba di merda".
In Italia non esiste l’ecstasy: ciò che viene venduto come ecstasy non è mai, o quasi, MDMA, ma un miscuglio, una contraffazione. E’ urgente chiarire l’aspetto legato al desiderio ed al consumo delle droghe, che è di massa, ed ai danni provocati dal proibizionismo. In questo ci può essere di aiuto Gianni De Giuli, che ha fatto delle ricerche sulla psicologia di massa, o psicologia delle folle, perché i rave ed il consumo di droghe sono fenomeni di massa.
Gianni De Giuli: Dirò alcune cose che secondo me sono importanti per ragionare sui rave in termini di nuove forme di socialità e di organizzazione collettiva; una collettività che, come si diceva prima, per i rave ha a che fare con masse di individui.
Ai tempi dell’università ho approfondito con una tesi di laurea la tematica della psicologia delle folle. Alla fine del secolo scorso, un gruppo di sociologi di scuola positivista, dei criminologi, di fronte alla crescita rapida e massiccia delle masse proletarie, sempre più organizzate e pericolose, si ponevano il problema di come controllarle, e quindi di capire il funzionamento della psiche.
Si era negli anni in cui vibrava forte l’eco della comune di Parigi, lo spettro del comunismo si aggirava minaccioso per l’Europa.
Ciò che questi studiosi rivelano a proposito del comportamento delle masse io lo trovo utile per capire cosa accade negli affollati raduni dei rave o delle discoteche, ed a ciò che si dice sia l’effetto psichico indotto dalla MDMA-ecstasy.
Leggevo sulle pagine di Rave Off come la psicologia delle folle nei rave sia caratterizzata da una forte empatia - e quanto Samorini dice a proposito dell’effetto dell’ecstasy ne è una conferma -, una situazione di fusione, di superamento della soggettività individuale in una dimensione di comunismo psichico, per dirla con Pochettino nel 1996, o di anima della folla, come diceva Le Bon nel 1895.
Il superamento della soggettività individuale nell’identità collettiva accade ogni qualvolta un grosso numero di individui si ritrova nello stesso spazio e nel medesimo tempo con un’identico desiderio, come per le manifestazioni sportive, le manifestazioni di piazza e le situazioni di festa. Da questo punto di vista credo che la differenza tra rave e discoteca, per quanto sembri irriducibile, debba essere rivista: fermo restando che il discorso discoteca è fastidioso - ed è il discorso che va dal profitto economico alla gestione che lo spettacolo organizzato fa con la nostra vita quotidiana - trovo che in una prospettiva etno-psicologica non ci sia differenza tra rave e discoteca, perché è proprio una particolare dimensione collettiva che produce modificazioni psichiche e transe.
E’ interessante, forse, pensare a questa condizione di nuova socialità collettiva.
Il politico non è più il luogo dove si forma collettività.
Il politico inteso come catalizzatore della psiche collettiva, così come è stato per un lunghissimo ciclo di lotte all’interno dello sviluppo capitalistico.
Accade che oggi le masse si riuniscono con l’obiettivo della transe. A me interessa capire come con la presunta fine del politico come luogo dell’organizzazione collettiva e sociale, non sia finito il desiderio di collettività e di socialità e come questo desiderio si realizzi oggi nella transe collettiva e nomade dei rave, o leggiamo in Rave Off, come oggi il comunismo si dà nella forma di comunione o comunismo psichico. Il desiderio di comunità porta alla costruzione di situazioni, le cosiddette TAZ, che hanno caratteristiche precise, e che determinerebbero l’alterazione dei comportamenti, degli assetti psichici e degli stili di vita di chi le transita.
Ernesto:...Volevo far notare, in particolare a Lapassade, a proposito di transe collettiva, droghe, e modificazioni psichiche - ovvero di quanto è comunque pertinente al dossier sui rave - che nella nostra cultura occidentale e a differenza di altre culture, non siamo, o non siamo più, abituati a gestire gli S.M.C.; tutt’al più siamo abituati, o condizionati, a tollerare le transe prodotte dalla vita quotidiana nelle metropoli, come lo stress, ma anche qui, non sappiamo gestire questo stato di coscienza, ci affidiamo allo psicoanalista, alla droga-tranquillante, quindi alla polizia ed all’industria. Con questo non voglio fare l’avvocato del diavolo, dico solo che non siamo educati a conoscere il nostro corpo, i nostri limiti. Spinto dal bisogno di socializzare, di creare comunità e comunicare, si può fare un uso dannoso delle droghe, voglio dire che se è vero che l’uso delle droghe è un fenomeno di massa questo non significa che ci sia una cultura di massa in questo senso...
Palmiro:...Volevo dire alcune cose in riferimento, polemico se volete, a quanto si diceva prima del comunismo e della modificazione di coscienza: io non vedo nessuna rivoluzione indotta da stati di transe così come si danno nei rave. Anzi: in questi anni è esplosa tutta una letteratura su queste tematiche, come la diffusione di queste nuove droghe, anch’essa finalizzata al consumo di merci, perché anche i libri sono merci.
La Castelvecchi per esempio, sono quattro anni che ci bombarda con questi libricini, prima pubblica Rave Off, in cui dei rave si dicono alcune cose, poi invita Lapassade, che sui rave la pensa diversamente, a confutare quanto è stato scritto sui "Rave Off". E’ chiaro che l’argomento tira, i rave sono un fenomeno di massa, la transe fa tendenza, e la Castelvecchi fa un sacco di soldi. Altro che comunismo psichico: questo è consumismo psichico.
Lutero: ...A proposito di consumismo: per me indurre una modificazione dello stato di coscienza con la consumazione di "pasticche" è sbagliato, come è sbagliato consumare queste esperienze in luoghi fortemente territorializzati, e solo in questi, come nel caso dei rave-party. Una de-territorializzazione veramente nomade è possibile quando si ha la capacità di creare comunità in ogni luogo, la dove si poggia il desiderio, in un autobus come in un supermercato, come a me è capitato di fare, nel mio piccolo, col teatro situazionautico e senza ricorrere al consumo di ecstasy
Samorini:...Le tecniche per indurre modificazioni di coscienza sono cose che ci portiamo con noi dalla preistoria; ci sono droghe come la marijuana, il cui uso è attestato a 10.000 anni fa. Le droghe in sé non sono problematiche; lo diventano se non sono supportate da una cultura specifica. Possiamo dire con sicurezza che laddove c’è arte e ritualità ci sono S.M.C., da sempre.
Per quanto riguarda l’ecstasy-MDMA, io non la assocerei per forza e soltanto ai rave. In questo senso sono d’accordo con Franco Bolelli: ecstasy ai rave non è troppo: è troppo poco!
Dirò di più: se usato in un contesto non discotecaro e meno sballone, l’MDMA si rivela una sostanza molto più utile alla conoscenza di se e dell’altro. Il posto più indicato sarebbe un salotto, per esempio, o un luogo di conversazione più intimo e rilassato di quanto possa esserlo qualsiasi discoteca. Sono d’accordo con Primo Moroni: per capire perché tutta questa gente ricerca ultra-sballo, ogni sabato, andiamo a vedere cosa fa durante il resto della settimana. Così si capisce che non c’è molto di più che una catarsi liberatoria dallo stress accumulato in una settimana di lavoro. Possiamo fare delle critiche al consumismo, alla vita metropolitana, al capitalismo, e tutto questo ben venga, ma che c’entra con l’uso delle droghe, che, ripeto, ci portiamo con noi dalla preistoria...
Lutero: ...Ripeto: è solo consumo di merci, che siano droghe, discoteche o rave-party, si consumano merci in territori finalizzati o tollerati a questo scopo. Non c’è vera opera di de-territorializzazione nomade, non c’è vera liberazione di spazi dal territorio mercantile. Un percorso nomade costruisce senso ovunque c’è desiderio di farlo, in qualsiasi luogo o momento della vita quotidiana...
Roberto Panzacchi:...Forse può essere utile la mia esperienza: insegno in una scuola professionale e da due anni lavoro con dei ragazzi dai 16 ai 19 anni, che sono degli assidui frequentatori di discoteche e dei forti consumatori di ecstasy.
L’anno scorso la polizia ha eseguito numerosi arresti nelle scuole, con ripercussioni nell’opinione pubblica, per cui non è un mistero che oggi i giovani consumano disinvoltamente marijuana e che il sabato si calano l’ecstasy. A me è sembrato strano, in effetti, che degli insegnanti o degli operatori che hanno a che fare quotidianamente con i giovani non si fossero ancora resi conto di quanto diffuso fosse il consumo di droghe.
Tuttavia, consumo non va inteso per forza come consumismo: c’è sempre questa tendenza, da noi in Italia, a interpretare tutto in termini politici, per cui anche i rave sarebbero alla fine una attività politica; questo non vale per chi frequenta i rave, come per i ragazzi con cui ho lavorato io, per i quali esiste solo la dimensione rituale e la ricerca di stati empatici di comunicazione. In questo senso io e dei colleghi abbiamo messo su un progetto che coinvolge questi ragazzi e che si può dire un’iniziazione alla consapevolezza, come uno sviluppo del giusto approccio al rito. Voglio dire: per chi frequenta i rave, ma anche nei centri sociali, di queste sostanze non è che si sappia così tanto, e così scopri, che certe commistioni, certi miscugli, alcol, ecstasy o che so io, sono pericolosissimi. Più che agenti del consumismo, ne sono vittime. Viviamo in un mondo di forti cambiamenti, da un punto di vista comunicativo un paragone può essere il cambiamento di paradigma che fu provocato dal passaggio dalla civiltà dell’oralità a quella della scrittura, e la ricerca di nuove forme di comunicazione con cui raccontare, raccontarsi, è ciò che questi ragazzi cercano negli stati di coscienza empatici, nelle dimensioni della coscienza collettiva, nella transe come risorsa per organizzare momenti critici...
Lutero:...Non è sufficiente: non c’è la potenza del desiderio, che è quella che ti permette di modificare la struttura delle cose...
Fumarola:...Ho incontrato Julian Beck11pochi anni prima che morisse. Gli chiesi come potesse essere il teatro del futuro. Lui mi rispose: "non lo so, quello che so è che il teatro o è contro il potere, o non è teatro". Il rave è un teatro sociale che fa giocare gli stati di coscienza, ha a che fare con masse di neo-proletari che arrivano dai quartieri metropolitani per vivere questa esperienza, perché è un modo per sentirsi e riconoscersi.
Come dice Hakim Bey, l’utopia come luogo della trascendenza, noi la dobbiamo cercare. Continuare a non capire questo per accusare queste invenzioni della creatività sociale e contro-culturale di essere soltanto moda o business significa fare un po’ i poliziotti...
Lapassade:...quella del 36 mi sembra un po’ la posizione classica del pensiero estetico comunista, mi viene in mente Adorno, il quale era convinto che dal jazz al rock, tutte le contro culture giovanili non fossero altro che consumo e business. Contro Adorno c’è la posizione neomarxista di quella che si chiama scuola di Birmingham e del cosidetto consumo creativo. Questi discorsi si muovono in territori ambigui. Siamo stati alla fiera di Rimini e c’era chi diceva che ciò che era underground contro culturale qualche anno fa oggi è tendenza di moda, business. Mai io sono convinto che ci sia davvero creatività in certi D.J., anche se è vero che taluni costano sul mercato anche due milioni a performance. Allora se è vero che D.J. significa spesso consumismo, è anche vero che una posizione come quella di Adorno significa essere contro tutta la modernità, perché è tutto consumo, e mi sembra una posizione troppo chiusa.
Fumarola mi sembra che abbia la sensazione che voi ci accusiate di fare l’apologia del consumismo, ma se davvero voi pensaste questo, sarebbe un modo un po’ troppo schematico di vedere le cose...
Lutero:...Non è questo, io parlo del nomadismo come tecnica che rivoluziona la struttura delle cose...
Fumarola:...Ma no, non si può essere così presuntuosi, nel 2000, avere questa prospettiva politica, io non ci penso lontanamente, è una presunzione che avranno poche persone, c’è ancora qualcuno che va in giro dicendo che Timothy Leary era un’agente della C.I.A., e che la C.I.A. abbia inventato le droghe per distruggere i cervelli e annientare i movimenti. Basta, non è credibile!
Marcos:..Fumarola ha accennato ad H.Bey, il quale oltre a TAZ12, ha scritto anche Immediatismo13, inteso come un essere qui ed ora non mediato.
Più interessante mi sembra il discorso sulla transe mediatica, quel particolare stato di coscienza, indotto dalla tivù, la transe tele-visiva. Perché non inquadrare il problema una buona volta in termini politici e smascherare l’uso normativo e di controllo che il potere fa dei mezzi di comunicazione di massa...
Fumarola:...Immediatismo è un libro che non ho letto...
Fausto:...Secondo me c’è molta confusione, ma abbiamo il vantaggio di parlare con degli antropologi con una formazione interdisciplinare, che va dalle medicine alternative all’etnopsichiatria, e ne approfitto per fare alcune osservazioni.
La prima: abbiamo detto che i rituali di transe tradizionali prevedono un esperto, un professionista della transe, come uno sciamano, che ha competenza in fatto di sostanze e farmaci che inducono alterazioni, che è capace di iniziare il partecipante a delle situazioni che potrebbero essere pericolose se lasciate in balia del caso. Chi riveste questo ruolo nei rave? I D.J.? I pusher?
La seconda: se è vero che la comparazione è possibile, perché non evidenziare quegli scarti che fanno si che l’esperienza rave sia irriducibilmente diversa dalle situazioni dove non c’è un secolare proibizionismo e le droghe e gli stati di coscienza sono patrimonio culturale collettivo e normale.
La terza è una questione più specificamente metodologica: c’è chi, tra noi, ha partecipato ed anche organizzato dei raduni e per questo pone delle problematiche precise e poi ci sono i ricercatori, come Fumarola, che pur ammettendo candidamente di non aver mai partecipato ad un rave e di non conoscere lo stato di coscienza indotto dall’MDMA, e qui da due ore a spiegarci cosa sia un rave e cosa no! voglio dire: i ricercatori sanno veramente di cosa parlano?...
Fumarola:...Ma tu così mi metti a tacere: a me non è mai capitato di prendere l’ecstasy o di partecipare ad un rave, ma questo non significa che il mio contributo non abbia legittimità scientifica.
Lapassade:...Ho l’impressione che ci sia un po’ di stanchezza: forse è meglio continuare domani.
L’ AUTOGESTIONE DEI SAPERI E IL SAPERE DELL’AUTOGESTIONE
Gianni De Giuli: Noto con piacere che sul tema dell’autorganizzazione e dell’autogestione si terrà qui al 36 un incontro con Burgio, che è poi colui che fa un po’ il controcanto a Revelli.
Per me il problema è che non si capisce veramente cos’è l’autogestione, forse ci sono modi anche molto diversi di intenderla.
Ora, c’è questa idea della pubblica istituzione sui pomeriggi autogestiti che hanno l’intento evidente di interrompere le esperienze di autogestione nelle pratiche di occupazione. Davvero non si capisce cosa sia questa autogestione imposta dall’alto, e questo è un esempio emblematico. C’è una grande confusione. Io lavoro nel terzo settore, in una cooperativa che si occupa di intervento sociale. Siamo dieci soci, ci autogestiamo l’organizzazione del lavoro, ma non totalmente, siamo comunque vincolati alle commissioni e quindi alle regole di mercato. Dietro questo modello di autogestione che Revelli e Bonomi stanno pompando come possibile soluzione alla crisi strutturale che viviamo, c’è tutta l’area del no-profit e dei centri sociali autogestiti. Si sta costruendo l’ipotesi di nuove forme di organizzazione del lavoro, ma è ancora tutto molto confuso. Il modello di autogestione di Burgio è esattamente quello delle cooperative emiliane, che sono situazioni in cui paradossalmente gli operatori fanno sciopero contro chi gestisce il loro lavoro, cioè contro se stessi.
Tonio: - Il modello di Burgio è quello degli anni ’30. il modello di Revelli mi sembra sia quello emerso negli anni ’80.
G.D.G.: - Beh, comunque è un modello che mi sembra piaccia al C.S.O.A. Murazzi. Comunque mi fa piacere sapere che anche voi che autogestite questo posto da oramai 5 anni, vi ponete il problema di definire meglio i modi e i contenuti di questa pratica, soprattutto cosa significa autogestione del sapere.
Georges Lapassade: - Io, che mi occupo di trance, sarei interessato a capire in che senso si dice che i rave o le T.A.Z. siano delle situazioni autogestite.
Piero Fumarola: - Per me il discorso dell’autogestione delle T.A.Z. è chiaro: che mille persone escano dalle proprie case per recarsi in una situazione che fuoriesce dai vissuti territorializzati nelle metropoli, tutto ciò è una forma collettiva di autogestione del territorio, altrimenti non si spiegherebbe lo spropositato intervento poliziesco per reprimere gli illegal-party.
G. Lapassade: - C’è un raduno in questi giorni a Vado, sui colli dell’Appennino, che è stato bloccato dalla polizia italiana, ma non mi sembra che ci sia molta solidarietà, voglio dire, voi fate autogestione e se anche i rave-party sono autogestione, come dice Fumarola, perchè non c’è solidarietà con voi del 36?
Fumarola: - Lì c’è vera autogestione, quella delle TAZ di cui parla Hakim Bey, ma mi sembra evidente il perchè: ieri il collettivo del 36 ha attaccato i rave-party in un modo formidabile, non so se ciò è stato chiaro.
Achille : - Ma non è così, come si fa a semplificare in modo così grossolano. Quello che è emerso ieri è che una relazione forte tra un rave e gli obiettivi politici così come si danno nell’autogestione di questo posto non sono immediati: noi diciamo che il fatto che un rave sia un luogo dove si frantumi la microfisica del potere e dove le coordinate del politico siano reinventate è possibile, ma da qui a dire che non solo è possibile ma che sono dei fatti ci sembra l’apologia di un desiderio, di chi vorrebbe il rave in questo modo. Da qui a dire che noi siamo degli ortodossi adorniani con i paraocchi ce ne vuole. Penso che un parallelo possa essere l’esperienza del 36: ci sono gli studenti che praticano l’autogestione prendendosi l’impegno della difesa politica di questa pratica, e ci sono gli studenti che vivono e studiano nel posto autogestito ma senza costruire materialmente la situazione, limitandosi a transitarla felici. Credo che funzioni così anche per i rave-party.
Burrasca: - Ci sono almeno due livelli di autogestione: il primo è quello di chi costruisce la situazione materialmente. Sono per esempio le comunità nomadi che occupano delle zone temporaneamente per predisporre il luogo all’evento. C’è quindi autogestione di senso nel e del territorio, di una zona che è fuori dalla gestione del capitale, anche se solo temporaneamente. Ma questo accade da decenni anche con i raduni psichedelici delle Feste della Luna, con l’ipnotica danza dei tamburi al posto delle allucinazioni techno. Poi c’è un secondo livello, che è quello delle migliaia di partecipanti che transitano nelle zone autonome senza partecipare alla predisposizione materiale dell’evento. A questo livello è possibile l’ipotesi di un altro tipo di autogestione che ha a che fare con il governo delle alterazioni psichiche. Il rave-party può essere visto come il luogo dove i giovani abitanti della metropoli vengono iniziati a gestire le modificazioni psichiche e a recuperare la tecnica della trance come risorsa che attiene alla capacità di adattamento a situazioni critiche. Ma questa è un ipotesi. Che la metropoli sia un luogo che produce stati modificati di coscienza e che non tutti gli assetti psichici siano compatibili e tollerati dalla cultura industriale o post-industriale è invece un fatto.
Lapassade: - Anch’io sono indotto a pensare che i rave siano un luogo di iniziazione ad una forma di trance, ma sono anche d’accordo sul fatto che l’autogestione materiale della zona riguardi più chi organizza che i partecipanti. In questo senso mi interessa il discorso dell’autorganizzazione degli stati di coscienza.
Fumarola: - A questo punto, due cose credo siano chiare. Nei rave-party c’è un iniziazione ad inquadrare la trance in un modo che ancora dobbiamo capire ma che è un dispositivo regolatore degli stati di coscienza. Il rave è un laboratorio sociale, autonomo, artistico, creativo, sintattico, che produce linguaggi. Per tornare all’autogestione, il problema non è capire se singolarmente, uno per uno, i partecipanti abbiano lo stesso livello di consapevolezza politica del progetto. Bisogna capire che i movimenti controculturali creano per loro natura situazioni autogestite svincolate dai saperi ufficiali. Il rave, come il teatro e come tutti i fenomeni che hanno a che fare con un immaginario autonomo e creativo, realizza la possibilità di altre forme di gestione della vita quotidiana. Qui al 36 non si arriva a capire questo perchè secondo me c’è un impostazione molto antica del politico, un marxismo vecchio e banale, e lo dico con estrema chiarezza. Voi avete un impostazione molto rigida, non potete fare un analisi che ruoti sempre attorno ad una funzione politica del denaro, altrimenti non si capiscono novità come il rave-party. Il vostro mi sembra il modello di autogestione che hanno i trotzkisti quando entrano nel partito comunista per farsi la loro fazione autogestita. E questo spiega la situazione bosniaca del movimento dell’autogestione bolognese: da una parte voi, da un altra il link, da un altra il livello 57, da un altra radio k, e via dicendo. Ognuno arroccato sulla propria collinetta. Ritengo urgente invece essere più flessibili ed aprirsi alle nuove teorie dell’autogestione. Faccio riferimento al modello proposto da Hakim Bey relativo alla produzione dell’immaginario collettivo e sociale metropolitano. Hakim Bey propone il modello dei PAZ, che significa Zone Permanenti Autogestite, e a questo modello corrispondono i centri sociali autogestiti, le case occupate, alcune forme di cooperazione sociale e di imprese no-profit, forse anche il modello del 36. A questo modello Hakim Bey fa seguire quello dei TAZ, cioè luoghi di autonomia temporanea. E’ un modello teorico completamente diverso, pertinente all’autogestione nomadica del territorio, come accade per in rave e quindi per la produzione collettiva di modificazioni estetiche e percettive dell’architettura sociale. Sono pratiche autogestionarie dislocate nomadicamente che rompono l’ordine della comunicazione urbana, nel senso dell’etnometodologia di Garfinkel. Mi chiedo se il collettivo del 36 ha intenzione di ragionare in questi termini, se ci sono ricerche che si muovono in questo senso nel mondo accademico bolognese, se non ci sono se riteniate utile avviare voi questo discorso, cioè l’economia dell’impresa sociale, il no-profit, cose che sono all’ordine del giorno, il Manifesto ha fatto delle cose lunghissime, Revelli, Bonomi, il Terzo Settore come alternativa al capitalismo e al comunismo storici. Che livello di riflessione c’è qui al 36 attorno a queste dinamiche? Perchè a me interessano le riflessioni dei movimenti, delle occupazioni e dei centri sociali, più che le riflessioni prodotte in ambiti istituzionali. Sempre se c’è un livello di riflessione, perchè a me, ripeto, sembra che da tre o quattro anni il movimento bolognese sia impantanato in una situazione di tipo bosniaca.
Lapassade: - La cultura dell’autogestione ha radici antiche, significa partire da Proudon, Marx, e quindi l’Internazionale dei lavoratori, e poi la Comune di Parigi, e nel nostro secolo tutto il movimento comunista di opposizione al modello staliniano, il sindacalismo radicale, sino ad arrivare al ’68 e alle rivolte nelle università occidentali. Ma è a partire dagli studi del filosofo Foucault, che si comincia ad inquadrare il problematico rapporto potere-sapere. Fino ad allora il problema dell’autogestione era incentrato unicamente ad un livello di struttura economica. Negli anni ’60 e ’70 si comincia a parlare di produzione di sapere e logiche di potere. Si cominciano a sperimentare forme di autogestione dei saperi nelle scuole elementari, superiori, nelle università. In Francia, ci sono ancora oggi, credo, tre licei autogestiti da docenti e studenti insieme. Negli anni ’70 ci fu una forte polemica sostenuta dal filosofo comunista Althusser, contro l’autogestione nelle scuole. Lui diceva: come è possibile che un giovane arrivi all’università e senza avere la più pallida idea di che cosa sia l’antropologia, per esempio, sia capace di autogestire un corso sui Ernesto De Martino o su Claude Levi-Strauss, se questo sapere non viene gestito da un corpo di insegnanti, quindi dall’alto? La polemica si protrae fino ai nostri giorni, e questa è una lezione autogestita all’interno dell’università di Bologna, autorganizzata dagli studenti. Oggi si pongono problematiche ancora più complesse: dopo l’autogestione collettiva dell’economia e dopo l’autogestione collettiva dei saperi, oggi si incomincia a parlare di autogestione degli stati di coscienza, quindi delle forme del pensare e del conoscere, o come si dice, produzione di senso. Credo che per indagare questo livello di produzione siano utili gli studi di Levi-Strauss o di Roger Bastide più che quelli di Marx. Mi viene in mente a proposito di questi diversi livelli di produzione (economico, politico, semiotico, psichico) uno scontro molto duro che c’è stato a capodanno a Roma, tra la tribù nomade degli Spiral Tribe che voleva diecimila lire per l’ingresso al rave, e il collettivo di Radio Onda Rossa, che contestava il pagamento all’ingresso. Gli Spiral Tribe non son certo un impresa capitalistica, forse sono proprio i ravers bloccati in questo momento dalla polizia italiana sui colli di Vado. Ma per il collettivo di Radio Onda Rossa, le diecimila lire d’ingresso del rave sono una cosa impopolare, qualcosa che risponde più a logiche di mercato che a desideri di massa.
Fumarola: - L’autogestione, io credo, debba essere inquadrata nei termini della condizione post-moderna; in questo senso sono d’accordo con il filosofo Lyotard: il sapere del postmoderno non ha più bisogno di un autorità che legittima le cose a livello universale; si parla di saperi e poteri locali necessariamente autogestiti e liberati dal referente universale. Contro questa prospettiva c’è quello che voi chiamate il pensiero unico, del quale è però componente strutturale anche il comunismo marxista, che è un modello teorico fortemente normativo che descrive la società come in perenne conflitto tra la classe di chi detiene i mezzi di produzione e la classe di vende il proprio lavoro come merce. Invece il problema va inquadrato come conflitto metropolitano per la autoproduzione e la autolegittimazione dei segni, dei simboli, dei codici, delle forme e dello stile espressivo, in misura autogestita, contro la semiotica ufficiale dello spazio urbano. In questo senso io dico che il rave-party è un gesto creativo che produce nuove architetture sociali, nuovi modelli di gestione del tempo e di dislocazione dei corpi nello spazio metropolitano. Poi viene il discorso del denaro che però è irrilevante rispetto alla novità dei rave, che non hanno bisogno di analisi economico-marxiane per autolegittimarsi territorialmente, non hanno bisogno che un autorità centrale intervenga normativamente per indicare cosa deve essere e cosa no, come deve essere e come non deve essere.
Tonio: - Beh, prima siamo stati segnati come comunisti ortodossi difensori dell’estetica adorniana, ora come strutturali al pensiero unico. Vorrei ricordare a Fumarola che questo è un posto occupato e autogestito dove...
Fumarola: - Si, ma per il resto siete dentro al pensiero unico.
Tonio: - Dove, dicevo, si mette in discussione la totalità di cosa significa vivere, lavorare, fare, dire, produrre, senza essere legati alle categorie dell’universale, anzi con la coscienza di essere fuori dal tempo delle grandi narrazioni. E credo che questo sia anche un posto dove si intuiscono i sintomi e i segni della crisi delle narrazioni universali, ma anche dove nuove forme di progettualità politiche emergono a partire dai bisogni reali di chi vive la metropoli.
Fumarola: - Non lo so, forse era così nella Bologna del ’77, ma dalla metà degli anni ’80 in poi non mi sembra che il movimento bolognese sia poi così creativo. La scuola Ivan Illich, per esempio, è un esperienza di autogestione postmoderna dei saperi musicali e dell’interazione corpo-ambiente, come i rave.
Fidel: - Io, come molti qui al 36, crediamo che la scuola Ivan Illich abbia una forte incidenza sul piano culturale perchè si muove in una pedagogia libertaria, orizzontale e antiautoritaria. Credo che il tono polemico a tutti i costi che emerge da questa discussione sia più dovuto a pregiudiziali ideologiche che a fatti reali. Voglio dire, un rave è frequentato da migliaia di persone, ma quando arriva la polizia, gesto creativo o no, questa gente dov’è? Non si può affermare che la coscienza individuale del progetto politico è irrilevante e poi menarla perchè non c’è risposta politica alla repressione. Dov’è il tanto osannato antagonismo sociale nelle migliaia di persone che frequentano l’architettura spaziale postmoderna dei rave? Oppure, se allarghiamo il discorso della repressione a tutte le realtà autogestite, allora dobbiamo parlare di rapporti di forza nel territorio bolognese, e realizzare che rave o non rave, non c’è una forza di opposizione capace di rispondere agli attacchi della polizia. Questo è un discorso coerente, senza nascondersi dietro ad una presunta mancanza di solidarietà dovuta al fatto che le autogestioni bolognesi sarebbero strutturali al pensiero unico. In questi giorni si sta svolgendo il processo al movimento della Pantera, che vede imputati anche alcuni studenti del 36. Bene, anche se nessuno si aspetta la solidarietà delle masse che frequentano i rave, non mi sembra che in questa città ci sia stata un esplosione di solidarietà nei confronti dei compagni imputati.
Lapassade: - Credo che si debba distinguere tra una concezione micropolitica, come quella di Fourier e Bey, da una macropolitica come quella di Marx e Lenin. Forse il 36 si muove in un territorio politico tra Marx e Fourier.
Rossana: - Lo spazio simbolico dei rave ha a che fare con una micropolitica, ma anche le case occupate, gli squat, si muovono nel locale, nel micro, sembrerebbero realtà autogestite che si muovono nello stesso ordine simbolico, eppure le case occupate in via del Pratello non hanno avuto nessuna solidarietà dalle masse che frequentano i rave.
Lapassade: - Vorrei concludere, sono soddisfatto delle dinamiche e dei contenuti emersi e sviluppati in questi due giorni. Grazie a tutti, ora dobbiamo correre per prendere l’aereo.
1
Anche il gioco è una terapia, forse la più antica.2
Inverno 1995-96.3
Stati Modificati di Coscienza.4
cfr. Rave Off, ed. Castelvecchi, Roma, p. 63, e nota 2, p. 675
Bruno Pochettino è membro del comitato scientifico e di redazione della rivista Altrove, ndr.6
B. Pochettino, "Rave, sostanze e rit(m)o", in Altrove, n. 3,ed. Nautilus, pp. 121-122.7
Metilenediossi-metalamfetamina.8
Dietalammide dell’acido lisergico.9
Madonna, letteralmente "mia signora", divinità della religione cattolica.10
Satana, divinità che nella tradizione cristiana rappresenta la negazione.13
Julian Beck (1925-1985), attore, fondatore con Judith Malina, del Living Theatre, probabilmente il più noto gruppo sperimentale degli anni ’60.14
T.A.Z. Zone Temporaneamente Autonome, Shake Edizioni, Milano, 199315
cfr Hakim Bey, Immediatismo, ed Castelvecchi