Questo documento ha alla base la volontà unitaria del gruppo dirigente di realizzare un congresso fortemente partecipato, democratico, in grado di avanzare al Paese una proposta sulla piena occupazione, sul riconoscimento sociale del lavoro, sulla riunificazione del mondo del lavoro.
Si è deciso di dare vita ad un documento congressuale aperto in cui, con molta nettezza, si evidenzino le scelte di fondo e l'asse strategico della proposta sindacale, così da stimolare i saperi presenti nel corpo dell'organizzazione per realizzare un congresso ricco di esperienze, in cui le lavoratrici e i lavoratori si riconoscano.
Pertanto, le stesse strutture sindacali ai vari livelli, a partire dalle categorie e dai territori, oltre a fare un bilancio sul proprio insediamento e sull'efficacia dell'attività negoziale, verificando le coerenze fra pratiche sindacali e linee definite, dovranno approfondire l'analisi e le scelte delineate dal documento, così che la conclusione del percorso congressuale risulti più esauriente, radicata, praticabile.
Il dibattito politico in questi anni si è caratterizzato per un progressivo distacco dalla concretezza e dalla drammaticità delle condizioni di vita e di lavoro degli uomini, delle donne, degli anziani, dei giovani di questo Paese. Le questioni, pur decisive, della transizione a un nuovo ordine democratico, l'emergere dei problemi della giustizia, della informazione e della comunicazione, delle forme di governo di una democrazia dell'alternanza, hanno finito per caratterizzarsi quasi autonomamente rispetto alla drammatica crisi economica e sociale del Paese, riflesso di una più vasta crisi che ha sconvolto a livello planetario gli assetti produttivi, economici, politici, sociali, usciti dalla seconda guerra mondiale.
Il Congresso della CGIL si propone di mettere al centro dei propri lavori e del dibattito politico del Paese il valore e il ruolo del lavoro e l’ obiettivo della piena occupazione, come questioni decisive per una risoluzione democratica della stessa crisi politica e istituzionale del Paese.
A questi problemi non è possibile dare risposte in una linea di continuità con le impostazioni e le scelte sino ad ora adottate: e’ necessario un forte rinnovamento della proposta sindacale e un'innovazione nel modello organizzativo, per poter sviluppare la linea dei diritti e della solidarietà.
La crisi dell'attuale modello produttivo e sociale e dell'idea di crescita senza limiti, la mondializzazione dell'economia, il declino della capacità di regolazione economica e sociale degli stati nazionali, la crisi dello stato sociale che a questo modello fa riferimento, cambiano il terreno del confronto e spiazzano le stesse divisioni antiche e recenti che hanno caratterizzato il dibattito nel movimento dei lavoratori.
Cercare nuove risposte richiede a tutti un salto di qualità nella proposta politica, partendo dalla esperienza dura, sofferta, ma anche entusiasmante, che ha caratterizzato la storia del sindacato di questi anni.
In particolare ci impone di uscire da una logica e da una prassi puramente redistributiva, che - in modo minimalista o massimalista - ha attraversato l'esperienza del sindacato nell'età del fordismo.
La difesa intransigente del valore dei salari e le lotte per la riduzione dell'orario di lavoro degli occupati, l'impegno per spostare a favore del lavoro, in salario e occupazione, parte degli incrementi di produttività realizzati nel sistema della produzione e dei servizi, sono condizioni necessarie e imprescindibili, per difendere i livelli di vita delle lavoratrici e dei lavoratori e il potere di contrattazione del sindacato.
Ma non bastano da sole a rispondere alla vastità e alla profondità della crisi.
Piena occupazione, rapporto tra tempo di vita e di lavoro, diritto alla formazione e all'istruzione, riconoscimento del valore economico e sociale del lavoro riproduttivo e di cura, piena contrattualizzazione di tutto il lavoro eterodiretto, sviluppo di lavori non mercantili e correlati ai nuovi bisogni sociali, tutela dell'ambiente e salvaguardia delle condizioni di riproducibilità della natura, lotta all'esclusione e all'emarginazione sociale, appaiono come nuove priorità, come spazi rivendicativi necessari, per ridare forma a un sindacato della solidarietà e dei diritti, per riprendere la strada indicata dal programma fondamentale approvato al XII Congresso della Cgil.
Per raggiungere questi obiettivi è necessario che il Paese si dia una vera politica economica, con chiare priorità programmatiche. Non basta, infatti, per riprendere la strada della piena occupazione, nè il lasciar fare alle spontanee dinamiche del mercato, lasciando mano libera ai grandi potentati economici, nè una politica orientata solamente al pur necessario risanamento dei conti pubblici.
Il Congresso della CGIL propone questi temi alla riflessione dell'intero movimento sindacale, nella consapevolezza che la grandezza e la difficoltà dei compiti nuovi possono essere affrontati solo da un sindacato unitario, autonomo e democratico, un nuovo soggetto organizzativo, politico e progettuale che sappia far tesoro del grande patrimonio di persone e idee presenti in CGIL, CISL e UIL e solleciti il contributo attivo di tutti coloro che vedono nel Sindacato Confederale, nelle rappresentanze unitarie del mondo del lavoro, un fondamento imprescindibile per la stessa evoluzione civile e democratica del nostro Paese.
1 - La fase attuale
1.1 Il XIII Congresso della CGIL propone all’intero movimento sindacale, alle lavoratrici e ai lavoratori, al Paese di fare del problema della piena occupazione e della valorizzazione sociale del lavoro il terreno di una mobilitazione e di un impegno straordinario.
Occorre, innanzitutto, contrastare un indirizzo e un insieme di forze che puntano esplicitamente, anche in Italia, a gestire la significativa ripresa in corso per affermare un modello di competitività contro il lavoro.
Un modello di competitività che, in sintonia con l'ideologia liberista presente nel mondo sviluppato, affronta i problemi conseguenti ai processi di mondializzazione con una strategia di drastica riduzione della solidarietà fra i Paesi e fra le persone, individuando nell’assoluto primato del profitto d’impresa il motore del cambiamento.
L'asservimento degli stessi enormi cambiamenti, resi possibili dallo sviluppo scientifico e tecnologico a questi obiettivi, la tendenziale divaricazione fra crescita economica e occupazione, accentuano i fenomeni di impoverimento e di esclusione dall’orizzonte del progresso e del benessere di enormi masse di persone, non solo nei paesi sottosviluppati, ma anche nei paesi di più solido e consolidato sviluppo produttivo e civile.
L’ideologia assolutizzata della competitività e del rischio viene calata dal mondo dell’impresa al livello della vita quotidiana di milioni di uomini e donne, e si trasforma nell’insicurezza per il lavoro proprio e dei propri figli, in paura del futuro, in rischio crescente di entrare nella sfera dell’esclusione e della marginalità. Insicurezza, paura, ansia, che possono essere e sono utilizzati in gran parte del mondo, per proposte populiste ed autoritarie, per limitazioni della democrazia e della libertà, per la ripresa di tendenze xenofobe e razziste volte a restringere gli spazi di solidarietà verso i più deboli e bisognosi.
Questa modalità dello sviluppo colpisce, soprattutto, le donne perchè viene disconosciuto il lavoro di cura nella sua produttività economica e nella sua valenza sociale. Ottocento milioni su un miliardo e duecento milioni di poveri sono donne. Le recenti indagini sulla povertà evidenziano la crescita delle donne povere anche in Italia. Il Forum e la conferenza mondiale delle donne di Pechino hanno affrontato la questione di un "necessario" altro modello di sviluppo. Il Congresso della Cgil intende misurarsi con quelle analisi e quelle proposte condividendone l'assunto principale: il riconoscimento dei lavori delle donne quale fattore determinante la struttura economica e sociale.
Ricostruire un’idea di cambiamento nella pace e nella sicurezza - di diritti, di doveri, di reddito, di lavoro, di libertà nella responsabilità, di giustizia sociale, di convivenza con l'ambiente naturale - è oggi condizione per ridare fiducia al sindacato, ai suoi militanti, ai lavoratori, sull'efficacia di una azione confederale, sulla qualità e sulla forza della contrattazione, sulla tenuta e sullo sviluppo della democrazia nel Paese e nei luoghi di lavoro.
2 - L’Europa, il federalismo solidale e il Mezzogiorno
2.1 Cambiare nella sicurezza - in un contesto sempre più caratterizzato dai processi di mondializzazione - è possibile solo in un quadro europeo.
La democrazia europea costituisce per civiltà, cultura, storia il luogo più avanzato per una risposta equilibrata ai conflitti tra competitività e cooperazione, economia e politica, efficienza e solidarietà.
La vittoria elettorale della destra il 27 marzo 1994 ha segnato anche un capovolgimento della storica politica europeista dell’Italia, interrompendo la via del risanamento economico e finanziario del Paese, che solo in quella dimensione è possibile.
Alla crisi evidente delle politiche di sviluppo puramente nazionali la destra ha risposto assumendo la mondializzazione come un dato a partire dal quale stravolgere l’orizzonte dei diritti, considerando intralci alla competitività non solo lo stato sociale, ma, anche, tutto il complesso delle garanzie istituzionali e l’insieme del sistema delle autonomie - dalla Magistratura all’informazione - e rilanciando un localismo autosufficiente e provinciale.
Il cambiamento che ne è derivato - e la cui direzione di marcia non si è ancora riusciti ad invertire - va nel senso di accentuare gli squilibri del Paese, di affrontare i problemi della competitività delle imprese in termini di riduzione del costo del lavoro e di deregolazione, accentuando così gli elementi di debolezza strutturale del sistema economico e produttivo.
Alla mondializzazione puramente subita e al localismo provinciale, bisogna opporre il rilancio della costruzione dell’Europa politica e sociale e di una prospettiva federalista per il nostro Paese.
2.2 L'Unione Europea
La costruzione dell’Unione Europea, richiede di porsi l’obiettivo di un soggetto politico unitario federale e con una forte dimensione sociale e, quindi, non solo area di libero mercato: l’Europa della cultura, della formazione, dell’informazione e della comunicazione, dell'incontro dei giovani per realizzare la cittadinanza europea delle nuove generazioni.
Occorre, quindi, la definizione di un complesso forte di istituzioni e di poteri sovranazionali, come risposta anche ai nuovi elementi di disordine e di instabilità internazionale, alle spinte centrifughe e nazionalistiche, ai nuovi pericoli e ai conflitti esistenti nel cuore dell’Europa. In questo processo si dovranno gradualmente integrare anche i Paesi dell’Est dell’Europa.
L’Unione Europea così rafforzata, può essere un forte elemento di stabilizzazione politica, in una visione aperta, che abbia, quindi, come fondamento uno sforzo di cooperazione con le altre aree del mondo, in particolare quelle oggi condannate all’arretratezza dalla divisione internazionale del lavoro.
In questo senso, carattere emblematico assumono le esperienze originali e importanti di pace e di volontà di superamento di antichi conflitti in Palestina e in Sud Africa, verso i quali è necessario un eccezionale impegno di solidarietà.
2.3 Il trattato di Maastricht
Il trattato di Maastricht deve essere ridiscusso. I vincoli in esso posti sono di natura prevalentemente finanziaria. Non sono stati affrontati la distribuzione del reddito, la politica sociale, la piena occupazione.
La scelta economica da farsi comporta ,invece, l’adozione di un coordinamento senza egemonismi delle politiche economiche di bilancio e monetarie che oggi in gran parte manca, come confermano le gravi crisi finanziarie ricorrenti.
Così occorre che la scelta europea assuma la difesa e il rinnovamento del modello sociale europeo, cioè di quel complesso di politiche che hanno segnato la storia dell’Europa: politiche sociali, riconoscimento del ruolo del sindacato, forme di concertazione, politiche dei redditi.
Va respinto il tentativo, che trova, del resto, vaste e radicate opposizioni sociali in Europa, di smantellare quel modello nei suoi elementi costitutivi.
Altrettanto essenziale è il perseguimento di una politica di coesione, a sostegno delle regioni più deboli, e la piena attuazione del principio di sussidiarietà. Il che significa un’organizzazione politica su diversi livelli istituzionali che valorizzi il ruolo e l’autonomia dei poteri locali a partire dalle Regioni.
2.4 La Confederazione europea dei sindacati
Vi è, quindi, la necessità, per tutte queste ragioni, di una presenza sindacale forte, di un sindacato che assuma integralmente e con coerenza la prospettiva dell’unità europea e che organizzi, anzitutto, la dimensione europea dell’iniziativa sindacale. Per questo occorre un rilancio e un potenziamento del ruolo della CES, che deve accogliere tutti i soggetti sindacali europei, senza ritardi e arcaiche discriminazioni.
La CES deve impegnarsi per costruire lo spazio sociale europeo, un insieme di regole comuni e di diritti a partire dalla Carta sociale, a cui far seguire la definizione di ulteriori avanzamenti sociali. L'impegno della CES, in sostanza, può tradursi nella definizione di un codice etico del lavoro da proporre ai governi europei e attraverso di essi alle organizzazioni mondiali, come riferimento invalicabile per i diritti del lavoro che le imprese sono tenute a rispettare in qualunque parte del mondo.
E' sempre più evidente che i grandi temi dell’occupazione, dell’ambiente, delle politiche sociali, delle strategie industriali, dei diritti della condizione dei lavoratori debbono essere affrontati anche su scala europea. E’ oramai maturo il tempo per la costruzione di vere e proprie vertenze a livello europeo e nei grandi gruppi multinazionali e per il varo di piattaforme per lo sviluppo di carattere regionale transnazionale. L'esperienza dei comitati aziendali europei va confermata ed estesa, dando piena applicazione alla direttiva comunitaria.
2.5 Nord - Sud
L’Unione europea deve misurarsi con l’aggravarsi delle contraddizioni tra Nord e Sud che vedono arretrare i Paesi più poveri verso soglie inaccettabili perfino sugli aspetti più elementari del diritto alla vita.
Tutto questo è aggravato da un peso opprimente del debito (che in molti casi andrà rinegoziato e in altri cancellato), dalla sudditanza dai Paesi più ricchi e da conflitti devastanti.
Per questo l’Italia, all’interno dell’Europa, deve rilanciare una sua iniziativa di solidarietà, di cooperazione allo sviluppo, nel reciproco interesse di tutti, a partire dall’area vicina del Mediterraneo. Senza un’iniziativa di questo tipo cresceranno conflitti, tensioni, derive fondamentaliste, tanto più in Paesi che sembrano non avere, allo stato, speranza di miglioramento.
2.6 Le autonomie locali e il federalismo
Una diversa qualità dello sviluppo, una Amministrazione pubblica autonoma, efficiente, uno Stato Sociale rinnovato, un sistema fiscale equo ed una rigorosa battaglia per la legalità, hanno bisogno di una rete di poteri, controlli e partecipazione democratica che rilanci le autonomie locali.
Il federalismo solidale, che riconosce una base universale di diritti a tutti i cittadini, è un elemento decisivo del rinnovamento istituzionale del nostro Paese, il terreno su cui si deciderà se i tumultuosi processi di cambiamento, che hanno caratterizzato gli ultimi anni, si concluderanno con un allargamento della vita democratica e con una più larga responsabilizzazione dei cittadini nella gestione della cosa pubblica, oppure con una concentrazione dei poteri e dei livelli decisionali.
a) Perchè oggi il livello territoriale, delle regioni e dei comuni, è il più idoneo per organizzare i sistemi locali e per rendere efficace una azione per una politica dei fattori - la formazione, la ricerca, le politiche del lavoro, le infrastrutture materiali e immateriali, la qualità dell’ambiente e della vita - coordinata con una politica dei settori, nazionale ed europea.
b) Perchè è a livello delle autonomie locali che è possibile ridefinire una coerenza fra risorse e bisogni riguardo alla riforma dello stato sociale. L’autonomia impositiva - e l’autonomia di spesa che ne consegue - può essere il modo concreto per battere la pratica e la cultura dell’evasione e dell’elusione, rendendo esplicito e visibile il rapporto fra prelievo e soddisfazione dei bisogni, nel quadro di standards di cittadinanza nazionalmente stabiliti, all'interno di una irrinunciabile dimensione solidale. E’ a questo livello, inoltre, che si costruiscono le regole di una ‘’economia sociale’’, capace di sollecitare risorse finanziarie ed umane, in vista di una crescita di bisogni sociali a cui non è più possibile dare risposta in una pura logica di incremento dell’intervento pubblico. Questo processo va vissuto nell’ottica di un più generale decentramento territoriale, che valorizzi l’insieme del sistema delle autonomie e gli strumenti di autogoverno locale, il ruolo dei comuni e delle grandi città nella costruzione di uno sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile .
c) Perchè il trasferimento di poteri dal centro al sistema delle autonomie è oggi decisivo per rilanciare la coesione e la solidarietà nazionale, messe in crisi da decenni di centralismo burocratico e discrezionale, di deresponsabilizzazione dei poteri locali e dei centri di spesa, di patti scellerati tra potere centrale e clientele territoriali, che hanno contribuito a riprodurre e amplificare il dualismo economico e sociale del nostro Paese. Il federalismo solidale è oggi l’alternativa più concreta e forte ad ogni follia separatista. E’ la strada per rimotivare e rilanciare l’ispirazione perequativa e solidaristica, che è alla base della nostra Costituzione, ed essenziale per affrontare gli enormi squilibri territoriali del Paese.
2.7 Il Mezzogiorno
Anche e soprattutto nel Sud il federalismo si presenta come un passaggio necessario per la riaffermazione della identità e dell’unità nazionale tenendo conto della volontà di riscatto e di autogoverno rappresentato oggi da tante amministrazioni locali del mezzogiorno.
La coesione economica e sociale del Paese ha il suo punto di crisi nell’aggravamento del divario tra Nord e Sud sia per i livelli di disoccupazione, che per la debolezza delle strutture produttive e della qualità delle infrastrutture e dei servizi.
L’intervento straordinario, soprattutto in questi ultimi anni, si era caratterizzato per investimenti in grandi opere pubbliche e per incentivi alle imprese distribuiti in modo diffuso senza definire finalità di sviluppo e di crescita dell’occupazione. Il suo necessario superamento non ha portato, se non in modo parziale e lentissimo, ad un sistema ordinario di interventi, che deve essere fondato sui principi di programmazione, efficacia, trasparenza, come del resto impongono i regolamenti dell’Unione per utilizzare i finanziamenti europei. Un impulso importante è venuto dall’intesa tra governo e parti sociali dell’11 novembre 1994.
Le politiche di sviluppo e coesione sono rimaste, però, marginali rispetto ad un orientamento dei Governi e delle forze economiche centrato sulla fiducia nella svalutazione della nostra moneta per reggere alla competizione. A ciò, in accordo con la priorità della convergenza verso l’Unione Economica e Monetaria, si sono aggiunte politiche di contenimento del deficit e di riduzione della spesa pubblica (significativamente quella per investimenti), nonostante la raccomandazione dell’Unione Europea di evitare questi tagli nelle regioni arretrate.
Tutto ciò accentua in Italia (come in Europa) le spinte all’allontanamento tra aree forti ed aree deboli con conseguenti rischi di separazione, di esclusione e di messa in crisi del senso di una comune appartenenza.
Appaiono, inoltre, preoccupanti segnali di ripresa della mafia e della criminalità organizzata; rischiano di disperdersi gli importanti successi ottenuti dalla Magistratura e dalle forze dell’ordine e di rimanere isolati i faticosi tentativi di ripristinare legalità e sviluppo da parte di molte Amministrazioni Locali.
Una strategia per il recupero di una cultura della legalità e per la giustizia sarà tanto più efficace se sarà accompagnata da una vera e propria azione di bonifica sociale, in grado di ridare speranza e lavoro a migliaia di giovani, di uomini e di donne, che vivono oggi in una condizione di desolante marginalità. Ad aggravare questa situazione sta la mancanza di politiche per i settori produttivi, per l’innovazione, la ricerca e la formazione, che realizzino l’obiettivo primario di aiutare il sistema economico e sociale ad elevare la sua qualità. Molte imprese si rassegnano ad una competizione al ribasso, secondo una logica di breve periodo, scaricando sulle retribuzioni e sulle condizioni di lavoro il peso di tutte le inefficienze che non si vuole e non si può cambiare nella pubblica amministrazione, come nelle infrastrutture, o nel credito.
La campagna per i differenziali salariali, promossa dalla Confindustria, si muove in questa logica e cela più di un rischio: non fondandosi su concreti progetti di investimento e non determinando una vera convenienza, anche perchè il costo del lavoro al Sud è sempre stato ed è più basso che al Centro Nord senza che ciò abbia influito positivamente sull’andamento degli investimenti e dell’occupazione. Essa è piuttosto rivolta a smembrare su tutto il territorio nazionale il quadro di regole entro cui il sindacato esercita la sua funzione, a cominciare dalla contrattazione nazionale di categoria. In sostanza, il sistema delle imprese tende a scaricare all’esterno e sul costo del lavoro le proprie difficoltà e la mancanza di un coerente disegno di politica industriale e di sviluppo del Mezzogiorno.
Nel Sud, nei diversi sud di cui è fatta la nuova questione meridionale, si giocano partite decisive per l’intero Paese e per l’idea stessa di Europa.
La politica europea deve essere capace di una nuova attenzione al Mediterraneo, controbilanciando la direttrice nord orientale verso cui si orienta la maggior parte della capacità della progettazione e della spesa, definendo per questa via, il ruolo e il peso che avrà l’Italia e il Sud dell’Europa nella costruzione delle nuove politiche di sviluppo comunitarie.
Va definito, sulla base del "Libro Bianco sulla crescita" di Delors, un intervento a rete nelle politiche territoriali, capace di far crescere insieme la formazione delle risorse umane, una nuova infrastrutturazione del territorio, nuovi servizi di qualità alle realtà imprenditoriali, la difesa e lo sviluppo del patrimonio produttivo.
Deve affermarsi un’idea di sviluppo fondato sull’iniziativa locale ed il protagonismo delle nuove amministrazioni, combattendo ogni tentazione di ritorno a logiche centralistiche che negli anni passati hanno deresponsabilizzato le diverse amministrazioni locali e polverizzato la spesa, rendendola più funzionale all’acquisizione del consenso politico che ad una diversa programmazione del territorio e delle risorse.
A livello locale occorre incentivare la capacità autonoma di un territorio omogeneo nell'elaborare un suo progetto di sviluppo, partendo dalle sue risorse e dalle sue specificità, attribuendo un ruolo dirigente alle Amministrazioni ed alle forze sociali ed economiche locali. La finalità dello sviluppo locale deve essere quella di accrescere le capacità produttive nel territorio e migliorare il livello e la qualità della vita, a cominciare dalla creazione di nuove occasioni di lavoro.
Impegno della Cgil e del sindacato deve essere quello di promuovere nel Paese una generale vertenza per la coesione, la qualità dello sviluppo, la crescita dell'occupazione nel Mezzogiorno.
3 - Lavoro e qualità dello sviluppo: la contrattazione difficile
3.1 Per far fronte ad una competitività sempre più serrata il sistema di produzione ha sostenuto profonde innovazioni, a partire dalla fine degli anni '70. Ne sono seguiti mutamenti negli assetti produttivi; sono state indotte trasformazioni inedite nella composizione sociale e nella collocazione del lavoro dipendente; è stata messa alla prova l'efficacia dei tradizionali sistemi di contrattazione e di tutela sindacale. L'enorme crescita di produttività del sistema non è stata redistribuita a favore del lavoro.
Si è, anzi, ridotta la quota destinata al lavoro stabile, in termini di occupazione, salario e servizi sociali . Quella della ripresa senza occupazione è ormai una drammatica contraddizione che chiama in causa la qualità dello sviluppo.
E' ormai impossibile ricorrere acriticamente ai modelli interpretativi che l'analisi del taylorismo-fordismo aveva fornito al conflitto sindacale.
La CGIL assume l'obiettivo della piena occupazione e della qualità del lavoro come nodo strategico programmatico di medio lungo periodo.
Quello del lavoro si configura come il problema più difficile ed insieme la sfida più alta da risolvere per tutte le economie industriali avanzate. Questo problema, che ha dimensioni europee e mondiali, è reso ancora più difficile nel nostro Paese per il carattere disuguale dello sviluppo, per la contemporanea presenza di aree arretrate o in declino industriale, che ha fatto innalzare il tasso di disoccupazione italiano a livelli assolutamente inaccettabili e per il fatto che disoccupazione ed inoccupazione sono concentrate essenzialmente nel Mezzogiorno, soprattutto fra le donne e i giovani.
Si tratta di un compito che supera l'orizzonte solo redistributivo della politica dei redditi, parte da una critica alla qualità dello sviluppo, affronta i nodi della contrattazione e dell'adeguamento delle forme di rappresentanza.
3.2 Il lavoro diverso
E’ in atto una tendenza prevalente nelle imprese a rendere precario il rapporto di lavoro, riducendo la dimensione del lavoro stabile, terziarizzando gran parte del lavoro stesso, risolvendo, in questo modo, sia le varianze di un mercato sempre più diversificato e fluttuante, sia gli elementi di rischio dell'impresa e di maggior profitto a breve. Tale scelta può aprire un conflitto concorrenziale al ribasso fra i diversi soggetti, indebolendone il potere contrattuale.
In questa linea le nuove tecnologie sono usate per rafforzare il comando gerarchico, per intensificare il lavoro, sottraendone il riconoscimento del valore alla contrattazione.
La ripresa in atto, trainata dalla domanda esterna, spinge alla riproposizione di logiche puramente quantitative, tese alla compressione del costo del lavoro e alla mano libera nel suo uso, riproponendo - dopo la teorizzazione del superamento del taylorismo - un intreccio tra comando tayloristico e precarizzazione del rapporto di lavoro.
Ciò costituisce uno spreco delle stesse prospettive di maggiore autonomia, di partecipazione consapevole e responsabile, che le nuove tecnologie e una innovazione organizzativa basata sulla qualità dei prodotti e dei processi, potrebbero consentire.
Senza redistribuire realmente i livelli di responsabilità e di decisione anche l'innovazione si arresta.
Questa strada porta, però, inevitabilmente, a confrontarsi più che con i Paesi, la cui competitività fa’ perno sull’alta qualità dei prodotti e sull’alto valore aggiunto, con i paesi in cui il basso costo del lavoro e l’assenza di diritti sociali è il fondamentale requisito concorrenziale.
L’Italia corre, anche su questo terreno, un rischio grave di involuzione del proprio sistema democratico.
L’ alternativa basata sulla qualità, sulla ricerca, su nuove modalità di lavoro condivise e negoziate, non può che essere basata su un nuovo patto sociale e su relazioni contrattuali più civili ed avanzate.
3.3 Le relazioni sindacali
La scelta di una competitività a spese del lavoro mette in discussione i contenuti dell'accordo del Luglio 1993 e il proponimento di affrontare i problemi della nostra economia e dello sviluppo produttivo attraverso politiche concertate di tutti i redditi, per evitare che i costi del risanamento dei conti pubblici, necessari all'ingresso in Europa, si scarichino sui lavoratori e sui ceti più deboli; di mettere al centro delle politiche produttive la riqualificazione del nostro sistema di ricerca, di formazione, di sviluppo delle infrastrutture; di affrontare per via negoziale i processi di trasformazione dell'apparato produttivo e di riorganizzazione del lavoro necessari a collocare il nostro paese fra quelli più progrediti.
Mentre alcuni importanti accordi nazionali e di gruppo dimostrano la praticabilità dei contenuti e delle cadenze previste dall'accordo di Luglio, ampi settori delle forze padronali e di Governo ne rifiutano la logica e le coerenze.
I segnali più evidenti dell'attacco in atto sono:
la messa in discussione del contratto nazionale come strumento fondamentale per la salvaguardia del valore reale dei salari e la proposizione di salari nazionali differenziati al Sud; le difficoltà frapposte al rinnovo dei contratti nazionali di lavoro per il secondo biennio, soprattutto nel pubblico impiego; la pretesa di ridurre alla redditività d'impresa il contenuto della contrattazione aziendale, puntando su premi di risultato totalmente vincolati alla variabilità degli indici di bilancio e marginalizzando e rendendo unilaterale la valutazione della produttività e della qualità attraverso cui è misurabile direttamente il valore della prestazione lavorativa; le richieste pressanti per la deregolazione degli strumenti di accesso al lavoro.
A questo si aggiunge l'incapacità dei Governi di essere soggetti attivi di una politica di tutti i redditi: infatti, l’unico reddito soggetto a vincolo è rimasto quello dei lavoratori dipendenti.
Sono rimasti senza sanzione gli aumenti dei prezzi e delle tariffe che fuoriescono dai tassi di inflazione programmati. In una logica di emergenza, la politica fiscale ha continuato a oscillare fra lassismo e condoni, incapace di colpire a fondo le ragioni dell'evasione e dell'elusione fiscale.
Ma, soprattutto, ha pesato la non volontà di dare risposte convincenti sui terreni più innovativi dell'accordo di Luglio, quelli che uscivano da una logica puramente
redistributiva e di risanamento e indicavano al Paese le priorità per un nuovo sviluppo, basato su una diversa qualità della produzione e dei servizi, su un sostanziale aumento della infrastrutturazione materiale e immateriale del Paese, specie nel Mezzogiorno, sulla crescita di fattori decisivi come la ricerca e la formazione.
Tutto ciò mette in discussione non solo una linea di relazioni sindacali, ma la possibilità, per il nostro Paese, di collocarsi fra i Paesi industrialmente e socialmente più avanzati, di colmare il gap di tecnologia, di ricerca, di innovazione che da essi li divide, di evitare di pagare costi pesanti in termini di esclusione territoriale e sociale. Costi ancora più rilevanti che negli altri paesi, data la debolezza strutturale della nostra economia e l'instabilità delle nostre istituzioni politiche.
Dobbiamo sapere che la nuova impalcatura contrattuale non è nè consolidata nè dispone di una forza autopropulsiva, nè sembra commisurata del tutto all'analisi delle trasformazioni in atto e dei nuovi conflitti conseguenti; ma non servono riproposizioni di automatismi centralizzati, nè una qualunque pratica negoziale a livello decentrato.
E' indispensabile ancorare l'insieme della politica contrattuale alla riproposizione di una linea visibile di solidarietà, facendo fino in fondo i conti con una fase di sviluppo produttivo e tecnologico che non produce più nuova occupazione. In altre parole, il nuovo modello contrattuale può dispiegare le proprie potenzialità, la concertazione tesa alla innovazione e allo sviluppo di qualità può diventare un fatto reale, se il sindacato confederale sarà in grado di riproporre una propria autonomia di proposte e proprie priorità negoziali.
In questa fase i segnali concreti e visibili di autonomia negoziale del sindacato - necessari per rivitalizzare e far evolvere la stessa logica dell'accordo di Luglio, anche sulla base del dibattito congressuale - passano dalle seguenti priorità: il rinnovo dei contratti alla loro scadenza naturale; il riallineamento pieno dei salari all'inflazione reale nel secondo biennio contrattuale; l'apertura negoziale di una vera e propria campagna per la riduzione degli orari di lavoro; l'estensione e la qualificazione della contrattazione decentrata e territoriale destinata alla valorizzazione delle condizioni sociali e delle risorse umane nel lavoro.
Il sindacato è stato ed è più di ogni altro consapevole della necessità di innovazione del nostro sistema economico, politico e sociale. Ma l'innovazione - in un Paese in cui l'obiettivo è l'Europa e il consolidamento e lo sviluppo della democrazia - non può che essere condivisa e democraticamente fondata.
3.4 La politica delle risorse umane
Fondamento di una strategia di innovazione condivisa è una politica per la crescita complessiva e la diffusione delle conoscenze, attraverso lo sviluppo della ricerca e della formazione e valorizzazione delle risorse umane.
A fronte delle nuove tecnologie, un alto livello di conoscenza è altrettanto indispensabile della specializzazione tecnologica. Le nuove tecnologie richiedono conoscenza e cultura. Lo stesso sviluppo di sapere necessario all'atto produttivo si ripercuote anche nei modi di vivere, stimolando modalità di convivenza sociale non immediatamente riconducibili alle priorità e alle logiche della produzione di merci.
Anzi, il crescere di conoscenze e saperi, la rilevanza sociale dell'innovazione, la libertà della ricerca scientifica, la sua necessaria trasparenza sociale, il suo carattere interdisciplinare, appaiono le precondizioni per la qualificazione del tessuto produttivo e dei servizi, per la valorizzazione sociale del lavoro all'interno dell'obiettivo della piena occupazione.
Asse portante di una tale politica deve essere il sistema di istruzione pubblica, che va trasformato e riformato, superandone il burocratismo e il centralismo in direzione di una valorizzazione delle autonomie, ma riservando ad esso la politica di spesa dello Stato.
Il diritto allo studio in Italia non è garantito nei fatti, soprattutto per le classi più deboli.
Il movimento sindacale deve tornare a mettere tra i grandi obiettivi della società quello dell'investimento nel sistema formativo, nella scuola, nell'università e nella ricerca. Questo deve avvenire a partire dalla scuola di base che deve realizzare una strategia delle pari opportunità, non solo di accesso ma anche di esiti formativi, essenziale per assicurare alle nuove generazioni le abilità formative necessarie per comprendere i linguaggi della società complessa e concorrere alla costruzione di una società fondata sui valori costituzionali della convivenza democratica e della valorizzione delle diversità. La riforma dell'intero ciclo di istruzione superiore deve porsi l'obiettivo dell'obbligo formativo a 18 anni, anche attraverso un percorso intrecciato con la formazione professionale, che combatta il fenomeno degli abbandoni e dell'evasione scolastica.
L'Università deve realizzare, attraverso una piena autonomia e l'introduzione di un sistema di valutazione, il suo intreccio sempre più stretto con le dinamiche economiche e sociali del Paese e del territorio. La politica della ricerca esige un netto incremento delle risorse, il riordino complessivo del sistema delle sue articolazioni pubbliche e private, l'adeguamento degli strumenti diretti e indiretti dello Stato a sostegno della ricerca industriale. Il sistema della formazione professionale va profondamente riformato in relazione a nuovi poteri delle Regioni e al principio del dialogo sociale. La formazione continua, come diritto alla formazione per tutta la vita, esige da parte del sindacato un progetto per sperimentare una nuova vertenza sulle 150 ore, che tenga conto dei mutamenti intercorsi nell'organizzazione del lavoro e delle domande di conoscenza espresse dai lavoratori. A questo scopo è essenziale una legge sulla formazione continua e l'educazione degli adulti.
I giovani "formati" devono trovare subito una possibilità di sperimentare se stessi in un lavoro utile agli altri e alla collettività nazionale.
Il servizio civile del lavoro, per ragazze e ragazzi, che possa recuperare anche il periodo di servizio militare obbligatorio, può oggi costituire forte fattore di condivisione dei valori comunitari e di socializzazione al lavoro, interrrompendo quel vuoto prolungato tra conclusione dell'esperienza formativa e occupazione, che specie nel Sud, rischia di tenere fuori dall'esperienza lavorativa, di "sprecare", intere generazioni di giovani.
In generale, l'ingresso al lavoro deve essere accompagnato da solide esperienze formative, in grado di rifinire e specificare la formazione di base e professionale di partenza e di dare consapevolezza e certezza di diritti per i ragazzi e le ragazze che entrano nel processo lavorativo.
Formazione che dovrà diventare un punto di riferimento certo durante l'arco della vita, come sostegno a reggere e a governare, anche soggettivamente, il cambiamento, come alternativa all'esclusione di fronte all'obsolescenza professionale e alla marginalizzazione degli anziani.
Ma la politica formativa potenziata e programmata - l'unica in grado di rispondere alla forbice tra domanda del sistema produttivo e dei servizi e figure professionali disponibili - contrasta drammaticamente con l'idea del lavoro "usa e getta", con la discrezionalità autoritaria nel riconoscimento del valore del lavoro, che prevale nella cultura e nelle proposte della modernizzazione liberista.
3.5 La riduzione dell'orario e la modulazione dei tempi
L'enorme crescita della produttività del lavoro dovuta alle innovazioni tecnologiche e organizzative, che sopprime assai più occasioni di lavoro di quante ne introducano nuove produzioni e servizi; una organizzazione della produzione tutta finalizzata al consumo, sempre più indifferente ai tempi della riproduzione e della cura; l'aumento dell'utilizzo degli impianti indifferente ai bisogni di flessibilità delle persone e alle cadenze biologiche e sociali, costituiscono le ragioni di fondo per assumere la riduzione dell'orario di lavoro e la contrattazione della rimodulazione degli orari, come opzione strategica di lungo periodo. Esse divengono il fulcro per costruire una nuova organizzazione della vita lavorativa e sociale verso cui orientare, organicamente, sia l'iniziativa interconfederale, che la contrattazione nazionale di categoria, di territorio e nei luoghi di lavoro e per cui attuare la predisposizione di un quadro legislativo di sostegno.
La rivendicazione della riduzione generale dell'orario di lavoro a 35 ore senza riduzione di salario diviene, quindi, uno degli strumenti fondamentali di questa strategia, collegandosi alla contrattazione della organizzazione del lavoro, della sua qualità e della sua sicurezza, a un nuovo controllo delle lavoratrici e dei lavoratori sul tempo della loro vita, alla redistribuzione tra i sessi del tempo della cura.
E' possibile avanzare una proposta organica di riduzione dell'orario a 35 ore per tutti, declinata in tutti gli ambiti della contrattazione e collocata in un quadro legislativo che possa favorirla.
Essa si può schematizzare in :
a) una campagna rigorosa per il controllo degli orari di fatto e il rispetto di quelli contrattuali. Questo obiettivo è conseguibile solo attraverso una ripresa di iniziativa sui temi dell'organizzazione del lavoro e sulla ricontrattazione di carichi, ritmi e saturazioni nelle mutate condizioni del lavoro nelle imprese;
b) un intervento nella contrattazione aziendale, che faccia seguire riduzioni di orario individuali ad una maggiore utilizzazione degli impianti, contratti di solidarietà di fronte a esuberi, una invarianza dell'orario annuo nella contrattazione della flessibilità (attraverso meccanismi come quello della "banca del tempo", per cui la lavoratrice o il lavoratore percepisce un reddito costante, mentre può variare la quantità di ore lavorate in base alla contrattazione tra le richieste dell'impresa e le esigenze e le scelte di vita delle persone) e la promozione di una campagna contro le prestazioni straordinarie, seguita da assunzioni;
c) l'assunzione della centralità della riduzione dell'orario nei prossimi CCNL, destinando ad essa una parte degli incrementi di produttività media del settore;
d) una vertenza interconfederale con il Governo per la fiscalizzazione della riduzione di orario da attuarsi mediante la costituzione di un fondo nazionale per la riduzione degli orari, finanziato dalle risorse di bilancio stabilite dalla finanziaria, da eventuali proventi stabiliti dai CCNL, da un aggravio contributivo per le prestazioni straordinarie e dalla confluenza di una parte delle risorse finora destinate agli ammortizzatori sociali di disoccupazione. Il fondo nazionale dovrà assumere la priorità del Mezzogiorno, prevedendo specifici finanziamenti per quei progetti di impresa che colleghino diminuzione di orario a nuova occupazione;
e) la fissazione del nuovo orario legale a 39 ore settimanali;
f) un maggior costo contributivo per le ore straordinarie;
g) una modulazione di regimi orari ridotti a parità di tutele e di diritti;
h) l'apertura, a livello territoriale, di tavoli per armonizzare una politica degli orari nel territorio con gli spazi aperti dalla contrattazione e dall'iniziativa generale del sindacato e per estenderne i risultati ai settori dell'impresa minore e dell'artigianato, del commercio, dei servizi, della pubblica amministrazione, secondo modalità fruibili e condivise da lavoratori, cittadini e utenti.
All'interno di questo quadro può essere utile anche contrattare riduzioni di orario non a parità di salario sotto le 35 ore.
L'orizzonte strategico delle riduzioni dell'orario di lavoro va coordinato nel quadro di una grande iniziativa europea che abbia una sede di discussione efficace nella CES e va raccordato alla promozione di strumenti legislativi e di sostegno anche a livello comunitario.
3.6 La contrattazione di secondo livello
Il contratto nazionale è per il sindacato lo strumento fondamentale per affermare l'unità contrattuale a livello nazionale e la solidarietà nel mondo del lavoro. Alla contrattazione nazionale del primo e del secondo biennio è affidata la difesa e lo sviluppo del salario reale dei lavoratori, sulla base dell’andamento dell’inflazione, del prodotto interno lordo e della produttività complessiva dei settori interessati.
La contrattazione di secondo livello, privilegiando il massimo di articolazione locale, è per il sindacato il volano fondamentale di una strategia che intenda coniugare la flessibilità della produzione - resa sempre più necessaria da un mercato che punta alla qualità e alla personalizzazione del prodotto - con la responsabilizzazione, la valorizzazione, l’umanizzazione del lavoro.
Sul terreno della sicurezza, dando piena attuazione a quanto previsto dal decreto legislativo 626, e attraverso l’elezione democratica da parte dei lavoratori dei delegati alla sicurezza.
Sul terreno della professionalità, riconoscendo gli spazi di autonomia decisionale, la crescita di saper fare individuale e collettivo, che sono essenziali ad una organizzazione del lavoro mirata alla qualità dei prodotti.
Sul terreno del lavoro riproduttivo e di cura, oggi prevalentemente svolto dalle donne, riconoscendo valore e diritti a chi lo svolge.
Sul terreno salariale, facendo sì che il collegamento contrattato fra rendimento aziendale dell'impresa, produttività, qualità, prestazioni e salario contrattato, sia certo, verificabile e finalizzato ad una partecipazione consapevole e non subalterna alla gestione e ai risultati d'impresa, supportata da programmi di informazione e formazione continua.
La strategicità per l’intero Paese di nuove forme di organizzazione del lavoro, basata sulla flessibilità contrattata e condivisa, rende necessaria la costituzione di una Agenzia nazionale per il miglioramento dell’organizzazione e delle condizioni di lavoro, dotata di mezzi e di risorse adeguate alle sperimentazioni in questo campo, all’assistenza tecnica e formativa degli operatori aziendali e dei rappresentanti sindacali impegnati in esperienze di codeterminazione stabilite da accordi locali.
Porre alla contrattazione questi compiti richiede, innanzitutto, una seria riflessione sulle difficoltà fin qui registrate, sia nell'estensione della contrattazione decentrata, sia nella qualità, oltre che degli accordi, delle piattaforme presentate. Non è più rimandabile la necessità di conquistare anche al nostro interno un livello nuovo di autonomia culturale e progettuale.
Questi obiettivi e queste modalità contrattuali devono riguardare l'insieme del mondo del lavoro. Perciò occorre sostenere la piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego superando i limiti contenuti nella legislazione vigente e opponendosi ai tentativi di reintrodurre logiche corporative.
Il sindacato deve porsi, altresì, l’obiettivo di estendere effettivamente la tutela contrattuale alle piccole imprese e all'artigianato, valorizzando le esperienze e le relazioni con le controparti fin qui compiute.
3.7 Le politiche industriali
Lo sviluppo di una impresa di qualità, aperta alla contrattazione e alla codeterminazione, è possibile solo all’interno di una politica economica che affianchi rapidamente alle politiche di risanamento e di contenimento del debito, nuove politiche di sviluppo, a partire dalla politica industriale. In un paese, a forte crescita economica e grande produzione di ricchezza, la ripresa va, finalmente, indirizzata alla occupazione e alla riqualificazione del lavoro, invertendo la politica degli ultimi Governi incentrata esclusivamente sul rientro di bilancio.
E’ necessario ridefinire un quadro generale di intervento che individui i settori industriali strategici e promuova sul territorio reti di servizi, in grado di essere punto di riferimento alla crescita delle piccole e medie imprese e artigianato.
Una politica e una cultura industriale sono indispensabili per evitare che le ristrutturazioni e gli stessi processi di privatizzazione, se orientati da criteri puramente finanziari, indeboliscano proprio i settori più tecnologicamente avanzati, impoverendo le risorse del Paese nei campi della ricerca, della progettazione, della sperimentazione.
In particolare, le privatizzazioni non possono essere sospinte dall'ideologia liberista e da esigenze di "cassa" ma essere l'occasione per una nuova politica di sviluppo industriale e di servizi. A tal fine, può essere necessario matenere quote di pacchetti azionari in mano pubblica e combattere la ristrettezza e la concentrazione del mercato finanziario, attraverso forme di "democrazia economica" che valorizzino l'ingresso di nuovi soggetti.
Questa attenzione è ancor più necessaria nel caso dei primari servizi a rete (energia, trasporti, etc). Sia la frantumazione di questi servizi, sia la creazione di monopoli privati in sostituzione di quelli pubblici, possono risultare letali per la qualità e il costo di servizi indispensabili per la vita delle persone e per lo sviluppo produttivo. Si tratta di stabilire regole e strumenti per promuovere l'innovazione e la riorganizzazione delle aziende pubbliche, municipalizzate e private dei servizi, rompendo logiche speculative e gestioni burocratiche e centralistiche, per rimettere al primo posto i bisogni dell'utenza e la qualità dello sviluppo.
Uno sviluppo di qualità richiede la rivalutazione dei distretti industriali, interventi per piccole e medie imprese, ma anche una attivazione della domanda pubblica sul terreno delle grandi reti infrastrutturali, raccogliendo e rilanciando, anche a livello europeo, le indicazioni del piano Delors e di sostegno alla produzione ad alto valore aggiunto e ad alta intensità di ricerca, con positivi effetti sulla quantità e sulla qualità dei livelli occupazionali.
3.8 Informazione e comunicazione
Il sistema delle comunicazioni, spinto dal processo di innovazione tecnologica, sta diventando il principale motore dello sviluppo economico e il terreno dove si cimentano i nuovi assetti di potere dell'economia internazionale. L'innovazione tecnologica sta trasformando le industrie delle telecomunicazioni, dell'informatica, dell'informazione e dell'audiovisivo, determinandone la convergenza.
Tale processo cambia nel profondo anche il modo di organizzare la produzione, i rapporti di potere sia nel lavoro che nelle società civili, le modalità di relazione fra individui e organizzazioni.
Le nuove tecnologie possono favorire la presenza di più operatori in grado di garantire una espansione dell'economia e dell'occupazione, i migliori servizi e prodotti a costi inferiori per gli utenti. Ma il mercato non produce automaticamente tali benefici e non garantisce il corretto svolgimento dei processi di formazione del consenso. Perciò la CGIL è impegnata ad una attenta e efficace iniziativa volta a sostenere la riregolamentazione dell'ambito delle comunicazioni, adottando criteri che favoriscano il riequilibrio Nord - Sud e la valorizzazione della dimensione locale. Ciò al fine di salvaguardare i diritti dei cittadini, di tutelare la concorrenza dall'abuso di posizioni dominanti, di garantire possibilità di accesso a quanti intendano proporre nuove infrastrutture e nuovi prodotti e servizi.
Insieme alle nuove regole e all'istituzione di una Autorità specifica, indipendente, unica per le comunicazioni, dovrà essere ridefinito l'interesse pubblico a partire dall'assetto proprietario della STET privatizzata e della funzione di servizio pubblico della RAI. Tutte queste sono condizioni imprescindibili, ma non sufficienti, per una battaglia democratica adeguata all'intensità della sfida.
Il dislivello nella possibilità di accesso e di utilizzo creativo dei nuovi mezzi di comunicazione all'interno delle aziende, rispetto alla loro diffusione nella società civile, la differenza fra chi è in grado di connettersi con l'insieme della rete di comunicazione, che costituisce il cuore dell'impresa moderna e chi è destinato ad operare all'interno della singola parte, è il modo in cui si perpetua nella società, nell'impresa post-taylorista la vecchia distinzione fra chi sa e decide e chi esegue.
L'industria della comunicazione sta diventando il principale motore dello sviluppo. Conoscere l'uso e le potenzialità delle nuove tecnologie della comunicazione; costruire una domanda sociale che ne reindirizzi le stesse finalità; alfabetizzare ai nuovi linguaggi, sono condizioni per consentire a lavoratori e cittadini l'esercizio reale dei diritti democratici e, nelle imprese, una contrattazione che si misuri con la complessità e, insieme, con le nuove possibilità di libertà insite nelle nuove tecnologie.
Anche la CGIL si impegnerà direttamente in un lavoro di progettazione che innovi il proprio sistema di comunicazioni e che renda disponibile all'organizzazione e ai lavoratori più estese possibilità.
4 - Rilancio di nuova confederalità e contrattazione territoriale
4.1 Uno sviluppo di qualità, industriale e dei servizi, è però incompatibile con un contesto naturale e sociale privo di qualità.
Isolare e divaricare l’avanzamento produttivo delle imprese dal contesto ambientale e civile in cui operano, ammesso che sia possibile, avrebbe effetti devastanti sul livello di civiltà del Paese, sulla sua stessa tenuta democratica. Per questo è sempre stato compito del sindacato intervenire sulle risorse per la programmazione territoriale, per la piena trasparenza della spesa pubblica, per finalizzare la stessa costruzione delle infrastrutture a una nuova qualità dello sviluppo.
La originale esperienza vissuta dal movimento sindacale confederale, in tutte le sue componenti, si è sviluppata nel tentativo di incrociare gli interessi particolari dei lavoratori e dei pensionati con quelli più generali della società.
Sempre di più la contrattazione territoriale sarà anche il punto di snodo tra il governo della vertenzialità articolata a livello di azienda e il modello più complessivo della vita sociale comunitaria.
Perchè si concretizzi una socialità comunitaria a livello territoriale occorrono nuovi servizi capaci di affrontare in forma innovativa le questioni sociali a partire dai temi socio-assistenziali. Inoltre, va affrontata la riorganizzazione della comunità nei suoi modi di vita e i suoi tempi ed orari. E' necessario, altresì, che crescano gli spazi di partecipazione democratica e vengano sostenute le associazioni rappresentative della domanda sociale.
4.2 Il governo dei tempi sul territorio
La riduzione e la flessibilizzazione dell’orario di lavoro, capaci di collegare esigenze delle imprese con bisogni di flessibilità nell’impiego del tempo da parte dei lavoratori, possono essere fattori di crescita civile e culturale, se si accompagnano a una ridefinizione complessiva delle politiche dei tempi sul territorio. E' proprio nel territorio che è possibile armonizzare gli orari delle imprese, grandi e piccole, con quelli del commercio, dei servizi, della Pubblica Amministrazione, secondo modalità fruibili e condivise da lavoratori e cittadini.
Il confronto e la concertazione con le Amministrazioni locali di Piani regolatori degli orari è un impegno primario della contrattazione territoriale del sindacato. Per questa via è possibile evitare le discriminazioni e le esclusioni che derivano, sia dalla difesa delle rigidità esistenti, sia da una liberalizzazione degli orari non contrattata e non armonizzata.
4.3 L'ambiente e la riconversione ecologica dell'economia
Il rapporto tra modello di sviluppo e ambiente è oggi un’assoluta priorità politica e sindacale che riguarda il carattere locale e quello generale della nostra iniziativa.
Se più sviluppo in chiave continuista e quantitativa contraddice con i vincoli naturali e con la non riproducibilità delle risorse, bisogna passare a considerare l'ambiente un valore, non un vincolo alla crescita economica.
Va affiancata alla consapevolezza già maturata di una produzione ecocompatibile e di una riduzione dei consumi, una convinzione più radicale: siamo ad un punto per cui la manutenzione e la rinnovabilità dell'ambiente sono tanto necessarie quanto l'innovazione scientifica e tecnologica per ridurre l'impatto delle attività umane sulla natura. Ciò comporta precise indicazioni per attuare una riconversione ecologica dell'economia.
La salvaguardia delle ricchezze naturali, la promozione della vocazione culturale e turistica, il ripristino e la manutenzione dell'ambiente naturale e urbano dai guasti provocati da uno sviluppo puramente quantitativo e indifferente, sono elementi decisivi del patto di solidarietà con le nuove generazioni e sono fattori economici fondamentali per lo sviluppo del Paese.
Sono, inoltre, il primo volano per i "lavori di pubblica utilità", per una crescita occupazionale che colleghi la ricerca, la socializzazione delle conoscenze, le risorse umane e professionali disponibili, ai bisogni primari di un territorio, di una comunità locale. Un piano per il lavoro collegato con i programmi delle associazioni ambientalistiche è, a pieno titolo, parte dell'iniziativa per la piena occupazione.
La consapevolezza ambientalista deve modificare il modo in cui i prodotti vengono concepiti, progettati e costruiti e deve interagire con le caratteristiche stesse dei prodotti rispetto al contenuto energetico, alla durata, al riutilizzo e alla integrazione nei cicli della biosfera dei loro componenti.
E' opinione della CGIL che si debbano attivare, nei confronti delle imprese che investano nella riconversione ecologica dei processi e dei prodotti, strumenti di defiscalizzazione e sostegno alla ricerca.
La questione dei rifiuti e del loro smaltimento, del decongestionamento delle città, del mantenimento del livello di consumi idrici ed energetici a livello riproducibile per le prossime generazioni, è per la CGIL un elemento fondante del collegamento fra contrattazione nelle imprese e contrattazione territoriale.
5 - La riforma dello Stato sociale
5.1 La crisi del modello attuale di stato sociale italiano, pur caratterizzata e aggravata da pesanti specificità nazionali - gli squilibri nord/sud, le dimensioni del debito pubblico, le grandi dimensioni dell’evasione fiscale, la gestione clientelare-assistenziale dei trasferimenti dello Stato -, si colloca nella crisi più generale dei sistemi di protezione sociale europea, sorti in uno stretto intreccio con il modo di produzione taylorista fordista.
L’ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro e la loro richiesta di riconoscimento al lavoro riproduttivo che svolgono; la situazione demografica caratterizzata da un lato dall'azzeramento tendenziale del tasso di natalità e, dall'altro, da un rapido processo di invecchiamento della popolazione; l’aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile; l’insicurezza della stabilità del posto di lavoro per l’intera vita lavorativa; il peso crescente di lavori atipici, instabili, al limite fra lavoro dipendente e lavoro autonomo; l’emergere di nuove povertà - la solitudine urbana, la tossicodipendenza, l’AIDS - e di nuovi bisogni di relazione e di arricchimento culturale; l’immigrazione sempre più massiccia di migliaia di donne, uomini, bambini, dai paesi del sud del mondo; l’accentuarsi dei livelli di mondializzazione dell’economia, mettono in discussione un modello di stato sociale che si concepiva come protezione sociale per i periodi precedenti e seguenti il rapporto di lavoro stabile (o come copertura dei periodi di malattia) e a cui era affidata una funzione espansiva anticiclica all’interno delle economie e dei bilanci nazionali.
La crisi di quel modello, l’ attacco della destra neoliberista - e il permanere del movimento operaio su posizioni prevalentemente difensive - hanno alimentato, in tutti i paesi europei, pressioni di massa alla riduzione del finanziamento e, di conseguenza, alle prestazioni dello stato sociale, ricerca di soluzioni individuali (per i più disperate) ai problemi della protezione sociale, privatizzazioni striscianti o conclamate delle strutture pubbliche che dello stato sociale sono i capisaldi (scuola, sanità, previdenza).
Primato della competitività e ricerca di soluzioni individualiste spingono ai margini tutti coloro che (siano essi disabili, portatori di handicap, anziani ecc.) non riescono a rientrare in quella ossessione dell'efficientismo, che tende a costituirsi in nuova "norma".
Queste spinte sono state e sono, nella maggior parte dei Paesi europei, il terreno fondamentale per la crescita di una cultura e di una politica di modernizzazione liberista e antisolidarista che rimane tale, sia che si ispiri ad una filosofia puramente assistenziale di una condizione debole, sia che venga tradotta nel ridimensionamento delle quantità dello stato sociale (abbassamento dei livelli di prestazione), sia che si espliciti in una più raffinata forma di esclusione dal lavoro produttivo delle donne, disconoscendo il valore sociale ed economico dei lavori riproduttivi, riaffermando, in contrapposizione, il ruolo delle donne nella famiglia, individuato come soluzione semplice alla rigidità dell'offerta sociale dei servizi.
L’ accordo sulle pensioni del giugno 1995 tra Sindacati e Governo rappresenta un primo segnale di arresto di questa deriva, coniugando il contenimento della spesa pubblica con criteri di equità. La riforma delle pensioni avviene a seguito di una proposta sindacale autonoma di difesa del sistema previdenziale pubblico e con un accordo democraticamente verificato con i lavoratori ed i pensionati. In esso vengono confermate l'unità e l'universalità del sistema previdenziale pubblico; si allarga la platea contributiva e dei soggetti interessati; si realizzano regole omogenee per tutti i lavoratori; si regolamenta la previdenza integrativa; si introduce, seppur in modo parziale e da approfondire, una attenzione alle differenze che lo stato sociale deve tutelare.
Questi risultati non sono conquistati per sempre. Bisogna impedirne lo stravolgimento e il peggioramento, perchè il mondo del lavoro ha sopportato e sopporta ingenti sacrifici per il risanamento previsto dalla riforma.
Bisogna, anzi, puntare ad una evoluzione positiva - proprio cominciando dalla necessità di maggior tutela delle posizioni più deboli ed esposte, a partire dai lavori usuranti - sulla linea di una riforma complessiva dello stato sociale, che renda possibile recuperare in avanti gli stessi disagi, le stesse contraddizioni che la discussione e il voto sulla riforma hanno messo in evidenza tra le lavoratrici e i lavoratori.
5.2 Dal risarcimento alla promozione: lo sviluppo delle economie sociali
Il passaggio da un welfare del risarcimento a quello della promozione, del riconoscimento e della valorizzazione delle risorse, delle capacità e delle responsabilità dei cittadini, anche dei più deboli, per ampliare gli spazi di decisione, di libertà, richiede una nuova attenzione alle persone, alla diversità dei loro bisogni e delle loro esperienze.
Accanto alla garanzia, per tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito e dal territorio in cui vivono, di pari opportunità rispetto ai diritti primari di istruzione, salute, assistenza, previdenza e di sicurezza sociale, va costruita una nuova attenzione alle differenze e alle diseguaglianze originate dalla estrazione sociale, dalle difformità dei livelli culturali, dai contesti territoriali, dalle esperienze di lavoro e di vita e che spesso impediscono l’accesso alle pari opportunità.
Questo obiettivo non è raggiungibile guardando al passato con proposte che tendano esclusivamente a difendere l’esistente, né tantomeno proponendo politiche di ripristino legislativo di vecchie norme.
Si tratta di assumere ed avanzare con grande forza una proposta innovativa, di riforma dello Stato sociale: conquistare, cioè, uno Stato sociale di seconda generazione capace di rispondere alle domande oggi presenti nella società, ai fenomeni di esclusione sociale, alla disoccupazione. Capace, cioè, di risolvere la paradossale situazione della crescita enorme di bisogni insoddisfatti, mentre dilagano la inoccupazione e disoccupazione.
Si pone più che mai oggi, alla vigilia degli anni 2000, l’obiettivo della piena occupazione, ben al di là del vecchio schema fordista/keynesiano, in direzione del soddisfacimento dei crescenti bisogni materiali ed immateriali, in un contesto di sviluppo delle economie sociali.
Questa impostazione permette di ricongiungere l'obiettivo della piena occupazione con una nuova qualità dello sviluppo e di gestire, in una dimensione unitaria, le politiche della sanità, dell'assistenza, dell'attenzione ai bisogni delle persone e una nuova qualità della formazione e delle politiche attive del lavoro.
E' con tale obiettivo che si sostanzia la creazione e lo sviluppo delle economie sociali, nel cui ambito dovrà essere prevista la compresenza delle iniziative del sistema pubblico con quella delle offerte del settore privato, del privato sociale, del non profit, dell'associazionismo e del volontariato.
Al suo interno potranno essere presenti iniziative di imprenditorialità sociale nei vasti campi della difesa ambientale, della valorizzazione culturale, dei tempi di vita e dei rapporti di relazione, della costruzione di un assetto ampio di servizi sociali integrati.
In questo senso le economie sociali vanno considerate parte integrante del welfare, che dovrà avere, quindi, funzione di propulsione e non di mera derivazione dalle convenienze del sistema economico.
Questo progetto di Stato sociale dovrà:
- creare mercati sociali capaci di riconnettere l’offerta alla realtà dei bisogni e della conseguente domanda sociale (Stato sociale della domanda);
- creare uno stretto collegamento tra lavoro di produzione e quello di riproduzione sociale;
- creare sinergie tra lavoro-sviluppo e nuova organizzazione sociale;
- stimolare i processi di inclusione ed integrazione sociali, a partire dallo strumento fondamentale della scuola e della formazione.
Queste finalità segnano il declino delle politiche centralistiche e pongono l’esigenza di assumere il territorio come dimensione fondamentale nel quale costruire prime risposte ai bisogni sociali nel quadro del federalismo solidale.
Nel territorio l’istituzione dei Distretti sociali dovrà rispondere all’esigenza di raccogliere e censire i bisogni e di trasformarli in domanda sociale dalla quale derivi una offerta nuova (non più burocratica ed impersonale) ma a "rete", flessibile, personalizzata, diffusa ed autorganizzata.
Essi debbono rappresentare, anche, la sede ove sia possibile definire i "bilanci sociali" fra bisogni e domanda sociale e le risorse economiche, finanziarie ed umane e promuovere le attività di integrazione; in questo quadro devono essere ridefinite le politiche sociali dirette alle famiglie, per ridelinearne il ruolo nell’ambito dell’organizzazione della rete dei servizi sociali.
La nuova offerta di servizi dovrà guardare alla integrazione tra lavoro e società ed essere coordinata in modo concertato tra i vari attori sociali, economici ed istituzionali rappresentativi del territorio.
5.3 La Pubblica Amministrazione
La costruzione e lo sviluppo di un "terzo settore dell’economia" non possono essere sostitutivi dell’intervento pubblico, soprattutto se si fa riferimento ai servizi sociali strategici, come la sanità, la formazione e l’assistenza di base, che definiscono e sostanziano i diritti universali di cittadinanza. Uno stato sociale rinnovato, il crescere stesso della "economia sociale", sono possibili se si afferma il ruolo dello Stato, nelle sue diverse articolazioni, come integratore, regolatore e garante della qualità dei servizi ai cittadini, della parità di diritti e condizioni per tutti, della concreta capacità di rispondere in termini di solidarietà e di giustizia ai nuovi bisogni sociali.
Sono necessari, perciò, la ridefinizione della funzione e il rinnovamento della pubblica amministrazione, che deve essere messa in grado di entrare in un rapporto corretto ed efficace con i bisogni sociali. A questo fine, occorre intraprendere, da un lato, un' opera di forte semplificazione dei procedimenti, delle regole, della contabilità pubblica e dei controlli, assumendo i criteri della responsabilità e della trasparenza, come principi generali del riordino amministrativo; dall'altro, occorre perseguire, sempre più, la organizzazione del lavoro per obiettivi, adottando regole di gestione, contabilità e controllo, finalizzate a massimizzare l'efficacia negli interventi e l'efficienza nell'allocazione delle risorse.
La logica della qualità, della personalizzazione del prodotto e dei servizi, dell’offerta di essi in tempo reale, della innovazione condivisa e dell’apertura di spazi al controllo sociale, devono essere il punto fondamentale dell'azione della pubblica amministrazione. Al centro di questo processo va collocata la valorizzazione del lavoro, attuando, nella sua pienezza, la contrattualizzazione del lavoro pubblico.
5.4 Le risorse: fisco e contribuzione
Una nuova politica di sviluppo e di riforma dello stato sociale, che guardi ad un obiettivo di piena occupazione, pur in una ottica di risanamento dei conti dello Stato, presuppone una diversa qualità dell’intervento di politica economica, a partire dal recupero dell’evasione e dell’elusione fiscale e contributiva.
Il fisco è un asse centrale sia della riforma istituzionale, sia di una diversa ripartizione dei carichi sopportati dai diversi settori della società per il risanamento finanziario e per l’ attività ordinaria dello Stato. Il mondo del lavoro e dei pensionati ha sopportato un carico pesante ed ingiusto che va riequilibrato a suo favore, facendo pagare chi lo ha fatto troppo poco o per nulla. Occorre dare vita ad una piattaforma sindacale di riforma fiscale e contributiva per togliere il carico eccessivo che grava sulla busta paga. In questa direzione vanno la graduale fiscalizzazione del contributo sanitario e lo spostamento di parte della contribuzione sul valore aggiunto d’impresa.
In questa ottica:
- si evidenzia con maggiore urgenza la necessità di un intervento straordinario mirato alla riduzione del debito pubblico, sia attraverso la diminuzione del tasso di interesse, che mediante l'individuazione di un'unica imposta patrimoniale. Il debito pubblico, per la sua consistenza, da un lato assorbe in modo progressivo ed alla lunga socialmente intollerabile le risorse finanziarie pubbliche e, dall’altro lato, costituisce l’alibi e la giustificazione delle attuali politiche di accentramento fiscale;
- si evidenzia la necessità di un reale e progressivo passaggio della imposizione fiscale alle regioni ed ai comuni. Tale passaggio non solo sarà coerente con una riforma istituzionale di tipo federalista, ma, in quanto avvicina l’azione di prelievo alla fonte del reddito, si porrà come il più efficace intervento di contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale.
6 - Il nuovo governo del mercato del lavoro: uguaglianza e libertà
6.1 L’assunzione della scuola e della formazione come asse di una politica tesa a dare a tutti pari opportunità; un’impresa industriale e di servizi, intesa non solo come luogo per la produzione del profitto, ma come sede della valorizzazione e dello sviluppo professionale contrattato delle donne e degli uomini che lavorano; una politica di modulazione dei tempi che, all’interno di una generale riduzione degli orari, coniughi le necessità di flessibilità e di efficienza della produzione (di beni pubblici o privati), con accresciuti livelli di libertà dei lavoratori; una politica economica tesa ad evitare dualismi e marginalità territoriali e sociali, che colleghi il lavoro all’ambiente e a bisogni sociali vecchi e nuovi, attraverso un intervento pubblico più qualificato e la crescita di un terzo settore dell’economia, sono le condizioni per riproporre al movimento dei lavoratori e al Paese l’obiettivo della piena occupazione e il superamento delle divisioni rigide ed escludenti nel mercato del lavoro.
Il mercato del lavoro è oggi costituito, sempre più, da figure difficilmente inquadrabili secondo gli schemi tradizionali del rapporto di lavoro, spesso a cavallo tra lavoro dipendente e autonomo, spesso sospinte verso forme di lavoro irregolare e nero, che operano in contesti locali estremamente diversificati per quantità e qualità.
Compito del sindacato confederale è ricomporre lacerazioni e contrapposizioni dei soggetti diversi nel mercato del lavoro e nel lavoro, impedire che le differenze divengano irreversibili diseguaglianze nel godimento dei diritti, chiusura in percorsi di vita e di lavoro non comunicabili, frantumazione della stessa possibilità di organizzare la tutela sindacale.
Per questo la CGIL è contraria ad ogni ipotesi di ripristino delle gabbie salariali, di abbattimento del valore dei contratti nazionali (di cui va anzi rafforzato per via legislativa il valore ‘’erga omnes’’), di precarizzazione del rapporto di lavoro e di riduzione di diritti per fasce di lavoratori.
Occorre, al contrario, contrattare rientri graduati dal lavoro nero e sommerso; negoziare, nello specifico, il rapporto tra i livelli salariali e gli interventi formativi necessari, specialmente nel caso di nuovi insediamenti produttivi, come alternativa al salario d'ingresso.
La via per il riconoscimento e la valorizzazione delle diversità è quella di politiche attive del lavoro tese a riconoscere valore e continuità alla formazione, a ricondurre a regole certe i rapporti a termine, a sostenere i lavori discontinui in percorsi intersettoriali, a stabilire criteri precisi per il lavoro interinale, i rapporti di collaborazione e il telelavoro, a riorganizzare, su base universalistica, gli ammortizzatori sociali, a rafforzare la indennità di disoccupazione per lavori stagionali e discontinui.
Tale proposta di regolamentare accessi e uscite dal lavoro, allarga la tutela sindacale all’ insieme dei lavoratori, recupera i lavori socialmente utili, non solo come variante degli ammortizzatori sociali e come percorsi di reimpiego, ma, anche, come progetti mirati a nuovi lavori.
Una politica contrattuale degli orari, dei salari e delle condizioni di lavoro più armoniosa e solidale e la ricostruzione di un terreno eguale di diritti per lavori diversi, sono la condizione per poter rendere disponibili ai lavoratori e alle imprese lavori diversamente modulati nei tempi, nelle cadenze, nei livelli di autonomia, senza che questa diversificazione sfoci nella ‘’rigidità’’ di un lavoro precario ed eterodiretto.
Occorrono, quindi, nuove regole per il governo del mercato del lavoro come strumento d'incontro tra domanda e offerta e come sostegno ai percorsi lavorativi e professionali.
6.2 La riforma del collocamento
Diventa necessaria una radicale riforma del collocamento, che ne superi la logica vincolistica - quantitativa, del resto già totalmente svuotata, tipica di una fase agricola, prima, di industrializzazione tayloristica, poi, in cui il collocamento era funzionale alla ricerca di una manodopera massificata e dequalificata.
Il nuovo collocamento - mantenendo al pubblico, potenziandole, le funzioni di certificazione e di controllo ispettivo - dovrà avere una funzione promozionale, integrare servizi di qualità, anche con convenzioni con privati, collegare la funzione di mediazione fra domanda e offerta con politiche attive del lavoro. Questo nuovo governo del mercato del lavoro non potrà - all’interno di una definizione nazionale di nuovi diritti e di una ripartizione solidale delle risorse - che svolgersi in un ambito regionale, come uno degli elementi base della riforma dello Stato in senso federalistico.
Occorre, più in generale, rifiutare, sul terreno del mercato del lavoro, l’idea che l’innovazione possa scaturire dal confronto su provvedimenti spesso casuali e disconnessi e il cui filo conduttore sembra essere la progressiva deregolazione e la riduzione della flessibilità a uno scambio tra diritti e occupazione.
E’ necessaria, invece, una grande riforma , che colleghi la ridefinizione dei diritti alla individuazione degli strumenti, che si proponga la stessa costruzione di un nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori capace di governare il mercato del lavoro post - taylorista, di coniugare, nella situazione mutata, l’idea di uguaglianza e l’idea di libertà.
6.3 L'immigrazione
In questa prospettiva assume grande rilevanza la questione della immigrazione. Innanzitutto, va riconosciuta agli immigrati la loro condizione di cittadini. Il primo livello di integrazione dei cittadini immigrati che lavorano e cercano lavoro sta nel godimento pieno dei loro diritti di lavoratori.
La promozione di questa prima, fondamentale azione positiva sta in gran parte nelle nostre mani, nella nostra capacità di considerare una risorsa per il Paese il lavoro, la cultura, la diversità dei lavoratori immigrati.
Il riconoscimento dei diritti degli immigrati nei luoghi di lavoro è condizione imprescindibile dell'unità del mondo del lavoro fondata sulla solidarietà tra diversi. Proprio per ciò, è da evitare ogni separatezza dei coordinamenti degli immigrati dal corpo, dalle responsabilità e dalle politiche contrattuali dell'organizzazione.
Bisogna partire da una politica dell’accoglienza che costruisca anche per le persone immigrate condizioni di cittadinanza - scuola, salute, ricongiungimenti familiari - e il diritto di voto alle amministrative.
E' necessaria, quindi, una legge organica che, superando impostazioni emergenziali e da ordine pubblico, stabilisca lo status giuridico e dia certezza dei diritti e dei doveri degli stranieri in Italia.
E’ questo che dà valore alla stessa politica di programmazione dei flussi migratori, e che rende possibile il coinvolgimento dei paesi di provenienza sulle condizioni di accesso e di rientro.
7 - La riforma della Cgil per l'unità sindacale
7.1 Le riflessioni e le proposte che il Congresso è chiamato a discutere, riflettono una storia comune a tutto il sindacato confederale e sono volte alla costruzione di un nuovo soggetto sindacale unitario, capace di tenere insieme un mondo del lavoro sempre più differenziato e complesso, battendo la possibile deriva della frantumazione e della rappresentazione corporativa degli interessi. La stessa riflessione che la Cgil deve compiere su se stessa, sulle crescenti difficoltà organizzative e finanziarie, sulle necessità di un ripristino pieno del rigore e della trasparenza all'interno dell'organizzazione, sono indicazioni che offriamo all'insieme del movimento sindacale nella direzione dell'unità.
Il livello di innovazione necessario alle strutture produttive e sociali del paese richiede il cambiamento, anche, della forma organizzativa della Cgil e, in prospettiva, del sindacato unitario.
L'attuazione di un simile cambiamento deve, nel contempo, rispondere ad una razionalizzazione delle risorse, resa necessaria dalle crescenti difficoltà finanziarie. In particolare si rende necessario:
* un grande rigore e la massima trasparenza nell'uso di qualsiasi risorsa, come nel ricorso a normative legislative vigenti, evitando comportamenti contraddistinti da un carattere di informalità;
* il rispetto delle regole che normano l'adesione alla Cgil e che consentono il finanziamento delle strutture con la più totale regolarità nella redistribuzione dei contributi tra le varie istanze. Lo Statuto dovrà contenere norme sanzionatorie per eventuali distorsioni;
* la previsione di strumenti di intervento nei confronti di comportamenti di organismi che compromettano ruolo e funzioni della Cgil.
Il modello organizzativo delle strutture a rete, col superamento dei livelli gerarchici intermedi, spesso ridondanti e ripetitivi, con un'articolazione delle competenze sempre più orizzontale e sempre meno gerarchica e verticalizzata, deve diventare un punto di riferimento anche per il sindacato, un nuovo modo di vivere la confederalità, semplificando le funzioni e rendendo i ruoli sempre più interconnessi, per poter programmare i tempi di permanenza dei gruppi dirigenti nelle strutture in maniera più elastica e flessibile, dentro un generale accorciamento dei tempi medesimi. Vanno confermate le prerogative e i ruoli dei centri regolatori decisi nella ultima Conferenza di Organizzazione (Centro confederale, categorie nazionali e regionali confederali), sia nella gestione delle risorse, che nella guida e determinazione della intercambiabilità dei gruppi dirigenti in tutte le strutture, all'interno di un generale processo di decentramento di funzioni di direzione, a partire dal nazionale.
Anche la gestione delle risorse, delle politiche di bilancio, della omogenea applicazione dei regolamenti retributivi e normativi e degli inquadramenti, va perciò adeguata a questo schema, generalizzando, definitivamente, il modello nazionale e riducendo sempre più il divario fra struttura e struttura, sia verticale che orizzontale.
Una prima modifica statutaria deve riguardare la durata del mandato del segretario generale di tutte le strutture e della segreteria, ponendo fine, anche statutariamente, alle deroghe.
Nella conferma rigorosa dei due mandati per segretario generale e componenti della segreteria, la conferma del secondo mandato per il segretario generale, dovrà essere vincolata ad una discussione, con la partecipazione dei centri regolatori, che tenga conto delle risorse umane e dei possibili percorsi futuri dei quadri sindacali.
La Cgil ribadisce il definitivo superamento delle correnti di partito, come contributo all'unità e alla autonomia del nuovo soggetto sindacale unitario.
8 - Unità sindacale, autonomia, democrazia
8.1 Il crescere delle diversità nel mondo del lavoro, la perdita di punti di riferimento politici e ideali capaci di sostenere l’unità dei diversi, rendono oggi più difficile e problematica sia la tenuta di un orizzonte confederale, che il rilancio di un’idea di sindacato generale basato sulla solidarietà, sulla rappresentanza unitaria degli interessi e sulla universalità dei diritti nel mondo del lavoro.
Sono presenti forti spinte, diversamente motivate, alla frammentazione della rappresentanza. L’accordo del Luglio 1993 - con al suo interno la conquista del riconoscimento, da parte delle controparti, delle Rappresentanze Sindacali Unitarie come soggetto della contrattazione in azienda -, l’accordo sulle pensioni del Giugno 1995, dimostrano il valore della confederalità e che è possibile coniugare un’idea di sindacato generale, capace di scelte di lungo periodo e di rappresentanza complessiva dell’universo dei lavoratori, con il vincolo della verifica democratica del proprio mandato.
Contro questo sindacato confederale, contro questa sua capacità di essere soggetto politico, nel senso più vero e pieno del termine, anche in tempi di profonda crisi della politica e delle istituzioni, si è scatenata un’offensiva liberista e deregolatoria, che ha avuto il suo culmine in alcuni aspetti della campagna referendaria, che le forze conservatrici hanno condotto, a cui ha corrisposto una sottovalutazione e un riflesso conservatore nel sindacalismo confederale.
Di fronte a questa campagna e all'esito dei referendum, il sindacato confederale non ha saputo mantenere la sua unità; si è, anzi, assistito a un ripiegamento difensivo, trascurando l'urgenza di innovare il rapporto con gli iscritti e i lavoratori.
Sono riapparse, in questo clima, la contrapposizione di concezioni che un lavoro paziente di mediazione, costruito all’interno dei processi reali, aveva saputo tenere insieme e far avanzare: partecipazione contro conflitto, sindacato degli iscritti contro sindacato di tutti i lavoratori, democrazia di organizzazione contro democrazia di mandato.
Il Congresso della CGIL è chiamato a riprendere il processo unitario dal suo punto più alto e a dare avvio, assieme a CISL e UIL, alla costituente del nuovo soggetto sindacale unitario.
8.2 L'autonomia
Il nuovo soggetto sindacale unitario è chiamato a ridefinire alcuni concetti cardine del suo operare e della sua forma organizzata - a partire dall’idea base dell’autonomia - anche sulla base dei cambiamenti istituzionali e politici in corso.
Un assetto per grandi aggregazioni politiche e il formarsi di schieramenti politici contrapposti, richiedono a maggior ragione, un sindacato unitario autonomo, sia da chi governa che da chi si oppone, capace di basare i suoi comportamenti su indirizzi programmatici chiari e fondati sul consenso dei propri aderenti e sulla base di regole certe e trasparenti di mandato a trattare e a concludere accordi da parte di tutti i lavoratori interessati.
Questa autonomia non è un dato acquisito.
Essa richiede un progetto che deve essere convalidato democraticamente e nel quale si riconoscano le lavoratrici e i lavoratori che scelgono il valore della confederalità e l'unità del mondo del lavoro.
Il sindacato confederale deve far sì che tutta le realtà del sindacato, dalle rappresentanze degli iscritti nei luoghi di lavoro, alle strutture di territorio e di categoria, siano pienamente partecipi della costruzione di un unico progetto, attraverso la composizione di interessi diversi e non automaticamente conciliabili.
Questo progetto - e la sua validazione democratica - è elemento fondante dell'autonomia del sindacato, ed è la condizione per cui l'affermazione del pluralismo - di idee, di esperienze, di culture - non si riduca ad una forma di collateralismo alle forze politiche di governo o di opposizione.
In particolare, va aggiornato il concetto di confederalità per comprendervi la pluralità di soggetti presenti oggi nel mondo del lavoro, portatori di una diversità di bisogni, interessi, culture; soggetti che pongono questioni, non solo di eguaglianza di diritti e di pari opportunità, ma, anche, di riconoscimento e valorizzazione delle differenze nella rappresentanza e di assumere la solidarietà come interdipendenza di diritti e incontro - scambio di culture.
L'autonomia è, quindi, parallelamente collegata alla individuazione della strategia confederale e alla democrazia.
Questo nuovo modo di essere richiede una forte indipendenza organizzativa, una nuova consistenza e libertà associativa, che recida i punti che collegavano i sindacati in maniera impropria allo Stato e alle dinamiche politiche.
Un punto nodale è la questione del finanziamento, che dovrà essere basato sul finanziamento degli iscritti e sulla remuneratività dei servizi che l'organizzazione fornisce ai lavoratori.
L’unità deve essere anche una grande occasione di semplificazione della struttura del sindacato e di diminuzione sostanziale del proprio costo complessivo.
Un sindacato associazione, sempre più volontario, strutturalmente indipendente, deve costruire un nuovo patto con i propri iscritti, che sono la fonte di legittimità e di finanziamento della struttura.
Un patto di democrazia, che li faccia essere protagonisti delle scelte strategiche, delle proposte fatte all’insieme dei lavoratori e sia vincolo per l’operare dei gruppi dirigenti.
Un patto associativo che fissi, accanto alla quantità e alla modalità del finanziamento, i servizi e i benefici che gli iscritti riceveranno, in maniera differenziata dall’insieme dei lavoratori.
Il sistema dei servizi del sindacato assume sempre più rilevanza nella vita interna dell'organizzazione e nel rapporto con i lavoratori e i pensionati e richiede un ripensamento strategico delle sue funzioni.
Le regole dell’associazione sindacato non possono che riguardare coloro che liberamente aderiscono allo stesso, riconoscendo che il ruolo del sindacato, come libera associazione di lavoratori, non esaurisce in sè la rappresentanza contrattuale, che va riferita sempre a tutti i lavoratori interessati.
8.3. - La democrazia
Il sindacato unitario non si propone come soggetto sindacale unico.
La frammentazione degli interessi, le spinte all’organizzazione corporativa degli stessi, o attraverso altri raggruppamenti confederali organizzati su basi politiche più moderate o più radicali, vanno affrontate con la battaglia politica e il confronto democratico nei luoghi di lavoro.
Per questo sarà interesse del sindacato unitario - e delle stesse controparti interessate a relazioni sindacali evolute - una legislazione sulla democrazia, rappresentanza e rappresentatività sindacale, che contenga norme che diano esigibilità e certezza alla elezione, nei luoghi di lavoro, di un soggetto negoziale unico, capace, altresì, di verificare il grado di rappresentatività dei diversi soggetti sindacali.
E' necessario, in questa direzione, rilanciare e intensificare la costruzione delle RSU, superando lentezze e burocratismi.
Così come ci si dovrà dare regole certe di mandato, che verifichino il consenso esplicito delle lavoratrici e dei lavoratori quando il sindacato tratta a nome di tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti.
Anche a questo proposito occorre una legge, che sancisca, assieme alle regole per l’acquisizione del mandato e per la validazione degli accordi, la validità ‘’erga omnes’’ dei contratti e blocchi una possibile inflazione di soggetti contrattuali, a partire magari dal consenso acquisito su aree limitate e settorializzate di lavoratori o, ancor peggio, sulla base delle convenienze delle controparti a legittimarli.
La legge di iniziativa popolare promossa dalla Cgil si pone in questa direzione, come un contributo alla definizione di una posizione unitaria.
8.4. - La Costituente del nuovo soggetto sindacale unitario
Il nuovo soggetto sindacale unitario dovrà essere frutto di un processo costituente capace di coinvolgere, assieme ai gruppi dirigenti, agli iscritti di CGIL CISL, UIL, alle rappresentanze sindacali elette, migliaia di lavoratrici e di lavoratori, di verificare il grado di adesione al sindacato nei luoghi di lavoro, di promuovere la sindacalizzazione fra le nuove figure professionali, fra i lavoratori delle piccole imprese e dell’artigianato, fra i giovani, fra i lavoratori immigrati.
A tale processo dovranno partecipare, nelle forme adeguate, anche le rappresentanze unitarie territoriali delle pensionate e dei pensionati.
In questa prospettiva va aperto un confronto anche con i soggetti sindacali non confederali, disponibili alla costruzione del processo unitario, a partire dai sindacati autonomi con una pratica sperimentata di unità d’ azione col sindacato confederale.
Durante la fase costituente è necessario che CGIL, CISL, UIL promuovano il superamento della pariteticità nelle varie forme della rappresentanza, si impegnino a non sottoscrivere accordi separati e a rinunciare al diritto di veto di organizzazione nella pratica contrattuale.
Se si riconoscono in questa fase la centralità e l’urgenza della costruzione del nuovo soggetto sindacale unitario, è importante che ogni organizzazione eviti di essere coinvolta in politiche di schieramento, che rischiano di offuscare l’autonomia del sindacato.
La fase costituente si dovrà concludere con i Congressi di scioglimento delle tre organizzazioni sindacali confederali.