DOCUMENTO
PREPARATORIO
Proposta per un programma vertenziale
a Milano
Questo documento è stato prodotto
dalle compagne e dai compagni della Cgil milanese che riconoscono la necessità
di un sindacato vertenziale confederale, autonomo dai partiti e pluralista,
e che quindi hanno dato vita all'area programmatica congressuale Alternativa
sindacale.
E' un documento volutamente sintetico
e schematico, accompagnato da allegati che affrontano temi specifici.
Lo scopo, dunque, è avviare
una discussione sulle cose da fare e da proporre alla Camera del Lavoro
di Milano, innanzi tutto al gruppo dirigente della Cgil milanese, ma anche
all'insieme dell'organizzazione (al di là degli schieramenti congressuali),
ai delegati RSU, alle forze sociali e politiche vicine al movimento sindacale
e dei lavoratori.
Vogliamo infatti "ripartire" dall'assemblea
Cgil-Cisl-Uil milanese dello scorso anno, in cui fu sviluppata un'analisi
sulla situazione milanese (che riprendiamo soprattutto nel paragrafo seguente)
e che proclamò lo sciopero del 12 dicembre 1995 in difesa dell'occupazione.
Tale iniziativa, rimasta senza seguito nonostante gli impegni assunti dalle
segreterie sindacali, deve infatti essere ripresa per affrontare adeguatamente
il pesantissimo attacco alle condizioni di vita dei lavoratori e per avviare
un nuovo sviluppo della città e dell'area metropolitana.
1) Le condizioni strutturali
E' operante un processo mondiale di deindustrializzazione
nelle aree forti e di riorganizzazione della produzione, della finanza
e del commercio. Le multinazionali, in precedenza verticalizzate e conglomerate,
vengono smontate e riorganizzate, per ridurre i costi di produzione, finanziari
e commerciali, in filiere transnazionali dei monopoli privati vincenti,
ossia in strutture produttive di settore suddivise e segmentate a livello
internazionale.
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I grandi monopoli procedono secondo
la "focalizzazione sul core business e la realizzazione dell’out
sourcing" (in altre parole individuano e definiscono da un lato
il cuore dell'impresa e le relative attività fondamentali da affidare
alla funzione proprietaria dell’impresa leader di filiera, dall’altro
le parti componenti e le relative attività secondarie da affidare
ad imprese esterne industriali e terziarie concorrenti sul mercato).
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Le medie o piccole imprese che
realizzano le parti componenti replicano il comportamento del monopolio:
si concentrano sull'attività principale del componente che debbono
fornire all’impresa leader ed esternalizzano il resto fino all'impresa
individuale (artigiani, liberi professionisti, ecc.).
Con la privatizzazione / liquidazione
dei settori strategici nazionali si sono sviluppate nell’area metropolitana
milanese le due fasi del programma di deindustrializzazione (smontaggio
e riorganizzazione in filiere transnazionali) portato avanti dal capitale
monopolistico privato italiano e straniero.
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La prima fase, lanciata dal sistema
bancario privatizzato (Mediobanca, ecc.) e dalla privatizzazione / liquidazione
dei settori industriali maturi (siderurgia, elettronica di consumo, auto,
ecc.), ha visto la cancellazione della grande industria tradizionale milanese
e si sta concludendo con le drammatiche vicende della Falck, dell’Imperial
e dell’Alfa di Arese.
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La seconda fase, che è ancora
incerta e confusa ed è fortemente segnata dallo scontro tra capitali
monopolistici transnazionali sulla privatizzazione del settore delle telecomunicazioni
a partire dalla Stet (la "madre di tutte le privatizzazioni"), sta
investendo i settori più avanzati e qualificati (telecomunicazioni
/ informatica, energia, chimica / idrocarburi, ecc.).
Sono sul tappeto:
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riguardo al settore telecomunicazioni
/ informatica, la liquidazione della Face e della Telettra di proprietà
della francese Alcatel, il possibile disastro dell'Olivetti informatica
e dell'Omnitel, la trasformazione dell'Italtel da produttore proprietario
di sistemi di telecomunicazioni a produttore di componenti per sistemi
di telecomunicazioni di proprietà della tedesca Siemens;
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riguardo al settore energia, la vendita
dell’Azienda Energetica Milanese;
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riguardo al settore della chimica / idrocarburi,
la privatizzazione dell’ENI, con la vendita di numerose società
del gruppo.
I settori strategici milanesi, da un lato
sono smontati, dall’altro sono riorganizzati in filiere produttive transnazionali
che hanno il centro collocato altrove. Se questa tendenza si affermerà
pienamente:
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la struttura industriale milanese
risulterà costituita dai diversi produttori secondari (medie aziende,
piccole aziende, artigiani, lavoro a domicilio) che reggono e sviluppano
la diminuzione dei costi attraverso la segmentazione della produzione in
componenti, parti e servizi di rango il più possibile ridotto;
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la struttura economica milanese
non sarà più quel radicato ed equilibrato centro nazionale
dell’industria, della finanza, del commercio, dei servizi, della ricerca
e della formazione; diventerà invece un aggregato economico secondario,
collegato ai centri del capitale monopolistico transnazionale dalla finanza
(la galassia Mediobanca), ma dominato dagli interessi e dalle necessità
del capitale periferico e marginale.
Dunque le due strutture, piuttosto che
sfidare Francia e Germania sul terreno delle produzioni avanzate, porterebbero
a far competere i prodotti italiani con Taiwan, magari attraverso l'esportazione
favorita dalla svalutazione della lira.
In questo modo l’assetto politico e
sociale milanese viene profondamente modificato e degradato.
2) Le trasformazioni delle classi
e della composizione di classe territoriale
La periferizzazione e la marginalizzazione
industriale ed economica, mentre cambiano i processi di costituzione del
profitto dell’area milanese, cambiano anche le classi e gli strati sociali
che dipendono dalla sua ripartizione:
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Sparisce la grande borghesia industriale;
si riduce e si concentra la grande finanza; aumenta e si rafforza relativamente
la media e piccola borghesia industriale e gli strati sociali intermedi
ad essa collegati.
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La scomposizione / ricomposizione della
classe lavoratrice fordista a Milano si esprime nella crisi dell’occupazione
stabile tipica delle grandi imprese milanesi; nell'aumento di povertà
ed emarginazione e nella nascita di nuove figure; nel mutamento / segmentazione
del mercato del lavoro e nella diffusione delle figure "atipiche".
Quindi cambiano e degradano il territorio,
l'ambiente e i rapporti sociali.
L'ex capitale morale che riusciva a
coniugare solidarietà ed efficienza, oggi (gestita con la sola "logica
dei tagli" e in assenza di un'idea forte di sviluppo sociale) si avvita
in una spirale di povertà, esclusione, microcriminalità e
violenza che (in mancanza di un progetto forte per una città
solidale ed in presenza di logiche puramente repressive) ne logora
la vivibilità e lo stesso senso di appartenenza ad una comunità.
3) Lo scontro sulle condizioni
di vita delle lavoratrici e dei lavoratori
Le organizzazioni milanesi dei titolari
di profitti e rendite (Assolombarda, ecc.) attaccano le condizioni
di vita della classe lavoratrice su:
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Strutture ed assetto territoriale /
sociale: accettazione della riduzione a condizioni marginali e periferiche
delle strutture produttiva ed economica.
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Occupazione: aumento dei disoccupati
o risparmio di manodopera (attraverso allungamento del tempo di lavoro,
diverse forme di abbandono del rapporto di lavoro stabile con licenziamenti,
mobilità, ecc.), precarizzazione, pressione per la deregolamentazione
/ flessibilizzazione del lavoro (attraverso la modifica delle norme che
regolano il mercato del lavoro) e relativa riduzione del monte salari (riduzione
della quantità delle retribuzioni).
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Salario diretto: dinamica del salario
diretto inferiore all'inflazione.
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Salario sociale: privatizzazione
dei servizi pubblici (sanità, assistenza, scuola, ecc.) e riduzione
della relativa spesa pubblica.
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Salario previdenziale: riduzione
dei costi previdenziali per le imprese ed incentivi alla privatizzazione
del sistema previdenziale.
La politica del Comune di Milano
e della Regione Lombardia oscillano tra un "far niente" (che significa
lasciare affermare le tendenze già operanti al peggioramento delle
condizioni di vita) ed un "operare esplicito" (come nel caso della giunta
Formigoni riguardo alla socio-sanità).
Le forze politiche milanesi
riflettono l'incertezza e la confusione dominanti:
A Milano sono ormai scomparsi da tempo
quelli che sono stati i regolatori del governo cittadino. Il Psi è
stato liquidato, la Dc è esplosa in mille frantumi. E’ stata liquidata
anche quella parte del Pci che governava la città. I partiti tradizionalmente
vicini al movimento sindacale e dei lavoratori hanno mostrato ritardi e
limiti di politicismo. Il Pds e il Prc hanno attualmente uno scarso radicamento
nel corpo sociale milanese: non sono più, o non sono ancora, partiti
di massa.
La destra milanese cavalca (ma senza
un progetto organico) il malessere sociale derivante dall'accresciuta insicurezza.
I "poteri forti" economico-finanziari
attualmente colgono le occasioni che volta per volta gli si presentano
e sono ancora alla ricerca di una propria espressione politica stabile
e organica.
E’ positivo il ruolo svolto da molte
associazioni ma esse hanno limiti intrinseci proprio a causa della
collocazione necessariamente specifica. Esse potrebbero (dovrebbero) essere
maggiormente valorizzate se inserite nel quadro di una politica organica
di governo della città. Il rischio che corrono è che si affermi
un concetto di "terzo settore" come copertura e supplenza dei vuoti lasciati
dai tagli allo stato sociale o di esserne i gestori diretti (privatizzazione).
Negli ultimi anni la "crisi dei partiti"
ha consegnato di fatto ai sindacati, grazie al loro radicamento
di massa, un ruolo di riferimento e di collante sociale (un po’ meno forte
del riconoscimento sociale ottenuto dalla magistratura ma in compenso privo
di pericolose spinte verso il giustizialismo).
Quindi c'è stato negli ultimi
anni anche a Milano uno spazio enorme di intervento per le organizzazioni
sindacali confederali, ma è stato fatto ben poco. Ciò non
è dipeso da semplici carenze organizzative perché, nonostante
le difficoltà, c'erano molte risorse per intervenire. I limiti sono
più profondi e sono individuabili:
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nella mancata analisi del mutamento della
città e in una gestione che si è limitata agli "affari correnti",
da cui è risultata una mancanza di progettualità;
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nel trascinamento della pratica del consociativismo
con le precedenti amministrazioni che si è tradotta in immobilismo
nei confronti della giunta Formentini e, più in generale, nella
crisi della vertenzialità confederale.
In particolare il gruppo dirigente della
CdLM:
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si è concentrato sull'esigenza
di evitare il riversamento della crisi dei partiti di riferimento Pci-Psi
nella Cgil; quindi ha prevalso una logica di semplice autoconservazione
e gestione burocratica dei rapporti tra le diverse categorie;
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ha perso i legami con il mondo della cultura,
università, ricerca, associazioni;
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ha di fatto assegnato problematiche sociali
confederali a singole categorie (ad es. la sanità ai pensionati
e a un pezzo di pubblico impiego);
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ha sviluppato una scarsissima attività
vertenziale confederale (tranne qualcosa su immigrazione e politiche sociali;
per il resto solo sporadici comunicati stampa, ma non pratica vertenziale
confederale diffusa).
4) Il ruolo di Alternativa sindacale
La nostra concezione di sindacato confederale
vertenziale si basa sul riconoscimento della necessità di difendere
(contrattare) l’insieme delle condizioni di vita e di lavoro della classe
lavoratrice (salario, occupazione, ambiente, salute, istruzione, ecc. ecc.);
condizioni che vanno individuate e vertenziate in base alle loro specificità
(individuali, di luogo di lavoro, di categoria, di territorio, ecc.) e
alle diverse controparti coinvolte (governo, ente locale, associazione
datoriale, singolo imprenditore, ecc.) ma sempre con una logica ricompositiva
che tenga come riferimento l’interesse generale della classe lavoratrice
(sindacato generale, che agisce localmente ma pensa globalmente).
Quindi il sindacato confederale non
dovrebbe limitarsi al pur necessario coordinamento delle categorie ma sviluppare
direttamente pratiche vertenziali sul territorio (un sindacato è
confederale se sviluppa vertenze confederali) e fornire un quadro di riferimento
alle contrattazioni di categoria (altrimenti tenderebbero a scivolare verso
il corporativismo).
Riteniamo che la Camera del Lavoro
di Milano, da tempo, non svolga più una adeguata prassi vertenziale
coerente con il concetto di sindacato generale cui pure si richiama.
Alternativa Sindacale vuole quindi
agire come stimolo sull'insieme della Cgil, in collegamento con le RSU,
svolgendo un ruolo di analisi e di elaborazione di proposte rivendicative
e di intervento nel merito. La nostra iniziativa vuole coinvolgere tutte
le forze disponibili all'azione di difesa dell'insieme delle condizioni
di vita delle lavoratrici e dei lavoratori, senza preclusioni, discriminazioni
o distinzioni politiche.
5) Proposta di AS per un programma
della CdLM
Per questo motivo proponiamo (molto
schematicamente) le seguenti politiche sindacali di programma vertenziale
per la città di Milano.
Sulle politiche rivendicative:
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Strutture ed assetto sociale: contrastare
la seconda fase del programma di deindustrializzazione (ossia della riduzione
a condizioni marginali e periferiche delle strutture produttiva ed economica)
attraverso la definizione di obiettivi di sviluppo industriale cittadino
per le Telecomunicazioni (mantenimento e rafforzamento del segmento manifatturiero
di TLC a Milano, progetto di cablatura della città), per l’Energia
(lotta contro la privatizzazione e per uno sviluppo avanzato dell’AEM),
ecc. cercando così di impedire il degrado territoriale, ambientale
e sociale.
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Salario diretto: promuovere una
efficace azione per lo sviluppo della contrattazione delle retribuzioni
e delle condizioni di lavoro (contrattazione nazionale, contrattazione
aziendale, vertenze di settore); dell'occupazione (politiche industriali
di settore / riduzione dell’orario di lavoro / mercato del lavoro e politiche
occupazionali per figure atipiche, giovani, lavoratori stranieri, ecc.);
della retribuzione monetaria (meccanismo di recupero automatico / contratto
dei meccanici / contrattazione aziendale svincolata dagli accordi di luglio);
ecc.
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Salario indiretto, fiscalizzato, previdenziale:
sull'occupazione (utilizzo aree dismesse per progetti di sviluppo occupazionale);
sulla retribuzione in beni e servizi (salute / vivibilità / politiche
sociali / sicurezza / ambiente / scuola); sulle pensioni.
Sulle politiche organizzative:
La valorizzazione delle RSU, della
formazione quadri e della ricerca, un nuovo adeguato sistema informativo,
ecc. devono rispondere all'esigenza di una nuova stagione vertenziale.
C'è bisogno di un progetto organizzativo
di sviluppo orientato alla vertenzialità e non alla semplice gestione
per lobbies dell'esistente, che deve valorizzare il grande patrimonio di
risorse umane che ancora oggi l'Organizzazione ha, recuperando il binomio
studio/azione.
Va inoltre velocemente acquisita la
dimensione metropolitana per essere in grado di misurarsi con la dimensione
reale dei problemi che abbiamo di fronte.
6) Per una "Piattaforma Milano"
Tutto ciò dovrebbe tradursi
nel coinvolgimento dell'insieme dell'organizzazione per l'elaborazione
di una "Piattaforma Milano".
Senza pretesa di completezza, riteniamo
che i contenuti di tale piattaforma debbano contenere, tra l'altro, anche
le seguenti tre tematiche:
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Occupazione: contrastare la riduzione
a condizioni marginali e periferiche delle strutture produttiva ed economica
e favorire lo sviluppo di Milano attraverso il coordinamento delle lotte
di difesa occupazionale generale (collegare tutte le fabbriche in difficoltà
Alfa, Imperial, ecc.) e di settore (Face, Italtel, Olivetti per TLC, ecc.);
vertenze di settore basate su linee espansive, coordinate e legate
allo sviluppo territoriale, funzione del comune, della provincia e della
regione su questioni quali i sistemi milanesi a rete (energia, acqua, comunicazione,
formazione, servizi pubblici, ecc.) e definendo linee per lo sviluppo delle
strutture amministrative (programmi per la partecipazione democratica alla
programmazione dei sistemi milanesi a rete di competenza del comune, della
provincia e della regione), contro le privatizzazioni (a partire da quella
dell'AEM).
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Mercato del lavoro: contrastare
la tendenza all'aumento del precariato e dell'intermediazione di manodopera,
alla diffusione di figure atipiche, ecc. che spesso non sono motivate nemmeno
da esigenze tecnico-produttive ma sono semplicemente uno strumento per
ridurre il salario e l'esercizio dei diritti; quindi evitare l'estensione
nell'area milanese dell'accordo sull'intervento nelle aree di crisi
(negativo anche per il Sud), ed avviare iniziative e vertenze confederali
(oltre che di categoria) nei confronti dell'Assolombarda, dell'Ispettorato,
degli Enti locali, ecc., coinvolgendo studenti, giovani, precari; sperimentando
anche nuove forme di vertenzialità adeguate alle trasformazioni
produttive e sociali in atto, nel quadro della rivendicazione di una carta
dei diritti che unifichi lavoratori dell'industria, del terziario,
della P.A. e precari e disoccupati.
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Socio-sanità: contrastare
la tendenza che, attraverso la politica dei tagli allo Stato sociale,
vede l'affermarsi della subordinazione del diritto alla salute a limiti
e parametri economici e che si realizza attraverso una privatizzazione
strisciante (che svende le prestazioni che possono generare profitto);
e aprire vertenze sulla questione socio-sanitaria nei confronti della Regione
(vere vertenze, non generici comunicati di protesta), del Comune, delle
USSL, mirate alla razionalizzazione del settore ospedaliero, al rilancio
della prevenzione, all'organizzazione dell'attività distrettuale
e territoriale, ecc. ecc. coinvolgendo gli operatori del settore, le associazioni
dell'utenza, ecc. nel quadro di un progetto di città solidale.
Sulla base dei contenuti individuati
andrebbero definiti i rapporti di contrattazione con le controparti (Comune,
Regione, Assolombarda, ecc.), le alleanze e le iniziative per la realizzazione
della piattaforma (sua preparazione e presentazione, mobilitazione e iniziative
di lotta a sostegno).
Milano, 24 settembre 1996