Contributo di Massimo
Stroppa
LA SALUTE E’ UN DIRITTO
Il progetto di legge presentato dalla Giunta Regionale della Lombardia
di riordino della Sanità risponde a una logica aziendalistica -
in sintonia con quanto già previsto con la legge n. 502/92 di De
Lorenzo - dove il parametro di efficienza dei servizi è rappresentato
dal solo pareggio del bilancio economico e non dai bisogni di salute e
di politiche per la promozione del benessere delle persone, tra l’altro,
ancor più necessario di fronte al crescere delle persone anziane
e delle patologie cronico-degenerative determinate da questo modello di
sviluppo e vita, dal degrado ambientale.
L’obiettivo dichiarato di questa scelta, da parte della Giunta Regionale,
è quello di contenere la spesa, introdurre forme di gestione privatistiche
delle USSL e degli Ospedali, riducendo così la salute dei cittadini
da diritto universale a prodotto da acquistare al pari di qualsiasi merce.
Le principali misure del progetto di riordino sono:
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L’equiparazione tra strutture sanitarie pubbliche e private
Questa tanto declamata libertà di scelta per i cittadini di
poter scegliere liberamente la struttura sanitaria alla quale rivolgersi
sia pubblica che privata si fonda sull’equivoco di fondo della presunta
equivalenza dei fini istituzionali delle strutture sanitarie pubbliche
e private. Questo non è vero in quanto il principale obiettivo del
servizio sanitario pubblico è quello di garantire a tutti il diritto
alla salute (dalla prevenzione, alla cura e riabilitazione), mentre le
strutture sanitarie private perseguono l’obiettivo del profitto. Questo
vuol dire che mentre la sanità pubblica dovrà comunque garantire
servizi e prestazioni anche estremamente costose o che non producono guadagno,
la sanità privata potrà scegliersi le prestazioni e l’erogazione
di servizi più redditizi determinando in questo modo la sanità
dei poveri e quella di serie A. Inoltre la sanità pubblica ha maggiore
vincoli di spesa, organizzativi e di controllo sulla propria attività,
mentre la sanità privata può decidere autonomamente come
e dove investire senza vicoli.
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Riduzione delle USSL ad ambito provinciale, riducendole dalle attuali
44 a 11 (una per Provincia)
Con questo provvedimento le USSL diventerebbero di dimensioni molto
elevate e non potranno essere governate in modo democratico in quanto la
gestione sarà sempre più centralizzata, i distretti sanitari
saranno di difficile realizzazione e le persone avranno sempre più
difficoltà ad avere servizi di qualità e con tempestività.
Tra l’altro questa scelta impedirebbe agli Enti Locali di poter svolgere
le funzioni di indirizzo e di controllo previsti dalla legge.
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Separazione degli Ospedali dalle aziende USSL
Gli Ospedali verrebbero incorporati in una unica Azienda Ospedaliera
e gestiti in modo separato dalle USSL che diventerebbero Aziende sanitarie
regionali, scardinando un principio fondamentale della Legge n.833 del
1978 di integrazione fra territorio e ospedale - fra prevenzione, cura
e riabilitazione - in una visione globale della salute e d’integrità
della persona. Questo processo di separazione e di trasformazione delle
USSL in Aziende sanitarie regionali (non più come ora unità
socio sanitarie locali) corrisponde al più ampio processo di centralizzazione
istituzionale e di decisione, eliminando ogni possibilità di controllo
da parte degli Enti Locali. Inoltre alla USSL resterebbe la sola possibilità
di comprare servizi dagli ospedali con un processo di diffusa medicalizzazione
dell’intervento sanitario a discapito di tutti i servizi di prevenzione
e riabilitativi.
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Separazione di fatto tra i servizi socio-assistenziali e quelli sanitari
Anche questa è una scelta scellerata che pretende di separare
l’integrità della persona tra il momento sanitario e quello sociale
snaturando in questo modo qualsiasi efficacia delle prestazioni (si ritorna
al passato dove la mano destra non sa quello che fa la sinistra). Infatti
se sanità e assistenza sono separati come si potranno attuare i
progetti per l’assistenza domiciliare integrata agli anziani, per l’area
materno infantile, dell’handicap, della psichiatria? Come si potranno affrontare
particolari condizioni dei disabili, dei malati cronici e del disagio sociale?
I costi dei servizi assistenziali (divenuti servizi alla persona, quindi
erogati sulla base di una contribuzione da parte dei cittadini e non più
servizi a carico della sanità, quindi gratuiti) verranno sempre
più gravati sui già ristretti bilanci comunali con la quasi
certezza di un forte aumento delle tariffe a carico dei contribuenti pena
l’interruzione dell’erogazione dei servizi stessi. Senza poi parlare del
futuro che potrà essere riservato al personale dipendente delle
USSL vista la tendenza dei Comuni di ridurre i costi di gestione dando
in appalto questi servizi a cooperative sociali (a volte di scarsa qualità).
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Nuovo sistema di finanziamento delle USSL e degli Ospedali sulla base
delle prestazioni erogate
Il sistema di finanziamento per prestazione comporterà una inevitabile
dilatazione della spesa in quanto sia le strutture sanitarie pubbliche
e principalmente quelle private saranno sempre più orientate ad
erogare le prestazioni che determineranno un maggior guadagno e quindi
un maggior rimborso da parte della Regione. Se questa tendenza si affermerà
e nel contempo la Regione manterrà un vincolo di spesa (ad oggi
pari a circa 14 mila miliardi) o sarà costretta a diminuire il valore
economico delle singole prestazioni erogate - non garantendo più
la copertura economica dei servizi erogati - oppure se si vorranno mantenere
gli stessi livelli di prestazioni e servizi a parità di costi, dovranno
essere aumentati i ticket sulle prestazioni sanitarie fornite, come regolarmente
è avvenuto nei primi giorni di novembre con un carattere vessatorio
nei confronti dei settori sociali più deboli. Se questo sistema
di finanziamento permarrà si può già prefigurare che
molto presto si dovrà fare ricorso alle assicurazioni private per
potersi assicurare il diritto a essere curati.
Tutto ciò avviene mentre, con circa 93 mila miliardi pari al
5,4% del PIL, il nostro Paese per la sanità spende meno che negli
altri Paesi europei e d’oltre oceano. Questo vuol semplicemente dire che
è illusorio pensare di lasciare al libero mercato il soddisfacimento
di un fondamentale diritto delle persone quale quello della salute perché
in questo modo vi sarà una grande parte di popolazione sempre più
esclusa da qualsiasi protezione sociale scardinando inoltre i fondamenti
della legislazione sociale a presidio del diritto alla salute e dei diritti
di cittadinanza sociale.
Per migliorare la qualità del servizio sanitario, promuovere
la salute e il benessere, non basta ridurre la spesa (peraltro già
molto bassa) ma occorre soprattutto spendere meglio, eliminare gli sprechi,
le prestazioni inutili e dannose, ridurre i costi per mancata riorganizzazione
(circa il 30-40% dei ricoveri ospedalieri, oltre al 30% dei cesarei, sono
considerati inutili o impropri, come pure un’elevata percentuale di esami
diagnostici e strumentali). Avviare un profondo processo di riorganizzazione
delle strutture sanitarie definendo obiettivi e programmi certi sulla base
di dati epidemiologici e mettendo al centro dell’azione socio sanitaria
il malato nella sua complessità di bisogni, superare la parcellizzazione
del lavoro e della sua organizzazione, introdurre criteri, metodologie
di gestione (budget, progetti, ecc.) e di contabilità economica
che superino l’attuale gerarchia dirigenziale e decisionale, semplificare
e ridurre i processi diagnostici, controllare gli ordinatori di spesa anche
attraverso l’introduzione di protocolli diagnostici e terapeutici con attestata
evidenza scientifica (modello CUF), ridurre le liste d’attesa per visite
ed esami regolamentando la libera professione dei medici, migliorare l’accoglienza
alberghiera degli ospedali, definire gli standard dei servizi e di qualità
delle strutture sanitarie private, i loro livelli di attività per
favorire, a livello territoriale, un reale processo di integrazione fra
pubblico e privato.
Di fronte alla decisione irresponsabile della Giunta regionale di smantellare
la sanità pubblica occorre che tutti i soggetti sociali: i lavoratori,
i pensionati, le associazioni degli utenti, le forze politiche di opposizione,
gli Enti Locali e le Province, costruiscano un ampio movimento di lotta
per affermare il diritto alla salute e in difesa del Servizio sanitario
pubblico. In questo processo occorre che da subito CGIL, CISL e UIL indicano
uno sciopero generale regionale preparato con assemblee pubbliche e sui
luoghi di lavoro anche per sostenere con la mobilitazione l’iniziativa
istituzionale delle forze democratiche e di opposizione che in Consiglio
regionale si stanno opponendo al progetto della Giunta regionale.