1.1 Le ragioni di una alternativa nella CGIL
2) PER LA DIFESA DEL POTERE DI ACQUISTO DI SALARI E STIPENDI
2.1 Una vertenza generale
2.2 La nuova scala mobile
3) RIDURRE E REDISTRIBUIRE I TEMPI DI LAVORO, PER CAMBIARLO E DIFENDERE L'OCCUPAZIONE
3.1 Occupazione e sviluppo
3.2 La riduzione dell'orario a parità di salario
3.3 Creare lavoro
3.4 Il sostegno al reddito
3.5 Difendere il diritto di sciopero e l'autonomia delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici e dei servizi
4) DIFENDERE LO STATO SOCIALE
4.1 Stato sociale e solidarietà
4.2 Spesa pubblica e fisco
4.3 Previdenza
4.4 Sanità
4.5 I servizi sociali
5) SCUOLA
6) PER UN RILANCIO DELL'ECONOMIA MERIDIONALE
7) DEMOCRAZIA DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI E UNITA' SINDACALE
7.1 La crisi della democrazia sindacale
7.2 Il ruolo delle RSU
7.3 Lo statuto delle RSU ed il patto con il sindacato
7.4 Per l'unità sindacale di tutte le lavoratrici e lavoratori
8) LA RIFORMA DELLA CGIL
8.1 Il rinnovo periodico delle deleghe
8.2 Finanziamento, distacchi e permessi, moralizzazione
8.3 Finanziamento dei comitati degli iscritti
8.4 Riduzione, qualificazione ed elezione democratica degli apparati
9) LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DELLA LOTTA SINDACALE
9.1 Nord e Sud del mondo
9.2 Per un'Europa sociale contro quella di Maastricht
9.3 La dimensione internazionale della contrattazione
1.1 LE RAGIONI DI UNA ALTERNATIVA NELLA CGIL
Il lavoro ha perso la propria centralità, il potere di acquisto dei salari è diminuito a livello mondiale, i giganteschi processi di cambiamento che si sono realizzati negli ultimi anni sul terreno economico, politico e sociale hanno determinato una imponente concentrazione di ricchezza e di poteri che ha ancora di più diviso nazioni e territori e reso secondari e subalterni i meridioni esistenti.
Popolazioni già povere diventano più povere ed escluse, mentre un numero sempre più ristretto di grandi concentrazioni industriali, economiche e finanziarie domina la scena internazionale ed italiana sottraendo l'economia e l'informazione al controllo pubblico e collettivo con evidenti rischi anche per la democrazia.
C'è una pericolosa tendenza al conflitto armato, alla sperimentazione nucleare e dunque la pace si ripropone come obiettivo centrale e strategico, prioritario per l'intera comunità mondiale.
I vincoli imposti dal trattato di Maastricht alle economie dei paesi europei si traducono nello smantellamento dello stato sociale.
Rischia di affermarsi in particolare nel nostro paese un modello economico e sociale che frantuma valori, degrada territori, accentua gli squilibri tra Nord e Sud.
Nel Mezzogiorno d'Italia intere generazioni sono escluse dal lavoro mentre in aree del Nord si afferma un modello di produzione senza regole e diritti; si sperimentano al Sud linee d'intervento pericolose che rischiano di affermarsi nell'intero paese.
Cambiare e combattere questo stato di cose è la ragione centrale di una linea alternativa nella CGIL; restituire valore e centralità al lavoro costituisce l'obiettivo strategico di una battaglia politico-sociale che proponiamo a tutte le iscritte ed iscritti.
Con gli accordi del 31 Luglio '92 e 23 Luglio '93 di abolizione della scala mobile e sulla politica dei redditi, poi con l'accordo sulle pensioni, il sindacato italiano ed in particolare la CGIL hanno accettato questo stato di cose; si è affermata una linea compatibilista e subalterna al quadro politico.
Contro questi accordi, in particolare su quello pensionistico, si è espresso il dissenso dei lavoratori e degli iscritti; i dirigenti e le dirigenti, le militanti e i militanti che quel dissenso hanno condiviso e rappresentato nella CGIL promuovono questo documento per il XIII Congresso per dare continuità a quelle battaglie sindacali.
Il Congresso deve ora compiere un bilancio della linea strategica e rivendicativa praticata in questi anni;
non possiamo che registrarne il fallimento, infatti:
- L'accordo sulla politica dei redditi non ha garantito la difesa dei salari logorando l'autonomia contrattuale del sindacato.
- L'accordo sulle pensioni, contrastato da parte rilevantissima di lavoratori e pensionati, ha seguito la stessa logica, indebolito la rete dei diritti, reso ancora più vulnerabile lo stato sociale.
- Sono peggiorate le condizioni di vita e di lavoro di migliaia di lavoratori e pensionati.
- Il paese vive una grave crisi democratica e istituzionale.
- Si sono realizzati massicci processi di privatizzazione, si sono concentrate nelle mani di pochi ricchezze e poteri enormi.
Occorre dunque una svolta programmatica e strategica che abbandoni le linee rivendicative di questi ultimi anni; la concertazione entro i vincoli dettati dal modello economico e sociale liberista non difende ma anzi indebolisce, divide e frantuma il movimento dei lavoratori.
Una linea alternativa di cambiamento radicale deve comprendere:
- La ricostruzione di un movimento di lotta, di una forte iniziativa generale ed unitaria per il recupero di salari e stipendi e per ripristinare un meccanismo automatico di difesa del potere d'acquisto dall'inflazione.
- Una piattaforma che intervenga sugli orari, per una riduzione generalizzata a parità di salario.
- La difesa dello stato sociale, il recupero di una adeguata previdenza pubblica.
- Proposte concrete per un diverso ed equilibrato modello di sviluppo.
- La valorizzazione, che deve attraversare tutta la futura azione contrattuale, del lavoro manuale, subordinato ed esecutivo che ha subito una marginalizzazione sociale e materiale
- Una riforma fiscale in cui equità significhi lotta all'evasione e tassazione di rendite e patrimoni
- La revisione del trattato di Maastricht per una Europa sociale e dei popoli piuttosto di quella del capitale
Una diversa qualità dello sviluppo, una pubblica amministrazione autonoma, efficace ed efficiente, uno Stato Sociale rinnovato ed un sistema fiscale equo hanno bisogno di essere sostenuti da una rete di poteri, di controlli e di partecipazione democratica fondata su un rilancio delle autonomie locali e del regionalismo a partire dalla riconferma delle ragioni storiche, culturali e linguistiche che sono state alla base della creazione delle provincie e regioni autonome.
La CGIL è ad un passaggio delicato, non basta la svolta politica; o viene avviata, contemporaneamente, una profonda e straordinaria riforma anche morale dell'organizzazione o rischia di deperire come grande, autonoma, democratica organizzazione di lavoratori e lavoratrici.
Si tratta di portare a trasparenza tutte le forme di finanziamento, di rompere ogni logica di consociativismo subalterno con il governo e con il padronato
Recuperare, innovando, alcuni valori decisivi diviene un vincolo obbligato; la militanza, il rinnovo delle deleghe, la piena democrazia costituiscono alcuni degli elementi che possono far recuperare, come diceva Di Vittorio, " personalità ed una forte autorità morale alla CGIL".
Colpisce la qualità del rapporto con il governo Dini consociativo e subalterno, proprio mentre, anche sotto questo governo, si vanno realizzando e consolidando imponenti processi di concentrazione di ricchezze e di poteri e continua a ridursi il potere di acquisto dei salari.
L'autonomia della CGIL dal quadro politico diviene, allora, valore fondante per la sua riorganizzazione complessiva; è il progetto e la pratica concreta di cui la CGIL si deve dotare per fare fronte alle trasformazioni che in questi anni sono state introdotte nella organizzazione delle produzioni, dei saperi, delle relazioni fra le donne e gli uomini, fra le classi.
Si tratta di superare un modello di vita interna che non regge più, non basta la garanzia della presenza delle posizioni di minoranza negli esecutivi se poi la gestione politica e materiale dell'organizzazione è tutta, e strettamente, di maggioranza; una nuova confederalità deve esprimere una capacità forte di modificare proposte e soluzioni nella ricerca dell'unità dei lavoratori e della CGIL, come, ad esempio, doveva essere e non fu fatto, di fronte al dissenso di massa sull'accordo sulle pensioni.
Il XIII Congresso della CGIL deve misurarsi con questo problema pena il progressivo impoverimento interno del confronto e della dialettica.
In questi anni migliaia di lavoratori hanno abbandonato l'organizzazione attuando una separazione nella maggior parte dei casi dolorosa e silenziosa; il congresso, deve saper parlare anche a questi militanti avviando da subito e sul serio il rinnovamento e la moralizzazione.
Su questa proposta chiediamo agli iscritti e alle iscritte il consenso per restituire alla CGIL una dimensione conflittuale e classista, confederale e democratica.
2.1) UNA VERTENZA GENERALE
Dalla cancellazione della scala mobile il 31 Luglio del 1992 e con l'accordo del 23 Luglio del 1993 si è consolidata una politica di riduzione dei salari dei lavoratori dipendenti che ha comportato una perdita, per il biennio '94-'95, per il solo scarto tra inflazione programmata ed inflazione reale, del 3.5% del potere di acquisto dei salari.
Insieme al taglio della spesa sociale, alla controriforma delle pensioni, al taglio degli ammortizzatori sociali e del sostegno al reddito, alla precarizzazione del lavoro e alla crescente disoccupazione si è determinato un processo generale di impoverimento delle classi lavoratrici che aumenta le disegualianze tra ricchi e poveri, accresce l'insicurezza sociale, introduce inaccettabili divisioni e gerarchie tra i lavoratori, marginalizza sempre più il mezzogiorno d'Italia dagli assetti sociali ed economici del paese.
Si pone con tutta evidenza una emergenza salariale non solo come recupero dell'inflazione ma anche come salvaguardia dei livelli di vita e di consumo popolari.
Gli ultimi rinnovi contrattuali hanno visto aumenti che al massimo hanno raggiunto il tetto di inflazione programmata del biennio '94-'95 (3.5 per il '94 e 2.5 per il '95) mentre l'inflazione reale viaggia oggi ('95) verso il 6%.
Si pone dunque la necessità di una rivalutazione generale dei salari e degli stipendi che recuperi integralmente il potere di acquisto perso con l'accordo del 23 Luglio ad oggi (3.5 % circa 130.000 mensili).
Le categorie nel rinnovo del secondo biennio del contratto nazionale, con una inflazione programmata del 6.5% nel biennio '96-'97, poiché questa si rivela nei fatti un vincolo solo per i salari, non possono più porla a base degli aumenti salariali se non con l'introduzione di un meccanismo automatico di recupero dello scarto.
In ogni caso, essendo in un fase di ripresa economica che vede crescere il PIL, il puro recupero dell'inflazione non può essere il tetto invalicabile della dinamica salariale.
Va dunque impostata una vertenza generale per il recupero del potere di acquisto di salari e stipendi che ponendo l'obiettivo di un recupero salariale uguale per tutte le categorie ha il valore di sottolineare il fatto che tutti i lavoratori hanno di fronte a loro gli stessi problemi e che ne rivendicano la soluzione attraverso obiettivi che ne consolidino unità e solidarietà, in particolare verso i lavoratori più deboli sul piano contrattuale.
Con questa proposta di vertenza generale sul recupero del potere di acquisto di salari e stipendi, si aprono spazi alla contrattazione nazionale di categoria per affrontare anche la ridefinizione degli inquadramenti nella nuova organizzazione del lavoro, e alla contrattazione aziendale per affrontare il controllo della prestazione lavorativa sia sui salari aziendali (da non legare alla redditività dell'impresa) che sulle condizioni di lavoro, la salute, l'organizzazione del lavoro, i turni e gli orari di fatto.
Porre una vertenza generale sul salario significa anche rivendicare il mantenimento su tutto il territorio del principio ad uguale lavoro uguale salario respingendo le richieste di introdurre nuovamente le gabbie salariali per il Sud nonché le ulteriori flessibilità salariali relative all'estensione dei contratti di formazione lavoro.
2.2) LA NUOVA SCALA MOBILE
L'eliminazione della scala mobile il 31 Luglio del 1992 e l'introduzione della politica del redditi con l'accordo del 23 Luglio del 1993, che si è rivelata politica di un solo reddito, quello dei lavoratori dipendenti, ha dimostrato nei fatti la propria negatività.
Non è accettabile allora pensare ad una continua rincorsa per recuperare il potere di acquisto eroso dall'inflazione con la conseguenza di comprimere tutta l'azione sindacale al raggiungimento di questo risultato.
Va quindi reintrodotto un meccanismo di recupero automatico del potere di acquisto dei salari rispetto all'inflazione; ciò può avvenire su base annua corrispondendo a fine di ogni anno la quantità relativa al riallineamento con l'inflazione reale.
La reintroduzione di un meccanismo di riallineamento automatico di salari e stipendi rispetto all'inflazione è connesso ad un recupero di senso della contrattazione nazionale di categoria che dovrà vedere, per la sua parte salariale, rinnovi in cui sia compresa la redistribuzione della produttività e la previsione realistica dell'inflazione per la vigenza contrattuale; in tal modo si rompe la gabbia dell'accordo del 23 Luglio che consentirebbe al massimo un recupero parziale dell'inflazione.
3.1 OCCUPAZIONE E SVILUPPO
Il modello della competizione sul mercato mondiale, dell'uso di tecnologie per risparmiare lavoro e della crescita di produttività del lavoro senza redistribuzione hanno come condizione ed obiettivo la crescita della disoccupazione, la precarizzazione del lavoro, la disgregazione della classe lavoratrice e l'affermazione dell'individualismo.
Va respinto nei luoghi di lavoro e nel territorio, come sul piano legislativo, ogni atto teso a disgregare la classe lavoratrice attraverso la estensione del lavoro a termine stagionale, del lavoro interinale e delle attività di consulenza svolte all'interno delle imprese committenti.
L'occupazione e la riduzione dell'orario di lavoro rappresentano quindi il terreno centrale di scontro tra lavoratori e padronato sul piano sindacale, culturale, politico. E' in gioco il futuro della società, gli spazi di giustizia, le possibilità di agire liberamente.
La redistribuzione del lavoro tra tutte e tutti, tra aree geografiche di alto e basso sviluppo, cosicchè sia il lavoro a redistribuirsi e non la gente a migrare; la riduzione dell'orario a parità di salario che, tenendo conto del rapporto tra lavoro produttivo e riproduttivo, ridefinisca anche tempi e modi di lavoro a misura di donne e di uomini; la creazione di nuovo lavoro che risponda alle esigenze insoddisfatte di servizi sociali e di produzione agricola e manifatturiera ed alta intensità di mano d'opera che sia finanziato e sostenuto dall'intera collettività; rappresentano l'insieme di obiettivi di lotta per l'occupazione.
Dietro la cosiddetta flessibilità si sta aprendo la strada ad orari di fatto ben superiori alle 40 ore settimanali, alla precarizzazione dei rapporti di lavoro e alla destrutturazione del mercato del lavoro.
Anche nel pubblico impiego sono in forte espansione i contratti a termine e i contratti a prestazione d'opera per lavori normali, l'utilizzazione di personale in lavori socialmente utili viaggia verso il 10% della forza lavoro.
Il collocamento sta per essere smantellato e privatizzato, gli ispettori del lavoro mancano (2.000) e vengono in parte sostituiti dai Carabinieri, la chiamata diretta ormai sostituisce persino la chiamata nominativa, i soggetti deboli possono avere il periodo di prova allungato in deroga a leggi e contratti, l'intermediazione privata di manodopera, sia legale che non, e' ormai pratica; sul lavoro interinale, gia' di per se' negativo, c'e' un pessimo disegno di legge governativo in Parlamento, cosi' come chiedono le multinazionali del settore.
Gli anni '80 hanno diffuso nuovamente tra lavoratrici e lavoratori vecchi pregiudizi nei confronti delle persone con disabilità per il 90% delle quali il lavoro resta un sogno; va ottenuto a loro favore reali "pari opportunità" nel pieno riconoscimento dei loro diritti di libertà e autodeterminazione.
La internazionalizzazione dei mercati toglie sovranità allo stato-nazione che abbiamo conosciuto; la CGIL opera per l'affermazione di entità istituzionali sovranazionali e multietniche in cui tutte le comunità interessate possano riconoscersi; dalle risposte che darà nel prossimo futuro sul lavoro e sul suo tempo, sulla sua distribuzione e sulla sua qualità, il sindacato potrà dare un importante contributo ad una società più giusta.
3.2 LA RIDUZIONE DELL'ORARIO A PARITA' DI SALARIO
Mentre il padronato ed il governo intendono rispondere alla disoccupazione attraverso una redistribuzione regressiva delle occasioni di lavoro cioè tramite la precarizzazione, il lavoro interinale, le gabbie salariali e l'estensione dei CFL, il Sindacato e la CGIL debbono proporre la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a 35 ore a parità di salario come compenso della produttività e come scelta sociale delle pubbliche istituzioni.
Già da ora, a partire dalle situazioni di crisi industriali, la riduzione dell'orario deve essere rivendicata in alternativa agli esuberi; in tal modo si apre concretamente la strada affinchè la prossima stagione dei rinnovi contrattuali avvenga nel quadro di una vertenza generale per la riduzione dell'orario a 35 ore a parità di salario da articolarsi poi nei CCNL.
Nei cicli continui, nelle attività a 3 turni avvicendati, nei settori dove viene richiesto un aumento dell'utilizzo degli impianti o il prolungamento dell'attività degli uffici e degli sportelli la riduzione deve raggiungere le 32 ore.
Per la riduzione dell'orario può essere realizzato un fondo di sostegno pubblico riconvertendo una parte delle risorse destinate alla CIG, ai finanziamenti per i prepensionamenti e una parte dei consistenti incentivi alle imprese.
Sul piano contrattuale la contrattazione aziendale e i prossimi CCNL dovranno destinare alla riduzione dell'orario la parte preponderante degli incrementi di produttività.
L'articolazione non contraddice il carattere generale e confederale dell'iniziativa per la riduzione dell'orario che deve vedere un collegamento e coordinamento a livello europeo.
Per questo la CGIL si farà portatrice presso la CES, ma anche con rapporti bilaterali con i sindacati europei, di una proposta di realizzare il 1 Maggio 1996 una giornata di lotta europea per la riduzione dell'orario con manifestazioni nazionali in tutte le capitali.
3.3 CREARE LAVORO, PER I LAVORI FUORI MERCATO, PER LA NATURA E LA PERSONA
La creazione di nuovi lavori non solo e' necessaria ma anche possibile: sia attraverso la redistribuzione del lavoro con la riduzione d'orario, sia con il rilancio della produzione agroalimentare e manifatturiera che attraverso l'espansione dei servizi sociali.
Elemento essenziale sara' sia il rilancio della ricerca e progettualita' sia la formazione e riqualificazione professionale.
E' ormai evidente che nè il mercato nè lo stato sono in grado di rispondere efficacemente alle domande reali delle persone, e che anzi sempre più le persone e la natura vengono a questi sacrificati.
E' quindi decisivo che il movimento operaio abbia il suo punto di vista, le sue proposte ed il suo progetto di lavori necessari a migliorare il benessere dei singoli e della collettività, l'ambiente (in particolare il recupero del territorio) e la solidarietà internazionale.
In particolare nel Sud del nostro paese possono essere progettati e realizzati nuovi lavori che sappiano rispondere a vecchi e nuovi bisogni sia degli abitanti che del territorio.
Occorre rivedere drasticamente la normativa attuale sui lavori socialmente utili, una sorta di lavoro nero legalizzato e sottopagato, per lanciare una grande campagna di espansione dei "lavori sociali", possibilmente gestiti in proprio dallo Stato e dagli Enti locali. Schierarsi contro il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego.
Cominciare a far diventare operativi i progetti lanciati anni fa da Legambiente e assunti dal movimento sindacale sarebbe un primo passo concreto, cui far seguire e accompagnare l'espansione di servizi alla persona, al territorio, all'ambiente, alla mobilita' territoriale (ad es. invece dell'alta velocità il risanamento dei centri storici delle città).
Si tratta di lavori a forte componente umana e forte valenza sociale i cui benefici ricadrebbero sull'intera collettivita', su cui dovrebbero quindi ricadere i costi.
Riproduzione e produzione sono, ancora oggi, visti come fatti separati, l'una attiene alla sfera del privato, l'altra del sociale; è uno scarto che va colmato a partire dalla difesa della legislazione sulle lavoratrici madri con l'obiettivo del prolungamento dell'astensione obbligatoria e periodi congrui di congedi parentali.
3.4) IL SOSTEGNO AL REDDITO
La riduzione dell'orario, la redistribuzione del lavoro e a creazione di nuovo lavoro che sono le risposte generali al problema occupazionale non possono far dimenticare che è necessario dare prime ed immediate risposte a chi il reddito non ce l'ha: le disoccupate e i disoccupati, chi svolge lavori saltuari, precari, part-time, chi sta perdendo il lavoro.
In questo quadro devono diventare obiettivi immediati di tutta la CGIL e di tutte le categorie l'innalzamento dell'indennita' di disoccupazione al 40%, la riorganizzazione degli ammortizzatori sociali, il superamento della loro applicazione ai soli settori della grande industria, la loro copertura contributiva a pieno titolo.
3.5 DIFENDERE L'AUTONOMIA CONTRATTUALE E IL DIRITTO DI SCIOPERO DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI PUBBLICI E DEI SERVIZI
La difesa dello stato sociale passa attraverso la riqualificazione e valorizzazione del lavoro pubblico; il blocco delle assunzioni riproposto da ogni legge finanziaria ha come conseguenza la riduzione e privatizzazione dei servizi.
La stretta connessione tra qualità dei servizi e qualità del lavoro rende necessario ampliare gli spazi di intervento sull' organizzazione del lavoro e dei sevizi e sulla qualificazione professionale di tutti i soggetti interessati; va così rimosso lo storico sottoinquadramento dei dipendenti utilizzato come forma di risparmio.
Vanno conquistati maggiori spazi contrattuali attraverso la revisione del decreto 29 (privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego) che ha tolto diritti e impone troppi vincoli a partire da quelli preventivi di bilancio.
La parificazione dei diritti contrattuali tra lavoratori pubblici e privati passa solo attraverso lo sviluppo delle contrattazione sia di categoria che integrativa che deve prevedere un forte decentramento contrattuale e di gestione delle risorse economiche; ciò presuppone la piena autonomia di enti e aziende.
La legge 146/90, fortemente limitativa del diritto di sciopero, nacque sull'onda di un frainteso modo di difendere i lavoratori utenti dei servizi pubblici.
E' attualmente in atto una campagna di attacco alla libertà di sciopero che punta ad una sua ulteriore limitazione tramite procedure di raffreddamento, referendum preventivi, aumento dei periodi di franchigia.
Viene propagandata l'ideologia secondo la quale lo sciopero è un rapporto tra persone e non una manifestazione del conflitto presente nell'attuale società; se il sindacato rinuncia a difendere il diritto di sciopero proponendo "scioperi virtuali" finisce per diventare "virtuale" esso stesso.
Il sindacato confederale deve essere promotore e garante di un patto intercategoriale fra i lavoratori del settore, i lavoratori delle altre categorie, le associazioni e i cittadini per la difesa, il potenziamento, la gestione dei servizi pubblici, superando in tal modo l'attuale normativa.
4.1 STATO SOCIALE E SOLIDARIETA'
Senza uno stato sociale compiuto solidarietà e' una parola vuota, per questo occorre rilanciare con forza l'idea di stato sociale universalistico e combattere l'ipotesi dilagante di stato sociale residuale, per i poveri, per i meno abbienti, di servizi sostitutivi di altre fonti di reddito.
Schierarsi contro le privatizzazioni dei servizi ha anche questo significato, perche' solo una gestione pubblica puo' garantire universalita' e gratuita' delle prestazioni, puo' garantire alti livelli di servizi a tutte e tutti e condizioni di pari trattamento alle operatrici e agli operatori che siano dipendenti pubblici o privati.
La tendenziale privatizzazione della previdenza, della sanita', della scuola, dei trasporti, dell'energia, dell'acqua, vanno in senso diametralmente opposto, garantendo chi gia' ha e penalizzando sempre piu' chi non ha i mezzi economici per garantirsi un livello minimo di servizi, con l'esito di dividere sempre piu' e in modo sempre piu' drastico la nostra societa' in due classi sempre piu' separate.
4.2 SPESA PUBBLICA E FISCO
La possibilità di praticare una politica sociale consistente dipende tanto dalle decisioni di spesa quanto dalle risorse che una adeguata politica fiscale progressiva riesce a produrre.
Così, prima di porre mano a qualsiasi riduzione delle spese sociali, occorre operare sulle entrate tributarie colpendo qualsiasi forma di evasione; in questo senso va radicalmente respinta la politica della normalizzazione del reato tributario implicita nei vari tipi di condono, su questa strada infatti si legalizza in modo definitivo il furto da sempre praticato dalle classi più abbienti.
Al contrario occorre rivendicare una imposizione fiscale equa e direttamente rapportata alla ricchezza, a partire dalla patrimoniale.
Sotto questo profilo è evidente che tutti i redditi personali e sociali vanno colpiti da imposta e, poiché la ricchezza finanziaria contribuisce ai redditi privati quanto la ricchezza immobiliare, anche i redditi che essa produce, così come ogni altro reddito, dovrebbero essere soggetti a tassazione.
Anzi, dato il sistema di imposizione progressiva, in virtù del quale i redditi più elevati sono colpiti con aliquote più forti, i redditi derivanti dalla ricchezza finanziaria dovrebbero, al pari degli altri, confluire nella dichiarazione resa annualmente dal contribuente; questo principio trova già applicazione in alcuni paesi (per esempio in Danimarca e nei Paesi Bassi).
Naturalmente una iniziativa di questo genere colpisce la connivenza tra politica di indebitamento del Tesoro e gli interessi dei sottoscrittori dei titoli pubblici (specialmente coloro che ne posseggono un gran numero), basata sul fatto che quei titoli, essendo al portatore, sono sottratti a qualsiasi imposta che non sia una ritenuta secca alla fronte.
Sia per la patrimoniale che per i titoli di Stato, va stabilita una quota esente riferita alla prima casa e ad un valore di titoli che salvaguardi il risparmio familiare (100-200 milioni).
4.3 PREVIDENZA
Gli ultimi tre anni sono stati caratterizzati da un durissimo attacco alla previdenza pubblica che rappresenta una delle architravi dello stato sociale; ciò è avvenuto sia attraverso le leggi finanziarie e sia attraverso specifici provvedimenti ( legge 503 '92 Amato - legge 335 '95 Dini).
Già la mancata risposta del sindacato contro i provvedimenti di Amato fu un grave errore a cui cercò di fare fronte il movimento di lotta dei consigli autoconvocati sino alla manifestazione nazionale a Roma del 27 Febbraio 1993.
L'attuale normativa conseguente alla controriforma pensionistica del governo Dini risulterà peggiore rispetto a quella esistente prima della riforma del 1969 sia per quanto riguarda la percentuale di rendimento di pensione sul salario, sia per le condizioni di accesso alla pensione ( età pensionabile minima, contribuzione minima, pensioni di anzianità ).
Ridimensionata organicamente con la controriforma la previdenza del futuro, un nuovo attacco sarà rivolto entro breve nei confronti dei lavoratori che diverranno pensionati durante la fase di transizione attraverso la cosiddetta clausola di salvaguardia che prevede la possibilità di ridurre le prestazioni se le gestioni dei fondi risultassero in disavanzo.
Nei lavori stagionali, nel lavoro precario e nelle prestazioni assistenziali le più colpite saranno le donne, così come egualmente nella rivalutazione dei vecchi salari per il calcolo della pensione.
Sin dal 1 Gennaio 1996, con l'istituzione dell'assegno sociale previsto dalla legge 335/95 in sostituzione dell'attuale pensione sociale, si determinerà un abbassamento dei limiti di reddito ai fini del conseguimento del diritto all'assegno medesimo da 15.500.000 a 6.280.000 lire annue.
Con la controriforma delle pensioni il padronato viene facilitato nel realizzare l'obiettivo di una diminuzione del costo del lavoro attraverso la riduzione dei contributi previdenziali; il capitale finanziario e le compagnie di assicurazione, con l'istituzione della previdenza complementare avranno a disposizione grandi quantità di danaro da gestire; il governo potrà continuare a non rispettare gli obblighi di legge verso l'INPS di rifonderlo dell'assistenza erogata per le mancate entrate contributive, per la fiscalizzazione degli oneri sociali e per gli interventi a sostegno dell'occupazione.
La situazione impone di riaprire la partita previdenziale; il sindacato deve costruire un movimento di massa che si basi sui seguenti obiettivi:
- Contro l'evasione contributiva
Il governo, ma anche l'isitituto, hanno grandi responsabilità favorendo di fatto l'evasione attraverso l'accettazione della riduzione del personale ispettivo; la nuova legge, anziché provvedere all'ampliamento degli organici, attribuisce alla guardia di Finanza il compito di accertare l'evasione contributiva che viene incentivata dai continui condoni che incoraggiano le aziende ad evadere e versare la contribuzione solo se scoperte.
Il sindacato deve dunque chiedere il ripristino dei 2500 ispettori previsti dall'organico INPS in luogo degli attuali 1500 effettivi; nel medio termine l'organico va raddoppiato.
La legge 335/95 va radicalmente modificata nei punti più iniqui ed antisolidaristici, in particolare:
a) va garantita la possibilità per i lavoratori dipendenti di andare in pensione di anzianità con 35 anni di contributi previdenziali, indipendentemente dall'età anagrafica.
b) stante il fatto che la legge 638/83 stabilisce un minimale retributivo su cui versare la contribuzione previdenziale, va stabilito un minimale di pensione mensile non inferiore ad 1/15 (un quindicesimo) dell'attuale minimo INPS (ad oggi lire 41.763) per ogni anno di contribuzione versata; il minimale dovrebbe essere liquidato a partire dal 60 anno di età, senza alcun limite minimo di contribuzione.
c) vanno ripristinate al 1 gennaio 1996, anche per i titolari di assegno sociale, le tipologie ed i limiti di reddito già esistenti per il diritto alla pensione sociale di cui va elevata dalle attuali 125.000 lire a lire 250.000 mensili la maggiorazione.
Per i pensionati al minimo senza altri redditi, ultrasessantacinquenni e soli, va aumentata dalle attuali 80.000 lire a 150.000 lire mensili la maggiorazione a questo fine spettante.
d) i lavoratori che hanno svolto più di 3/4 (tre quarti) della loro attività lavorativa impegnati in lavori manuali, possono andare in pensione a 60 anni di età senza alcuna riduzione dei rendimenti pensionistici.
In questo senso sono da considerare forme di previdenza integrativa gestita dall'INPS sia il recupero di forme esistenti nel passato nelle società operaie prima della generalizzazione dell'assicurazione previdenziale obbligatoria.
Anche l'innalzamento dell'età per la pensione di vecchiaia, da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 anni per gli uomini, aumenterà il numero delle persone senza reddito in quanto difficilmente, se espulse dal processo produttivo, troveranno una occupazione.
Si pone dunque la necessità di rivendicare per i soggetti di età superiore ai 50 anni ed espulsi dal processo produttivo una indennità di disoccupazione pari all'80%.
Il sistema sanitario italiano, come quello psichiatrico, erano tra i più avanzati del mondo e furono conquistati con battaglie congiunte delle operatrici ed operatori del settore e dell'intero movimento sindacale; gratuità, universalità, prevenzione, carattere pubblico, coinvolgimento degli utenti.
Ma la riforma del 1980 è stata contrastata fin dal suo nascere, con infiniti ostacoli frapposti alla sua realizzazione fino alla controriforma Amato caratterizzata da tetti di spesa, tickets, mito della gestione manageriale e privatistica.
La salute è un diritto primario che non può sottostare alle logiche di mercato e del profitto; il grande capitale, assecondato dai governi succedutisi negli ultimi anni, vuole inserirsi sempre più in un settore che può portare molti utili.
Abbondano in Italia, soprattutto al Sud, le strutture private convenzionate, cioè pagate dal pubblico e caratterizzate da lunghi ricoveri e interventi di bassa specializzazione mentre al pubblico viene lasciata la parte più onerosa di intervento sanitario, in parte pagata dal malato attraverso i tickets e per il resto pagata dai lavoratori dipendenti attraverso la contribuzione.
- La spesa sanitaria va spostata dalla contribuzione ( limitata a pochi soggetti e non progressiva rispetto al reddito) alla fiscalità generale (coinvolgendo quindi tutti i cittadini con progressività fiscale).
- Va rilanciato il servizio pubblico come universale e gratuito, intervenendo per razionalizzare la spesa (es. revisione del prontuario farmaceutico eliminando i prodotti dannosi, inutili, i doppioni inutilmente costosi), valorizzando il lavoro e la professionalità delle addette e degli addetti e rimettendo in campo il controllo degli utenti.
4.5 I SERVIZI SOCIALI
Meno Stato piu' mercato: lo slogan degli anni ottanta sta sempre piu' diventando realta', con attacchi alle riforme conquistate attuati attraverso le non applicazioni o con gestioni opposte ai principi ispiratori.
Il movimento sindacale e in esso la CGIL ha introiettato la filosofia dell'avversario sul fallimento dell'intervento pubblico e l'efficienza del privato; si è così favorita l'evoluzione della crisi dei servizi pubblici favorendone lo smantellamento.
Inoltre il bisogno di ridurre la spesa pubblica è accompagnato anche da elementi culturali: trasformare l'idea di diritto universale in risposta residuale, se non caritatevole, ai bisogni dei piu' deboli, ovvero poveri, e riproporre l'idea della famiglia, ovvero donna, come ambito, soggetto che da' prioritariamente risposte ai bisogni.
Del resto questo ben si coniuga con la risposta tutta capitalistica, maschilista, alla disoccupazione femminile che la destra avanzante ripropone come modello sociale basato sulla famiglia e sulla divisione dei ruoli tra uomo e donna.
E' quindi necessario riprendere la battaglia, con tutti i suoi connotati economici, culturali e sociali, per l'espansione dei servizi sociali in Italia, a partire da quelli diretti alla persona, al territorio e all'ambiente, rivendicandone il ruolo pubblico e l'alta valenza sociale.
Va rimessa al centro la gestione pubblica dei servizi, abolendo quelli a domanda individuale e redistribuendone gli oneri fra tutti attraverso la fiscalità generale, facendo divenire punti qualificanti:
-L'assistenza domiciliare, la cura dell'infanzia, dei portatori d'handicap
-La cura e salvaguardia del patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale
-L'espansione dei trasporti collettivi
Una sostanziale parita' di trattamento tra le lavoratrici e i lavoratori che svolgono lo stesso lavoro, sia questo alle dipendenze del pubblico sia questo alle dipendenze di una azienda privata o cooperativa possono fungere anche da deterrente alla privatizzazione dei servizi il cui minore costo è dovuto al maggior sfruttamento, minori diritti e minori salari degli addetti.
Va parimenti contrastato il blocco delle assunzioni nei settori pubblici riproposto da ogni legge finanziaria: più servizi necessitano più occupazione.
Il diritto alla formazione e all'istruzione è tra i principi fondamentali della nostra Costituzione e di qualunque società democratica e va dunque ben oltre la semplice risposta alla richiesta di un servizio.
Questo diritto va riconosciuto pienamente in tutte le fasi della vita: il diritto ad una formazione di base, obbligatoria, unitaria ed orientativa, il diritto a conseguire un istruzione per l'ingresso nel mondo del lavoro, il diritto ad una formazione permanente e ricorrente.
L'innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni, con la prospettiva di una piena scolarità sino a 18 anni è pertanto prima di tutto una conquista di civiltà.
L' attuale sistema scolastico è segnato da gravi carenze di base (particolarmente presenti nell' istruzione superiore ove da più di 50 anni si attende una riforma) che sono state in parte aggravate dalle numerose modifiche dei programmi attuate per via amministrativa e spesso in sintonia con la logica dei tagli di bilancio.
Per diversi anni anche la sinistra politica si è sottratta al compito di ridefinire il ruolo della scuola nella società di fronte all'aumento delle conoscenze, ai cambiamenti sociali ed allo sviluppo dei sistemi di comunicazione.
L'insieme di questi fattori sta producendo nuove diseguaglianze ed emarginazioni.
Il sistema formativo pubblico deve essere quindi profondamente trasformato e riqualificato attraverso una politica di riforme ed un assetto istituzionale fondato sull'autonomia come autogoverno, sulla partecipazione determinante ed il coinvolgimento di coloro che operano nella scuola, sull'affermazione dei diritti degli studenti e dei genitori, sulla riqualificazione e valorizzazione del lavoro scolastico, sulla verifica delle procedure, sulla valutazione e controllo dei risultati, sul superamento del centralismo burocratico.
L'attuale tendenza politica che pone prioritariamente la modifica dell'assetto istituzionale e' da contrastare poiche' mira ad esaurire la riforma stessa nell'aspetto dell'autonomia in un sistema in cui lo stato garantirebbe solo le risorse per il funzionamento minimo ed introducendo la logica di mercato per consentire alle singole unita' scolastiche di migliorare l'offerta formativa.
Al contrario si deve porre quale prioritaria la riforma degli ordinamenti, dalla scuola materna all'universita', partendo da una ridefinizione dei tempi della formazione e dell' istruzione in relazione ai tempi della vita e del lavoro.
Tale processo di trasformazione si puo' realizzare solo rovesciando l'attuale tendenza di riduzione continua degli investimenti per l'istruzione. L'obbiettivo e' quello di riportare a livelli europei il rapporto tra PIL e risorse impiegate per la formazione ovvero incrementare tale rapporto almeno del 5%.
Il luogo in cui si realizza il diritto all'istruzione e alla formazione è la scuola pubblica, aperta a tutti i cittadini, pluralistica nel progetto formativo ed educativo ed unitaria nelle sue finalità.
Le scuole private, costituzionalmente garantite nella libertà di definire le proprie finalità, esistono in quanto espressione di tendenze culturali e religiose e quindi non svolgono una funzione per tutti i cittadini o in altre parole non perseguono finalità pubbliche e quindi non possono accedere sotto qualsiasi forma al finanziamento pubblico; pertanto deve essere modificato l'art.6 della finanziaria nella parte in cui prevede il finanziamento della scuola privata.
Il Mezzogiorno negli anni delle grandi ristrutturazioni, dei processi di deindustrializzazione delle grandi aree urbane, della demolizione dello stato sociale ha accumulato un ritardo di qualità, una distanza di civiltà dalle aree forti del centro-nord Italia e dall'Europa.
Si vanno sperimentando nel Mezzogiorno modelli di intervento e di relazioni fra le classi che rischiano, se non combattute efficacemente, di estendersi all'intero paese.
L'ipotesi delle gabbie salariali, il "modello Melfi" e più in generale le scelte di politica economica del governo Dini (libro bianco, ecc..) costituiscono la cartina di tornasole di questa sperimentazione.
Contemporaneamente la selezione selvaggia operata dal mercato, non contrastata dalla linea contrattuale del sindacato, ha disegnato per il Mezzogiorno un ruolo funzionale e subordinato alle scelte di sviluppo delle aree forti.
Il tasso di disoccupazione è in Italia dell'11%, nel sud del 20%, con cinque regioni meridionali dove si supera abbondantemente il 20% (Campania, Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata); questo enorme esercito di riserva, la compressione dentro ambiti di vita, di cultura e di domande sempre più ristrette determinano le condizioni per abbattere strutturalmente, sotto il pressante bisogno, il costo del lavoro, lo spazio e la qualità dei servizi fondamentali.
E' questo il segno pesante che portano le sconfitte sindacali subite all'Alenia di Pomigliano, nel Sulcis, nella siderurgia e nella cantieristica in perfetta continuità con il degradare delle aree urbane a Napoli, Palermo, Taranto, Cagliari, Reggio Calabria, con la caduta di funzione del ciclo scolastico, della sanità, del sistema dei trasporti, di tutti i servizi diffusi.
La bassa produttività del territorio diviene obiettivo programmatico dei governi, rende strutturale la precarietà e la esclusione dai poteri.
Come ben evidenziano il caso della Fiat di Melfi, il selvaggio ampliamento del regime degli orari, l'arretramento dei livelli di sicurezza sul lavoro, l'abbattimento degli strumenti di sostegno al reddito per i lavoratori in mobilità e cassa integrati, le imprese e il governo tentano di imporre in maniera permanente il superamento delle garanzie e delle quantità contrattuali conquistate con le grandi lotte degli anni '60 e '70, contro le gabbie salariali, per la valorizzazione del mezzogiorno.
Occorre che il movimento sindacale riprenda la battaglia meridionalista, archiviando la linea di subalternità alla logica di mercato.
L'Italia rischia di subire un processo di marginalizzazione e marginalità del proprio apparato produttivo e dei servizi, come dimostra l'estrema esposizione dei settori nevralgici quali l'aereonautica, i trasporti, le telecomunicazioni, la formazione, l'agroalimentare.
Bisogna invertire le politiche degli anni delle privatizzazioni, dello smantellamento delle sedi direzionali, della ricerca.
Debbono ripartire gli investimenti mirati per attivare nelle grandi aree urbane del mezzogiorno le politiche di avviamento immediato al lavoro di migliaia di giovani, dei lavoratori espulsi dalla produzione nelle attività di difesa del territorio, dell'ambiente, di cura delle persone, di funzionamento dei servizi.
Le migliaia di miliardi conquistati dal movimento di autunno vanno utilizzati per rilanciare, dopo la nefasta fase dell'intervento straordinario, la ripresa dei distretti industriali, per consentire il decollo di progetti di qualificazione urbana, di riorganizzazione delle funzioni di sostegno alla produzione e alla civiltà, di valorizzazione della storia, delle culture e delle risorse ambientali e locali.
Si impone l'immediata apertura di una vertenza generale per il lavoro, che riunifichi il fronte di lotta e le tante frantumate esperienze prodotte dai processi di espulsione.
Le sfide aperte nella città di Napoli, di Palermo, nelle tante aree, ove i cittadini del mezzogiorno hanno avuto la forza di mandare a casa la vecchia classe politica, vanno vissute anche dal versante del lavoro, della qualificazione dei servizi, non solo come rivisitazione del tessuto urbano.
7) DEMOCRAZIA DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI E UNITA' SINDACALE.
7.1 LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA SINDACALE
La riforma democratica del sindacato e del sindacalismo è oramai una urgenza imprescindibile la cui disattenzione può innescare per il sindacato processi simili a quelli che hanno travolto i partiti della cosiddetta prima repubblica.
Un atteggiamento di sordità rispetto all'esito dei referendum sindacali rappresenta un errore che la CGIL non vuole percorrere e vuole combattere a partire da un rilancio dell'iniziativa per una legge sulla rappresentanza.
7.2. RUOLO DELLE RSU
Le vicende di questi ultimi anni dal movimento dell'autunno '94 al referendum sull'accordo pensionistico, hanno evidenziato il ruolo essenziale delle RSU e del loro protagonismo nella lotta sindacale, nella battaglia per una riforma democratica e classista del sindacato, nella prospettiva di una unità sindacale costruita sui luoghi di lavoro e non sulle burocrazie.
E' proprio dalla esperienza delle RSU che riemerge con forza un modello di democrazia sindacale non gerarchica e non centralizzata.
Non è la pura contrapposizione di una presunta base buona contro un presunto vertice cattivo ma l'individuazione dei soggetti centrali sui quali incardinare una riforma democratica del sindacato; è una linea politica che richiede di rappresentare gli interessi le soggettività, i modi di pensare di lavoratrici e lavoratori a partire dal luogo in cui si svolge la loro esperienza lavorativa e sindacale.
- Gli eletti nelle RSU sono gli unici legittimi rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici iscritti e non iscritti nei luoghi di lavoro; la RSU ne è l'espressione collettiva che ha sempre il diritto/dovere di pronunciarsi e di agire su ogni questione che possa influenzare direttamente o indirettamente le condizioni materiali e morali dei lavoratori.
- La elezione delle RSU va generalizzata in tutti i luoghi di lavoro superando le resistenze ancora presenti in ampi settori sindacali; per questo è utile procedere, laddove necessario per sbloccare la situazione, alla elezione dell'organismo promossa dalla sola CGIL o autogestita dai lavoratori.
- Va superato il terzo riservato alla nomina sindacale per le elezioni che da oggi in poi si determineranno; per le RSU già elette in cui il terzo è già stato nominato, tali delegati, per questo solo mandato, dovranno svolgere solamente un ruolo specifico di rappresentanza del sindacato in azienda quale proselitismo, servizi agli iscritti, ecc.
- Va respinta qualsiasi riproposizione di monopolio della rappresentanza definendo criteri di rappresentatività dei sindacati che si basino sugli iscritti e sui risultati nelle elezioni delle RSU.
- Gli accordi a tutti i livelli vanno sottoposti obbligatoriamente a referendum attraverso regole democratiche che permettano la pari dignità alle diverse opinioni.
- Nei luoghi di lavoro la RSU rappresenta l'agente unico che detiene i poteri contrattuali e li esercita in piena autonomia con il supporto delle Organizzazioni Sindacali.
- Nei luoghi di lavoro la rappresentanza delle Organizzazioni Sindacali non detiene potere contrattuali ma assolve i compiti di rappresentanza, proselitismo, patronato ecc.
7.3 LO STATUTO DELLE RSU ED IL PATTO CON LE ASSOCIAZIONI
SINDACALI.
Le prerogative ed i compiti delle RSU sopra descritti devono trovare applicazione nella forma dello Statuto della Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU) che dovrà contenere regole di democraticità della sua vita interna, di trasparenza delle decisioni, di garanzie di pluralismo interno, di finanziamento, di separazione del ruolo di rappresentanza unitaria dei lavoratori da quello di rappresentanza in garanzia del rispetto delle norme sulla salute e sulla sicurezza.
Su questa base va stabilito formalmente un patto democratico tra Organizzazioni Sindacali e RSU in cui si riconoscono i rispettivi ruoli e si garantiscono parimenti l'autonomia contrattuale delle RSU e i diritti e l'agibilità politico-organizzativa delle OO.SS. in azienda.
7.4 PER L'UNITA' SINDACALE DI TUTTE LE LAVORATRICI E LAVORATORI.
La necessità dell'unità sindacale risiede nell'urgenza di ricostruire l'unità del mondo del lavoro a partire dalla rappresentanza degli interessi dei lavoratori e lavoratrici, dei pensionati, dei disoccupati e deve realizzarsi a partire dai luoghi di lavoro.
L'esigenza della costruzione nel nostro paese di un nuovo soggetto sindacale generale che sia portatore di un progetto sociale innovativo quanto ad obiettivi, valori e cultura non è la sommatoria di CGIL-CISL-UIL, va oltre, e richiede loro una profonda trasformazione.
Si tratta di un processo, di un obiettivo, nient'affatto scontato, che non può essere risolto con una assemblea costituente che, allo stato attuale delle divergenze della CGIL con CISL e UIL, assumerebbe ancora di più i caratteri di un patto di vertice.
Si tratta invece di aprire una fase costituente di confronto e dialettica politica che costruisca le condizioni concrete e necessarie per il nuovo sindacato unitario.
- L'assunzione della rappresentanza contrattuale di tutte le lavoratrici e lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato, nel pieno rispetto della formazione delle decisioni attraverso il voto di mandato sulle piattaforme e il voto di validazione degli accordi;
- Il riconoscimento del ruolo di rappresentanza dei lavoratori agli organismi eletti unitariamente e liberamente nei luoghi di lavoro (RSU) compreso il loro carattere di agente unico contrattuale in sede aziendale;
- La definizione di regole democratiche di pluralismo e rappresentanza in grado di garantire nel processo unitario la presenza proporzionale di tutte le componenti del sindacalismo italiano;
- Una collocazione di reale autonomia dal quadro politico e dal governo.
Non essendo oggi prevedibili le forme e i tempi che assumerà la fase costituente, la CGIL nel suo XIII Congresso avanzerà questa proposta a CISL e UIL e a tutto il sindacalismo italiano ed individuerà, in piena autonomia, il percorso e le iniziative per raggiungere questo obiettivo.
8.1 IL RINNOVO PERIODICO DELLE DELEGHE
Nella passata Conferenza di organizzazione era stato formalmente deciso il rinnovo delle deleghe, è ora dunque necessaria l'apertura immediata del rinnovo come autonoma riforma in direzione di una legge che preveda il rinnovo periodico mentre va scartata la via contrattuale in quanto sarebbe sottomessa al ricatto del padronato. Già con il tesseramento '96 bisogna procedere al rinnovo secondo le seguenti direzioni:
- rendere periodica la validità della delega (4 anni)
- rendere immediata l'efficacia della disdetta.
8.2 FINANZIAMENTO, DISTACCHI E PERMESSI, MORALIZZAZIONE
Il finanziamento della CGIL deve ritornare a basarsi sul tesseramento e sul contributo volontario degli iscritti e dei lavoratori; vanno eliminate tutte quelle fonti di finanziamento quali quote di servizio o comunque finanziamenti diretti od indiretti di tipo consociativo con la controparte.
L'attacco che la destra sociale e politica sta attualmente conducendo contro le libertà sindacali trova terreno favorevole non soltanto per la consistenza della opinione pubblica moderata ma anche per le accuse di uso improprio che, in parte, nel recente passato, sarebbe stato fatto di distacchi e permessi.
Anche sull'uso della legge 252, legge giusta che ha permesso a militanti politici e sindacali che, nel passato, hanno lavorato, di necessità, in condizioni non regolari nei sindacati e nei partiti, di vedere riconosciuti i contributi previdenziali, sono stati avanzati sospetti di irregolarità.
L'eventualità di accertamento di alcune irregolarità da parte della magistratura se da un lato fornisce una ragione aggiuntiva per un processo di moralizzazione nel sindacato, dall'altro non può far dimenticare come ciò avvenga in un clima in cui si tenta di presentare l'attività sindacale come un costo e non invece una risorsa per la società.
La CGIL deve sancire nel suo congresso regole interne vincolanti volte a definire l'assoluta trasparenza su queste materie e contemporaneamente avanzare proposte volte a precisare i margini di ambiguità presenti nelle norme attuali; sono queste le condizioni per una difesa, recupero e ampliamento della legge 300 e delle agibilità nel pubblico impiego non soltanto per l'organizzazione sindacale ma soprattutto per i delegati e i lavoratori.
In particolare va ricontrattato l'accordo con l'Aran sulle agibilità sindacali nel P.I. a partire dalla base minima della legge 300 per conquistare ulteriori spazi sui permessi nei luoghi di lavoro.
8.3 FINANZIAMENTO DEI COMITATI DEGLI ISCRITTI
Il rinnovo delle deleghe sindacali rappresenta l'occasione per rendere operativo il finanziamento dei Comitati degli iscritti destinando ad essi il 10% delle tessere rinnovate.
8.4. LA RIDUZIONE, QUALIFICAZIONE ED ELEZIONE DEMOCRATICA
DEGLI APPARATI SINDACALI.
Spostare le risorse provenienti dalle deleghe verso i luoghi di lavoro significa innanzitutto invertire il processo di continua crescita dell'apparato funzionale, non solo per la riduzione delle risorse, ma per destinare parti crescenti delle libertà e agibilità sindacali verso i delegati e i quadri non a tempo pieno.
In questo modo gli apparati sindacali svolgono più precisamente una funzione di servizio, prima che di direzione, verso gli iscritti e verso gli eletti nei luoghi di lavoro, devono essere sempre meno "polivalenti" e sempre più preparati e qualificati.
Anche per questi motivi va riformata la modalità di elezione dei gruppi dirigenti; per i primi livelli territoriali di categoria e confederali gli iscritti debbono poter conoscere e valutare direttamente nel proprio congresso di base i candidati alle segreterie, in tal modo la coerenza tra programmi e responsabilità di gestione assume una migliore trasparenza .
Per i gruppi dirigenti ed esecutivi a tutti i livelli va assunto il modello delle RSU; preferenza unica su più eleggibili.
Per i primi livelli territoriali e di categoria il funzionario sindacale deve essere eletto nell'assemblea dei comitati degli iscritti in modo da superare l'assegnazione per cooptazione dell'incarico funzionariale.
Va comunque superata la pratica della identificazione tra funzionario sindacale e appartenenza ad una segreteria così come i ruoli elettivi di direzione da quelli di supporto tecnico e scientifico; anche nelle strutture di piccole dimensioni nelle quali la separazione tra il ruolo di segretario e quello di funzionario è più difficile vanno comunque adottate forme parziali e reversibili di impegno nell'organizzazione che permettano l'accesso ai ruoli di direzione ai non funzionari a tempo pieno.
Pur registrando una maggiore presenza delle donne negli organismi dirigenti, rimane ancora da realizzare l'obiettivo di una CGIL di donne e di uomini.
9.1 NORD E SUD DEL MONDO
Il crollo del bipolarismo USA-URSS, seguito dallo sfaldamento dell'URSS a cui ha fatto seguito un multipolarismo politico ed economico, non ha aperto una nuova fase di pace e di sviluppo per i popoli e le nazioni ma ha invece accentuato gli squilibri arricchendo sempre di più un ristretto numero di paesi (Nord del mondo) e gettandone nella miseria e nel sottosviluppo un numero crescente (Sud del mondo).
Dei 5 miliardi di popolazione mondiale il 5% vivono negli USA e Canada, il 6% nell'Unione europea e il 4% nei paesi industrializzati dell'Asia; ciò significa che il 15% della popolazione mondiale detiene il 72% della produzione e del consumo di merci e servizi.
Il modello economico e sociale del capitalismo liberista non solo fonda il proprio sviluppo sul sottosviluppo del Sud ma impone nei paesi industriali politiche economiche e sociali antipopolari di smantellamento dello stato sociale e di compressione dei redditi dei lavoratori.
La guerra torna ad essere di nuovo lo strumento di soluzione dei conflitti sia quando si tratta di mantenere il controllo delle risorse energetiche (guerra del golfo) che quando si tratta di imporre le soluzioni delle grandi potenze nelle crisi nazionali (intervento in Bosnia).
Un nuovo ordine mondiale basato sulla pace e sulla cooperazione tra i popoli può solo essere dato dall'affermarsi del diritto di ogni popolo e nazione al proprio sviluppo, al rispetto dei diritti umani fondamentali, alla salvaguardia dell'ecosistema, alla rinuncia del militarismo e del riarmo nucleare.
Solo un movimento operaio e sindacale che ritrovi la propria ragione di essere nel carattere fondante di unità, lotta, cooperazione e coordinamento tra i lavoratori di tutti i paesi contro le politiche economiche e sociali che hanno ormai dimensione internazionale, può dare il proprio contributo al costruirsi di un nuovo internazionalismo dell'epoca del mercato mondiale.
Il flusso costante di immigrati provenienti dal Sud del mondo è un fenomeno durevole che deve vedere il sindacato non solo operare sul terreno della solidarietà ma su quello dei diritti dei lavoratori immigrati contrastando leggi emergenziali che introducono diritti separati su basi razziali ed etniche; la regolarizzazione di chi già lavora pur non in possesso di permesso di soggiorno, il diritto al voto amministrativo, l'accesso al sistema sanitario e alla previdenza, servizi di accoglienza e una politica per l'alloggio, sono gli obiettivi attraverso i quali realizzare un processo di solidarietà ed unità tra lavoratori immigrati e locali.
Ci vuole una legge, profondamente diversa dal recente decreto sulle espulsioni, sull'ingresso ed il soggiorno degli immigrati che contenga proposte concrete sull'uscita dalla clandestinità, sull'integrazione, sulle opportunità di lavoro, sul ricongiungimento familiare.
La solidarietà internazionale e l'impegno per la cooperazione debbono unirsi ad un impegno per la CGIL ad operare nelle sedi internazionali ( CISL, ecc..) per i seguenti obiettivi:
- Modifica profonda del Fondo Monetario Internazionale congelando il debito accumulato dai paesi sottosviluppati
- Scioglimento delle alleanze militari (Nato, ecc.) e riduzione degli arsenali destinando le spese per armamenti ad usi sociali
- Destinare una percentuale del PIL dei paesi sviluppati per finanziare lo sviluppo dei paesi del Sud
In questa direzione è necessaria una azione della CGIL tesa a riunificare il movimento sindacale tra CISL internazionale e aggregazioni sindacali che raccolgono sindacati di paesi non sviluppati o con modelli sociali diversi da quelli occidentali.
9.2 PER UN'EUROPA SOCIALE CONTRO QUELLA DI MAASTRICHT
L'Europa con il trattato di Maastricht viene costruendosi attraverso vincoli economici e monetari imposti ai singoli paesi; l'allineamento passivo dell'Italia al motore tedesco dell'unificazione europea e della moneta unica per il '99 condiziona pesantemente la politica economica del nostro paese in termini di salari e spesa sociale.
L'unità europea del capitale contro i lavoratori non deve farsi; c'è la necessità di modificare profondamente il processo avviato a Maastricht rendendo protagonisti del processo di unità le popolazioni ed i lavoratori mettendo a fondamento non la moneta ma le garanzie sociali.
La CGIL deve svolgere un ruolo determinante per la costruzione di una politica comune dei sindacati europei sull'immigrazione che porti ad una impostazione contraria alla logica di "Fortezza Europa" in direzione invece di un'Europa multietnica dei lavoratori che garantisca a tutti i diritti sociali e di cittadinanza.
E' necessario contrastare le attuali tendenze a trasformare in senso professionale ed offensivo l'esercito italiano perseguendo invece una ancora più marcata caratterizzazione difensiva, non professionale ma popolare, orientata sul territorio piuttosto che verso la costituzione di corpi speciali, garantendo appieno il diritto all'obiezione di coscienza.
9.3 LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DELLA CONTRATTAZIONE
Non c'è stata vertenza nazionale importante in questi ultimi anni che non sia stata anche europea ed internazionale.
Dalla Fiat alla chimica e alla siderurgia, le vertenze dell'Alenia, dell'Italtel e dell'Olivetti si svolgono e vengono determinate in un contesto che non è solo nazionale.
Nel sindacato manca una visione adeguata di questi problemi ed una azione conseguente nella direzione di un collegamento sindacale internazionale che abbia sbocchi vertenziali; solo in pochi casi sono stati costituiti i comitati d'impresa nelle multinazionali come indica una direttiva comunitaria.
La CGIL deve dunque attivarsi per trasformare la CES in una confederazione di carattere anche vertenziale che promuova piattaforme europee sia generali che di gruppo e organizzi con i comitati d'impresa una rete di delegati a livello continentale.