Seminario nazionale di Alternativa Sindacale Filcea - 26/27 marzo 1997 Sul salario diretto La crisi del modo di produzione Fordista e della relativa ac- cumulazione Keynesiana, trovano risposte, da parte dell'in- teresse di capitale, in strategie ordinate su: 1) Riduzione del salario diretto Occupazione 2) Riduzione del salario diretto Retribuzione 3) Attacco e deformazione delle normative difensive, di so- stegno e di erogazione del salario diretto in tutte le sue forme, per rendere disponibile ed asservire la F.L. alle condizioni di utilizzo che la ristrutturazione richiede. Infatti, se dal lato della ristrutturazione e del passaggio dal modo di produzione Fordistico alla nuova fabbrica integrata e flessibile, e' funzionale per il Capitale sostenere comunque la sua remunerazione attraverso politiche di riduzione del salario e dell'occupazione (redistribuzione di ricchezza dai salari a favore dei profitti), perche' questa ristrutturazione di- venti stabile deve investire anche le forme della societa', del salario e delle sue forme, delle norme che regolano l'occupazione e le sue forme, affinche' tutti i soggetti e le or- ganizzazioni siano asservite ai caratteri, alle esigenze ed agli interessi della nuova fabbrica flessibile. A questo scenario conflittuale, fa riscontro una inadeguata risposta da parte delle organizzazioni sindacali, sia sul pia- no quantitativo del salario che sul piano delle forme del sa- lario. Inadeguata perche' caratterizzata dall'incapacita' di lettura di quelle che sono le condizioni dello scontro (analizzate dal punto di vista dell'interesse di F.L.) e dalla conseguente subalternita' al punto di vista del capitale (linee produttivistiche, concertative e centralita' del mercato). Ogni aspetto della lotta difensiva viene visto e trattato a se' stante, alla luce delle singole contingenze e compatibilita' con la razionalita' economica (centralita' del mercato, linee monetaristiche ecc.) operando cosi una frammentazione nell'osservazione generale delle condizioni concorrenziali e delle strategie che in esse agiscono. L'azione sindacale e' condannata ad una perdita di senso, ad una carenza di autonomia e strategia che la vincola al punto di vista del realismo del mercato, nell'illusione, propria della scelta concertativa, di poter contribuire alla soluzione della crisi, e di partecipare in qualche modo, in un secondo tempo, alla spartizione dei risultati. La perdita di senso dell'azione sindacale, la sua subalternita' al punto di vista del capitale, non ha solo favorito l'efficacia delle pressioni per la riduzione quantitativa di salario diretto (sia dal lato dell'occupazione che da quello della retribuzio- ne), ma si e' resa complice di una strategia di ristrutturazione dell'intero quadro normativo, legislativo e contrattuale, fun- zionale all'utilizzo che il capitale intende fare di questa ridu- zione. Solo in questo modo e' possibile spiegare la degenerazione che hanno subito le parole d'ordine di una linea difensiva ordinata sulla contrattazione del "giusto salario" e della "difesa dell'occupazione" nel loro esatto contrario. La politica di difesa del salario si e' piegata alle logiche pro- duttivistiche delle flessibilita' e delle incentivazioni di merito e per obiettivo, della remunerazione di posto o di mansione. La politica di difesa dell'occupazione, nella sua forma di ri- duzione generalizzata dell'orario, si e' trasformata in politica dei regimi di orario, in aumento dell'intensita' di lavoro. L'illusione concertativa, vista soprattutto con gli occhi della situazione attuale, dimostra tutta la sua precarieta' e velleita'. Il salario complessivo-globale, la massa salariale, si sono notevolmente ridotti, a fronte di una ripresa della produzione e delle produttivita' da tutti riconosciuta piu' che soddisfacen- te a sostegno dei profitti e delle rendite, senza che cio' abbia favorito la pur minima redistribuzione a favore dei lavoratori e delle loro famiglie. Recuperare una linea difensiva adeguata alle condizioni attuali dello scontro di classe, richiede quindi una spregiudi- cata critica dell'ultima esperienza sindacale, ed una messa a fuoco del " Che fare " a partire da una lettura dei caratteri attuali dello scontro concorrenziale tra capitale e F.L. L'attacco al salario diretto dal lato del- l'occupazione Fino ai primi anni '90, le pressioni di riduzione dell'occupa- zione, si sono realizzate in un quadro normativo che po- tremmo definire di "assistenza all'occupazione". Dall'immediato dopo guerra, e fino agli anni 1975/80 la le- gislazione Italiana si e' orientata infatti, per approssimazioni successive, verso politiche di sostegno alla permanenza sul mercato del lavoro di quei lavoratori precarizzati da rischio occupazionale, con misure di salvaguardia del reddito e con il riconoscimento della titolarita' del posto di lavoro. Prima con la CIG ordinaria, a tutela di precarizzazioni mo- mentanee, causate da mancanza di commesse ed ordini, o per improvvise fermate causate da eventi di forza maggiore ed urgenze manutentive. Poi (fine anni '60) con la CIG straordinaria o speciale, a tute- la di precarizzazioni occupazionali conseguenti ad interventi o crisi strutturali, aziendali e di settore, o conseguenti a piani di ristrutturazione e riconversione produttiva. Con questo quadro normativo, la precarizzazione della condizione di occupato risulta `assistita' per periodi piu' o meno lunghi (comunque quasi sempre prorogabili: vedi grandi gruppi). Il perno di questo sistema era la "titolarita' del posto di lavoro " che prevedeva l'eventualita' di un rientro a parita' di condi- zioni, salariali e professionali, ed assistito da normative ed iniziative di sostegno come la formazione professionale e la contrattazione della mobilita'. Possiamo affermare che il capitale si e' trovato a svolgere le proprie azioni sui livelli occupazionali in un quadro di rap- porti di forza favorevoli ai lavoratori, ed in un quadro politico di "stato sociale" che permetteva azioni di sostegno ed as- sistenza ai problemi occupazionali. Cio' e' ancor piu' vero alla fine degli anni '70 con l'avvicina- mento del PCI all'area del governo, e col coinvolgimento del sindacato nei processi di negoziazione e formazione della politica sociale. Il quadro normativo, che abbiamo chiamato della "assistenza all'occupazione", e' pero', e prima di tutto, il risul- tato dello scontro di classe proprio del periodo Fordista nella sua fase di sviluppo e di tenuta. Ed e' proprio la crisi di questo modello, la distruzione del suo processo produttivo e la necessita' del capitale di liberare ri- sorse da rendere disponibili alla formazione di un nuovo modo di organizzare la produzione di merci, che sta alla ba- se degli attacchi che il capitale lancia al quadro normativo di "assistenza all'occupazione", per affermare un nuovo qua- dro, piu' consono ai suoi attuali interessi, che potremmo de- finire della "disoccupazione assistita", se non addirittura della disoccupazione tal quale. II processo di produzione Fordistico, finche' era favorito dal- l'espansione (sostenuto da favorevoli margini di remunera- bilita') ha certo subito, ma considerandolo compatibile a se', lo sviluppo di un quadro normativo di "assistenza all'occu- pazione ". Le prime crisi di valorizzazione (anni 69/72) erano conside- rate congiunturali, e quindi momentanee ed accidentali, e cosi e' fino alla fine degli anni '70, dove le evidenti difficolta' di valorizzazione, continuavano ad essere spiegate con sfortunate congiunture e periodi di recessione dei mercati. In realta' non di questo si tratta. E' il modello Fordista della produzione lineare a flusso continuo che ha ormai esaurito la propria carica innovativa. Per questo ci troviamo di fronte a forti esplosioni ed accelerazioni critiche, seguite da mo- mentanee ed apparenti riprese e ripresine. Ma la base Fordistica non era messa in discussione, e le ri- sposte di capitale erano orientate dall'illusione che tutto si sarebbe risolto con sforzi di razionalizzazione dell'organiz- zazione della produzione, sostenuti con forti riduzioni dei costi occupazionali e salariali. Il ricorso alla CIG, assieme alle altre normative di sostegno ad essa collegate, era lo strumento principale con cui si operava in attesa di un superamento delle recessioni, anche se queste, ormai, si susseguivano ad intervalli sempre piu' brevi. Gli accordi sindacali erano tutti interni a questo quadro ot- timistico, per cui si accettavano sacrifici, sia salariali sia di ricorso alla CIG, pensando con cio' di contribuire alla ripresa. Veniva in pratica accettata come valida, sia la risposta di capitale tesa a realizzare una riduzione dei salari (politica dei sacrifici e del ridimensionamento della pressione riven- dicativa, compatibilita' dei comportamenti sindacali con le esigenze di produttivita', competitivita' e mercato), sia la chiusura dei cosi detti "rami secchi" ed obsoleti, nella con- vinzione di liberare cosi risorse da destinare a favore di in- vestimenti piu' remunerativi che avrebbero, in un secondo tempo, ridato fiato alla situazione occupazionale. Nello stesso modo si comporta il quadro politico, che so- stiene questa convinzione con una continua azione di pro- roga delle normative di sostegno ed assistenza all'occupa- zione. Ma le crisi generali degli anni tra il 1980 ed il 90, dimostrano che il modello Fordista non riesce piu' a valorizzare il capita- le investito. Certo, ancora si sviluppano tentativi di riorga- nizzazione del processo di produzione Fordista, ma i limiti di questa azione sono evidenti, e sempre piu' (vedi la crisi e le ristrutturazioni degli anni '90/94) si deve procedere alla di- struzione della base tecnica Fordista (a flusso lineare) ed alla sua riorganizzazione sul modello della fabbrica integrata e flessibile. Processo di distruzione e di riorganizzazione della produzione che coinvolge direttamente anche la F.L. occupata. Certo la F.L. non piu' riutilizzabile in questo quadro, e' ancora mantenuta, con una politica di proroghe, in una situazione da "occupazione assistita", ma con sempre meno possibilita' di reimpiego, ed a poco o nulla servono tutte le normative di sostegno alla ricollocazione prodotte in quegli anni (corsi di formazione, liste di mobilita' a favore dei lavoratori in CIG ecc.). Il sistema Fordistico si esaurisce, e con esso diventano inu- tilizzabili gli assetti normativi propri del precedente periodo di sviluppo e tenuta, che ora invece appaiono come vincoli e rigidita' non piu' compatibili con l'interesse di capitale. Il si- stema della "assistenza all'occupazione" va in crisi, attacca- to da una strategia di capitale che ha come linea quella di una generale deregolamentazione per l'eliminazione di qualsiasi vincolo alle scelte di liberta' di impresa (quindi an- che quella di licenziare) che possa interferire sull'obiettivo del profitto. Il Capitale diventa insofferente a qualsiasi solidarieta' e re- sponsabilita' sociale, e pone se' stesso alla testa di un attac- co ideologico contro gli "sprechi", contro lo "stato sociale", contro le politiche di "assistenza", per la centralita' del mer- cato e del profitto come unico valore valido e regolatore delle leggi della societa'. D'altronde, gia' in un documento Confindustriale del Dicem- bre 1984, si poteva leggere: "L'efficienza dell'impresa e la continuita' dei rapporti di lavo- ro, sono stabiliti dalle regole del mercato, in una scelta che distingue nettamente e con rigore le esigenze di una attivita' economica (alla quale va concessa massima liberta'), dal- l'assistenza". Ed ancora ... "La scelta coraggiosa di un'ampia liberalizzazione del mer- cato del lavoro in entrata ed in uscita (il licenziamento come momento naturale della storia lavorativa e non come trauma caricato di significati negativi, morali, psicologici e religiosi), e' la via alternativa ad inutili e costose operazioni vetero- Keynesiane". In sostanza, la strategia di capitale, e' orientata: Contro la " titolarita' degli esuberi " attraverso pressioni di deformazione degli istituti di CIG. Per la riduzione delle risorse disponibili a sostegno della "assistenza all'occupazione" e per il loro trasferimento a politiche di sostegno all'impresa. Per la liberalizzazione del mercato del lavoro, in entrata in uscita, con conseguenti modifiche delle norme che re- golano i rapporti di lavoro. Liberta' di assumere e di li- cenziare in qualsiasi momento a seconda delle necessi- ta', senza sottostare a vincoli o rigidita' di sorta. La crisi, ed il passaggio dalla fabbrica Fordista a flusso li- neare (che legava fortemente la singola F.L. ad un posto di lavoro, e che permetteva la compatibilita' di un quadro nor- mativo di assistenza all'occupazione), ad un nuovo modello di produzione, della fabbrica integrata e flessibile (che rom- pe il legame tra F.L. e posto di lavoro), modifica sostanzial- mente anche lo scenario e le condizioni dello scontro di classe. Da un lato, l'affermazione di nuove tecnologie e di nuovi modelli organizzativi, riduce il tempo di lavoro necessario alla produzione di merci e la quantita' globale di lavoro prestato, con conseguente espulsione e marginalizzazio- ne di masse di F.L. dal ciclo produttivo. Dall'altro, e' lo stesso valore d'uso della F.L., formatasi nella fabbrica Fordista, a non essere piu' utilizzabile. Questa F.L. viene precarizzata, resa disponibile alle mu- tate condizioni di utilizzo flessibile, proprie dei nuovi mo- delli organizzativi, e quando cio' non fosse possibile, vie- ne espulsa. Inoltre, anche le forme dei rapporti di lavoro e le normative generali, vanno modificate e rese compatibili alle nuove esi- genze di capitale, alle nuove condizioni di uso e consumo di F.L., a cui la F.L. va resa malleabile e disponibile. In questo quadro, il ricorso ad uno strumento come la CIG, con le caratteristiche che attualmente ha ancora questo strumento, non e' piu' compatibile con l'interesse di capitale. Il sistema normativo dell'occupazione assistita e' semmai un vincolo, una rigidita' che non permette, con la titolarita' degli esuberi e con la rigidita' delle forme del rapporto di lavoro, quella assoluta liberta' di licenziare ed assumere che le aziende rivendicano, e va quindi smantellato. L'azione di smantellamento e di trasformazione del prece- dente quadro normativo, si avvia concretamente con la leg- ge 223 del 1991, che prevede, dopo un periodo di CIG (2 anni, prorogabili a 3), il passaggio dei lavoratori eccedenti ad una lista di mobilita' (detta di mobilita' corta) per un perio- do di due anni, risultando cosi praticamente licenziati e de- caduti dal diritto alla titolarita', che in questo caso cessa di essere un onere per l'impresa. L'iscrizione alle liste di mobilita' corta, garantisce ancora un relativo sostegno al reddito (pari all'indennita' di CIG), ma per le caratteristiche di questa condizione, tale indennita' si configura piu' come assegno speciale di disoccupazione, che decade comunque alla scadenza del secondo anno. La legge 223, sostanzia cosi il passaggio verso un sistema normativo che potremmo chiamare della "disoccupazione assistita ", con successiva e conseguente disoccupazione tal quale. Non e' ancora la tanto rivendicata liberta' di licenziare, ma poco ci manca. Ed in effetti le pressioni di capitale per la deregolamenta- zione delle norme, non si esaurisce con la legge 223. A parte il tentativo "Pannella", per l'abolizione dell'istituto di CIG, sono note le dichiarazioni del ministro Tiziano Treu, che indica la CIG come uno strumento superato, non piu' in grado di sostenere l'occupazione e troppo oneroso per le casse dello stato. Dichiarando conclusa la fase delle "facili proroghe", si indi- ca altresi la necessita' di rivedere sia la durata che l'ammon- tare dell'indennita' della CIG , e si sostiene inevitabile disat- tivare altri ammortizzatori sociali quali la mobilita' di accom- pagnamento alla pensione e gli stessi prepensionamenti. La liberta' di licenziare e' cosi posta all'ordine del giorno dello scontro di classe. Le condizioni attuali dello scontro di classe sul problema occupazione. La strategia di capitale, sia dal lato della distruzione della base tecnica Fordista, sia dal lato di una sua trasformazione e mutamento nella nuova fabbrica flessibile ed integrata, necessita, per essere sostenuta, di una destrutturazione- ristrutturazione dei dispositivi normativi di riferimento, e di un maggior coinvolgimento, anche ideologico, delle orga- nizzazioni sindacali, agli obiettivi della flessibilita' e della produttivita'. Tutto cio' puo' essere cosi riassunto. A) Dal lato della lotta ideologica. L'impresa ed il mercato come referenti principali dell'interes- se generale. La risposta ai problemi del paese sta nella ri- presa dell'accumulazione e dei profitti, senza i quali non c'e' sviluppo e distribuzione di ricchezza. Qualsiasi altro punto di vista e' "vecchio", e chi lo sostiene e' "pazzo". La stessa propensione difensiva della F.L. e' considerata retaggio di tempi andati e sinonimo di spreco ed inefficiente assistenzialismo. Ogni condizionamento di tipo sociale (come la stessa salvaguardia dell'occupazione) e' attaccato e ridotto ad ostacolo del libero svilupparsi dell'attivita' eco- nomica (leggi "profitto") dell'impresa. L'interesse della F.L. e le stesse organizzazioni sindacali, devono dimostrare "responsabilita'", e quindi, disponibilita' a concorrere alla ripresa dell'accumulazione rendendosi mal- leabili ed asserviti alle necessita' della ristrutturazione, al bi- sogno di flessibilita' ed al perseguimento di maggior produt- tivita' ed efficienza. Naturalmente tutto cio' viene spudoratamente presentato come l'unico modo per affrontare i nuovi termini della realta', per non restare legati a "vecchi sistemi", e per essere quindi creativi e innovativi, valorizzando la liberta' di scelta degli individui ed i valori della persona umana, contro ogni forma di "oppressione burocratica" che deriva dalle organizzazioni e dalle contrattazioni collettive. La liberalizzazione del mercato del lavoro, in entrata ed in uscita, l'assenza di vincoli e di tutele, diventa occasione di liberta' e sviluppo individuale, fuori da ogni oppressione delle potenzialita' soggettive, immaginandosi cosi scenari idilliaci dove i lavoratori vanno e vengono, dove il tempo di disoccupazione diventa "tempo libero" per la creativita' e la formazione, dove "precario e' bello". Cosi le esigenze di capitale vengono presentate e sostenu- te nella forma subdola di liberazione dal lavoro. La flessibili- ta' diventa "liberta' di poter uscire ed entrare liberamente" dal mercato del lavoro, con enormi possibilita' di liberta' indi- viduale. In realta', con la crescente centralita' dell'impresa e del mer- cato, con la parallela flessibilizzazione della condizione la- vorativa, tende invece ad aumentare la dipendenza del la- voro salariato. Si ha, in pratica, quello che potremmo chiamare "effetto alone" e cioe' l'interferenza dei problemi del lavoro anche e ancor di piu' nella sfera del tempo libero. In una struttura produttiva dove tutto e' flessibile (gli orari, i turni, le mansioni, il rapporto di lavoro e la sua localizzazio- ne) , l'effetto alone rischia di avvolgere la totalita' del tempo di vita. Se dovesse infatti affermarsi il "lavoro in affitto", il massimo prototipo del lavoro flessibile, quanto sarebbe il tempo perso nell'attesa, nella ricerca, nel tenersi disponibile, nei continui spostamenti, nel riprogrammarsi in continuo del- l'esistenza?. In fondo non e' gia' questa la condizione di milioni di disoc- cupati che vivono di sottooccupazione, di precariato, di la- voro ad intermittenza?. Quanto del loro tempo e delle loro energie fisiche e mentali, vengono impiegate, consumate, quasi sempre inutilmente, nella ricerca e nell'attesa di una minima occasione di impiego?. Proprio mentre il lavoro dovrebbe avere una minore impor- tanza sui tempi di vita (con la tanto decantata tecnologia che libera dalla oppressione), avviene un processo inverso per cui alcuni sono costretti a lavorare sempre di piu', con i tempi di lavoro che invadono prepotentemente tutta la loro sfera privata, mentre altri occupano buona parte del loro tempo nella affannosa, quanto inutile ricerca di un lavoro. Tutto questo e' inequivocabilmente una follia. B) Dal lato della distruzione della vecchia base tecnica Fordistica. L'esaurimento delle possibilita' di sviluppo della vecchia ba- se tecnica Fordista, non si traduce immediatamente in un mutamento . Per un lungo periodo ancora, che possiamo definire precedente al mutamento, il capitale agira' sulla data base tecnica disponibile, per creare e sfruttare ogni condizione utile alla realizzazione di una sufficiente accumu- lazione con cui sostenere il necessario salto qualitativo verso una nuova organizzazione della produzione. Il capitale che non riesce piu' a valorizzarsi andra' distrutto (chiusura di fabbriche, di linee, di attivita') mentre dove risul- tera' possibile una adeguata valorizzazione, questa dovra' essere sostenuta ad ogni costo (razionalizzazioni, riduzioni di organico, riduzione dei costi, aumento dell'intensita' di la- voro, e della flessibilita', peggioramento della sicurezza sul lavoro), piegando a questo punto di vista la propensione difensiva della F.L. occupata e delle sue organizzazioni sin- dacali. Gran parte delle ristrutturazioni degli ultimi anni e di quelle in corso, e gran parte degli accordi sindacali firmati, sono infatti orientati verso una razionalizzazione dell'esistente (sia dal lato della distruzione di cio' che non serve piu', che dal lato di rendere piu' remunerativo cio' che ancora puo' es- sere spremuto e sfruttato). La riorganizzazione e razionalizzazione dell'esistente, per essere efficace, deve liberarsi di ogni rigidita' e vincolo. La F.L. deve essere resa disponibile, sotto il ricatto occupazio- nale, all'incremento della produttivita'. Ed in questi casi, l'aumento della produttivita' non e' mai il risultato di nuovi in- vestimenti e di innovazioni tecnologiche, ma il risultato di una maggiore intensita' e flessibilita' della prestazione di contro ad una riduzione dei salari e della base occupaziona- le (aumento dello sfruttamento). Funzionale a questo quadro, diventa la liberta' di licenziare. Sia per sostenere l'obiettivo della riduzione dell'occupazio- ne (chiusure di azienda o rami di azienda, aumento dello sfruttamento con conseguente abbattimento dei costi sala- riali), sia per sostenere l'asservimento della F.L. superstite e delle organizzazioni sindacali, alle maggiori pretese di capi- tale. Funzionale a questo quadro, diventa cosi l'attacco al siste- ma normativo della "assistenza all'occupazione", ed ai di- spositivi difensivi ancora contenuti nelle pattuizioni contrat- tuali (straordinario, flessibilita', incentivi salariali, disattivazio- ne delle recenti conquiste in materia di orario, assunzioni a termine ecc.). C) Dal lato del mutamento e dell'affermazione della nuo- va fabbrica flessibile ed integrata. L'affermazione del nuovo modello di produzione, proprio della fabbrica integrata e flessibile, se e' posta con forza dal punto di vista delle necessita' di capitale in generale, trova non poche difficolta' a realizzarsi concretamente. Il limite oggettivo di cio', sta nella disponibilita' delle ingenti quantita' di capitale che sono necessarie alla realizzazione del salto tecnologico ed organizzativo. In alcuni settori, come l'auto e l'informatica, e, piu' in genera- le, in alcuni comparti dell'industria manifatturiera, il pas- saggio dalla produzione a flusso lineare a quella flessibile ed integrata, ha sinora trovato piu' applicazioni, ma soprat- tutto cio' e' stato possibile dove esistevano disponibilita' di capitale. Dove cio' si e' realizzato, l'incremento di produttivita' e' stato notevole. Negli stabilimenti FIAT, quindici anni fa occorre- vano 170 ore di lavoro per produrre una autovettura media, oggi, con la robotizzazione, con la flessibilita' dell'organiz- zazione ne bastano 14 di ore. Non tutto questo miracolo e' dovuto al progresso tecnologico, una parte e' certo il risulta- to di un aumento dell'intensita' del lavoro e dello sfruttamen- to, ma la sostituzione di lavoro vivo con le macchine e la flessibilizzazione del lavoro e degli orari, per il risparmio di F.L., resta il fattore determinante. Ma al di la' delle quantita' di mutamento realizzato, e' la cultu- ra e l'interesse di capitale che sono ormai orientate deci- samente verso questo sbocco. Condizione per l'affermazione del nuovo modello di produ- zione flessibile, e' la flessibilizzazione della forza lavoro, la sua precarizzazione e disponibilita' ad essere impiegata quando e dove serve, e solo se serve. Anche e soprattutto in questo scenario, diventa strategico per il capitale, il riuscire a liberalizzare il mercato del lavoro sia in entrata che in uscita. Perche' la produzione flessibile possa scorrere fluida e libera da rigidita' e vincoli, e' neces- sario che tutti i fattori della produzione si adeguino a questa condizione, soprattutto il consumo di F.L. Il quadro normativo e contrattuale, non deve impedire que- sta condizione, anzi, la deve comprendere ed affermare come normalita'. All'assunzione non deve corrispondere il diritto ad un posto di lavoro. Il trovarsi a lavorare in un posto deve essere per- cepito come una condizione momentanea da cui si puo' uscire. L'impresa non deve accollarsi l'onere di garantire una stabilita' occupazionale, ma solo fornire occasioni mo- mentanee e compatibili con le proprie esigenze produttive. Massima flessibilita', dunque, nelle forme del rapporto di la- voro. Ad una minoranza, sempre piu' esigua di F.L. occupa- ta stabilmente, il cui valore d'uso e' immediatamente funzio- nale al sostegno ed al controllo della nuova fabbrica flessibi- le, e che sara' sempre piu' costretta a piegarsi a qualsiasi superlavoro e straordinario, deve far fronte una maggioran- za di F.L., disoccupata e disponibile ad accettare qualsiasi lavoro in condizioni di precarieta' occupazionale, disponibile a qualsiasi concorrenza nei confronti della "e'lite" stabile, con gravi rischi di abbassamento della qualita' del lavoro, della sicurezza e della vita, se non della stessa democrazia in fabbrica. Gli strumenti per la realizzazione di cio', sono tutti compresi nella liberta' di licenziamento e nella liberta' e flessibilita' dell'assunzione. Della liberta' di licenziamento abbiamo gia' detto, ed il qua- dro e' caratterizzato dalla deregolamentazione di tutti quei dispositivi normativi, come la CIG, di sostegno all'occupa- zione, e dall'affermazione di normative, a partire dalla L. 223 del '91, che liberino l'azienda da ogni responsabilita' sociale e titolarita' delle eccedenze prodotte. Sulla liberta' di assunzione e sulla precarizzazione dell'occupazione, il quadro normativo e' in definizione e sara' una delle questioni principali all'ordine del giorno della lotta sindacale dei prossimi mesi. Si tratta di modellare al meglio istituti come i contratti di formazione lavoro che si chiede vengano allargati anche alle categorie professionalmente piu'' basse, favorendo cosi assunzioni a termine, a salario ridotto e sostenute con sgravi fiscali e previdenziali che nulla hanno a che vedere con la formazione. E' il caso delle assunzioni a termine a carattere stagionale e precario il cui utilizzo, oltre ai settori tradizionali quali l'agri- coltura ed il terziario, si propone di estendere il piu' possibile anche nell'industria. Ma soprattutto e' il caso della legalizzazione del lavoro inte- rinale a cui il capitale guarda con interesse come strumento di regolamentazione organica e stabile delle nuove forme di rapporto di lavoro. L'obiettivo e' far diventare il lavoro, il piu' flessibile possibile, precario, interinale, dove per interinale si intende che il lavo- ratore puo' essere affittato da un'azienda all'altra, passando per periodi di inattivita' e disoccupazione, puo' essere im- piegato o meno, in una logica di deregolazione generale, di assenza di regole e tutele. Proprio quello che richiedono oggi i mercati e l'interesse di capitale in nome della compe- titivita' globale. La situazione attuale Allo stato attuale, dopo l'accordo confederale che apriva la strada alla realizzazione di una legge sul lavoro interinale, sono state presentate in parlamento diverse proposte di legge sulla materia (dalla Lega Nord, da Forza Italia, fino alle piu' organiche proposte Giugni e Mastella), oggi com- prese e risolte dalla proposta del Ministro Treu. L'attacco al salario diretto dal lato della retribuzione Una delle risposte del capitale alla crisi di valorizzazione, e' la riduzione dei costi, quindi anche dei salari. La riduzione del salario avviene, sia riducendo l'occupazione (massa dei salari), sia attaccando le retribu- zioni nominali. E' fuor di dubbio che l'interesse di capitale abbia posto la ri- duzione del salario, in tutte le sue forme, al centro della propria strategia in tutti questi ultimi anni, a partire dall'attacco e smantellamento della scala mobile e di ogni forma difensiva del potere d'acquisto (automatismi ecc.), fi- no alla subordinazione della stessa rivendicazione e azione di difesa salariale agli obiettivi, vincoli e compatibilita' del si- stema. In fabbrica con la riduzione dell'occupazione e la subordi- nazione del salario agli obiettivi della riduzione dei costi, re- cuperi di produttivita', competitivita' ecc. la dinamica salariale e' stata cosi compressa che (e nessuno ormai puo' piu' con- traddirlo) i salari oggi non risultano piu' tutelati neppure ri- spetto all'andamento dell'inflazione reale, elemento questo che e' stato l'architrave di tutte le politiche ed accordi di scambio sociale di questi anni, dall'EUR in poi. In generale con lo smantellamento del salario sociale, at- traverso la decretazione e le leggi Finanziarie, soprattutto da Amato in poi, con i tagli alla spesa, il ricorso massiccio alla tassazione indiretta, con lo smantellamento della previ- denza pubblica. Cio' che si e' consumato sotto gli occhi di tutti e' stata una gi- gantesca redistribuzione di ricchezza dal salari dei lavoratori e delle loro famiglie, ai profitti ed alle rendite. Non ci fermeremo ora solo sulle strategie di capitale per la riduzione del potere d'acquisto dei salari. E' infatti importan- te osservare anche le deformazioni in corso o attuate sulle forme di erogazione del salario. Interesse del capitale, non e' infatti solo quello di ridurre il salario, ma anche di ristrutturarne la forma e l'utilizzo, per facilitare cosi operazioni utili all'obiettivo di rendere la F.L., plastica e disponibile alle nuove condizioni d'uso proprie della fabbrica integrata e flessibile. Osservazione delle deformazioni in corso sulle voci del salario "diretto" Le forme attuali della retribuzione sono l'immediato prodotto della lotta di concorrenza tra F.L. e capitale nel modello fordista, per come questa si e' sviluppata dal dopoguerra ad oggi, e potrebbe essere cosi stilizzata: a) Retribuzione di base (di mantenimento e riproduzione del valore d'uso della F.L.) b) Retribuzione di anzianita' c) Retribuzione di produttivita'' d) Retribuzione di merito. 1. RETRIBUZIONE DI BASE E' la quota salariale direttamente collegata alla riproduzione del valore d'uso della F.L. La lotta di concorrenza, ha ordi- nato storicamente le forme di erogazione di questa quota, con approssimazioni successive, fine alle forme che cono- sciamo oggi. 1.1. Quota professionale. Con cui e' remunerata la parte "professionale" del valore d'uso di una forza lavoro, e che e' rappresentata, nei con- tratti, dal minimo tabellare e dal livello categoriale. Nel dopoguerra, e fino agli anni `60, le distinzioni tra i lavo- ratori erano determinate dai diversi valori che venivano as- segnati ad una posizione, ad un posto di lavoro o ad una mansione, (sistemi job evaluation) Le lotte successive agli anni `60, hanno ribaltato questo ri- ferimento, fino all'affermazione dei sistemi classificatori cosi detti di "inquadramento unico", nei quali ad essere valutata e remunerata non e' piu' la mansione ma la professionalita' del lavoratore. Concettualmente e' stata una conquista im- portante perche' rendeva visibile il rapporto tra salario e va- lore della F.L. La F.L. aveva cosi un valore riconosciuto e garantito, indipendentemente da come il capitale intendeva consumare il suo valore d'uso nel ciclo produttivo. E questo valore d'uso non solo era riconosciuto, ma anche protetto da tutta una serie di normative contrattuali e di legge. 1.2. Quota di mantenimento. Consisteva in meccanismi contrattuali o di legge con cui si tutelava la retribuzione base di fronte a fatti esterni come l'aumento del costo della vita. E' il caso della scala mobile. E' anche il caso degli assegni familiari con cui erano soste- nute le spese generali di mantenimento della famiglia a ca- rico del lavoratore. 1.3. Indennita' di mantenimento. Con cui si sostengono I costi che la F.L. deve affrontare per recarsi e mantenersi sul posto di lavoro. E' il caso delle in- dennita' di mensa e dei rimborsi per trasporto, o dei servizi corrispondenti di mensa e trasporto comunque erogati. 2. RETRIBUZIONE DI ANZIANITA'. Rappresentava la quota di incremento salariale, comunque garantita in rapporto alla anzianita' di lavoro presso la ditta, in percentuale sullo stipendio, con rivalutazioni automatiche del valore ad ogni inizio di anno, con cui si permetteva un costante sostegno al salario. 3. RETRIBUZIONE DI PRODUTTIVITA'. Risultato di una redistribuzione degli incrementi di produttivi- ta' comunque realizzati. Il loro riconoscimento puo' avvenire, previa contrattazione: a) A riparto. Quando tutti I lavoratori usufruiscono di questa redistribuzione, o sotto forma di salario (premio di produ- zione) o sotto forma di maggiore occupazione (assunzioni, riduzione di orario). b) Ad incentivo. Quando a fruirne sono solo quei lavoratori che hanno partecipato direttamente all'incremento di produttivita' (Cottimo, straordinario, premi di obiettivo o di produttivita'). 4. RETRIBUZIONE DI MERITO. Elargita direttamente dall'impresa a singoli lavoratori (superminimi, assegni ad personam, benefit, ecc.). La nostra esperienza diretta ci porta subito a dire che il ba- ricentro della retribuzione e' stata, ed e' tuttora, la retribu- zione base (di mantenimento e riproduzione), accanto a quella di anzianita' e da produttivita' a riparto, e su queste voci si e' sostanzialmente orientata la contrattazione colletti- va, nazionale ed aziendale, per tutta la fase concorrenziale del periodo fordista. L'esaurimento del modello fordista e le controtendenze che il capitale ha messo in atto, anno determinato anche la crisi di questo modello stilizzato di retribuzione. Dal lato della controtendenza redistributiva, il capitale ha svolto pressioni per la riduzione delle retribuzioni, riducendo l'occupazione, riducendo la retribuzione netta con l'eliminazione degli automatismi (scala mobile e scatti di anzianita') e con l'introduzione di retribuzioni ridotte (salario di ingresso, contratti di formazione lavoro) comprimendo le dinamiche rivendicative sul salario (tetti programmati di in- flazione). Dal lato della controtendenza strutturale, e' posto con for- za il problema di una ristrutturazione della retribuzione. Il monte salari, nelle forme di erogazione, deve diventare plastico e utile alla determinazione delle nuove condizioni di utilizzo della F.L. che la nuova fabbrica integrata e flessibile richiede. Cosi ad essere attaccate, sono soprattutto le voci che costi- tuiscono la retribuzione base di mantenimento e riproduzio- ne della F.L., in quanto baricentro del sistema retributivo, distruggendone i connotati rigidi e difensivi, e affermando politiche di erogazione salariale che abbiano come baricen- tro la retribuzione di produttivita' ad incentivo. L'asservimento della F.L. alle condizioni imposte dalla nuo- va realta' e dalle nuove esigenze di capitale, necessita di una azione drastica contro ogni forma difensiva di eroga- zione del salario. Il salario non deve piu' essere percepito dal lavoratore come quantita' di beni necessari alla sua ri- produzione e mantenimento (in quanto tale rivendicato co- me base minima per ogni contratto, sotto il quale non anda- re), ma come remunerazione di una prestazione. Piu' la prestazione sara' considerata valida e piu' la F.L. accettera' di piegarsi alle condizioni di consumo che il capitale richiede, piu' sara' remunerata. Dal punto di vista della determinazione delle forme della re- tribuzione, questo e' lo scontro di classe attualmente aperto. Vediamone lo svolgimento, mantenendo come riferimento la stilizzazione della retribuzione descritta precedentemente. 1. RETRIBUZIONE DI BASE. 1.1 Quota professionale. In discussione sono stati messi i sistemi classificatori im- postati sull'inquadramento unico. Gran parte della rivendi- cazione contrattuale, soprattutto quella nazionale, ha come baricentro il salario professionale, e quindi la remunerazione del valore professionale della F.L. Una volta acquisita, que- sta remunerazione e' garantita, in virtu' del codice civile e delle normative contrattuali, indipendentemente dalle reali condizioni di impiego e dalla produttivita' realizzata. Inoltre, una certa appartenenza categoriale, rappresenta una concreta rigidita' alla mobilita' del lavoratore nel ciclo produttivo. Non si puo' infatti adibire una F.L. a svolgere mansioni di livello inferiore, e se le sono richieste presta- zioni di livello superiore, scatta anche il diritto ad una remu- nerazione superiore. Le caratteristiche difensive, proprie del salario professiona- le, non sono quindi immediatamente piegabili alla nuova lo- gica che prevede il predominio del salario ad incentivo e di merito, utile per il condizionamento della F.L. a maggiori di- sponibilita', flessibilita' e mobilita' all'interno della organizza- zione del lavoro. Una osservazione degli ultimi rinnovi contrattuali ci fa com- prendere come agisce la strategia di capitale su questa materia. Da un lato, si mette in discussione il riferimento all'inquadramento unico. Gli attuali sistemi classificatori sarebbero obsoleti e superati. La ristrutturazione dell'organizzazione del lavoro, la informa- tizzazione delle procedure e delle operazioni, le nuove tec- nologie, avrebbero fatto nascere nuove tipologie di F.L., non adeguatamente rappresentate negli attuali dispositivi di in- quadramento, i quali, appiattendo le differenze e non valo- rizzando le nuove specificita' professionali, demotiverebbero lo sviluppo delle nuove professionalita'. In realta', dietro queste osservazioni (tutte confindustriali ma assunte anche dal punto di vista sindacale), si nasconde l'impossibilita' del capitale di usare lo strumento del salario professionale, cosi come e' ora, e la necessita' di disattivar- ne la portata unificante e difensiva. La risposta che viene data (con grande condivisione anche da parte sindacale) e' quella di frantumare il concetto di professionalita' del lavoratore (declaratorie contrattuali) in tanti piccoli pezzi, tanti quante sono le singole operazioni che costituiscono il ciclo lavorativo, tanti quante sono le mansioni e le posizioni di lavoro (profili contrattuali), dando ad ognuno di questi pezzi un valore, un riconoscimento, un prezzo. Si cerca cosi di aumentare il numero delle distinzioni con- trattuali (da 8 a 12, ma anche a 16 come nel caso del petro- lio) con sdoppiamenti, sventagliamenti e inserimento di nuovi livelli, dove il valore della declaratoria viene sempre piu' marginalizzato a scapito di una maggiore specificazione dei profili i quali tendono ad assumere, nel campo della va- lutazione, un peso sempre maggiore. L'uso che poi viene fatto di questi nuovi sistemi classificatori, non ha nulla a che vedere con i criteri di riconoscimento di un valore professio- nale, ma nella gestione aziendale, ed anche nel senso co- mune generale, questi sono percepiti come scala di un pia- no di aspettativa salariale da utilizzare come politica di in- centivazione. Questo punto di vista e' poi sostenuto anche in sede di con- trattazione aziendale, dove la pressione salariale dei lavora- tori viene dirottata a sostegno della formalizzazione di ulte- riori "specificita' professionali" proprie dell'azienda, che im- plementano le frammentazioni gia' definite a livello nazionale con la creazione di mansionari aziendali, che specificano ed implementano quelli nazionali. Da un altro lato, vista la oggettiva difficolta' di stravolgere completamente le caratteristiche difensive degli attuali si- stemi di inquadramento (tutelate dal codice civile), si cerca di costruire dei sistemi salariali paralleli a questi, che esplici- tamente si collegano alla necessita' di avere un sistema re- tributivo legato al posto o alla mansione. E' il caso delle IPO (indennita' di posizione organizzativa) dell'ultimo rinnovo contrattuale dei chimici, che Confindu- stria intende generalizzare a tutte le categorie e settori. Questa innovazione contrattuale, risolve infatti almeno 2 problemi. Per prima cosa permette, indipendentemente dal percorso di carriera professionale stabilito nella scala classificatoria, di avere a livello aziendale una scala salariale di remunera- zione di posto e mansione, nella quale si puo' salire (con relativo aumento salariale) ma anche scendere (con relativa riduzione salariale) a seconda della mansione ricoperta in quel momento. Certo ci sono ancora limiti oltre i quali non si puo' scendere, ma il principio e' affermato. L'azienda puo' da- re o togliere questa indennita', semplicemente modificando la posizione o la mansione, e questo, nell'ambito dello stes- so livello professionale (che non viene toccato) e' permesso anche dal codice civile. L'azienda, quindi, nell'ambito della stessa categoria professionale, remunera diversamente le varie posizioni di lavoro, utilizzando questa indennita' come incentivo alla mobilita' interna di posto e di mansione, o di contro, come penalizzazione delle rigidita'. L'altro problema risolto da questa innovazione contrattuale e' che permette di spostare quote di salario contrattato, dal salario professionale, a forme (come le IPO) si salario ad in- centivo. Gli aumenti contrattuali sono infatti erogati, in parte riparametrati sui livelli professionali, ed in parte riparametrati sulle IPO Confindustria, di contro, si e' gia' premurata di sot- tolineare che parte della contrattazione salariale aziendale e nazionale, andra' riparametrata sulle IPO e non piu' sui livelli. Cosi facendo si cerca di ridurre relativamente il peso del salario professionale in busta paga, a favore di una sempre maggiore presenza ed evidenza di quote di salario ad in- centivo. Siamo ancora in una fase iniziale e confusa (piu' strutturata contrattualmente solo nei chimici per ora), ma il dibattito in- terno a Confindustria sta a dimostrare come questa impo- stazione rappresenti quella che sara' la strategia padronale per I prossimi rinnovi contrattuali. L'obiettivo e' lo smantellamento degli inquadramenti ordinati attorno alla logica dell'inquadramento unico, affermando in- vece, al loro posto, sistemi job piu' funzionali agli attuali inte- ressi di capitale. 1.2 Quota di mantenimento. La tenuta salariale e le stesse capacita' organizzative della F.L. aveva nella scala mobile uno dei suoi perni principali. Non a caso nella generale battaglia per la riduzione e lo smantellamento delle retribuzioni, era "strategico" per il capi- tale l'attacco alla scala mobile ed a ogni forma di automati- smo salariale. La sostanziale eliminazione di questo strumento ha tolto ogni protezione alla retribuzione di base, ha liberato dispo- nibilita' da dirigere a sostegno e sviluppo di altre forme retri- butive piu' legate all'incentivazione della flessibilita', della produttivita' e del merito, ha aperto la strada all'affermazione del salario ad incentivo come nuova architrave del sistema retributivo. Anche gli assegni familiari, che in qualche modo erano con- cettualmente legati al sostegno del carico familiare del lavo- ratore, non piu' rivalutati dalla legislazione sono da tempo diventati elementi marginali della retribuzione del lavorato- re. 1.3 Indennita' di mantenimento. Le lotte degli anni 60/70, avevano affermato il concetto, per altro giusto, che il salario non fosse tanto la remunerazione di una prestazione, quanto il necessario alla F.L. per ripro- dursi e mantenersi. Con questa impostazione si intendevano come salario e quindi oggetto di rivendicazione, voci come l'erogazione di servizi o indennita' sostitutive di mensa e di trasporto, rim- borsi vari (come il sostegno alle spese scolastiche dei figli). Anche le ferie ed il loro godimento erano concepite e difese in quanto periodo utile e necessario alla riproduzione ed al mantenimento delle condizioni psicofisiche della F.L. Nella logica di capitale, tendente allo smantellamento della retribuzione nelle sue forme difensive, le indennita' di man- tenimento, nelle forme conosciute, vengono messe in di- scussione e cacciate fuori (con accordi o ricorsi alla magi- stratura) dalla categoria di salario. Il fatto che la F.L. sostenga dei costi (viaggiare e mangiare) per recarsi al lavoro, e' questione che non riguarda l'impresa, per la quale la F.L. e' utile solo dal lato del suo consumo e non della sua riproduzione. Indennita' come quelle di mensa o di trasporto, vengono ri- dotte e trattate alla stregua di un benefit, di un costo socia- le, che l'impresa puo' o meno sostenere a seconda delle sue scelte ed a cui il lavoratore deve partecipare in misura sem- pre maggiore, fino all'accollamento totale, liberando cosi l'impresa da una retribuzione che nulla ha a che vedere con la logica della produttivita'. Lo stesso vale per l'utilizzo delle ferie. Le ferie vengono de- viate da quelle che sono le loro finalita' principali e recupera- te alla necessita' di flessibilita', schematizzate rigidamente in regimi di orario e chiusure programmate funzionali ai tempi ed all'organizzazione della produzione, ridotte ad ammortiz- zatore sociale a copertura di brevi periodi di fermata per cause di forza maggiore, cosi che, non solo il salario, ma anche il tempo materiale della riproduzione della F.L. viene asservito alle necessita' di capitale. Anche i riposi compensativi, propri dei lavoratori delle indu- strie di processo a ciclo continuo, che dovrebbero essere goduti in un lasso di tempo immediatamente successivo alla loro maturazione, vengono invece accumulati e successi- vamente utilizzati in occasione di fermate per manutenzione o comunque imposte da necessita' produttive. Tutto quindi deve essere smantellato e reso disponibile alle necessita' di flessibilita' e della ristrutturazione. 2. RETRIBUZIONE DI ANZIANITA'. Gli scatti di anzianita' hanno sempre avuto la funzione di sostegno, nel tempo, del salario. Anche senza avanzamenti di carriera od altri interventi di in- cremento salariale, il meccanismo degli scatti di anzianita' permetteva una sorta di adeguamento meccanico, periodico e garantito del salario del lavoratore, pattuito gia' al momen- to della assunzione. Questa quota salariale, essendo erogata in percentuale sullo stipendio o su una parte di esso, era praticamente tute- lata da rivalutazioni periodiche. Lo smantellamento di questa garanzia difensiva del salario, al pari della scala mobile e di tutte le altre forme di indiciz- zazione della retribuzione, era "strategico" all'interesse di capitale per la riduzione dei salari e per la loro ristrutturazio- ne. L'attacco a questa particolare forma di salario, come anche alla scala mobile, e' stato condotto prima di tutto sul piano ideologico. In discussione erano gli automatismi , tacciati (anche da parte sindacale) di occupare spazi negoziali che competevano alla contrattazione, e di essere strumenti ob- soleti di chiara derivazione fascista e premianti di una fedel- ta' all'azienda ormai anacronistica. Cosi, a livello contrattuale, soprattutto in alcune categorie, si e' proceduto prima alla riduzione del numero di scatti di an- zianita', poi alla loro liquidazione con la ristrutturazione del meccanismo. Oggi la situazione dei vari contratti di categoria presenta un arcipelago di soluzioni, piu' o meno pesanti, ma il senso della trasformazione e' ormai indicato. Il valore degli scatti, non piu' in percentuale sulla retribuzio- ne, viene stabilito in cifra fissa, e la loro rivalutazione non e' piu' automatica ma demandata alla contrattazione tra le par- ti. Contrattazione che in realta' non si realizza, come nel caso dei chimici, che da ormai tre rinnovi contrattuali, non hanno piu' negoziato il valore degli scatti di anzianita'. Oggi, e come abbiamo visto, soprattutto in alcune categorie, il salario di anzianita' ha completamente perso la sua fun- zione difensiva, diventando ormai un fattore marginale e residuale della retribuzione. 3. SALARIO DI PRODUTTIVITA'. E' principalmente con la contrattazione aziendale sui premi di produzione che si ottiene la possibilita' di ripartire sui sa- lari, quote piu' o meno consistenti degli incrementi di produt- tivita' realizzati. Cio' avveniva a riparto. Ossia tutti partecipano alla riparti- zione, partendo dal concetto che l'incremento di produttivita' e' realizzato grazie alla partecipazione, in un modo od in un altro, di tutti I lavoratori. Questa ripartizione, avviene o in forma di salario (prevalentemente) o in forma di maggiore occupazione e/o riduzioni di orario di lavoro. La distribuzione delle quote di produttivita' a riparto, evita l'entrata in concorrenza delle diverse F.L. e ne favorisce la rigidita' difensiva a fronte di peggioramenti delle condizioni lavorative. La strategia di capitale ha nell'aumento della produttivita' il suo obiettivo principale, ma la contrattazione a riparto, ridu- ce la possibilita' di divisione - incentivazione - entrata in con- correnza tra le diverse F.L. che sono alcuni degli elementi necessari per sostenere l'aumento della intensita' di lavoro e l'affermarsi di nuovi modelli organizzativi piu' flessibili. Da questo punto di vista, per il capitale diventa strategico, sia spostare il baricentro della retribuzione attorno alla quota di produttivita', sia ridurre gli spazi della sua erogazio- ne a riparto in favore di una erogazione ad incentivo. Dal punto di vista della ristrutturazione delle retribuzioni, questo e' l'elemento principale dello scontro concorrenziale attualmente aperto. a) Dal lato del salario, alla contrattazione dei premi di pro- duzione, deve sostituirsi la contrattazione dei premi di pro- duttivita' o di partecipazione, individuali o di reparto, con progressiva riduzione delle quote erogate a riparto. La contrattazione e' orientata alla individuazione di "obiettivi" e di "parametri oggettivi", che darebbero il diritto al ricono- scimento di quote di produttivita', piu' o meno consistenti a seconda dell'apporto al risultato da parte di singoli reparti o funzioni e singoli lavoratori. Cosi l'incremento di produttivita' diventa obiettivo da realiz- zare, scatenante di diffusa concorrenzialita' tra reparti e sin- goli lavoratori, I quali cosi, meglio si sottomettono alle nuove organizzazioni del lavoro ed agli obiettivi che queste si pre- figgono, e piu' si plasmano, si rendono disponibili all'aumento di intensita' lavorativa e ricorso al lavoro straor- dinario. b) Dal lato dell'orario, alla redistribuzione degli incrementi di produttivita' sotto forma di riduzione di orario generalizza- ta, e/o aumento dell'occupazione, deve sostituirsi la conce- zione che, essendo l'aumento di produttivita' utile al mante- nimento ed alla difesa dell'occupazione, la sua realizzazio- ne deve diventare obiettivo di tutti, senza alcuna ripartizio- ne, ne' sotto forma di maggiore occupazione, ne' sotto forma di riduzione di orario di lavoro. In pratica si chiede alla F.L. di essere disponibile a nuovi regimi di orario, a maggiore flessibilita' ed intensita' di lavoro, in nome della salvezza dell'impresa. Si chiede alla F.L. di entrare in concorrenza con le F.L. di altre aziende dello stesso settore. Questa disponibilita', inoltre, non va remunerata, pena il fal- limento dell'operazione, perche' l'incremento di produttivita' deve essere tutto disponibile all'interesse di capitale, al profitto, che unico puo' salvare l'occupazione. In cambio si assumono solo promesse sul piano occupazio- nale, con contratti di formazione lavoro o in attesa di nuove normative che permettano maggiori flessibilita' e precarieta' nei rapporti di lavoro (lavoro interinale). Nuovi regimi di orario, lavoro al sabato e nei giorni festivi, schematizzazione dei periodi feriali in funzione esclusiva delle necessita' della produzione, riducono inoltre il tempo li- bero con cui la F.L. puo' riprodursi, nella vita, nella cultura, nella politica. L'asservimento della F.L. tende a divenire to- tale, con l'occupazione, da parte della fabbrica di tutto il tempo libero, del tempo in cui la F.L. si riproduce concreta- mente. 4. RETRIBUZIONE DI MERITO. La riduzione del salario, soprattutto nelle sue quote dedica- te alla riproduzione, al mantenimento ed all'anzianita', libera risorse da impegnare al finanziamento della ristrutturazione delle retribuzioni. L'uso arbitrario e sempre piu' massiccio della retribuzione di merito (benefit, assegni ad personam, superminimi) da parte delle aziende, e rivolto soprattutto verso le professionalita' piu' tecniche e specializzate, e' parte di questa strategia. Con la retribuzione di merito si cerca di condizionare sem- pre piu' alcune F.L. ad un rapporto di maggiore fedelta' all'impresa ed a aumentare la concorrenzialita' tra le varie F.L. all'interno della stessa azienda, dello stesso reparto. In sintesi, e' evidente che, dal lato delle forme dell'erogazione salariale, e' in atto una tendenza che sposta il baricentro delle retribuzioni dalle sue quote di riproduzione e mantenimento e della erogazione a riparto, ad una forma di retribuzione piu' legata alla produttivita' ed alla erogazione ad incentivo.