Presentazione
Paolo Della Quercia - Segreteria FP Cgil Emilia Romagna
Questa assemblea nazionale delle compagne e dei compagni che si riconoscono nell'area programmatica di Alternativa Sindacale si tiene in un momento cruciale per la vita sindacale delle lavoratrici e dei lavoratori delle Funzioni Pubbliche.
Dopo l'approvazione della legge sulla rappresentanza nel pubblico impiego e di riforma del decreto 29 per quanto riguarda il sistema contrattuale, affrontiamo una nuova stagione contrattuale che non si preannuncia ne facile ne scontata.
La scarsità di risorse economiche poste nella finanziaria per i rinnovi contrattuali e per l'introduzione del TFR e della previdenza integrativa nei settori pubblici; il non aver ancora raggiunto gli accordi per i nuovi ordinamenti professionali dei comparti degli Enti Locali e della Sanità; i processi di riorganizzazione e di mobilità conseguenti alle cosidette leggi Bassanini, ma nel vivo di una discussione non ancora conclusa nella Bicamerale sulla dislocazione dei poteri e sull'assetto amministrativo, rendono evidentemente complicata l'elaborazione e la discussione sulle piattaforme per i rinnovi contrattuali, ritardando i tempi che ci si era dati.
Ma tanti e di grande portata sono i temi al centro del dibattito che non possiamo permetterci alcun ritardo ulteriore. L'acquisizione delle risorse necessarie al contratto nazionale impatta inevitabilmente con la verifica dell'accordo del 23 luglio e con la necessità della sua revisione. L'affermazione dei due livelli contrattuali con l'introduzione effettiva in tutti i settori della contrattazione integrativa. L'acquisizione effettiva nel corso della vigenza contrattuale della riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore e il rilancio del tema dell'occupazione nei settori pubblici. La fissazione di diritti minimi comuni alle molteplici forme di rapporto di lavoro che sono cresciute in questi anni a scapito del rapporto di lavoro tipico. L'elezione generalizzata delle rappresentanze unitarie nei settori pubblici, con le nuove regole, nel corso dell'anno.
Con l'iniziativa odierna vogliamo dare il nostro contributo, perchè si avvii rapidamente ed effettivamente la discussione sulla elaborazione delle piattaforme contrattuali, un contributo di idee e proposte, che abbiamo iniziato a delineare nel seminario di Livorno del 20 e 21 giugno scorso, che consegniamo a tutta la Funzione Pubblica e ai lavoratori, come è ormai nello stile della nostra area programmatica sia a livello di categoria che confederale.
Relazione introduttiva
Gianni Pagliarini - FP Cgil Nazionale
Premessa
Abbiamo scelto di convocare l’assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori aderenti all’area programmatica congressuale di Alternativa Sindacale Funzione Pubblica CGIL, perché riteniamo che su un tema così rilevante, come quello in discussione oggi - vale a dire la strategia e i contenuti rivendicativi della prossima stagione contrattuale che caratterizzerà il nostro agire nei prossimi mesi - sia necessario sviluppare un confronto il più capillare possibile, un confronto che come abbiamo già avuto modo di ribadire stenta a decollare.
Questa iniziativa non ha la pretesa di svolgere un ruolo di supplenza , non ne ha le caratteristiche e sinceramente non ci interessa; questo però non significa non leggerla politicamente come elemento di stimolo propulsivo per tutta l’organizzazione, finalizzata all’avvio di una grande discussione fra il quadro attivo e, più in generale, tra le lavoratrici e i lavoratori della pubblica amministrazione, in grado di porre le basi per la costruzione dei nuovi contratti di lavoro.
Inoltre, con questa iniziativa, ci siamo posti un preciso obiettivo: di contribuire a costruire una strategia rivendicativa , non solo teorica e ad uso congressuale, che concretamente caratterizzi l’azione sindacale.
Siamo consapevoli delle difficoltà insite nel tracciare questo percorso forse un po' ambizioso per una minoranza, ma sinceramente non vediamo alternative per questo sentiamo il bisogno di qualificare e concretizzare il nostro lavoro.
E’ giunto il momento, per il sindacato nel suo complesso e quindi anche per noi, di eliminare lo scarto che spesso c’è tra ciò che affermiamo e ciò che concretamente facciamo. Il ripristino della coerenza tra elaborazione teorica e pratica è un passaggio obbligato se vogliamo rafforzare e consolidare un clima di fiducia nel rapporto con le lavoratrici e i lavoratori, capace di generare attenzione attorno alle nostre proposte.
Abbiamo la necessità di definire una linea strategica che sappia governare i profondi processi di trasformazione della società e dell’apparato produttivo, assumendo come base la centralità del lavoro ed il suo valore sociale; per queste ragioni le condizioni materiali del lavoro, la salute, la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori devono essere i perni su cui far ruotare la nostra politica contrattuale e rivendicativa.
La stagione contrattuale 1994-1997
In questa direzione si registra a nostro avviso un limite che, se non recuperato, rischia di segnare negativamente la prossima stagione contrattuale.
Mi riferisco all’esigenza di indagare a fondo sui cambiamenti che hanno investito la Pubblica Amministrazione e che hanno profondamente cambiato i modelli di organizzazione del lavoro di riferimento, che non ha trovato sufficiente spazio nel dibattito all’interno dell’organizzazione.
Se non si analizzano i modelli interni all’organizzazione del lavoro, diventa difficile capire le condizioni di lavoro.
Spesso i tempi e le modalità del confronto hanno spinto più a semplificare che ad approfondire le questioni.
Il ridisegno degli assetti istituzionali, il nuovo rapporto tra Stato e sistema delle Autonomie, il rapporto tra pubblico e privato, i processi di precarizzazione, i processi di produzione e distribuzione della ricchezza, obbligano la Funzione Pubblica CGIL e l’insieme del movimento sindacale a misurarsi anche sul piano contrattuale e rivendicativo.
Indagare su questi temi e più in generale sulle trasformazioni politico-sociali significa per il sindacato costruire, attraverso la contrattazione, la nuova frontiera dei diritti e delle tutele.
Questi devono essere coerenti con il ruolo che vogliamo sia riconosciuto:
- all’attività pubblica, alla sua valorizzazione, alle sue finalità, alla sua capacità di dare risposte ai bisogni vecchi e nuovi delle persone;
- alle lavoratrici e ai lavoratori come soggetti centrali per la trasformazione ed il miglioramento dei servizi pubblici.
La globalizzazione (Maastricht, quale Europa?)
La stagione contrattuale che ci siamo lasciati alle spalle è stata densa di avvenimenti e trasformazioni epocali, dentro e fuori il nostro paese.
In generale abbiamo assistito ad un forte condizionamento dell’economia sulla politica, frutto di una logica che vede come unici parametri di riferimento, per lo sviluppo economico, il mercato e l’impresa.
Personalmente penso che questioni quali: il lavoro, il salario, il sistema di protezione sociale, per l’incidenza che hanno sulle condizioni di vita dei cittadini, rientrino in questa sfera.
Il sopravvento della cultura monetarista non è per nulla casuale. Negli ultimi 25 anni la globalizzazione di parti rilevanti dell’economia ha fatto passi da gigante.
Siamo all’interno di una fase dell’accumulazione dei capitali che vede la progressiva eliminazione delle frontiere per i "fattori di produzione" dell’economia.
Le merci passano da un paese all’altro, i capitali si muovono "senza frontiere", nel senso che vengono aboliti i controlli sia alla fuoriuscita di capitali da un paese, sia all’ingresso degli stessi in un altro.
La stessa proprietà privata diventa sempre più indifferente alle leggi della nazione ospitante e sempre più dipendente dagli accordi internazionali.
Oltre a questi aspetti, la globalizzazione ha determinato profonde trasformazioni anche sul versante della produzione: le imprese con localizzazioni produttive in paesi diversi da quello di origine nel 1992 hanno realizzato un giro di affari di 4.800 miliardi di dollari, vale a dire più di un quinto del prodotto lordo mondiale.
Gli occupati delle imprese multinazionali sono passati da 40 milioni nel 1975 a più di 70 milioni nel 1992 e l’80% del commercio mondiale è in mano a non più di 13.000 imprese.
In questo contesto un duplice fenomeno sta investendo la struttura della forza lavoro a livello mondiale, da un lato la deregolamentazione dell’offerta di lavoro nei paesi del nord del mondo marcia di pari passo alla formazione di una base industriale multinazionale nel sud del mondo, determinando regole di dura concorrenza al ribasso fra i lavoratori.
L’abbassamento dei livelli salariali complessivi (salario diretto,indiretto,sociale) e la cosiddetta "flessibilizzazione" nel nord del mondo comportano un aumento significativo della disoccupazione, mentre la delocalizzazione industriale genera una corsa al ribasso dei costi del lavoro nell’emisfero sud del mondo.
In risposta a tale situazione e per restare in "competizione" l’Europa ha scelto la strada della disciplina monetaristica che sta producendo profonde disuguaglianze sociali, perché a fronte di una crescita economica non corrisponde un aumento dell’occupazione.
In presenza di fenomeni di questa portata e con queste caratteristiche è necessario porsi l’obiettivo, assieme agli altri sindacati europei, di elaborare una piattaforma sociale ed economica alternativa.
Un progetto che deve trovare fondamento sulla solidarietà tra le varie aree europee, ribadendo che una lotta seria alla disoccupazione di massa richiede la riduzione dell’orario di lavoro.Si tratta di indicare per grandissime coordinate una politica economica che avvicini "in alto" le economie e le società, anziché unificare forzosamente le politiche finanziarie e monetarie degli stati.
Ed è sulla base di questa analisi e di queste considerazioni che riteniamo profondamente sbagliate le proposte avanzate in questi giorni dal segretario generale della CISL; come possiamo tutti vedere, la barbara concorrenza messa in campo per soddisfare le esigenze del capitale non si combatte mettendo in campo una proposta inutile ed odiosa come quella del salario ridotto nelle aree del sud del paese, perché se non si cambiano le regole del gioco ci sarà sempre qualcuno in qualche parte del mondo o in qualche quartiere poco distante dal tuo, disposto a lavorare per molto meno pur di iniziare ad intravedere un futuro che ora gli viene negato.
Tra l’altro mentre D’Antoni molla sui minimi contrattuali, Confindustria con Guidi non perde tempo e rilancia rivendicando una totale libertà di licenziamento!!!
Ma non solo, la proposta diventa ancor più incomprensibile se messa in relazione all’accanimento di quest’uomo nei confronti di una legislazione a supporto della riduzione generalizzata dell’orario di lavoro.
Su questo tema negli ultimi giorni registriamo diachiarazioni inopportune rilasciate da alcuni dirigenti della CGIL; a loro vogliamo ricordare che il tema della riduzione dell’orario del lavoro era presente in tutti i documenti congressuali della CGIL e rappresentava il punto più avanzato di sintesi unitaria tra le diverse opzioni strategiche in campo; del resto non è un caso che il congresso ha indicato proprio la riduzione dell’orario di lavoro quale elemento centrale per affrontare la prossima stagione contrattuale.
Non riusciamo a comprendere come una legislazione a supporto della riduzione dell’orario di lavoro possa nuocere alla stessa e compromettere i deliberati congressuali. E’ opportuno che su questa questione, già a partire dal prossimo Direttivo Confederale del 15 gennaio, si affronti il problema e si sviluppi una discussione di merito che sappia recuperare questo spiacevole "incidente di percorso".
E’ evidente che il mantenimento e la riproposizione di tale strategia non può che vederci impegnati in una battaglia politica finalizzata alla sconfitta di tali tesi.
La politica sociale in Italia
Sul versante interno, in un primo periodo abbiamo assistito ad una grave crisi di rappresentanza politica dentro un quadro istituzionale incerto, che ha visto spesso il sindacato confederale svolgere un ruolo improprio di supplenza.
Questa fase è stata caratterizzata da una politica sociale fortemente condizionata dai fenomeni precedentemente descritti, in molti hanno sostenuto la crisi e l’inevitabile declino dello Stato sociale. Spesso abbiamo assistito a descrizioni impressionanti delle condizioni di sfascio in cui ormai verserebbero i diversi comparti della Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento alla sanità e ai servizi sociali in genere.
La spesa pubblica e quella sociale in particolare è stata ormai da tempo identificata dai più come la principale responsabile delle difficoltà economiche del nostro paese, ed è evidente che se questa è la diagnosi, cioè la troppa spesa, la terapia non può discostarsi da un considerevole ridimensionamento dell’intervento pubblico.
Noi tutti sappiamo, perché operiamo nella Pubblica Amministrazione e nei servizi pubblici, che questo concetto non corrisponde al vero, così come non corrisponde al vero, la tesi che gran parte del deficit pubblico sia da addossare ad un flusso di uscite in direzione della sanità, della previdenza, dell’istruzione e dei servizi sociali alle persone.
Gli interventi di politica sociale messi in campo in questi anni hanno sostanzialmente sposato questa tesi; se vogliamo evitare che in un futuro nemmeno tanto remoto, ci si ritrovi a discutere per l’ennesima volta di tagli allo stato sociale, è opportuno che il sindacato metta in campo un’azione capace di condizionare una politica che fissi le priorità, decidendo dove prendere e a chi dare, dove risparmiare e dove spendere; non è più rinviabile un progetto complessivo che porti ad una riforma fiscale e a una conseguente profonda ristrutturazione del sistema delle entrate.
Riforme istituzionali e riforma della Pubblica Amministrazione
Il secondo periodo è stato caratterizzato da una fase di transizione che ha coinvolto nel suo complesso la società italiana, richiedendo alle istituzioni, alle forze politiche e alle forze sociali, più che in altre occasioni l’assunzione di chiare responsabilità e la definizione di regole precise per il loro governo.
Tra i provvedimenti che hanno caratterizzato la seconda fase troviamo l’insieme delle innovazioni contenute nei provvedimenti Bassanini (legge 59 e 127) che hanno sicuramente il merito di aver dato corpo ad un globale processo di riforma dello Stato (degli apparati, delle funzioni, delle istituzioni, dei poteri, ecc...) che dovrà da un lato trovare il suo massimo punto di elaborazione di sintesi nei lavori parlamentari conseguenti ai lavori della Commissione Bicamerale, e dall’altro coniugarsi con gli impegni sociali ed economici su cui si sta misurando e dovrà ancora misurarsi il nostro Paese.
Rimane l’impellente esigenza di fare chiarezza fra le differenti funzioni istituzionali affinché sia leggibile e trasparente la finalizzazione dei processi di riforma.
Eclatante è la vicenda della Polizia Municipale di Milano, che, oltre alle questioni di merito relative all’accordo e alle modalità di validazione dello stesso che meriterebbero uno specifico approfondimento, ha messo in evidenza i pericoli conseguenti alla confusione e sovrapposizione delle funzioni di pubblica sicurezza a cui devono essere preposti gli organi dello Stato - per ovvie ragioni che non è il caso di citare qui - e le funzioni di Polizia Municipale e locale. La confusione in questo campo potrebbe ingenerare e sollecitare la creazione di tante polizie, quanti sono i Sindaci sul territorio nazionale, o in alternativa 20 polizie regionali!!!
Crediamo che per leggere e valutare correttamente i contenuti della riforma in campo non si possa prescindere, anzi sia necessario, non smarrire le ragioni che hanno attivato l’avvio di processi di trasformazione della dimensione precedentemente citata: mi riferisco alla critica generalizzata alle disfunzioni ed al cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione, associata alla critica generalizzata al cattivo funzionamento dello Stato.
Sappiamo bene che in campo ci sono opzioni diverse, anche contrapposte e questo, a volte, rischia di compromettere le coerenze necessarie al disegno complessivo per operare in senso riformatore.
Per rispondere a questo è però necessario impedire dilazioni ed ulteriori rinvii di quanto definito sia nel pacchetto delle deleghe che nella stessa L.127.
Fondamentale in questo senso è la concretizzazione della delega relativa alla riforma della giurisdizione amministrativa, per il passaggio al giudice del lavoro di tutti i contenziosi in materia di lavoro all’interno della Pubblica Amministrazione, delega che deve realizzarsi nella salvaguardia e nel consolidamento del sistema di relazioni sindacali di natura privatistica.
Regionalismo e/o federalismo, sistema delle autonomie e/o federalismo solidale non sono termini che corrispondono a dispute nominaliste, così come non sono nominalistiche le distinzioni tra contrattualizzazione, delegificazione, deregolazione o privatizzazione del rapporto di lavoro.
Sono invece parole indicative del modello di Stato, di istituzioni e di regole che si intendono delineare per questo paese e cioè indicative dell’idea stessa di democrazia e delle sue forme di esercizio e di rappresentanza.
E’ necessario far crescere insieme all’interesse per il ridisegno istituzionale, una nuova attenzione ai processi di riforma della Pubblica Amministrazione che, insieme alla semplificazione procedurale e al disboscamento legislativo, dovrà affrontare il vero punto di crisi rimasto inevaso in tutti questi anni che è quello rappresentato dalla crisi di gestione delle risorse umane: che è crisi di responsabilità, di motivazione, di progettualità, di capacità di innovazione e di professionalità.
Per queste ragioni, riteniamo non più ipotizzabili riforme e interventi contrattuali che non affrontino questi problemi.
La storia ci insegna che i processi di riforma sono tali solo se sono programmati, definiti per obiettivi, dotati di strumenti di governo e di verifica e soprattutto se realizzati con il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori mettendo in campo la loro competenza e la loro professionalità.
In sostanza si tratta di capire il ruolo ed il peso che i lavoratori e il lavoro avranno nel nuovo assetto istituzionale.
Come compagne e compagni di Alternativa Sindacale siamo fermamente convinti che questo sia il vero salto di qualità che bisogna compiere per passare dal modello basato sulla procedura a quello del risultato, dalla cultura del favore a quella del diritto.
Abbiamo bisogno di far crescere una cultura organizzativa all’interno della Pubblica Amministrazione che vada nella direzione del raggiungimento degli obbiettivi, che nei nostri settori, non possono non coincidere con il perseguimento dell’interesse pubblico che ci consentirebbe di ricostruire anche nel Pubblico Impiego la cultura del valore lavoro.
Ordinamento Professionale.
In questo contesto si colloca la necessità di un radicale intervento riformatore in materia di ordinamento professionale, che deve riguardare tutto il Pubblico Impiego, se vogliamo realizzare quei nuovi modelli di gestione che consentirebbero di:
- snellire e accelerare le procedure;
- adeguare le strutture alle esigenze di efficienza e funzionalità dei servizi e delle attività;
- qualificare la spesa pubblica.
Su questo argomento registriamo la più grande inadempienza , infatti la stagione contrattuale si è conclusa senza la revisione dei sistemi di classificazione, nei tempi stabiliti dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
L’assenza di una adeguata strumentazione di valutazione della professionalità ha lasciato aperta la strada ai concorsi interni , al ricorso a consulenze esterne, all’intervento legislativo in materia di inquadramento, non risolvendo il problema della ridefinizione dei contenuti professionali e della struttura e degli strumenti di governo delle professionalità presenti nella Pubblica Amministrazione, che devono essere aderenti alle trasformazioni che in parte sono avvenute, ma che soprattutto dovranno ancora avvenire; ricostruendo anche una corrispondenza, che oggi non esiste quasi più, tra professionalità, inquadramenti e retribuzioni.
Abbiamo assistito ad una trattativa, mi riferisco a quella del comparto Autonomie Locali, apparentemente insensata, caratterizzata da una lunga fase di confronto inconcludente, ma che in realtà nasconde a nostro avviso due tendenze presenti nel nostro paese che vanno isolate e respinte.
La prima è riconducibile alla non volontà di settori importanti della società di operare in senso riformatore, o meglio ancora, non a tutti interessa una Pubblica Amministrazione efficiente, funzionale , trasparente, in grado di rispondere in tempo reale alle sollecitazioni e ai bisogni dei cittadini.
La seconda è questione più squisitamente politica, di potere, e riguarda il modello contrattuale e di relazioni sindacali. Fatica a decollare, nel concreto la cultura delle nuove regole e un’idea di contrattazione intesa come opportunità.
Molto più frequentemente la contrattazione e il sistema stesso di relazioni sindacali è vissuto con sofferenza, come un fastidioso ingombro o addirittura come un pericoloso strumento di limitazione o di lesione delle autonome determinazioni, anziché come sistema di regole funzionali, appunto, alla gestione dei processi di trasformazione in corso.
La verifica del 23 luglio 93
L’avvio della prossima stagione contrattuale coincide con la verifica del protocollo del 23 luglio, un accordo pensato, costruito e sottoscritto all’interno degli scenari precedentemente descritti e proprio per queste ragioni a suo tempo eravamo scesi in campo per evidenziarne i limiti, sia di merito , che di metodo.
Il modello contrattuale disegnato dall’accordo nel Pubblico Impiego si è intrecciato con i contenuti della L.421/92 e del D.lgs 29/93, determinando uno strumento di sostegno al contenimento e alla gestione centralistica della spesa.
All’interno di questo sistema retributivo governato esclusivamente dal livello nazionale la politica dei fondi, per finanziare la contrattazione decentrata, ha determinato un ulteriore rigidità che si è evidenziata nel corso di tutta la stagione contrattuale.
Il risultato che ne è scaturito è il seguente: da un lato non siamo riusciti a garantire il potere d’acquisto, considerato che nel Pubblico Impiego registriamo una perdita del 2%, dall’altro, a livello decentrato, non si sono spostate in avanti le relazioni tra le parti, intervenendo sulle condizioni di vita e di lavoro dentro i posti di lavoro.
Rispetto a questo obiettivo, tranne casi isolati, registriamo un’altro punto di criticità. A me non convince la tesi che individua nella impreparazione delle RSU la causa di ciò, sicuramente è nostro compito fornire ad esse tutti gli strumenti ideali, di conoscenza e di preparazione che le consentano di svolgere al meglio il loro ruolo di agente contrattuale unico, vedo invece una difficoltà di direzione, una disabitudine a contrattare l’organizzazione del lavoro, anche perché questo modello contrattuale assorbe e riversa le nostre azioni nella necessità di rispondere alle esigenze salariali delle lavoratrici e dei lavoratori.
Anche sul versante occupazionale le cose non sono andate meglio, basta pensare che nel solo 1994, nel comparto Autonomie Locali si sono persi 30.000 posti di lavoro.
L’esperienza della contrattazione decentrata.
Abbiamo già avuto modo di soffermarci sul vigente sistema di contrattazione quale risulta dal d.lgs 29, ma è bene ritornarci per analizzare più nel dettaglio alcuni aspetti che hanno caratterizzato la contrattazione decentrata e sui quali è bene riflettere in considerazione dell’introduzione anche nel Pubblico Impiego della contrattazione integrativa.
Intanto, il sistema è caratterizzato da una netta prevalenza del momento nazionale su quello decentrato che determina la quantificazione della spesa complessiva rimessa alla contrattazione decentrata.
Questo modello che ha nel controllo centralistico della spesa la sua ragion d’essere, nei fatti si è trasformato in strumento di controllo delle scelte, introducendo all’interno della Pubblica Amministrazione una crescente contraddizione rispetto alla spinta al decentramento di poteri e funzioni ed ha limitato la reale capacità di autogoverno, favorendo fenomeni di rottura della solidarietà e coesione sociale.
In questo contesto il consolidarsi del sistema maggioritario di elezione della rappresentanza, l’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Giunte Provinciale e Regionali, accompagnata dall’eliminazione dei controlli su gli atti amministrativi, senza una adeguata ricalibratura dei poteri, anzi a fronte di un modello di relazioni sindacali non adeguato, ha sostanzialmente depotenziato il momento negoziale decentrato.
In poche parole, senza risorse e senza un reale ambito di contrattazione, non ci si poteva certo aspettare una grande stagione di contrattazione decentrata.
Non solo, il sistema di finanziamento prefigurato dai fondi non ha certo aiutato.
Aver tenuto assieme, sotto il profilo della fonte di finanziamento, salario legato alla gravosità, salario professionale, salario di produttività e salario legato alle prestazioni straordinarie, ha costituito elemento di non chiarezza tra i lavoratori e nel concreto non ha aiutato a sviluppare nuovi modelli organizzativi.
Così come, l’introduzione del premio per la qualità delle prestazioni individuali, meglio conosciuto come fondino, che il contratto nazionale riserva a scelte autonome degli enti, non ha fatto altro che amplificare i malesseri tra le lavoratrici e i lavoratori pubblici.
Anche i progetti svolti nell’ambito del sistema premiante la produttività in molti casi non hanno costituito elemento innovativo, limitandosi ad attività ormai consolidate e spesso espletati fuori dall’orario contrattuale di lavoro, divenendo nei fatti straordinario mascherato.
Le nostre proposte.
L’analisi sin qui svolta seppur sinteticamente , ha voluto mettere in risalto alcuni dei principali aspetti che hanno caratterizzato il ciclo contrattuale appena concluso, aspetti che direttamente o indirettamente hanno condizionato le politiche contrattuali, compreso quelle del Pubblico Impiego, e vuole anche sfatare una tendenza che vede il settore pubblico escluso e quindi indifferente, rispetto alle trasformazioni economiche e del sistema produttivo.
I dati ci danno ragione nel ritenere che il mondo del lavoro apre questa tornata contrattuale in credito verso le controparti, pubbliche e private, ma nello stesso tempo deve esserci consapevolezza da parte di tutti che l’attuale assetto contrattuale non è né scontato né consolidato, ma va costruito e qualificato dall’insieme delle iniziative rivendicative che sapremo mettere in campo.
Da qui occorre ripartire con un lavoro che, siccome sarà sicuramente difficoltoso, va cominciato subito, ricostruendo una iniziativa autonoma; capace di sostenere la nascita di progetti nei luoghi di lavoro, con il preciso obiettivo di riqualificare l’amministrazione pubblica, ma anche mettere al centro di una politica per l’occupazione i bisogni delle persone, la salvaguardia dell’ambiente, la qualità del vivere individuale e collettivo.
Il modello contrattuale
Il prossimo contratto collettivo nazionale di lavoro dovrà concretamente attuare la piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro. La negoziazione, quale strumento e metodo per la tutela dei diritti individuali e collettivi, si dovrà liberamente svolgere in tutte le materie non riservate alla legge, prevedendo espressamente il divieto di regolamentare per legge materie oggetto di contrattazione.
In questo quadro è fondamentale il rispetto delle decorrenze (1.1.1998) e l’introduzione dei due livelli di contrattazione, ovvero il momento di contrattazione nazionale e una successiva sessione di contrattazione decentrata integrativa avendo a riferimento esclusivamente i vincoli di bilancio di ciascuna amministrazione.
Da più parti si ipotizza una struttura di CCNL "leggera", che ci sentiamo di respingere perché si basa su un’idea per cui la contrattazione decentrata integrativa trova spazio solo in assenza di regole nazionali.
Pensare che la piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro e l’unificazione pubblico-privato si realizzi solo delegificando e deregolamentando a livello nazionale per consentire di costruire regole a livello decentrato, è profondamente sbagliato.
Noi pensiamo che il CCNL debba mantenere un ruolo unificante sul piano della definizione dei diritti generali esigibili, in particolare: retribuzioni, criteri generali di ordinamento delle professioni, sistemi degli orari e diritti. In tal senso ogni ipotesi tesa a ridurre la retribuzione contrattuale minima (salario d’ingresso) va’ respinta in quanto lesiva del diritto che sancisce che a parità di lavoro deve corrispondere parità di salario.
In questo contesto deve trovare corpo la contrattazione integrativa, che in quanto tale, deve essere aggiuntiva e non sostitutiva e i cui ambiti devono essere indicati dal CCNL.
Un sistema di questo tipo richiede una correzione sostanziale dell’accordo del 23 luglio.
Le risorse per finanziare i rinnovi contrattuali devono avere a riferimento oltre che l’inflazione programmata (con meccanismi certi di recupero degli scostamenti) anche quote di ridistribuzione del PIL e della fiscalità generale (intese come risorse provenienti dal recupero dell’evasione); queste risorse aggiuntive pensiamo vadano prioritariamente indirizzate verso nuova occupazione, diritti e formazione.
Le modificazioni e le trasformazioni che hanno investito la Pubblica Amministrazione e che vedono operare all’interno di essa lavoratrici e lavoratori con trattamenti normativi ed economici diversi tra loro e spesso con rapporto di lavoro precario quali:
( lavoratori socialmente utili, lavoratori di pubblica utilità, prestatori d’opera, consulenti, soci-lavoratori ecc.), devono trovare risposta all’interno del prossimo CCNL e in specifiche intese quadro, tendenti a ridurre fino ad annullare il dumping ora esistente, intervenendo sulle regole per appalti, convenzioni e collaborazioni.
Ribadiamo che in nessun modo, la garanzia di diritti generali e universali, deve essere oggetto di scambio con il salario.
La riduzione dell’orario di lavoro
Anche dal Pubblico Impiego devono nascere iniziative e proposte che permettano non solo di ridistribuire il reddito e il lavoro che già c’è, ma anche di creare lavoro rispondendo a nuovi tipi di bisogni sociali.
La riduzione dell’orario di lavoro è il punto da cui partire per ragionare di una nuova organizzazione del lavoro, di nuovo controllo dei lavoratori e delle lavoratrici sul tempo della loro vita.
La vertenza generale per la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali a parità di salario è obiettivo strategico, che deve caratterizzare la prossima stagione contrattuale, anche in relazione all’evoluzione scientifica e tecnologica che in particolare riduce il lavoro socialmente necessario per la produzione di beni e servizi.
Vanno armonizzati gli orari di lavoro in tutti i comparti, pubblici e privati operanti nei settori dell’intervento pubblico.
L’ulteriore riduzione (32 ore) dovrà essere prevista con decorrenza immediata a partire dai lavori a cicli su 24 ore e dai più disagiati e usuranti.
Si tratta quindi di coordinare intervento legislativo ed azione contrattuale in una sinergia virtuosa che mantenga alla contrattazione quel ruolo prioritario nella dialettica sociale che ha storicamente caratterizzato il nostro paese.
Parlare di riduzione di orario di lavoro nel Pubblico Impiego, significa anche un forte impegno del sindacato per ripristinare il controllo degli orari contrattuali su quelli di fatto riducendo significativamente gli straordinari, ed indirizzando le risoerse verso nuova occupazione.
Salario accessorio e ordinamento professionale.
Tra gli elementi qualificanti della prossima stagione contrattuale, proprio per le cose dette in precedenza, deve trovare spazio e forma l’idea del passaggio dalla produttività alla professionalità, anche attraverso la riconversione e la riqualificazione degli attuali mestieri.
La sfida che vogliamo lanciare vuole ribaltare l’attuale concetto dell’efficienza misurata sui costi e sulle quantità, per introdurre l’efficacia intesa come qualità dei servizi e adeguatezza nel rispondere ai bisogni dei cittadini.
Per questo è opportuno prevedere che la contrattazione integrativa possa destinare quote di salario di produttività alle professionalità in presenza di modifiche dell’organizzazione del lavoro che favoriscono l’orientamento all’utenza e richiedono più competenza e professionalità agli operatori.
Questo significa anche un rafforzamento della contrattazione dell’organizzazione del lavoro, sulla gestione degli inquadramenti professionali e sulla formazione, contrastando le tendenze datoriali a ridurre l’occupazione per reperire risorse.
Va superato l’attuale sistema dei fondi e il cosiddetto "fondino", consolidando le risorse utilizzate fino ad oggi a livello aziendale e separate le indennità di disagio dai fondi di produttività.
Formazione
Non si può sottacere che gran parte dei ritardi dei processi di riforma della Pubblica Amministrazione derivino dall’inconsistenza di un sistema formativo finalizzato alee trasformazioni dei modelli organizzativi e delle professionalità.
Quindi anche a seguito di quanto definito dal Patto per il lavoro dei settori pubblici, la prossima tornata contrattuale dovrà porsi l’obiettivo di definire quantitativamente e qualitativamente la dimensione degli interventi da realizzare.
Una quota di tempo di lavoro deve trasformarsi in credito formativo per rendere accessibile il diritto alla formazione, quale elemento centrale per assicurare risposte qualificate e tempestive all’evolversi dei bisogni della collettività.
Previdenza integrativa e lavori usuranti.
Non meno importante, delle questioni fin qui indicate, è quella relativa alla necessità di rafforzare il sistema previdenziale pubblico, attraverso la lotta all’evasione e con il superamento di tutte le nuove forme di decontribuzione.
Sono ormai indifferibili la definizione della previdenza integrativa e dei lavori usuranti, i cui costi non potranno ricadere sui rinnovi contrattuali.
Rappresentanza sindacale e RSU
Voi capite bene che la stagione contrattuale con cui ci dobbiamo misurare è densa di impegni rilevanti, non ultima la rivendicazione riguardante le risorse necessarie a coprire quanto previsto dai tassi di inflazione programmato, su questo fronte registriamo negativamente quanto previsto dalla finanziaria, e chiediamo che il Governo operi in direzione di una correzione degli stanziamenti in modo da non pregiudicare l’andamento delle trattative.
Disattendere un tale impegno comporterebbe l’impossibilità di un reale avvio delle trattative e richiederebbe la messa in campo di iniziative generali di lotta.
La novità positiva dell’avvio di questa stagione contrattuale sta nella definizione dell’accordo sulla rappresentanza nei settori pubblici, che ha portato alla definizione del D.lgs. 369, insieme all’indubbio valore di un testo legislativo che fissa regole condivise e trasparenti sui meccanismi di definizione della rappresentanza, va evidenziato il riconoscimento delle RSU, quali agenti contrattuali uniche, così come sancito dallo statuto della Funzione Pubblica approvato nell’ultimo direttivo.
Il 1998 sarà anche caratterizzato dalla campagna per il loro rinnovo e la elezione generalizzata in tutti i posti di lavoro, su questo versante il sindacato deve mettere in campo tutte le iniziative necessarie a garantire il più ampio coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori.
Con questo accordo il sindacato non ritiene esaurita la questione rappresentanza, la definizione di un suo primo capitolo deve comportare l’apertura di una riflessione generale sulla rappresentanza sociale e su quella istituzionale.
E’ venuto il momento che il mondo datoriale si interroghi sulle modalità e sulle sue forme di rappresentanza, vale per quanto riguarda il settore privato a quanto avvenuto di recente a proposito della controversia sulle quote latte e per il settore dell’autotrasporto, ma vale anche per il settore pubblico in merito alle varie "originali interpretazioni" che associazioni ed enti hanno del sistema di relazioni sindacali.
In alcune situazioni manca del tutto un ragionamento minimo tra istituzioni e rappresentanza sociale.
Per quanto ci riguarda senza relazioni sindacali e senza contrattazione non si fanno riforme e qualsiasi tipo di riforma non avrebbe prospettiva di realizzazione.
Come dicevo in premessa, le analisi, le idee e le proposte contenute in questa introduzione, che troveranno il loro completamento nelle successive comunicazioni e nel conseguente dibattito, rappresentano il contributo di merito che come compagni e compagne di Alternativa Sindacale vogliamo dare all’insieme dell’organizzazione e più in generale alle lavoratrici e ai lavoratori dei settori dell’intervento pubblico, sui temi della contrattazione.
Un’elaborazione costruita collettivamente e fortemente ancorata all’esperienza acquisita attraverso l’agire quotidiano sui posti di lavoro, originale e per alcuni aspetti contro corrente che si pone l’obiettivo di ribaltare, attraverso una rigorosa analisi, le obiezioni "economiche" a una idea di società rispettosa delle esigenze e dei bisogni delle donne e degli uomini che la compongono.
Comunicazione
di Toni Baldi - FP Cgil Nazionale
Legalità, trasparenza e contrattazione
L’anno appena trascorso ci ha consegnato una serie di provvedimenti legislativi la cui attuazione rivoluzionerà da quì a poco sia il mercato del lavoro che le procedure inerenti l’attività amministrativa, in special modo negli EE.LL.
Mi riferisco alle leggi 59 e 127 del ‘97 riguardanti lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo (le cosiddette leggi Bassanini), la legge 196/97 che recepisce le intese contenute nel capitolo dedicato alla promozione dell’occupazione del Patto per il Lavoro del 24 settembre 1996 ed all’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, del Decreto Legislativo che conferisce a Regioni ed EE.LL. funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro.
Si tratta di provvedimenti che per quanto riguarda alcuni aspetti appaiono,a dir poco, contraddittori e per altri possono prestare il fianco a fenomeni di illegalità diffusa.
Trovo ad esempio contraddittorio che, in materia di promozione dell’occupazione, da un lato si faccia ricorso ai Lavori di Pubblica Utilità (800 mila lire al mese per 12 mesi) che al pari dei LSU non prevedono un rapporto di lavoro, quindi manca la copertura contributiva fosse anche quella figurativa e, dall’altro, si ipotizzi la possibilità di dar vita ai contratti di emersione: cioè a contratti che con una certa gradualità dovrebbero portare all’emersione del lavoro nero e del sottosalario ed all’applicazione minima contrattuale dei CCNL con relativo versamento contributivo.
Tra l’altro la previsione del ricorso all’utilizzo dei Lavori di Pubblica Utilità anche da parte delle cooperative sociali tende a destabilizzare ancora di più il sistema dei servizi pubblici ed a frenare uno sviluppo qualificato del cosiddetto Terzo Settore che già soffre di una situazione di concorrenzialità al massimo ribasso che mette in subordine la qualità degli interventi.
E che ci sia una tendenza in atto in tal senso è dimostrato dal fatto che sembra ormai diventata una prassi consolidata da parte dei Comuni (non ultimo il caso del Comune di Brescia) di liberarsi progressivamente dei servizi socio-assistenziali ed affidarli in appalto esterno alle cooperative sociali per ragioni legate ad economie di bilancio.
A Brescia questa tendenza assume caratteri scandalistici, per usare un eufemismo, quando si scopre che l’attuale Assessore ai servizi sociali è stato in passato Presidente di una di queste cooperative a cui sono stati appaltati alcuni servizi.
Un’altra questione delicata, peraltro contenuta nel Decreto Legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 19 dicembre scorso, è quella riguardante la riforma dei servizi all’impiego che, anche per via di una recente sentenza della Corte di Lussemburgo, dovrebbe portare al superamento del monopolio pubblico del collocamento nel nostro Paese e alla progressiva apertura ai privati nella mediazione tra domanda e offerta di lavoro.
Viene da chiedersi cosa accadrà in quelle parti d’Italia dove, anche di recente, sono state denunciate forme di caporalato oppure dove esiste lo sfruttamento del lavoro minorile come nel recente caso dell’azienda tessile in provincia di Catania.
La Legge 196/97 recante norme in materia di promozione dell’occupazione prevede,tra l’altro, l’introduzione del lavoro temporale o interinale: il cosiddetto lavoro in affitto che, secondo una formulazione alquanto ambigua, dovrebbe interessare quelle lavoratrici e quei lavoratori le cui qualifiche sono ad esiguo contenuto professionale.
Al di là del rifiuto diciamo "ideologico" verso questo istituto che aggiunge ulteriori momenti di flessibilizzazione ed introduce per legge una sorta di mercificazione della forza-lavoro esiste, a mio avviso, un serio problema di legalità che potrebbe sorgere proprio intorno alla gestione dell’intermediazione di manodopera da parte dei soggetti privati.
L’attività di fornitura di lavoro interinale può essere esercitata soltanto da Società di capitali o cooperative,autorizzate dal Ministero del Lavoro, che abbiano un capitale sociale interamente versato non inferiore ad 1 miliardo, che abbiano effettuato un deposito cauzionale di 700 milioni e che possano garantire un ambito di intervento in almeno 4 regioni.
Nonostante la legge preveda che queste società debbano essere iscritte in un apposito Albo nazionale presso il Ministero del Lavoro e che l’autorizzazione rilasciata a tempo indeterminato è subordinata ogni due anni al corretto andamento dell’attività svolta. Tutto ciò non credo sia sufficiente a garantire una gestione trasparente e non clientelare dell’intermediazione di manodopera e ad impedire un possibile controllo di un pezzo non indifferente del mercato del lavoro da parte di organizzazioni criminali soprattutto, ma non soltanto, nelle regioni meridionali.
Non siamo,infatti, più di fronte ad organizzazioni che sono espressione di una arretratezza di tipo feudale, siamo bensì di fronte ad un fenomeno di modernizzazione del potere criminale che mira ad invadere in modo flessibile e pervasivo l’intero mondo economico, finanziario, politico e sociale attraverso l’ampliamento della propria sfera di azione in attività lecite ed illecite che rende sempre più difficile definirne i confini.
Ma l’introduzione del lavoro interinale può favorire anche nuovi canali di infiltrazione da parte delle stesse organizzazioni criminali nella Pubblica Amministrazione, visto che la legge estende anche al Pubblico Impiego il ricorso a questo istituto.
Una Pubblica Amministrazione che, nonostante i processi in atto, continua a mantenere tutta una serie di poteri, di competenze e di prerogative che rendono il suo intervento indispensabile in qualsiasi attività sociale e che esercita un incontrastato controllo politico ed economico della società.
La Pubblica Amministrazione è il centro delle mediazioni politiche dentro la quale si costituiscono potentati e gruppi di interesse ed è quindi da quì che bisogna ripartire per affrontare una seria ed incisiva battaglia per la legalità.
Una battaglia per la legalità che deve essere tesa innanzitutto a razionalizzare i centri di spesa per una loro riduzione (a tutt’oggi sono oltre 10 mila i centri di erogazione della spesa) in quanto la pletoricità rappresenta il principale ostacolo ad un reale controllo sull’utilizzazione delle risorse pubbliche ed un incentivo al proliferare dei fenomeni di corruzione che, come afferma Giovanni Paolo II°, fra le poche note stonate levatesi nel concertone politico italiano che intona inni per un "Paese normale", minano lo sviluppo sociale e politico della Nazione.
Basti pensare che secondo una recente stima fatta da un’Istituto di ricerca la corruzione in Italia rappresenta in termini economici circa il 10% del totale del debito pubblico con relativo e proporzionale aumento delle tasse e conseguenziale taglio della spesa.
Corruzione, malamministrazione (cioè cattivo funzionamento dell’amministrazione pubblica) , sprechi ( il ministero dei BB.CC. che ha un bilancio annuo di 2.000 miliardi spende circa 650 miliardi, cioè più del 30%, per l’affitto degli immobili che ospitano gli archivi mentre, parallelamente, si procede alla vendita del patrimonio immobiliare dello Stato), elusione ed evasione fiscale e contributiva concorrono a determinare un costo per la collettività che si aggira intorno ai 400 mila miliardi di lire l’anno e rappresentano emblematicamente lo stato di illegalità in cui versa il nostro Paese.
Un’altra questione cardine che deve essere posta al centro del nostro ragionamento è quella inerente il tema della trasparenza, degli accessi, dei controlli, in sostanza il tema della democrazia.
A che punto è lo stato di attuazione della legge 241 del ‘90 relativa alla trasparenza ed all’accesso agli atti amministrativi?
Quante sono le Amministrazioni Pubbliche che in attuazione delle norme contenute nel Decreto Legislativo n° 29/93 hanno istituito i servizi di controllo interno per la verifica del rapporto tra costi e rendimenti?
E che fine ha fatto la riforma della Corte dei Conti che prevedeva il superamento del controllo preventivo di legittimità e l’introduzione del Controllo di Gestione?
I provvedimenti varati dal Governo e dal Parlamento di cui parlavo all’inizio, al di là di alcuni snellimenti burocratici che erano a dir poco anacronistici, vanno in direzione diametralmente opposta cioè si muovono verso una riduzione dei controlli.
Per quanto riguarda,infatti, i Contratti d’Area previsti dalla L. 196/97 è previsto che l’accordo di programma-quadro tra gli Enti Locali, le Imprese e le organizzazioni sindacali hanno valore di modificazione degli strumenti urbanistici e possono derogare alle norme ordinarie di amministrazione e contabilità nonchè a quelle sui controlli.
Anche la Legge 59/97 riguardante lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procdimenti di decisione e controllo degli EE.LL. interviene pesantemente sul sistema dei controlli ridimensionando il ruolo dei CO.RE.CO. riducendo gli atti soggetti al controllo preventivo di legittimità.
C’è da notare che il controllo preventivo di leggitimità è riferito soltanto alla verifica della conformità degli atti alle norme vigenti mentre viene esclusa ogni valutazione dell’interesse pubblico perseguito.
Per quanto riguarda,invece, l’esame del bilancio preventivo e consuntivo degli Enti tutto viene ridotto ad un computo ragionieristico di verifica della corrispondenza dei dati contabili con quelli contenuti nelle deliberazioni.
Inoltre, le deliberazioni di Giunta e di Consiglio che riguardano appalti ed affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario nonchè le assunzioni di Personale, la determinazione e le variazioni delle piante organiche saranno affidate al controllo del Difensore civico comunale o provinciale, qualora un quarto dei consiglieri ne facciano richiesta scritta con l’indicazione delle norme violate.
In questo caso il difensore civico che ritenga illegittima la deliberazione invita l’Ente Locale ad eliminare i vizi riscontrati, ma se il Consiglio con il voto favorevole della maggioranza dei suoi componenti decide di approvare la delibera nella sua stesura originaria essa acquista efficacia nonostante il parere negativo del Difensore Civico.
Che controlli sono mai questi se alla fine il parere di illegittimità viene eluso attraverso il voto della stessa maggioranza che aveva già votato in prima istanza la delibera?
In Sicilia, terra di laboratori e sperimentazioni già da diversi anni le Aziende Speciali degli EE.LL. non sono soggette ad alcuna forma di controllo da parte del CO.RE.CO.
L’unico controllo, quello sul bilancio preventivo e consuntivo nonchè sulle variazioni, è stato effettuato dai Consigli comunali e provinciali che, come si sa, sono organi di indirizzo politico.
Nessuno ha mai controllato in questi anni se gli atti di queste Aziende Speciali, soprattutto quelli relativi alle spese, siano stati finalizzati ai compiti istituzionali o se sono stati utilizzati, come si è scoperto in qualche caso, per finanziare altro.
Insomma, la recente legislazione anzicchè muoversi sul piano della riduzione dei centri di spesa ed incrementare un efficace sistema di controlli ha invertito il principio riducendo i momenti di controllo e lasciando inalterata la pletoricità dei centri di spesa che, oltre ad essere la causa principale delle lungaggini burocratiche, rappresenta il terreno entro cui si radicano e fioriscono i fenomeni di corruzione e si perpetua il perverso intreccio tra spesa pubblica ed accumulazione criminale.
Quanto fin quì rappresentato, oltre a mettere in evidenza il fatto che il tema della legalità rappresenta un nodo non eludibile nella costruzione del progetto strategico di un Sindacato che vuole rappresentare interessi generali, tende a rimarcare il protagonismo che la nostra Categoria può e, a mio parere, deve avere su questo versante attraverso la contrattazione.
Io credo che, coerentemente con quanto è stato elaborato dalla nostra Categoria in termini di analisi e di proposte in tema di trasparenza e legalità, tra l’altro contenute nel documento in preparazione del VI° Congresso della Funzione Pubblica del giugno ‘96 , nella predisposizione delle piattaforme contrattuali, che da quì a poco andremo a redigere, queste proposte dovranno diventare parte integrante delle nostre rivendicazioni se si vuol passare dalla fase della mera denuncia e dell’affermazione di principio a quella più pregnante dell’operatività tesa a prevenire e ad arginare almeno qualcuno di questi fenomeni degenerativi che di seguito, anche se in maniera un po' schematica, tenterò di evidenziare.
Tra l’altro una battaglia per la legalità e la trasparenza nell’erogazione della spesa legata alla richiesta di esigibilità dell’accordo per il lavoro nel settore pubblico siglato nella primavera del ‘97, oltre a favorire l’eliminazione di parte degli sprechi che gravano sulla fiscalità generale, può consentire alla nostra Categoria di reperire altre quote di salario accessorio da destinare ai dipendenti pubblici attraverso i risparmi sui costi di gestione delle singole Amministrazioni.
Inoltre l’accordo per il lavoro nel settore pubblico prevede di destinare l’1% della spesa complessiva per il personale alla formazione. Ciò potrà consentirci di professionalizzare i dipendenti pubblici soprattutto in quei settori delle Amministrazioni che, con un aggravio non indifferente dei costi, affidano all’esterno compiti che istituzionalmente spettano alle Amministrazioni stesse.
Pertanto, al di là di quelle che sono le sacrosante rivendicazioni delle lavoratrici e dei lavoratori in termini di incrementi economici tabellari e di opportunità tese a favorire sviluppi di carriera, penso che le future piattaforme contrattuali dovranno caratterizzarsi per una valorizzazione del lavoro e dei servizi pubblici ma anche per una diversa individuazione del salario accessorio da destinare ai dipendenti che deve essere sempre più finalizzato al raggiungimento di obiettivi legati all’efficienza,all’efficacia, alla produttività e deve portare ad una contestuale eliminazione del lavoro straordinario .
Non è pensabile,infatti, che per il futuro si ripetano casi come quello del Ministero dei BB.CC. dove ad esempio per l’anno 1996 il 19% dell’importo complessivo per lavoro straordinario, pari a circa 2 miliardi, è sato diviso fra i 292 dirigenti per un corrispettivo medio di circa 6 milioni l’anno pro-capite mentre nello stesso Ministero, oltre alle lavoratrici ed ai lavoratori trimestrali, già da oltre sei anni centinaia di lavoratrici e lavoratori chiamati a svolgere LSU a 800 mila lire al mese e senza contributi vengono impiegati, soprattutto nelle realtà meridionali, per coprire le carenze di organico.
Così come vanno eliminati i compensi per incarichi (arbitrati, collaudi,consulenze tecniche, commissariati ad acta, etc.) percepiti dai pubblici dipendenti.
Ogni singolo incarico, secondo i dati estrapolati dalla relazione annuale sullo stato della Pubblica Amministrazione per il 1994, è stato remunerato mediamente oltre i 3 milioni e mezzo , mentre la somma complessiva erogata sempre per l’anno ‘94 è stata circa 400 miliardi.
C’è da sottolineare che questi dati si riferiscono soltanto al 2,4% delle amministrazioni interessate , mentre non si conoscono le somme erogate dal restante 97,6% .
Ma se il trend è quello che viene fuori dall’analisi dei dati relativi al 2,4% delle amministrazioni che hanno risposto ci troviamo di fronte,in via ipotetica, ad una spesa erogata per incarichi che supera i 10 mila miliardi l’anno.
Gli incarichi, a mio avviso, dovrebbero essere annoverati tra i compiti d’istituto dei dipendenti pubblici di solito collocati negli alti livelli ed a cui andrebbe riconosciuto per l’esercizio di questi compiti tutt’al più un’idennità pari a quella che normalmente viene erogata al personale che si reca in missione.
Inoltre, per liberare ulteriormente i bilanci della P.A. da cospicui aggravi di spesa, sarebbe opportuno ricondurre dentro le singole Amministrazioni che sono dotate di uffici tecnici alcune competenze che attualmente vengono affidate all’esterno (progettazioni, direzione lavori, etc.)
Un’altro nodo fondamentale che dev’essere affrontato contrattualmente è quello riguardante il superamento del sistema degli appalti nel comparto dell’Igiene Ambientale, in quanto è soprattutto in questo settore che si realizza il perverso intreccio tra spesa pubblica e accumulazione mafiosa nonchè il controllo sociale sul territorio da parte della criminalità organizzata.
In questo settore sarebbe opportuno adoperarsi per la creazione di Aziende Speciali (così come è previsto dalla legge 142/90) che, essendo dotate di personalità giuridica ed avendo vincoli di bilancio, possono essere in grado di offrire un servizio più efficiente, meno oneroso e meno esposto al controllo della criminalità.
Così come occorre dotarsi di una strumentazione che ci consenta di controllare quanto avviene intorno ai processi di progettazione, aggiudicazione ed assegnazione degli appalti per opere pubbliche nonchè quelli riguardanti beni e servizi, con particolare riguardo al comparto Sanità . Sono,infatti, questi i settori dove maggiormente si sono registrati fenomeni di corruzione e di infiltrazione malavitosa e che, ancora oggi, occupano tanto spazio nella cronaca giudiziaria del nostro Paese .
Queste, in estrema sintesi, sono alcune delle questioni in tema di legalità e trasparenza che come categoria dovremmo affrontare.
Non sono argomenti nuovi nè proposte estemporanee perchè, come ricordavo prima, in larga misura fanno parte integrante dell’elaborazione del nostro documento in preparazione dell’ultimo congresso celebratosi appena un anno e mezzo fa.
Non vorrei,pertanto, che la nostra Federazione assuma le caratteristiche di quella che il Prof. Filippo Viola,docente di Sociologia all’università La Sapienza di Roma, chiama la Società Astratta cioè di una società regolata da una democrazia formale dove da una parte vengono proclamati principi e, dall’altra, si creano invece i presupposti perchè non si realizzino.
Con i compagni di Alternativa Sindacale componenti del Direttivo Nazionale abbiamo affrontato l’argomento e condiviso l’esigenza che la Categoria ponga queste questioni al centro della propria iniziativa rilanciando e dando una struttura organizzativa al Centro per la Trasparenza già esistente che , oltre alle denunce, sia in grado di dare risposte atte a prevenire tali fenomeni.
In passato, i progetti presentati dal Centro per la Trasparenza alla Segreteria nazionale non sono stati mai stati discussi nè, tantomeno, sono stati oggetto di dibattito all’interno del Comitato Direttivo nazionale.
La nostra Categoria si è recentemente dotata di un proprio Statuto che individua nella gestione unitaria, tra le aree programmatiche che si sono confrontate al Congresso, il modello da perseguire nel governo della struttura.
La gestione unitaria presuppone un confronto ed una mediazione tra le aree programmatiche sulle singole questioni che, a mio parere, non possono risolversi nè attraverso veti contrapposti, pena l’accantonamento di importanti nodi politici, nè tantomeno a colpi di maggioranza in quanto ciò relegherebbe una delle parti contraenti ad un ruolo marginale e subalterno.
Penso, pertanto, e concludo che sulle questioni relative alla trasparenza ed alla legalità, anche alla luce del fatto che le analisi e le proposte contenute nel nostro documento in preparazione del congresso sono state condivise dalla totalità della struttura, è necessario che all’interno della Categoria si apra un dibattito teso a riposizionare il nostro ruolo su questo versante.
Comunicazione
di Franca Peroni - Segretaria Generale FP Trento
La contrattazione fra autonomia e federalismo
L'autonomia ed il federalismo sono termini che abitualmente siamo abituati a pensare come positivi. Credo non siano automaticamente così. Autonomia e federalismo sono opportunità, ma spesso, divengono vincolo pesante rispetto al piano nazionale.
Diventa difficile argomentare teoricamente questo concetto, se non entriamo nel merito di casi concreti. Ed io vorrei portare qui il caso del Trentino che ha al suo attivo mezzo secolo di esperienza autonomistica che si è quindi potuta collaudare nel corso del tempo.
L'esperienza autonomistica trentina
Voglio premettere subito che la classe politica trentina è stata ed è tuttora, con i relativi distinguo, mediamente sufficiente: le esperienze di Tangentopoli non l'hanno sfiorata, se non marginalmente; il quadro delle realizzazioni in opere pubbliche e servizi è mediamente dignitoso; si è dato spazio sul territorio alla realizzione di una rete di attività e servizi cooperativistici - a forte tradizione cattolica; il personale politico amministratore locale vi giungeva dopo un percorso di formazione interna al partito ed ai consigli comunali in ruoli minori (abitudine questa quasi scomparsa, purtroppo, nella cosidetta "seconda repubblica").
Un quadro di riferimento quindi non fortemente compromesso., in senso negativo.
Nonostante ciò, non c'è stata una occasione in cui l'autonomia sia stata usata come strumento per precedere modificazioni sociali ed istituzionali.
L'esempio più lampante credo sia riferito al recepimento della L. 421/92, effettuato dalla Provincia Autonoma di Trento nell'aprile 97, mentre i Comuni e la Regione Autonoma Trentino Alto Adige devono ancora adottare questo importante strumento legislativo e continuano ad operare con la vecchia normativa. Quando ciò non è avvenuto con pesanti ritardi, abbiamo esperienze come quella della Provincia Autonoma di Bolzano che ha recepito due anni fa la l. 421, stravolgendone i contenuti (basti pensare che l'Aran non esiste e che il titolare di contrattazione di parte pubblica è la Giunta provinciale con la sua espressione politica. Non parliamo poi del piano contrattuale, pur con il rispetto delle declinazioni altrui pensate che la logica del fondino è stata estesa al trattamento fondamentale, nel senso che ogni ente può autonomamente disporre l'inquadramento temporaneo o definitivo a livello superiore di alcune figure aldifuori di qualsiasi percorso di carriera o di contrattazione sindacale).
Si pone in atto quindi una possibilità di modifica del piano normativo nazionale, declinando le specificità territoriali in maniera esclusiva/sostitutiva del quadro di regole generali, anche con particolare riferimento a ruoli e competenze, non sempre però con risultati positivi.
L'altro nodo che ci siamo trovati ad affrontare nel nostro quadro autonomista è la rappresentanza della titolarità originaria dei diversi soggetti sul piano contrattuale per parte pubblica.
La contrattazione originaria
Noi sigliamo un contratto che "politicamente" è unico, ma che dovrebbe essere separato: la Provincia potrebbe siglare un contratto per il proprio personale e per quello dei propri enti funzionali; l'Associazione dei Comuni per il proprio; l'Upipa per il personale delle case di riposo. Lo stesso Consiglio provinciale ha contrattazione autonoma ed originaria rispetto al personale del Consiglio. La Regione da sempre firma un proprio contratto che, per alcuni versi - ed anche per quantità economiche - è radicalmente diverso da quello del tradizionale comparto degli enti locali. Naturalmente, anche il Consiglio regionale ha la propria contrattazione autonoma, a ricalco su quella della Regione.
Il ruolo dell'Aran e le direttive degli enti
L'Aran quindi dovrebbe essere lo strumento che rappresenta a pari dignità i diversi soggetti titolari di contrattazione. E qui sono nati i primi problemi, che credo ricalchino in visione "decentrata" quanto è avvenuto col Governo sul piano nazionale: i Comuni hanno vissuto come imposizione la definizione delle direttive da parte della Provincia, salvo poi non svolgere il proprio ruolo, o meglio, rivendicando una autonomia impositiva "a valle", da usarsi come veto sulle scelte già maturate al tavolo. Basti pensare che nelle ultime battute di chiusura contrattuale, il rappresentante Aran dell'Associazione dei Comuni ha rimesso in discussione l'intero impianto contrattuale, dopo aver silenziosamente presenziato al tavolo per tutta la durata della trattativa ed ha chiesto il proprio "piccolo scalpo" per dimostrare di essere stato incisivo. Non una proposta in ordine all'uso del salario accessorio - ad esempio - come strumento di modificazione dell'organizzazione del lavoro è venuta. La direttiva dell'Associazione prevedeva esclusivamente la quantificazione del costo complessivo del rinnovo contrattuale.
Su questo comportamento ha giocato una cultura ancora non sradicata che è quella di forte richiesta di autonomia, ma anche di forte dipendenza finanziaria: i Comuni, pur richiedendo di poter decidere della propria vita, sono ancora nell'ottica del finanziamento a piè di lista da parte della Provincia e non hanno ancora effettuato scelte in ordine all'utilizzo di risorse come leva del cambiamento nell'organizzazione delle attività e dei servizi. Il quadro dell'esperienza sul piano della formazione del personale, di cui dirò poi, è illuminante al riguardo.
Sempre sul piano delle risorse contrattuali, rimane poi da risolvere il problema che riscontriamo sul versante dell'assistenza e cioè come evitare che il costo del rinnovo contrattuale si scarichi automaticamente - perché così avviene ora - sul piano delle rette degli ospiti delle case di riposo, avviando una spirale perversa
I comparti di contrattazione
Ed ancora, il piano autonomistico porta alla definizione di fatto di contratti a carattere originario. In Trentino abbiamo il contratto originario degli enti locali (comuni, provincia, ipab con le specificità soprarichiamate, nonché vigili del fuoco e corpo forestale), il contratto originario della regione, il contratto originario degli enti di ricerca trentini, il contratto originario del terzo settore, il contratto originario - dal 1998 - della sanità. Se precisiamo che motorizzazione e lavoro, nonché competenze anas sono passate alla Provincia, che la Provincia ha competenza anche sulla scuola e quindi su quel contratto (seppur con una rete di salvaguardia su quello nazionale), voi capite che il quadro di riferimento è sufficientemente complesso (oltre che quasi insopportabile per le strutture sindacali). Ebbene questa originarietà porta anche un altro pericolo: la frantumazione dei comparti, le spinte e le richieste cioè per ricavare ulteriori spazi all'interno di quelli già ampiamente esistenti (vedi il comparto degli enti locali che per noi di fatto non è un comparto, ma intercompareto), con la motivazione della necessaria valorizzazione di professionalità specifiche e con il rischio gravissimo di frantumazione delle politiche contrattuali.
Infine,l 'ultimo scoglio da superare è quello di prevenire le possibili incursioni delle strutture e degli enti al tavolo contrattuale. L'esperienza di questo primo contratto ci ha portato a riscontrare che il tavolo contrattuale veniva poi di fatto, riveduto e corretto dagli uffici, arrivando all'aberrazione di dover modificare il contratto di settore (quello sul salario accessorio) per la Provincia, dopo averlo siglato perché gli uffici - pur essendo stati coinvolti in fase di elaborazione del testo, hanno successivamente alla firma fatto rilevare la loro incapacità ad applicare le scelte effettuate, richiedendo quindi modifiche di strumenti applicativi del salario accessorio.
Che fare?
Perché questa lunga premessa negativa?
Chiarisco che non vuole essere svalutativa della possibilità di intervenire direttamente ed in via originaria, tutt'altro. Credo però sia indispensabile partire dalle cose che non vanno per ricostruire un modello di relazioni sindacali e contrattuali che tengano conto dei necessari aggiustamenti.
I nodi evidenziati necessitano di sostegni legislativi (che abbiamo previsto) e di pratica sperimentazione: occorre cambiare la cultura anche della contrattazione nelle parti pubbliche (dico questo pur non sottovalutando la necessità di un "aggiustamento" anche in casa nostra!)
Il modello contrattuale
Aldilà dei nodi politici generali, occorre indagare maggiormente sul modello contrattuale che siamo abituati ad utilizzare nel nuovo intreccio con il ruolo della dirigenza e con le competenze gestionali che ad essa sono affidate.
La legge 421/92 prima, ed il decreto legislativo 29/93, pur con le modificazioni intervenute successivamente (Bassanini e dintorni) rivoluziona il ruolo e le funzioni che tradizionalmente erano assegnate al dirigente, introducendo un impianto gestionale di chiara natura privatistica. Ebbene, a me sembra che su questo versante si sia peccato di zelo passando, per quanto attiene la gestione del personale, da un procedimento pesante e peraltro poco produttivo (provvedimenti sui quali è obbligatorio il parere delle OO.SS.) ad una autonoma determinazione del dirigente che forse è un tantino esagerata.
Il salario accessorio
L'utilizzo del salario accessorio, sia per quanto attiene la redistribuzione del lavoro straordinario, che di alcuni istituti come il responsabile di procedimento o l'area direttiva non può essere patrimonio ed autonoma determinazione del dirigente, ma va contrattato ben aldilà dei "criteri generali" o delle "modalità di redistribuzione" delle stesse. Occorre individuare magari modalità nuove che però garantiscano trasparenza della determinazione e nella attribuzione di questi istituti, pur salvaguardando il potere organizzatorio degli enti..
Lo stesso dicasi per la produttività. Attualmente assistiamo a contrattazione dei criteri per l'individuazione dei progetti (che tra l’altro spesso e volentieri nascondono esclusivamente lavoro straordinario).
Su questa partita in Trentino, abbiamo provato ad introdurre alcune elementi di garanzia nella contrattazione. Per tutti gli istituti abbiamo previsto una frase di "conciliazione" dell'eventuale contenzioso individuale, con la presenza della rappresentanza sindacale, prima della "esecutività" dell'istituto. Questo obbliga il dirigente ad una informazione "in corso d'opera". Per quanto attiene i progetti di produttività, poiché l'esperienza era che le Amministrazioni tendevano a non proporre alcun progetto, riversando in economie dell'ente le quantità economiche, abbiamo introdotto la possibilità di contrattazione su progetti proposti dal Sindacato, in assenza di proposta dell'Amministrazione. Abbiamo introdotto inoltre piccole regole di "comportamento" per i progetti: contenuti, partecipazione e modalità di attivazione, verifica vanno illustrate preventivamente dal Dirigente al personale. Ogni dipendente ha diritto di farvi parte, ma anche di autoescludersi nel caso non fosse interessato o la partecipazione fosse eccessivamente pesante (questa garanzia è stata prevista in particolare sui progetti che riguardavano le flessibilità d'orario, con particolare riguardo ai lavori di cura che molte lavoratrici devono autogarantirsi in assenza di servizi); ogni esclusione del dipendente va motivata dal dirigente; la previsione di fasi intermedie di verifica, con la possibilità di aggiustare strumenti ed intervenire su cause di rallentamento del progetto, ecc.
La formazione
Un altro strumento per l'organizzazione del lavoro sono le politiche formative che vanno contrattate, aldilà delle linee di indirizzo generali. Questo passaggio è particolarmente importante anche con riferimento al nuovo modello ordinamentale, dove la formazione dovrebbe essere uno degli strumenti importanti per la gestione del personale. So che in molte realtà questo si fa di fatto, ma non è sufficiente. Occorre che esistano protocolli certi di esigibilità della formazione, sia a carattere generale, che specifico. Fino ad oggi, invece la partecipazione a percorsi formativi è stata considerata spesso una perdita di tempo, perché vissuta come "vacanza premio" per il dipendente disponibile. Il tempo non mi consente di sviluppare una serie di osservazioni che, anche con un occhio da formatrice, ho potuto farmi al riguardo. Solo una cosa voglio segnalare: nel nostro contratto trentino abbiamo tentato di introdurre un primo punto fermo. Un pacchetto di 20 ore minime annue di formazione come diritto del dipendente, da agire nel caso lo stesso non fosse stato coinvolto da alcun progetto formativo.
La formazione risulta indispensabile anche per i dirigenti rispetto alle nuove modalità di gestione del personale e delle risorse. Abbiamo infatti ancora una vasta schiera di dirigenti formati con la tradizionale cultura orientata alla norma e non al risultato che, pur con disponibilità personale, non hanno strumenti di sostegno nel nuovo ruolo.
La contrattazione degli orari
La rimodulazione degli orari delle pubbliche amministrazioni è una esigenza imprescindibile per riuscire a mantenere in gestione diretta tutta una serie di attività e servizi a contenuto non burocratico. Non è quindi pensabile che questa partita venga gestita in "autonoma determinazione del dirigente". Occorre anche qui - ma non credo di insegnare niente a nessuno - contrattare gli orari di servizio, attraverso la contrattazione dell'orario di lavoro. La strada deve essere quella di disarticolare i moduli d'orario all'interno dello stesso ente, perseguendo ed adattando i diversi orari alle specificità dei servizi: quindi moduli ed articolazioni anche non canoniche, che invece puntino ad una riduzione dell'orario a 35, se non a 32 ore settimanali per alcune tipologie di lavori. Anche l'adozione di orari plurisettimanali - con la fissazione dei massimi giornalieri - può essere la risposta a determinate tipologie di servizi, con un riscontro rispetto al recupero di tempi di non lavoro (sto pensando ad esempio ai guardiaparco di un nostro parco). Anche il part-time verticale può risolvere il problema della stagionalità che trascina precariato a vita.
Le esternalizzazioni
Il processo di decentramento delle funzioni ha visto una accelerazione sul versante della esternalizzazione dei servizi da parte degli enti locali. E' più facile appaltare alcuni servizi che provare a governare le contraddizioni gestionali.....
Sul versante delle esternalizzazioni abbiamo esperienze autorevoli, il territorio che ci ospita ha fatto scuola, anche positivamente. Ma io penso sempre alle realtà con minor cultura di controllo e partecipazione sociale, dove le esternalizzazioni sono di fatto l'autostrada per la sparizione dei servizi. Sto pensando all'esperienza trentina degli asili nido, di durata ventennale, messa in discussione da una finanziaria provinciale che cancella la legge istitutiva del servizio, rinviando la scelta gestionale ai singoli comuni, introducendo oltre all'asilo nido, il nido familiare, organizzato direttamente dalle famiglie interessate e la "Tagesmutter" che in quando madre biologica può accudire figli altrui. Non solo, il comune capoluogo di provincia introduce il finanziamento dell'onere contributivo/assistenziale per le lavoratrici e per i datori di lavoro che utilizzino l'aspettativa facoltativa, in alternativa al servizio di asilo nido. Come dire, la vecchia cultura che privatizza i bisogni sociali..... Se ci aggiungiamo l’elezione diretta dle Sindaco, la trasformazione del Segretario comunale in funzionario di fiducia dell’Amministrazione, la caduta dei controlli......
Appare evidente come occorra lavorare sul piano del mantenimento delle regole generali e delle leggi di riferimento che garantiscano, pur nella autonoma capacità gestionale dei singoli comuni parametri quali/quantitativi di erogazione del servizio omogenei su tutti i territori.
Dovremo anche porre attenzione alla necessità di contrattazione - su piano confederale, ma anche di categoria - del complesso delle proposte di riorganizzazione dei singoli enti locali (mi riferisco evidentemente alle realtà medio grandi, dove spesso esistono progetti di esternalizzazione, volti al raggiungimento del "comune leggero", progetti però che non vedono la partecipazione ed il coinvolgimento delle parti sociali).
Occorre lavorare quindi per definire protocolli e convenzioni per l'esternalizzazione dei servizi che definiscano tutele, diritti dei lavoratori e degli utenti, i parametri di erogazione del servizio, le modalità e gli strumenti di verifica da parte dell'utenza.
Sul piano della contrattazione che ci riguarda più direttamente invece dobbiamo partire dal fatto che il contratto degli enti locali rischia di divenire ormai un contratto residuale: occorre operare sul contratto del terzo settore. E qui troviamo le prime difficoltà, date dal fatto che i trattamenti economici sono molto al di sotto della bisogna, che le condizioni medie di lavoro e di agibilità sono spesso largamente insufficienti; che ancora è ampiamente presente, pur con le importanti precisazioni legislative intervenute, la figura del socio-lavoratore che sottrae forza ed incisività sindacale. Occorre procedere celermente ma con estrema chiarezza e prudenza sulle flessibilità. Dovrà essere chiara la nostra indisponiblità allo scambio diritti/salario; la nostra più netta contrarietà ad una logica di mantenimento dei livelli di welfare state attraverso una logica di accettazione del mantenimento o ribasso salariale; si instaurerebbe una spirale perversa che avrà come risultato finale il trascinamento anche dei contratti storicamente "centrali" ad una rincorsa senza fine verso il basso.
In chiusura, appare sempre più evidente come la nostra presenza, come lavoratori e lavoratrici dei servizi pubblici, sia strettamente legata alle scelte che le comunità locali faranno nel prossimo futuro.
Come esiste uno stretto intreccio fra riforme istituzionali, modifiche sociali, modelli organizzativi e contrattazione.
La contrattazione non è e non sarà quindi l’unico strumòento che regolerà l a nostra vita lavorativa; ma appare anche evidente che la stessa è strumento fondamentale per dare gambe - o al contrario affossare - il progetto di òsocietà civile che le comunità locali si daranno.
Noi puntiamo ad una contrattazione di qualità, perchè vogliamo che i servizi, le attività erogate siano di qualità: per questo siamo affezionati alla "valutazione di impatto sociale" (qualità, economicità, livelli occupazionali)-
Per questo, insisto e chiudo, dobbiamo continuare a pensare ad un "valore contrattuale" omogeneo in tutti i nostri settori, che non significa appiattimento su un unico modello, anzi; la contrattazione decentrata - in particolare - dovrà offrire tutte le opportunità per disegnare il miglior "abito" addosso alla singola realtà, ma solo a partire da un quadro di regole generali consolidate che devono essere sostanzialmente uguali in ogni settore.
Comunicazione
di Amedeo Baittiner - Segretario FP Cgil Napoli
Riflessioni contrattuali
La nuova piattaforma contrattuale per il personale del comparto Regioni Autonomie Locali periodo 1.1.98 - 31.12.2001, entra in sinergia con i percorsi di riforma istituzionale in atto nella P.A., tendenti al decentramento di poteri e di risorse verso le Autonomie Locali.
In sintonia con l'intesa sul lavoro pubblico del 12.3.97, si dovranno contrattare tutte le ricadute organizzative derivanti dalle Leggi 59/97 e 127/97, confrontandosi sul tavolo della "contrattazione integrativa".
Il punto centrale del nuovo ordinamento contrattuale, è la riforma del sistema delle relazioni sindacali, che subisce un'incisiva modifica con ricadute molte rilevanti nella gestione del personale degli Enti Locali.
A supporto di tali trasformazioni, contribuisce in termini significativi il D.l.del 4.11.97 n.396, che nei fatti modifica il D.L. 29/93 in materia di contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale nel Pubblico impiego, espandendo il campo della contrattualizzazione e ampliando gli spazi di contrattazione.
E' espressiva "la metamorfosi" della contrattazione che da decentrata si trasforma in integrativa, permettendo la definizione in sede aziendale dei trattamenti economici, indirizzata, soprattutto,all'organizzazione del lavoro e alla gestione - contrattazione dei processi di formazione e riqualificazione del personale.
Al momento, è difficilmente valutabile quale sarà il reale aspetto di queste incisive modifiche sul personale del comparto. Certamente, è immaginabile il punto di crisi che il sindacato dovrà affrontare e, nel suo ruolo, tentare di trasformare in fattore strategico di successo: la qualità dell’interlocutore.
La Dirigenza, che fisiologicamente tende alla conservazione del modello "weberiano", (in cui più che mirare agli scopi istituzionali tende ad autoconservarsi con una latente opposizione al cambiamento che minaccia la stabilità e il privilegio), nonostante le modifiche legislative non ha ancora una propria autonomia di gestione degli obiettivi e dei programmi, "subendo" le continue interferenze di quella parte della politica che protende ad identificare l'attuazione del federalismo di fatto con "il Partito dei Sindaci". Si pensi, ad esempio, all'applicazione degli artt. 34 e 36 del C.C.N.L. 94/97 EE.LL. protesi in troppi casi ad avvantaggiare posizioni di coesione alla "fedeltà" politica e non all'incentivazione e al riconoscimento delle professionalità e delle reali posizioni plurime di responsabilità. Vi sono Enti Locali nella provincia di Napoli in cui tali voci contrattuali sono state assegnate attraverso "il criterio" del sorteggio o della rotazione. E’ neccessario, quindi, il superamento del "fondino" e dei fondi. E' questo uno dei primi punti d'impedimento nell’ambito della contrattazione decentrata. Vi è una grande difficoltà, per l’inadeguatezza dell’interlocutore, ad impostare accordi decentrati protesi alla "gestione per obiettivo" in favore della qualità dei servizi e dell’efficienza per i cittadini. Nel Comune di Pozzuoli, Ente che conta 1700 lavoratori circa, ad esempio, non si riesce a definire per il 1998 il fondo dell’art. 31 perché l’Amministrazione "occulta" i risparmi di gestione.
Un ulteriore impedimento è la "resistenza" degli interlocutori Amministrativi (questo accade soprattutto negli Enti di piccole e medie dimensioni) a comprendere che l'investimento più produttivo da parte di un'Amministrazione è l'investire sulle risorse umane interne, affinché il personale possa gestire in autonomia il proprio compito, rispondendo in termini d'efficienza alle istanze del territorio. Permettendo, in questo modo, allo stesso territorio di esprimere la propria "vocazione economica" avvalendosi della P.A. quale indotto processore dello sviluppo e, quindi, nuovo alleato di democrazia, soprattutto in quei territori del sud dove esistono "Patti Territoriali " e "Contratti d’Area", vi è un’incapacità di costruire "Macchine Amministrative adeguate a questi strumenti di finanziamento. Di conseguenza, formazione e riqualificazione del personale, quale fattore strategico di successo e non solo come "costruzione di percorsi di carriera" finalizzati a clonare un apparato burocratico funzionale alla riproposizione del consenso politico. Una conferma di questo "modello culturale" è stata l'applicazione dell'art. 35 del D.p.R. 333/90 (LED), in cui i corsi di formazione e aggiornamento sono stati inseriti tra i criteri per l'accesso alla voce contrattuale.
Formazione, quindi, quale priorità per l'attuazione del decentramento delle autonomie locali, rispetto alle scelte di sviluppo territoriale e di gestione dell'organizzazione amministrativa. Su quest'obiettivo, attraverso la contrattazione integrativa, è necessario vincolare non solo l'1% della spesa complessiva del personale ma, la maggior parte dei risparmi di gestione e delle risorse liberate dalla riorganizzazione, all'interno dell'amministrazione.
Ulteriori punti di riferimento, nella provincia di Napoli sono:
Le modifiche apportate dal D.L. del 3 Febbraio 93, n.29, in materia di rappresentatività sindacale, non hanno poco rilievo. In comparti come quello della Sanità, infatti, in cui il proliferare di tante sigle sindacali di natura corporativa attivava un processo di polverizzazione che, oggettivamente, diventava un punto d'impedimento per una contrattazione snella e produttiva, con la definizione del limite minimo della rappresentatività si rende "governabile" la contrattazione. E’ necessaria, quindi, la definizione, quanto prime, delle RSU quale struttura elettiva di rappresentanza contrattuale legittimata da tutti i lavoratori che permetterà, agli stessi soggetti dei tanti sindacati autonomi, di essere rappresentati.
Per concludere, al fine di non ingenerare improficue suggestioni politiche, occorre soffermarci su un punto: la riflessione che la stessa CGIL deve fare al suo interno. In un momento in cui la P.A. è caratterizzata da un "clima" di centrosinistra, la F.P. e la CGIL tutta deve restare ancorata, quale soggetto di rappresentanza d'interessi, alla sua Autonomia. Rimanendo immune dalla contaminazione della politica che vorrebbe un sindacato più duttile ai propri interessi e "resistente" a chi, dal suo stesso interno, tende sempre più a sottrarre spazi all'Autonomia in favore del "referente politico".
Comunicazione
di Enzo Moriello - Segretario FP Lombardia
Democrazia e contrattazione per l'affermazione dei diritti sociali
Già entro marzo di quest'anno dovrebbero essere approvati, dal Governo, i provvedimenti che spostano dal centro alla periferia, quindi dallo stato centrale alle regioni, alle province e ai comuni numerose competenze e poteri in una logica di attuazione di federalismo amministrativo a Costituzione invariata.
Nel frattempo la Commissione bicamerale per le riforme istituzionali ha approvato un organico progetto di riforma della seconda parte della costituzione che passerà, a breve, al vaglio delle camere e, successivamente, all'approvazione popolare mediante referendum deliberativo
Questi provvedimenti, attraverso un'azione che connette riforma istituzionale e riforma amministrativa, sono destinati ad accelerare quel ridisegno degli assetti dei poteri nel nostro paese già avviato da tempo, attraverso processi materiali e legislativi.
Basta ricordare i nuovi meccanismi elettorali, l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di province e regioni, i principi di separazione tra responsabilità politica e responsabilità di gestione nelle amministrazioni pubbliche.
Processi di tale natura influenzano profondamente non solo la sfera delle istituzioni e della politica, ma anche la sfera del sociale, del potere sociale.
1.1 Dimensione sociale e distribuzione dei poteri
Il tema dei poteri sociali è spesso ignorato o sottovalutato nel dibattito generale. L'eccesso di attenzione sugli aspetti politico-istituzionali e quindi sulla mediazione tra partiti, tra istituzioni, e l'attenzione alle questioni economiche contribuisce ad escludere o marginalizzare la sfera del sociale.
Si produce così una cesura tra dimensione sociale e dimensione istituzionale che oscura il terreno fondamentale dei diritti sociali che è parte fondamentale dell'azione del sindacato, oltre che, almeno fino ad oggi, è bene ricordarlo, parte integrante della Costituzione.
Credo sia utile richiamare, per titoli, i cambiamenti fondamentali che si sono già prodotti e si stanno ulteriormente consolidando in questi anni.
Sul piano istituzionale:
Sul piano amministrativo
Si va affermando una versione "pubblica" di quello che è chiamato processo di reingegnerizzazione dell'attività produttiva, che si traduce nella progressiva esternalizzazione di tutte le attività che non sono ritenute nucleo fondamentale "dell'azienda".
2. Sindacato e riforme
E' evidente che l'attenzione del sindacato ai temi della riforma istituzionale ed amministrativa e' fondamentale per favorire quella connessione, tra istanza sociale ed istanza politica, che si rivela sempre più un legame debole nell'attuale fase di transizione.
Non voglio affermare che il sindacato è stato fin qui estraneo ai processi di riforma.
Soprattutto sul terreno del decentramento, della riforma amministrativa, dei processi di cambiamento del lavoro pubblico, con il passaggio fondamentale della contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, si può affermare che il sindacato è stato spesso soggetto protagonista di cambiamento, stimolando, rivendicando e promuovendo i processi riformatori, ma, troppo spesso, è sembrato che prevalesse un collateralismo al quadro politico, come se fosse prevalente l'attenzione a non ostacolare le riforme piuttosto che esprimere una soggettività progettuale.
Il Sindacato deve riuscire a porre all'attenzione generale il problema che l'unità politica non può darsi senza porsi, contemporaneamente, l'obiettivo dell'unità sociale del paese.
L'unità sociale rischia di essere compromessa se le differenziazioni economiche e sociali presenti nelle diverse aree sono affrontate proponendo l'affermazione di sistemi di diritti e di retribuzioni differenziati, o se non sono frenati i processi di frammentazione e di dumping che si vanno affermando, un po’ ovunque, ed ai quali non sono estranei i mutamenti in corso nella pubblica amministrazione.
2.1 L'autonomia progettuale del sindacato
A mio parere, il nodo principale che il sindacato deve sciogliere è rispetto a quale ruolo deve assumere rispetto ai processi in atto:
Per quanto mi riguarda sono un sostenitore di quest'ultima posizione che impegna il Sindacato a mettere in campo un proprio progetto di società.
Si tratta allora di porre grande attenzione anche verso se stessi, sul proprio modello organizzativo e sulle modalità di formazione delle decisioni.
Sono convinto che il sindacato deve assumere con convinzione il principio del decentramento dei poteri e delle funzioni per farne un'occasione di diffusione dei poteri, della partecipazione, della democrazia contrastando una pericolosa tendenza a far nascere dal decentramento nuove forme di centralismo.
Ad esempio forte è la tentazione da parte di alcune regioni di affermare un neocentralismo regionale. In Lombardia abbiamo assistito da parte della giunta Formigoni al tentativo di sostituirsi, attraverso la legislazione regionale e in qualche caso attraverso la contrattazione, al livello nazionale. Oltre alla nota questione della sanità, abbiamo assistito al tentativo di realizzare un sistema di classificazione regionale del personale sostitutivo del contratto nazionale, al tentativo di imporre per legge il CCNL da applicare alle lavoratrici ed ai lavoratori degli ex IACP trasformati, al tentativo, tuttora in atto, di realizzare una polizia municipale regionale sottraendo quindi agli enti locali l'autonomia, in tale campo, che la legge nazionale affida loro.
La partita del decentramento non può quindi esaurirsi in un patto tra poteri centrali e poteri locali, tutto interno ad una logica politica ed estranea ad una ripresa di protagonismo sociale.
2.2 Il decentramento del sindacato
Il sindacato deve ridefinire la propria organizzazione, spostando poteri dal centro alla periferia. Dalle strutture nazionali a quelle territoriali, dalle strutture esterne ai posti di lavoro.
Non si tratta ovviamente di ridurre l'azione complessiva, l'azione generale anzi ma far lievitare dal basso un'azione sindacale che valorizza sul piano nazionale ciò che di meglio è in grado di sperimentare sul piano locale.
Ciò comporta precise scelte sulle forme della rappresentanza sindacale, sulla necessità di garantire una totale trasparenza democratica nel rapporto con i lavoratori. A tal proposito la piena democratizzazione è presupposto fondamentale per la nascita di un sindacato unitario.
La regolazione legislativa della rappresentanza diventa allora prioritario impegno per il sindacato, forti del risultato, non esaustivo ma importantissimo, già ottenuto nella nostra realtà del pubblico impiego.
La generalizzazione delle strutture unitarie di posto di lavoro, con titolarità della negoziazione, può essere uno strumento per far rivivere un processo di partecipazione e di associazione come elemento della vita lavorativa, per abbassarne la soglia di subalternità, per riappropriarsi di margini di liberazione.
In questa difficile transizione, sempre aperta a rischi di involuzione, il sindacato può concorrere a costruire una vita democratica più ricca e più compiuta.
Alla frammentazione della rappresentanza istituzionale il sindacato, che è innanzi tutto soggetto sociale, deve rispondere, per quanto lo riguarda, con il massimo della valorizzazione della rappresentatività, contrariamente a quanto sta avvenendo a livello politico, dove attraverso l'eliminazione di segmenti di rappresentanza, e la riduzione del ruolo dei soggetti intermedi, si riduce anche sul piano immaginario il senso dell'associarsi, della comunità, della partecipazione con la conseguenza che:
Una riforma federalista dello Stato impone, quindi, al sindacato una riconsiderazione del sistema di relazioni sindacali e del modello contrattuale.
Il mantenimento di un assetto sostanzialmente centralizzato delle relazioni sindacali non sarebbe né credibile né accettabile. Indispensabile è il rafforzamento del ruolo delle forze sociali, e quindi del sindacato, nei sistemi territoriali. Ciò significa aumentare i livelli di autonomia e di responsabilizzazione delle strutture territoriali.
In tal senso vanno affidati maggiori poteri di contrattazione e di intervento ai livelli territoriali sia al livello confederale sia a quello di categoria sui processi conseguenti al trasferimento di poteri e competenze dal centro alla periferia, altrimenti c'è il rischio di alimentare confusione, disagi e conflittualità che possono essere da ostacolo ai processi riformatori, o indirizzarli come denunciavo in forme di nuovo centralismo.
In regione Lombardia il progetto di legge sul trasferimento a provincie e comuni delle competenze relative alla agricoltura era stato predisposto, in un primo momento, senza un preventivo accordo con provincie e comuni e comunità montane, e senza alcuna preventiva consultazione con le rappresentanze sindacali sul destino delle lavoratrici e dei lavoratori interessati dalla mobilità.
Non ci possono però essere ambiguità sulla riaffermazione piena del contratto nazionale come indispensabile strumento di coesione e di garanzia dei diritti fondamentali, anche economici, dei lavoratori.
Si tratta di accompagnare i bisogni di autogoverno, che si vanno esprimendo ed affermando, con le garanzie di tutela di un pluralismo reale della società che vede il luogo di lavoro ed il territorio come ambito di sperimentazione e di affermazione di una pratica di democrazia sociale e di contrattazione di diritti e tutele.
3. La contrattazione come strumento di democrazia
Questo impianto di valori sociali, di cultura democratica che deve sovrintendere a quello che costituisce la parte più tangibile dell'azione sindacale: la contrattazione, i rinnovi contrattuali.
Una nuova stagione contrattuale non può prescindere da una valutazione dei risultati della contrattazione effettuata, né da un attento esame dei processi materiali, politici e sociali che hanno accompagnato la storia reale delle realtà produttive cui si riferisce.
Un approccio valutativo di questo tipo tarda ad affermarsi nella pratica negoziale del sindacato.
Ancora tende a prevalere un'impostazione o fortemente condizionata dal quadro politico e quindi da input prevalentemente esterni (risorse economiche, priorità politiche..), o attardata su posizioni di principio che, anche se ben motivate sul piano ideologico, non sempre sono in grado di interagire con le dinamiche reali.
La necessità di un'autonomia progettuale, che apra un orizzonte strategico al sindacato confederale, non può prescindere dall'obiettivo di sviluppare un'autonoma capacità di elaborazione che si doti degli strumenti della ricerca e dell'indagine sul campo.
E' evidente che una maggiore enfasi sul 2° livello di contrattazione presuppone una linea interpretativa dei processi di cambiamento e dei risultati della contrattazione che rimanga fortemente ancorata a due principi:
La condivisione di questo tipo di impostazione, di questa linea interpretativa deve contribuire a rafforzare la consapevolezza che la contrattazione di 2° livello deve caratterizzarsi su alcuni obiettivi strategici che devono rappresentare i misuratori dell'efficacia e della qualità della contrattazione:
4. Il lavoro pubblico e la gestione dei servizi: analisi dei cambiamenti
Un'attenzione particolare meritano, a tal proposito, i processi di esternalizzazione dei servizi e il moltiplicarsi di figure lavorative negli enti pubblici.
Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva crescita di appalti affidati alle cosiddette "cooperative sociali", ad un uso sempre più massiccio di lavoratori in mobilità in "lavori socialmente utili", al ricorso al volontariato ed agli obiettori di coscienza. Tutti strumenti finalizzati a ridurre i costi di gestione dei servizi ed a rendere più flessibile l'organizzazione degli enti.
Nulla, a quanto risulta, è stato fatto per valutare in modo obiettivo il rapporto costi/risultati, non solo sotto il profilo puramente economico, ma anche dal punto di vista della qualità del servizio offerto come invece una corretta verifica dei risultati di gestione richiederebbe.
Io credo che bisogna aver il coraggio di affermare che la riduzione dei costi non è un bene in se.
Quando una scelta di servizio è ritenuta importante, perché risponde a bisogni reali delle persone, è il del come reperire le risorse necessarie il problema principale e non il peso dell'aumento dei costi e quindi la sua soppressione o privatizzazione. Questa tendenza in atto sta sempre più riducendo la soglia di universalità dei diritti.
E' necessario allora affermare l'introduzione di un principio di verifica dell'impatto sociale nella scelta dei servizi ed in quella della modalità di erogazione degli stessi. In particolare:
5. La contrattazione decentrata: analisi delle esperienze compiute
Come dicevo in precedenza l'osservazione e la verifica della qualità e quantità della contrattazione si rivela utile per un'analisi dei processi di trasformazione e di cambiamento della P.A., per mettere a fuoco i nodi critici, ed affrontare quella che può essere definita come la nuova frontiera della contrattazione integrativa.
Per l'analisi dell'esperienza della contrattazione decentrata compiuta in questa prima tornata contrattuale utilizzo in larga parte il lavoro d'indagine e di elaborazione che abbiamo sviluppato in Lombardia su un campione di contratti siglati a livello decentrato.
Quello preso in esame è un campione occasionale, nel senso che è rappresentato dai contratti pervenuti alla struttura regionale fino al 31.12.96. Costituisce il 10% degli accordi stipulati nel biennio 95/96 ma riguarda ben il 40% delle lavoratrici e dei lavoratori complessivamente interessati.
Nella mia esposizione sono prese in considerazione, in modo sintetico, solo alcune delle materie oggetto della contrattazione per ovvie ragioni di tempo e di snellezza della comunicazione: Le relazioni sindacali, la retribuzione aziendale individuale e collettiva, la formazione, la mobilità, l'orario di lavoro, sicurezza e salute.
Relazioni sindacali
Nella gran parte degli enti non sono stati fatti accordi decentrati (solo il 15% negli enti locali, circa il 30% nella sanità) sulle relazioni sindacali. Ciò costituisce un oggettivo fattore di debolezza del ruolo negoziale sul posto di lavoro e il permanere di una difficoltà culturale, dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali a ridefinire in termini contrattuali il rapporto con le controparti. Il superamento di un modello di relazioni che vedeva prevalere il rapporto informale tra le parti e che comunque affidava all'atto autoritativo dell'amministrazione (la delibera) l'esecutività degli accordi non è ancora pienamente effettuato.
Con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico il diritto a contrattare può produrre effetti positivi se l'acquisizione di una cultura negoziale, vale a dire di capacità di analisi dei bisogni, di elaborazione, di acquisizione del consenso e di verifica del mandato, si afferma nella azione sindacale. Il diritto a contrattare nelle pubbliche amministrazioni diventa un bene esigibile se il sindacato ed i lavoratori sono in grado di esercitare sui posti di lavoro un rapporto di forza e se sono in grado di affermare la contrattazione come opportunità di cambiamento della pubblica amministrazione.
Solo in pochi casi gli accordi decentrati sono stati sottoscritti dalle sole RSU.
Negli accordi sulle relazioni sindacali sottoscritti solo pochi (dal 10 al 20% secondo i comparti) sono riusciti ad ampliare le materie di contrattazione e i diritti esplicitamente previsti dal CCNL.
In quasi tutti gli accordi risulta assente la previsione della costituzione di commissioni bilaterali e/o paritetiche, pur previste dal CCNL, riducendo quella possibilità di ampliamento delle informazioni e di supporto all'attività negoziale rappresentata da questi strumenti cosiddetti partecipativi.
Retribuzione aziendale individuale e collettiva.
I vincoli del CCNL sia nella tassativa elencazione delle materie che nella quantità e destinabilità delle risorse ha fatto assumere alla contrattazione un carattere meramente applicativo della contrattazione nazionale.
La scelta del fondo di produttività individuale e' stata attivata nel 50% dei casi nella sanità, nel 40% negli enti locali. La valutazione generalizzata è che il premio individuale piuttosto che uno strumento di gestione del personale si è rivelato strumento inopportuno e causa di tensioni e disagio tra i lavoratori. In molti casi il mancato utilizzo ha comportato l'incremento delle risorse destinate a incentivare la produttività collettiva.
E' stato fatto un consistente ricorso all'utilizzo di indennità legate all'attribuzione di responsabilità o connesse allo svolgimento di particolari mansioni
Molto diffuso è risultato il ricorso all'attribuzione di indennità turno, di disagio e di rischio.
La retribuzione accessoria legata alla produttività collettiva risulta negli accordi esaminati correlata prevalentemente alla presenza, alla valutazione dell'apporto individuale, ad attività di progettazione. L'effettivo ricorso a progetti e programmi speciali si presenta in modo molto differenziato ad evidenziare che questo strumento ancora non produce quella auspicata spinta generalizzata all'innovazione contrattata.
La formazione
La previsione di attività di formazione è molto ridotta (mediamente riguarda il 30% dei casi esaminati) e non sempre e' assunta come generalizzata. Si tratta di un ritardo preoccupante assolutamente contraddittorio rispetto all'enfasi che è posta sulla formazione come fattore di cambiamento e di valorizzazione della risorsa lavoro, e sul ruolo che ad essa è assegnato come strumento fondamentale di crescita professionale e di progressione di carriera.
Mobilità
Scarsissima e' la contrattazione sui processi di mobilità interna ed esterna. Eppure la mobilità, a partire dai prossimi mesi, rappresenterà una delle principali materie negoziali, a seguito della attuazione del cosiddetto federalismo amministrativo.
Orario di lavoro
Circa il 15% degli accordi esaminati prevede una regolamentazione contrattata dell'orario di lavoro. Sull'orario di lavoro bisogna purtroppo segnalare il ricorso in alcune amministrazioni all'utilizzo di ore aggiuntive di lavoro per l'erogazione della retribuzione dei fondi di produttività. Questa scelta contrattualmente inaccettabile è un sintomo preoccupante sia dell'incapacità dei dirigenti di agire sulla organizzazione del lavoro per migliorare la produttività, sia una difficoltà anche dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali a misurarsi con la produttività su progetti.
Sicurezza e salute
Sul tema della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro e dell'applicazione della 626, quasi il 25% degli accordi intervengono sulla materia. Quasi assente la costituzione di commissioni bilaterali.
Concludo questo mio contributo con alcune riflessione su quella che ho chiamata la nuova frontiera della contrattazione integrativa.
Nel dibattito di questi mesi sulla introduzione della contrattazione integrativa nel pubblico impiego, e quindi sull'affermazione anche nel pubblico impiego di un effettivo 2° livello di contrattazione, ancora fatica a decollare una riflessione approfondita su come essa può rappresentare quell'opportunità di cambiamento della pubblica amministrazione che abbiamo indicato nel titolo di questa assemblea.
Un'opportunità di cambiamento che può avere un impulso dal livello locale e che può trovare nelle lavoratrici e nei lavoratori i soggetti protagonisti.
La contrattazione integrativa può rappresentare anche un fattore di rischio per quella coesione sociale sulla quale ci siamo soffermati e che ha avuto, finora, nel CCNL un importante strumento di difesa.
In questo senso bisogna respingere con forza qualsiasi tendenza ad immaginare ed a praticare la contrattazione integrativa come sostitutiva del contratto nazionale.
Il CCNL deve garantire che l'opportunità della contrattazione sia generalizzabile in tutta la Pubblica Amministrazione.
La maggioranza degli enti, in particolare negli enti locali, è costituita da realtà deboli, che rischiano di essere completamente escluse dalla possibilità di esercitare un effettivo potere contrattuale non soltanto come arricchimento dei trattamenti economici nazionali, ma come effettiva possibilità di esercitare quel potere di controllo sul processo lavorativo di cui ho parlato in precedenza.
La contrattazione integrativa deve quindi consentire di intervenire sui processi di innovazione, di formazione, di riqualificazione, di qualità del lavoro, le condizioni di lavoro, di disagio, le questioni dell'orario di lavoro, parti della retribuzione, i criteri per la gestione dei percorsi di carriera tenendo conto delle modifiche dell'organizzazione del lavoro e dei processi di cambiamento del lavoro che inducono, anche con riferimento ai processi formativi correlati.
Se questa è la posta in gioco è chiaro che un effettivo potere di negoziazione e la generalizzazione del diritto a contrattare costituiscono l'obiettivo principale del prossimo rinnovo contrattuale.
E' evidente che la possibilità di gestire e di riuscire ad affrontare positivamente questa opportunità di contrattazione è strettamente connessa alla questione della rappresentanza, dell'unicità della titolarità della contrattazione sul posto di lavoro e quindi della democrazia di mandato, della costruzione e della verifica del consenso sulle piattaforme e sugli accordi.
Nel merito dei prossimi contratti vorrei sottolineare rapidamente alcune questioni:
Il plusorario: va esclusa esplicitamente nel CCNL la possibilità di prevedere l'erogazione del salario di produttività ad aumenti dell'orario di lavoro.
Indennità di disagio e di gravosità: non deve essere eliminata la specificità di questi istituti facendoli confluire in un fondo unico di produttività. Deve respinta l'idea che il tempo sia prioritariamente tempo produttivo da piegare alle esigenze aziendali secondo una concezione della flessibilità come espropriazione dei tempi delle persone.
Vanno omogeneizzati i livelli di tutela dei lavoratori laddove esistono diversi regimi contrattuali. E' questione che va risolta sul piano nazionale, ma è sul livello decentrato che va analizzato ed approfondito il problema da parte del sindacato creando le condizioni, anche, vertenziali e conflittuali affinché sia arginato un fenomeno crescente di dumping.
La questione delle risorse per la contrattazione di 2° livello non è risolta con l'affermazione del principio della contrattazione integrativa. Non possono essere messi in discussione i livelli sostanziali delle retribuzioni affidandoli ad elementi di variabilità perché la gestione del salario di produttività nella contrattazione decentrata di questi ha rappresentato uno strumento per arginare i danni della contrattazione nazionale (4 anni di assenza e il 23 luglio).
Un utilizzo spregiudicato dell'autonomia contrattuale del 2° livello può essere causa di forti differenziazioni. Va piuttosto consentita la possibilità di spostare l'attenzione e quindi parte delle risorse sulla valorizzazione della professionalità.
La misurazione della produttività e la valutazione dei risultati (collettivi ed individuali) costituiranno elemento centrale della contrattazione integrativa. E' necessario evitare che l'autonomia dei dirigenti si traduca in potere unilaterale di gestione e decisione. E' necessario quindi che sia affidata alla contrattazione nazionale e decentrata la scelta di strumenti e dei criteri da utilizzare per valutare e misurare produttività e risultati.
Ancora per troppi dirigenti pubblici la contrattazione non è un'opportunità, ma un'indebita ingerenza nelle loro funzioni o un pretesto per deresponsabilizzarsi. Per converso, molti sindacalisti concepiscono la negoziazione come un diritto a contrarre, e non un fine ottenibile sulla base della capacità rivendicativa e di un'effettiva legittimazione, conseguita attraverso la verifica di un ampio consenso tra i lavoratori. Il superamento di questa vecchia cultura è presupposto indispensabile per l'affermazione di una cultura dell'autonomia e della libertà contrattuale, in materia di relazioni sindacali e di rapporti di lavoro.
Orario di lavoro: il CCNL deve consegnare alla contrattazione di secondo livello un orario settimanale di 35 ore e la concreta opportunità di contrattare il sistema degli orari per consentire di controllare quelli di fatto cercando di coniugare i tempi delle persone utenti con quelli delle persone che lavorano.
Concludo con l'auspicio che questa nostra iniziativa possa rappresentare uno stimolo ad accelerare l'apertura di una stagione contrattuale che riesca a vedere protagonisti le lavoratrici ed i lavoratori della pubblica amministrazione. Grazie
Comunicazione
di Erminto Festa - Esecutivo Nazionale FP CGIL Parastato
L’Esperienza dell’Inps
Per un approccio complessivo alla stagione dei rinnovi contrattuali non si può prescindere da una analisi di alcuni dati di riferimento dei singoli comparti, nello specifico di questa comunicazione del comparto Parastato : siamo di fronte ad un comparto caratterizzato da un ente guida l’INPS che occupa circa la metà dei dipendenti parastatali, un addensamento di qualifica medioalta superiore alla media degli altri comparti , una elevata quota di salario accessorio ecc.
Sarebbe estremamente complicato e fuori luogo approcciare qui una analisi minimamente sufficiente della situazione dei vari Enti, da quelli ormai in via di Estinzione ( come l’ACI a causa di una disgraziata politica di privatizzazione dei servizi essenziali originariamente demandati a questo ente) all’INPDAP che non è riuscito ad assurgere ad un ruolo di vero grande Ente previdenziale (perdurando invece in una antistorica dimensione burocratica), e così via l’INAIL, il CONI e poi una miriade di piccoli enti.
Riteniamo invece molto più interessante cercare di analizzare la situazione dell’INPS che dopo una stagione di innovazione e sperimentazione organizzativa e specularmente contrattuale, culminata nella legge 88 dell’89 e nell’introduzione della contrattazione integrativa ( uno dei primi esempi nell’ambito della Pubblica Amministrazione ) è precipitata in un profondo stato di malessere che sempre più somiglia alla paralisi.
Se da un canto questa stagione positiva era stata caratterizzata da un notevole sforzo di riorganizzazione dell’ente sia in termini di servizio all’utenza ( abbattimento delle giacenze e dei tempi di erogazione delle prestazioni - informatizzazione e collegamenti tra le varie banche dati delle P.A.- decentramento territoriale ) che di ricerca di un nuovo modello organizzativo ( gestione budgetaria- isola di produzione- formazione diffusa), questo aveva permesso lo svilupparsi di un modello di relazioni industriali sia pur non soddisfacenti ma comunque avanzate rispetto al resto della P.A. e comunque congrue in termini di risultati monetari (l’ammontare della retribuzione definita nella contrattazione integrativa è arrivata a superare il 25% della massa salariale complessiva).
Una serie di elementi concomitanti (la nomina del consiglio di amministrazione da parte del governo Berlusconi - la situazione dei conti della previdenza pubblica e /o l’attacco allo stesso sistema previdenziale pubblico - la perdita delle prospettive di sviluppo dell’Ente collegate ad un ormai tramontato ruolo pubblico nell’ambito della previdenza integrativa ) ha portato rapidamente a conclusione questo "circolo virtuoso" lasciando l’INPS in una preoccupante situazione di paralisi che ormai sta durando da lungo tempo.
Mentre gli organi gestionali continuano in un interminabile guerra di posizione non dichiarata ma ormai evidente, che va dall’approvazione del bilancio alle nomine dirigenziali, dalle assunzioni del personale ai progetti organizzativi, la situazione sta rapidamente degenerando: la lotta all’evasione contributiva è ormai diventata una attività puramente residuale sia in termini quantitativi che qualitativi vista l’assenza di forti scelte gestionali in proposito e la crescente forte carenza di ispettori di vigilanza; ben oltre i due terzi dei crediti contributivi vantati dall’INPS , nella stragrande maggioranza derivanti dall’ evasione accertata, è ormai dichiaratamente inesigibile; il rapporto tra accertato e riscosso in alcune regioni è inferiore al 10% .
L’adozione del nuovo modello organizzativo - azienda corta - si è persa nei meandri della tecnostruttura, i progetti faraonici di decentramento territoriale, nati sulla scia dei piani di sviluppo della presenza INPS nella previdenza integrativa, appaiono evidentemente da ridimensionare rispetto al mutare della situazione interna ed esterna all’Ente; il personale in genere è andato riducendosi per la mancata copertura del turn over fino ad arrivare alla attuale carenza di oltre 7.000 unità rispetto alla pianta organica di 39.000 unità approvata nel 1995 sulla base della misurazione dei carichi di lavoro effettivi.
Su tutte queste questioni è stata più volte evidenziata , non ultimo in tutte le riunioni del coordinamento nazionale INPS, la necessità di una iniziativa forte di tutta la CGIL, promossa dalla Funzione Pubblica nazionale per denunziare pubblicamente tale situazione e questa gestione che rischia di portare allo sfascio l’INPS e con essa sia i dipendenti che l’intera previdenza pubblica.
Di fronte a questa situazione , e potrei ancora continuare a lungo, il personale abbisogna di risposte chiare e forti da parte delle organizzazioni sindacali : l’evoluzione del modello organizzativo e l’aumento esponenziale della produttività ha portato tutto il personale ad un notevole accrescimento della professionalità richiesta, cui solo in parte nell’ambito della contrattazione integrativa - le recenti sperimentazioni in materia di salario di professionalità di questi ultimi due anni - è stata data una prima timida risposta: appare indispensabile la definizione di un nuovo ordinamento professionale, o riclassificazione che dir si voglia , che permetta ad ogni lavoratore di vedere riconosciuta la professionalità conseguita , e d’altronde già richiesta dall’organizzazione del lavoro sia pure senza alcuna remunerazione o riconoscimento formale.
Per di più l’amministrazione si sta caratterizzando da un lato per l’assenza di iniziative concrete atte a reperire il personale carente, pur in presenza della possibilità offerta dalle deroghe delle leggi finanziarie, dall’altro per la scelta "strategica" nelle poche iniziative occupazionali tesa esclusivamente al reperimento di nuovo funzionariato , mortificando così le professionalità già esistenti ed al tempo stesso non risolvendo le reali necessità produttive.
Se si affronta il tema dell’ordinamento professionale come strumento di cambiamento e di riconoscimento dei percorsi , appare ovvio come questa non potrà essere una operazione a costo zero o una mera fotografia dell’esistente , nè che gravi ulteriormente a carico delle risorse già destinate al salario incentivante, che in aggiunta all’indispensabile necessità di recuperare la perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni subita dai lavoratori del comparto come dal resto dei dipendenti pubblici carica di ulteriore significato l’elaborazione della piattaforma contrattuale.
Questa dovrà altresì caratterizzarsi fortemente , a mio parere, nella difesa delle retribuzioni e delle professionalità dei lavoratori e delle lavoratrici, avendo il coraggio di rivendicare a partire dal CCNL la definizione di risorse economiche che vadano aldilà della mera inflazione programmata sancita dall’accordo del luglio 93 e che siano riconoscimento dell’utilità sociale del lavoro pubblico, a partire proprio dal reperimento di risorse economiche collegate ad un reale salto di qualità nella lotta all’evasione contributiva, obbiettivo altamente qualificante anche sul piano confederale.
Se vogliamo fare realmente un passo avanti sulla strada della piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro occorre altresì prestare la massima attenzione a non svuotare di contenuti il contratto nazionale di lavoro caricando di ruolo improprio i contratti integrativi: i diritti fondamentali- retribuzione-accessi -criteri generali del nuovo sistema ordinamentale- orari ( a partire dalla riduzione dell’orario di lavoro generalizzata)- diritti soggettivi non possono che essere sanciti nel CCNL, delegando poi alla contrattazione integrativa, e soprattutto, alla contrattazione decentrata , rispettivamente la definizione dei percorsi professionali, l’organizzazione del lavoro, la formazione , la produttività ecc. ovviamente con risorse ad hoc.
Di qui si sviluppa lo snodo inscindibile tra la contrattazione integrativa prima e decentrata poi che dovrà avere al proprio centro la contrattazione della organizzazione del lavoro e del riconoscimento degli accrescimenti professionali da questa richiesti, la formazione diffusa intesa come parte integrante dell’orario di lavoro, nonchè la produttività, passando nella definizione dei piani e degli obbiettivi dalla quantità alla qualità, ovvero dalla efficienza alla efficacia dell’INPS come della Pubblica Amministrazione più in generale.
In questa ottica occorre valorizzare e potenziare al massimo il ruolo della contrattazione decentrata di posto di lavoro, superando la centralizzazione di fatto verificatasi in particolare negli ultimi anni, un netto rilancio del posto di lavoro come luogo in cui si decentrano materie di contrattazione e risorse economiche ad esse destinate.
Questo si rende ancora più urgente se vogliamo avviare una volta per tutte un modo nuovo di fare sindacato a partire dalla elezione delle Rappresentanze Sindacali Unitarie, resa finalmente inderogabile dalla nuova legge sulla rappresentanza.
In merito occorre fare due precisazioni: il comparto Parastato è stato l’unico comparto in cui non si è minimamente proceduto alla elezione delle R.S.U., neppure in via sperimentale, pagando così un dazio pesantissimo allo strapotere della CISL nel comparto, sia in termine di dimensioni numeriche ( hanno il doppio dei nostri iscritti ) che " qualitativi" (di fatto continua a controllare gli snodi fondamentali della tecnostruttura , all’INPS come negli altri enti del comparto).
Questo si è tradotto in alcuni casi in una situazione di sudditanza psicologica nei confronti della CISL e di perdita di autonomia nei confronti delle stesse Amministrazioni in altri.
Inoltre, e non credo per ragioni indifferenti a quanto qui esposto, questo è anche il comparto in cui le Rappresentanze di Base sono riuscite a diffondersi in maniera abbastanza capillare, superando le stesse soglie di rappresentatività previste dalla legge, in percentuale ben superiore agli altri comparti di contrattazione .
Procedere alla rivitalizzazione della nostra presenza nei posti di lavoro, ed al tempo stesso ad una verifica concreta della nostra reale rappresentatività attraverso la elezione generalizzata delle Rappresentanze Sindacali Unitarie, non potrà che farci bene .
Resta poi da definire quale snodo occorrerà poi costruire tra le R.S.U., titolari della contrattazione decentrata, e gli ulteriori livelli di contrattazione, regionale e nazionale aziendale, non avendo timori di perdere spazi e/o potere, ma partendo di qui per fondare un processo di forte democrazia sindacale .
Da questo, e concludo, discende la necessità di far vivere a tutte le nostre strutture ed a tutti i lavoratori e le lavoratrici in maniera piena e partecipata la prossima tornata contrattuale:
a questo proposito non possiamo esimerci dall’esprimere preoccupazione per il ritardo che si sta accumulando: a tutt’oggi non si è visto neanche una bozza di documento nè ha cominciato a lavorare l’esecutivo cui il nostro direttivo nazionale ha demandato l’incarico di predisporre la piattaforma contrattuale ( si è riunito una sola volta per una discussione puramente accademica tre mesi fa’). Al di là della discussione che avremo modo di completare nel Direttivo nazionale tra pochi giorni, non credo sia superfluo coinvolgere nella elaborazione della piattaforma contrattuale tutte le nostre strutture, a partire dai comitati degli iscritti.