Camera del Lavoro di Brescia, 20 febbraio 1998
Alternativa Sindacale Cgil Lombardia
Seminario sulla contrattazione
Relazione di Giancarlo Straini

 

Abbiamo più volte affermato che dobbiamo valutare i rinnovi contrattuali nel contesto della nuova fase che stiamo attraversando. Dobbiamo quindi cercare, con i nostri limiti, di definirla meglio, sottoponendo alla discussione delle ipotesi (che riteniamo plausibili ma tutte da verificare).

 

Le condizioni strutturali

 

Stiamo usando uno schema interpretativo che individua nella vita della società capitalista l'esistenza di "cicli lunghi" (alternanza di sviluppo e crisi) caratterizzati da particolari modi di produzione: la manifattura (fino alla metà del secolo scorso), poi la fabbrica organica (fino agli ultimi anni dell'800), la fabbrica taylorista (fino alla seconda guerra mondiale) e quella fordista (fino ad oggi). Attualmente (astraendo dalle oscillazioni di breve periodo), a partire dalla fine degli anni '60, siamo nella fase di crisi del fordismo. Molto, molto schematicamente:

Dal punto di vista del modello organizzativo, la prima risposta padronale alla crisi consiste nella segmentazione del ciclo produttivo (processi di distruzione) finalizzata alla ricerca della massima produttività dei singoli segmenti di ciclo, principalmente attraverso la riduzione dei costi (in particolare con l'aumento dell'intensità di lavoro e la riduzione dell'occupazione e del salario), attuata direttamente o anche con l'esternalizzazione di particolari funzioni/segmenti (decentramento, appalti, ecc.).

Questa risposta è però insufficiente, perché il fatto che i singoli segmenti del ciclo produttivo/distributivo siano diventati più efficienti non si traduce necessariamente in un aumento dell'efficienza complessiva. A questo punto per i padroni il problema diventa come ricombinare i singoli segmenti ristrutturati in un organismo con un superiore grado di produttività (processi di mutamento)

E' difficile dire esattamente a che punto siamo oggi perché, in genere, ciò che è sostanzialmente avvenuto diventa evidente solo qualche anno dopo.

Sappiamo che i processi sia di distruzione che di mutamento iniziano nella fabbrica e quando il paradigma si afferma pervadono l'intera società e che i processi di distruzione e mutamento si accavallano: dalla prevalenza dei primi si passa alla prevalenza dei secondi.

Possiamo ragionevolmente ritenere che oggi siamo ancora nella fase di crisi del fordismo (ci vorranno ancora diversi anni perché si affermi un nuovo modo di produzione), ma probabilmente i processi di mutamento iniziano a prevalere su quelli di distruzione.

 

Capitale finanziario e "ordine mondiale"

 

Vediamo ora (sempre molto, molto schematicamente) le dinamiche del capitale finanziario.

La seconda guerra mondiale decreta non solo la sconfitta della Germania ma anche il passaggio della leadership imperialista nel mondo occidentale dalla Gran Bretagna agli USA (passaggio sancito dagli accordi di Bretton Woods del 1944). L'avvio della crisi del fordismo si ripercuote anche a questo livello. Comunque gli USA riescono ad instaurare un sistema che vede un deficit commerciale USA (anche verso l'Europa ma soprattutto) verso l'estremo oriente. Dal punto di vista degli interessi USA il deficit commerciale è compensato dal fatto che il dollaro è la moneta di riferimento mondiale. Controllare il dollaro (in una situazione in cui i prezzi delle materie prime e gran parte degli scambi commerciali sono espressi in dollari) significa poter esercitare un certo controllo sull'andamento dei prezzi internazionali e sulle ragioni di scambio internazionali, poter stampare moneta senza provocare inflazione negli USA ma scaricandola sugli altri paesi.

Grazie a questa situazione, soprattutto dopo il crollo dell'ordine bipolare stabilito a Yalta, sono fioriti "teorie" e "racconti" secondo cui l'"area del Pacifico" sarebbe diventata il luogo/modo vincente a fronte della decadenza della vecchia Europa e gli USA sarebbero rimasti senza competitori politici. Questo concetto nella sinistra (molto permeata di una concezione terzomondista) è stato recepito con lo slogan: "la contraddizione si sposta da Est/Ovest a Nord/Sud", mentre sono state scarse le riflessioni sulle contraddizioni interimperialistiche. Nella sinistra è stato considerato superficialmente (o solo per i suoi effetti sociali) l'avanzamento del processo di formazione dell'Euro che tende a destabilizzare questo equilibrio.

La recente crisi finanziaria ha evidenziato la fragilità della cosiddetta "area del Pacifico" con i crolli delle Borse dell'estremo oriente e la previsione degli analisti finanziari di spostamento di flussi finanziari dalla "bolla" dell'estremo oriente inizialmente verso gli USA poi soprattutto verso l'Europa valutata più stabile nei "fondamentali". Ha rappresentato anche una vittoria degli USA nel sud-est contro il Giappone, ma al prezzo di portare le contraddizioni molto prossime al limite di rottura (vedi il recente convegno di Alternativa Sindacale Bancari).

Questa situazione può portare a diverse soluzioni: da una crisi verticale tipo 1929 (ma oggi ci sono più strumenti per evitarla), ad una spartizione del controllo del mondo tra USA ed Europa (ma è improbabile che gli USA accettino di rinunciare alla leadership ed aumentano gli eventi che dimostrerebbero il contrario), ad un aumento delle contraddizioni tra le tre macro-aree centrate su USA, Unione europea e Giappone o Cina, in particolare tra le prime due (ci sembra lo scenario più probabile).

Negli USA c'è chi, addirittura, prospetta lo scenario di una guerra tra le due sponde dell'Atlantico. A questi la segretaria di stato Albright, in una intervista a U.S. news e world reports, risponde che nel XXI secolo gli schieramenti militari saranno sostituiti dalle aree economiche. L'ipotesi è quella di una nuova guerra fredda (di una "guerra a bassa intensità") soprattutto a carattere commerciale ma (come è avvenuto nella competizione con l'URSS) in periferia anche guerreggiata (si potrebbero fare molti esempi: Africa, Medio oriente, America latina, Cina).

 

Il modello sociale europeo

 

Ipotizziamo che le crescenti contraddizioni tra USA ed Europa assumano la forma della contraddizione tra modelli sociali: liberista e neosocialdemocratico. Sembra cioè profilarsi un modello sociale europeo continentale (contrapposto a quello liberista anglosassone) le cui caratteristiche sono così sintetizzabili:

Il prevalere dei processi di distruzione su quelli di mutamento significa che non basta colpire la classe lavoratrice (ristrutturazioni, aumento dell'intensità di lavoro, riduzione del salario in fabbrica e nel sociale, ecc.), anche perché non è possibile spremere oltre un certo limite i lavoratori senza avere ripercussioni negative sulla stessa efficienza del sistema produttivo. C'è bisogno di una rapida accumulazione e quindi bisogna spremere anche i ceti medi tradizionali. E poiché tali ceti hanno finora consentito la "governabilità" con la loro funzione di ceti-sostegno, il problema diventa come e con chi sostituirli.

Tutto ciò (che abbiamo delineato sempre molto, molto schematicamente) porterebbe ad un nuovo blocco politico e sociale del tipo "alleanza dei produttori per la modernizzazione" tra grande capitale ed aristocrazia della classe lavoratrice.

Una "alleanza dei produttori" pone la questione del neocorporatismo e delle aristocrazie della classe lavoratrice quali nuovi ceti-sostegno al posto dei ceti medi tradizionali e, quindi, significa anche centralità della questione sindacale (incominciamo finalmente ad avvicinarci all'oggetto del nostro seminario).

Riguardo alla questione dei modelli sindacali in Europa vedi anche il lavoro di Andrea Scacchi pubblicato su Alternative-Europa di ottobre-novembre 1997. In estrema sintesi: le strade possibili vanno verso un modello aziendalistico di tipo anglosassone oppure verso un modello categorialista di tipo centro-nord europeo continentale e, all'interno del secondo è ancora aperto lo scontro sulla questione dell'autonomia e del carattere confederale del sindacato.

 

L'Italia nelle contraddizioni dell'Europa

 

Vediamo ora (sempre molto, molto schematicamente) quello che avviene in Italia.

I vecchi equilibri non reggono più. Il mutamento (l'Euro, ecc.) pone l'alternativa tra integrazione ed emarginazione.

Il mutamento del contesto determina nuove contraddizioni. Vediamone alcune:

Divisioni nel padronato: Il cambiamento del contesto economico nel 1996 (riduzione dell’inflazione, ecc.) ha determinato la divisione nel padronato tra i settori più integrati nei processi di mutamento europei e quelli che ricercano la loro competitività principalmente nei vantaggi di cambio e nella riduzione del costo del lavoro e che, non potendo più fare affidamento sul primo aspetto, pretendono con ancor più determinazione il secondo. La Confindustria (che attua una linea di mediazione tra esigenze strategiche di mutamento e rappresentanza tattica degli interessi legati ai processi di distruzione), con la sostanziale disdetta dell’accordo del 23.7.93 attuata nella vicenda del rinnovo del 2° biennio del CCNL metalmeccanici, segna un cambiamento di fase: ormai si propone l’eliminazione dei due livelli di contrattazione passando per lo svuotamento del CCNL, cioè si propone l’aziendalizzazione della contrattazione (falchi) o comunque una concertazione sempre più subordinata (colombe), e comunque l’eliminazione del carattere confederale e generale del sindacato.

Rivolte corporative e populiste di ceti medi tradizionali: La Lega ed il Polo cavalcano il disagio, ma sono strategicamente deboli, presi nel dilemma tra liberismo e populismo. Il governo Prodi sembra essere, invece, l'espressione di un nascente blocco politico e sociale tra grande capitale ed aristocrazia della classe lavoratrice per la modernizzazione accelerata e contro i ceti medi tradizionali (analogie tendenziali con la fase giolittiana). Infatti, possiamo osservare che stiamo passando dalla crisi oggettiva dei ceti medi tradizionali a misure esplicite del Governo per la loro destrutturazione (vedi le misure fiscali nella finanziaria per il 1998, la gestione delle vertenze per l'agricoltura, l'azzeramento delle licenze dei commercianti, le misure annunciate contro gli ordini professionali).

Si possono osservare anche misure ("pacchetto Treu", ecc.) che favoriscono la segmentazione della classe lavoratrice tramite la stabilizzazione di un ampio precariato e la formazione di aristocrazie (nelle aree, settori, qualifiche forti in relazione al mutamento ed all'integrazione nell'Europa forte).

 

La questione sindacale in Italia

 

In Italia si pone, in generale, la stessa questione europea dell'alternativa tra il modello aziendalista anglosassone e categorialista centro nord europeo continentale. Più in particolare, lo scontro è aperto sul carattere confederale e sull'autonomia, cioè tra una concezione del sindacato centrata sulle categorie ma con una forte connotazione generale e confederale ed una concezione più prossima all'aziendalismo.

Per comprendere la "geografia" e le dinamiche interne al sindacato (in particolare alla Cgil) non è più sufficiente utilizzare il parametro destra / sinistra ma occorre incrociare questo criterio con quello relativo alla concezione del ruolo e dell'autonomia del sindacato che, per semplicità, etichettiamo con politicismo / contrattualismo (è opportuno precisare che con lo schema seguente si intende non tanto classificare gli individui ma interpretare il senso delle loro azioni).

Tra i "contrattualisti" la destra sembra più disponibile ad accettare, per "realismo", il ripiegamento sulle aristocrazie operaie, mentre la sinistra (sia pure confusamente e senza una adeguata consapevolezza strategica) sembra maggiormente preoccupata della precarizzazione che mina l'unità della classe lavoratrice. Questa posizione, nella sua variante di sinistra (accompagnata da dichiarazioni spesso altisonanti e radicali a cui con corrisponde una pratica coerente) raccoglie posizioni che vanno dal tentativo di spendere a breve la Cgil per spostare a sinistra l'asse della Cosa 2, a posizioni da "tanto peggio tanto meglio" finalizzate alle tattiche interpartitiche, a semplici tentativi di scaricarsi dalle responsabilità della direzione della contrattazione. Nella sua variante di destra, sostanzialmente disponibile alle aree speciali, si va da chi nella Cgil si è schierato con D'Alema all'epoca della polemica con Cofferati, che concepisce il sindacato come un sostegno immediato ed integrato nella Cosa 2 nel quadro di una concezione neocorporatista, a chi nella Cisl immagina un processo analogo ma finalizzato a sostenere il centro dello schieramento politico. Da ciò si può dedurre il duplice carattere della nostra battaglia nella Cgil: contro i politicisti per difendere il CCNL, l'autonomia ed il carattere confederale del sindacato e contro la destra per difendere l'unità della classe attraverso il controllo del mercato del lavoro.

 
 
 
Sinistra
Destra 
 
 
Contrattualisti
 
 
 
 
 
 
+
difesa del CCNL e
 
Politicisti

 

 
 
 
 
 
 
autonomia sindacale
-
 
+ unità della classe -
e controllo MdL
 
 

Se quanto detto sopra riesce in qualche modo ad interpretare la realtà, c'è bisogno di lavorare per un radicamento nella fabbrica e nella società a partire dalle difficili condizioni concrete ma con una visione generale (agire localmente ma pensare globalmente) ed abbiamo bisogno di un sindacato con una adeguata linea confederale generale.

Veniamo finalmente ai problemi più concreti che abbiamo di fronte.

 

La nostra linea vertenziale

 

I sostenitori del 23 luglio di fronte all’incalzare della Confindustria, sono disponibili a sospendere i rinnovi contrattuali per riproporre un tavolo negoziale che inevitabilmente assumerebbe il carattere della concertazione, probabilmente peggiorando lo stesso accordo del 23 luglio. Noi, invece, riteniamo che si debba procedere con i rinnovi dei CCNL, ma è necessario affrontare queste scadenze con una linea generale, i cui elementi essenziali possono essere così sintetizzati:

 

Salario ed assetti contrattuali

 

  1. Soprattutto in una fase di bassa inflazione, se si vuole evitare lo svuotamento del CCNL, non bisogna proporsi solo la tutela del potere d’acquisto dei salari (tanto più se riferito all’inflazione programmata e non al reale aumento del costo della vita) ma bisogna proporsi anche la ripartizione della nuova ricchezza prodotta.
  2. L’accordo del 23 luglio, quindi, deve essere modificato nella finalità, e deve essere modificato anche nella forma, individuando un salario medio di riferimento da rivalutare con un meccanismo automatico collegato all’andamento del PIL, eliminando quindi i due bienni.
 

Orari e mercato del lavoro

 

L'accordo nella maggioranza parlamentare per la riduzione dell'orario ha rafforzato la possibilità di realizzare risultati contrattuali sull'argomento. Una buona legge dovrebbe prevedere:

  1. la riduzione d’orario a parità di salario a 35 ore, anche per le aziende fino a 15 dipendenti, entro il 2001;
  2. la fissazione di vincoli per limitare le flessibilità, in particolare di un minimo e massimo giornaliero e settimanale, di un tetto e di una penalizzazione per lo straordinario e del suo recupero tramite un "conto ore" opportunamente normato, di misure e controlli contro l’utilizzo del lavoro nero, precario, ecc.;
  3. lo stanziamento di fondi adeguati e certi (come è già in Francia) per favorire la riduzione contrattata e l'assunzione di nuova forza lavoro a tempo indeterminato, recuperati attraverso la lotta all’evasione.
Non dobbiamo però fare un eccessivo affidamento sulla legge, anche perché l'accordo nella maggioranza parlamentare non prevede tutto quanto sopra dettagliato.

Riteniamo che nei CCNL sia necessario rivendicare, insieme a strumenti di controllo sul mercato del lavoro, la riduzione d’orario quale strumento necessario anche se non sufficiente per la difesa dell’occupazione, cioè:

  1. Rivendicare le 35 ore settimanali a parità di salario per i giornalieri e le 33 ore (con la quinta squadra organica) per i cicli continui entro il 2001 per tutte le aziende.
  2. L’eventuale adozione di un "conto ore", che consente la compensazione plurisettimanale dell'orario, deve essere uno strumento ad utilizzo individuale e finalizzato al recupero degli straordinari e all'aumento dell'occupazione.
  3. In ogni caso deve essere fissato un minimo e massimo giornaliero e settimanale e prevista la contrattazione con le RSU in azienda per l'applicazione concreta dell'orario e delle flessibilità definite nel CCNL.
  4. Il costo della riduzione a carico delle imprese (a parte il contributo statale) non deve essere giustificato con l'utilizzo di quote di produttività per non depotenziare il secondo livello di contrattazione.
  5. La difesa quali-quantitativa dell'occupazione richiede un piano di attestazione contro la diffusione del lavoro precario, atipico, ecc.; bisogna quindi cercare di contrastare nei rinnovi dei CCNL l'aumento della flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro (contenuto nel "pacchetto Treu", ecc.) valorizzando il ruolo negoziale e di controllo delle RSU.
 

Democrazia e Unità sindacale

 

La situazione va valutata anche tenendo conto del recente decreto legislativo relativo al Pubblico Impiego. Tale decreto (che potrebbe rappresentare la linea guida anche per una legge relativa all'impiego privato che sembra essere finalmente a portata di mano) risolve aspetti importanti quali il riconoscimento della rappresentatività (che diventa oggettiva e misurata sulla base dei voti riportati nelle elezioni per le RSU e delle deleghe sindacali certificate), l'esigibilità delle RSU (che verranno elette sulla base del principio della proporzionalità, senza il terzo nominato, con voto segreto a cui hanno diritto tutti i lavoratori iscritti e non) a cui vengono trasferiti i poteri contrattuali, ecc.

La validazione dei contratti richiede che siano sottoscritti da organizzazioni che rappresentino insieme non meno del 51% della media di deleghe e voti. Quindi non viene data una soluzione alla questione della validazione diretta degli accordi da parte dei lavoratori che, a questo punto, deve essere risolta con regolamenti sindacali confederali o di categoria che impongano un metodo democratico di consultazione dei lavoratori tramite assemblee o referendum.

La questione dell'unità sindacale è strettamente intrecciata alla questione delle regole, tra l'altro per evitare che l'eventuale (non imminente) processo in tale direzione venga determinato dalle segreterie sindacali o di partito e non dall’agire consapevole e quotidiano dei delegati, dei quadri sindacali, dei lavoratori e delle lavoratrici.

Lottare per la democrazia, quella vera, che significa partecipare, essere informati in modo tempestivo, capillare e completo, conoscere gli obiettivi e le implicazioni delle varie scelte, ecc. e che vede l'esercizio del voto solo come l'atto finale di un percorso, significa anche lottare contro le diffuse deteriori forme della cosiddetta democrazia populista (che potrebbe essere sinteticamente descritta con lo slogan "ogni testa di cazzo un voto").

Affrontare questi temi in riferimento ai rinnovi contrattuali significa porre una grande attenzione al coinvolgimento dei lavoratori, dalla definizione delle piattaforme all'approvazione o meno dell'ipotesi di accordo, passando per il loro "controllo" sullo sviluppo delle trattative, anche colmando con la nostra azione diretta le carenze di informazione del sindacato.

La difesa e lo sviluppo della democrazia nel sindacato non è da perseguire solo per una questione di principio ma è una condizione essenziale per la stessa realizzazione di risultati decenti.

 

Nel Pubblico Impiego

 

Come abbiamo detto sopra i processi di distruzione e mutamento dalla fabbrica stanno diffondendosi nel sociale passando per la Pubblica Amministrazione, le ferrovie, ecc. E’ in atto cioè una "razionalizzazione" (per certi versi improcrastinabile ed inevitabile come l’innovazione tecnologica) che, tra l’altro, anche in questo caso, determina:

La nostra tradizionale rivendicazione di una vera contrattazione articolata, indispensabile per lo sviluppo del ruolo delle RSU e di un sindacato vertenziale, va mantenuta anche se rischia di assumere oggettivamente un carattere ambivalente appunto perché tende a realizzarsi in una fase di "razionalizzazione" (probabilmente rapida e profonda) ed in carenza di un know how specifico delle RSU e delle organizzazioni sindacali di categoria (oltre che in generale per l’inadeguatezza di linea).

Diventa quindi ancora più importante inquadrare le azioni rivendicative specifiche in una linea vertenziale generale, cercando di intervenire sia sui processi di distruzione che su quelli di mutamento, cioè:

La strategia rivendicativa, in generale, è la stessa che per l’impiego privato:
  1. sui contenuti: aumenti salariali agganciati al PIL, riduzione d’orario a 35 ore, controllo delle flessibilità, ecc. (ovviamente articolate tenendo conto delle specificità dei settori);
  2. sugli assetti contrattuali: superamento dell’accordo del 23 luglio e difesa dei due livelli (con la specificità di una contrattazione articolata sostanzialmente tutta da costruire);
  3. sulla democrazia: promozione del ruolo delle RSU, in un quadro di riferimento (CCNL e legge sulla rappresentanza) che eviti la frammentazione corporativa.
Come è evidente si tratta di affrontare una fase estremamente difficile ed impegnativa.

 

Nei Chimici

 

Alternativa Sindacale Filcea ha definito la linea vertenziale in un seminario nazionale tenutosi a Riccione un anno fa. Su questa linea ha svolto una forte iniziativa nelle fabbriche, consapevole del fatto che la contrattazione in corso nei chimici assume oggettivamente (nel bene o nel male) un significato di grande rilievo, che travalica il settore e la categoria, poiché costituirà sicuramente un precedente determinante per gli altri rinnovi contrattuali, per la revisione dell'accordo del 23 luglio e per la stessa definizione della legge sulla riduzione d'orario.

La trattativa è ad un passaggio delicato ed importante ed è aperta a soluzioni diverse (c'è anche chi addirittura propone un sostanziale rinvio come per i cartai).

Va contrastata la supercentralizzazione delle trattative in corso. E' cioè necessario che i delegati ed i lavoratori siano informati ed abbiano la possibilità di contare sulla gestione delle trattative, che vengano effettuati attivi dei delegati ed assemblee in tutti i luoghi di lavoro ed, in particolare, che si pretenda il rispetto delle regole esistenti sulle assemblee di mandato.

Riguardo alla riduzione dell'orario di lavoro (lo ripetiamo per chi continua a sostenere che le piattaforme dei chimici non prevedono la riduzione d'orario e quindi andrebbero ritirate e ripresentate), nella consultazione per la definizione delle piattaforme rivendicative siamo riusciti ad ottenere:

Anche riguardo alle rivendicazioni su salario ed assetti contrattuali, seppure con contraddizioni e non con la chiarezza che avremmo voluto, la piattaforma rivendicativa ha recepito la nostra proposta elaborata a Riccione.

Infine, la nostra forte battaglia sul "conto ore" e sulle flessibilità dell'orario e del mercato del lavoro ha contribuito alla fissazione di "paletti" sull'argomento.

Dunque siamo in presenza di una piattaforma condivisibile anche se contraddittoria, ma (da quello che si può capire finora) c'è il rischio che la trattativa si svolga su una impostazione diversa da quella definita nella piattaforma.

Infatti, ad esempio, la contrattazione in corso delle norme sul mercato del lavoro (per molti versi già compromessa dopo l'approvazione in Parlamento del "pacchetto Treu") vede comunque una preoccupante disponibilità da parte sindacale all'aumento delle flessibilità col rischio di stabilizzare una ampia fascia di lavoratori precari.