Abbiamo più volte affermato che dobbiamo valutare i rinnovi contrattuali nel contesto della nuova fase che stiamo attraversando. Dobbiamo quindi cercare, con i nostri limiti, di definirla meglio, sottoponendo alla discussione delle ipotesi (che riteniamo plausibili ma tutte da verificare).
Le condizioni strutturali
Stiamo usando uno schema interpretativo che individua nella vita della società capitalista l'esistenza di "cicli lunghi" (alternanza di sviluppo e crisi) caratterizzati da particolari modi di produzione: la manifattura (fino alla metà del secolo scorso), poi la fabbrica organica (fino agli ultimi anni dell'800), la fabbrica taylorista (fino alla seconda guerra mondiale) e quella fordista (fino ad oggi). Attualmente (astraendo dalle oscillazioni di breve periodo), a partire dalla fine degli anni '60, siamo nella fase di crisi del fordismo. Molto, molto schematicamente:
Questa risposta è però insufficiente, perché il fatto che i singoli segmenti del ciclo produttivo/distributivo siano diventati più efficienti non si traduce necessariamente in un aumento dell'efficienza complessiva. A questo punto per i padroni il problema diventa come ricombinare i singoli segmenti ristrutturati in un organismo con un superiore grado di produttività (processi di mutamento)
E' difficile dire esattamente a che punto siamo oggi perché, in genere, ciò che è sostanzialmente avvenuto diventa evidente solo qualche anno dopo.
Sappiamo che i processi sia di distruzione che di mutamento iniziano nella fabbrica e quando il paradigma si afferma pervadono l'intera società e che i processi di distruzione e mutamento si accavallano: dalla prevalenza dei primi si passa alla prevalenza dei secondi.
Possiamo ragionevolmente ritenere che oggi siamo ancora nella fase di crisi del fordismo (ci vorranno ancora diversi anni perché si affermi un nuovo modo di produzione), ma probabilmente i processi di mutamento iniziano a prevalere su quelli di distruzione.
Capitale finanziario e "ordine mondiale"
Vediamo ora (sempre molto, molto schematicamente) le dinamiche del capitale finanziario.
La seconda guerra mondiale decreta non solo la sconfitta della Germania ma anche il passaggio della leadership imperialista nel mondo occidentale dalla Gran Bretagna agli USA (passaggio sancito dagli accordi di Bretton Woods del 1944). L'avvio della crisi del fordismo si ripercuote anche a questo livello. Comunque gli USA riescono ad instaurare un sistema che vede un deficit commerciale USA (anche verso l'Europa ma soprattutto) verso l'estremo oriente. Dal punto di vista degli interessi USA il deficit commerciale è compensato dal fatto che il dollaro è la moneta di riferimento mondiale. Controllare il dollaro (in una situazione in cui i prezzi delle materie prime e gran parte degli scambi commerciali sono espressi in dollari) significa poter esercitare un certo controllo sull'andamento dei prezzi internazionali e sulle ragioni di scambio internazionali, poter stampare moneta senza provocare inflazione negli USA ma scaricandola sugli altri paesi.
Grazie a questa situazione, soprattutto dopo il crollo dell'ordine bipolare stabilito a Yalta, sono fioriti "teorie" e "racconti" secondo cui l'"area del Pacifico" sarebbe diventata il luogo/modo vincente a fronte della decadenza della vecchia Europa e gli USA sarebbero rimasti senza competitori politici. Questo concetto nella sinistra (molto permeata di una concezione terzomondista) è stato recepito con lo slogan: "la contraddizione si sposta da Est/Ovest a Nord/Sud", mentre sono state scarse le riflessioni sulle contraddizioni interimperialistiche. Nella sinistra è stato considerato superficialmente (o solo per i suoi effetti sociali) l'avanzamento del processo di formazione dell'Euro che tende a destabilizzare questo equilibrio.
La recente crisi finanziaria ha evidenziato la fragilità della cosiddetta "area del Pacifico" con i crolli delle Borse dell'estremo oriente e la previsione degli analisti finanziari di spostamento di flussi finanziari dalla "bolla" dell'estremo oriente inizialmente verso gli USA poi soprattutto verso l'Europa valutata più stabile nei "fondamentali". Ha rappresentato anche una vittoria degli USA nel sud-est contro il Giappone, ma al prezzo di portare le contraddizioni molto prossime al limite di rottura (vedi il recente convegno di Alternativa Sindacale Bancari).
Questa situazione può portare a diverse soluzioni: da una crisi verticale tipo 1929 (ma oggi ci sono più strumenti per evitarla), ad una spartizione del controllo del mondo tra USA ed Europa (ma è improbabile che gli USA accettino di rinunciare alla leadership ed aumentano gli eventi che dimostrerebbero il contrario), ad un aumento delle contraddizioni tra le tre macro-aree centrate su USA, Unione europea e Giappone o Cina, in particolare tra le prime due (ci sembra lo scenario più probabile).
Negli USA c'è chi, addirittura, prospetta lo scenario di una guerra tra le due sponde dell'Atlantico. A questi la segretaria di stato Albright, in una intervista a U.S. news e world reports, risponde che nel XXI secolo gli schieramenti militari saranno sostituiti dalle aree economiche. L'ipotesi è quella di una nuova guerra fredda (di una "guerra a bassa intensità") soprattutto a carattere commerciale ma (come è avvenuto nella competizione con l'URSS) in periferia anche guerreggiata (si potrebbero fare molti esempi: Africa, Medio oriente, America latina, Cina).
Il modello sociale europeo
Ipotizziamo che le crescenti contraddizioni tra USA ed Europa assumano la forma della contraddizione tra modelli sociali: liberista e neosocialdemocratico. Sembra cioè profilarsi un modello sociale europeo continentale (contrapposto a quello liberista anglosassone) le cui caratteristiche sono così sintetizzabili:
Tutto ciò (che abbiamo delineato sempre molto, molto schematicamente) porterebbe ad un nuovo blocco politico e sociale del tipo "alleanza dei produttori per la modernizzazione" tra grande capitale ed aristocrazia della classe lavoratrice.
Una "alleanza dei produttori" pone la questione del neocorporatismo e delle aristocrazie della classe lavoratrice quali nuovi ceti-sostegno al posto dei ceti medi tradizionali e, quindi, significa anche centralità della questione sindacale (incominciamo finalmente ad avvicinarci all'oggetto del nostro seminario).
Riguardo alla questione dei modelli sindacali in Europa vedi anche il lavoro di Andrea Scacchi pubblicato su Alternative-Europa di ottobre-novembre 1997. In estrema sintesi: le strade possibili vanno verso un modello aziendalistico di tipo anglosassone oppure verso un modello categorialista di tipo centro-nord europeo continentale e, all'interno del secondo è ancora aperto lo scontro sulla questione dell'autonomia e del carattere confederale del sindacato.
L'Italia nelle contraddizioni dell'Europa
Vediamo ora (sempre molto, molto schematicamente) quello che avviene in Italia.
I vecchi equilibri non reggono più. Il mutamento (l'Euro, ecc.) pone l'alternativa tra integrazione ed emarginazione.
Divisioni nel padronato: Il cambiamento del contesto economico nel 1996 (riduzione dell’inflazione, ecc.) ha determinato la divisione nel padronato tra i settori più integrati nei processi di mutamento europei e quelli che ricercano la loro competitività principalmente nei vantaggi di cambio e nella riduzione del costo del lavoro e che, non potendo più fare affidamento sul primo aspetto, pretendono con ancor più determinazione il secondo. La Confindustria (che attua una linea di mediazione tra esigenze strategiche di mutamento e rappresentanza tattica degli interessi legati ai processi di distruzione), con la sostanziale disdetta dell’accordo del 23.7.93 attuata nella vicenda del rinnovo del 2° biennio del CCNL metalmeccanici, segna un cambiamento di fase: ormai si propone l’eliminazione dei due livelli di contrattazione passando per lo svuotamento del CCNL, cioè si propone l’aziendalizzazione della contrattazione (falchi) o comunque una concertazione sempre più subordinata (colombe), e comunque l’eliminazione del carattere confederale e generale del sindacato.
Rivolte corporative e populiste di ceti medi tradizionali: La Lega ed il Polo cavalcano il disagio, ma sono strategicamente deboli, presi nel dilemma tra liberismo e populismo. Il governo Prodi sembra essere, invece, l'espressione di un nascente blocco politico e sociale tra grande capitale ed aristocrazia della classe lavoratrice per la modernizzazione accelerata e contro i ceti medi tradizionali (analogie tendenziali con la fase giolittiana). Infatti, possiamo osservare che stiamo passando dalla crisi oggettiva dei ceti medi tradizionali a misure esplicite del Governo per la loro destrutturazione (vedi le misure fiscali nella finanziaria per il 1998, la gestione delle vertenze per l'agricoltura, l'azzeramento delle licenze dei commercianti, le misure annunciate contro gli ordini professionali).
Si possono osservare anche misure ("pacchetto Treu", ecc.) che favoriscono la segmentazione della classe lavoratrice tramite la stabilizzazione di un ampio precariato e la formazione di aristocrazie (nelle aree, settori, qualifiche forti in relazione al mutamento ed all'integrazione nell'Europa forte).
La questione sindacale in Italia
In Italia si pone, in generale, la stessa questione europea dell'alternativa tra il modello aziendalista anglosassone e categorialista centro nord europeo continentale. Più in particolare, lo scontro è aperto sul carattere confederale e sull'autonomia, cioè tra una concezione del sindacato centrata sulle categorie ma con una forte connotazione generale e confederale ed una concezione più prossima all'aziendalismo.
Per comprendere la "geografia" e le dinamiche interne al sindacato (in particolare alla Cgil) non è più sufficiente utilizzare il parametro destra / sinistra ma occorre incrociare questo criterio con quello relativo alla concezione del ruolo e dell'autonomia del sindacato che, per semplicità, etichettiamo con politicismo / contrattualismo (è opportuno precisare che con lo schema seguente si intende non tanto classificare gli individui ma interpretare il senso delle loro azioni).
|
|
|
||
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|||
Se quanto detto sopra riesce in qualche modo ad interpretare la realtà, c'è bisogno di lavorare per un radicamento nella fabbrica e nella società a partire dalle difficili condizioni concrete ma con una visione generale (agire localmente ma pensare globalmente) ed abbiamo bisogno di un sindacato con una adeguata linea confederale generale.
Veniamo finalmente ai problemi più concreti che abbiamo di fronte.
La nostra linea vertenziale
I sostenitori del 23 luglio di fronte all’incalzare della Confindustria, sono disponibili a sospendere i rinnovi contrattuali per riproporre un tavolo negoziale che inevitabilmente assumerebbe il carattere della concertazione, probabilmente peggiorando lo stesso accordo del 23 luglio. Noi, invece, riteniamo che si debba procedere con i rinnovi dei CCNL, ma è necessario affrontare queste scadenze con una linea generale, i cui elementi essenziali possono essere così sintetizzati:
Salario ed assetti contrattuali
Orari e mercato del lavoro
L'accordo nella maggioranza parlamentare per la riduzione dell'orario ha rafforzato la possibilità di realizzare risultati contrattuali sull'argomento. Una buona legge dovrebbe prevedere:
Riteniamo che nei CCNL sia necessario rivendicare, insieme a strumenti di controllo sul mercato del lavoro, la riduzione d’orario quale strumento necessario anche se non sufficiente per la difesa dell’occupazione, cioè:
Democrazia e Unità sindacale
La situazione va valutata anche tenendo conto del recente decreto legislativo relativo al Pubblico Impiego. Tale decreto (che potrebbe rappresentare la linea guida anche per una legge relativa all'impiego privato che sembra essere finalmente a portata di mano) risolve aspetti importanti quali il riconoscimento della rappresentatività (che diventa oggettiva e misurata sulla base dei voti riportati nelle elezioni per le RSU e delle deleghe sindacali certificate), l'esigibilità delle RSU (che verranno elette sulla base del principio della proporzionalità, senza il terzo nominato, con voto segreto a cui hanno diritto tutti i lavoratori iscritti e non) a cui vengono trasferiti i poteri contrattuali, ecc.
La validazione dei contratti richiede che siano sottoscritti da organizzazioni che rappresentino insieme non meno del 51% della media di deleghe e voti. Quindi non viene data una soluzione alla questione della validazione diretta degli accordi da parte dei lavoratori che, a questo punto, deve essere risolta con regolamenti sindacali confederali o di categoria che impongano un metodo democratico di consultazione dei lavoratori tramite assemblee o referendum.
La questione dell'unità sindacale è strettamente intrecciata alla questione delle regole, tra l'altro per evitare che l'eventuale (non imminente) processo in tale direzione venga determinato dalle segreterie sindacali o di partito e non dall’agire consapevole e quotidiano dei delegati, dei quadri sindacali, dei lavoratori e delle lavoratrici.
Lottare per la democrazia, quella vera, che significa partecipare, essere informati in modo tempestivo, capillare e completo, conoscere gli obiettivi e le implicazioni delle varie scelte, ecc. e che vede l'esercizio del voto solo come l'atto finale di un percorso, significa anche lottare contro le diffuse deteriori forme della cosiddetta democrazia populista (che potrebbe essere sinteticamente descritta con lo slogan "ogni testa di cazzo un voto").
Affrontare questi temi in riferimento ai rinnovi contrattuali significa porre una grande attenzione al coinvolgimento dei lavoratori, dalla definizione delle piattaforme all'approvazione o meno dell'ipotesi di accordo, passando per il loro "controllo" sullo sviluppo delle trattative, anche colmando con la nostra azione diretta le carenze di informazione del sindacato.
La difesa e lo sviluppo della democrazia nel sindacato non è da perseguire solo per una questione di principio ma è una condizione essenziale per la stessa realizzazione di risultati decenti.
Nel Pubblico Impiego
Come abbiamo detto sopra i processi di distruzione e mutamento dalla fabbrica stanno diffondendosi nel sociale passando per la Pubblica Amministrazione, le ferrovie, ecc. E’ in atto cioè una "razionalizzazione" (per certi versi improcrastinabile ed inevitabile come l’innovazione tecnologica) che, tra l’altro, anche in questo caso, determina:
Diventa quindi ancora più importante inquadrare le azioni rivendicative specifiche in una linea vertenziale generale, cercando di intervenire sia sui processi di distruzione che su quelli di mutamento, cioè:
Nei Chimici
Alternativa Sindacale Filcea ha definito la linea vertenziale in un seminario nazionale tenutosi a Riccione un anno fa. Su questa linea ha svolto una forte iniziativa nelle fabbriche, consapevole del fatto che la contrattazione in corso nei chimici assume oggettivamente (nel bene o nel male) un significato di grande rilievo, che travalica il settore e la categoria, poiché costituirà sicuramente un precedente determinante per gli altri rinnovi contrattuali, per la revisione dell'accordo del 23 luglio e per la stessa definizione della legge sulla riduzione d'orario.
La trattativa è ad un passaggio delicato ed importante ed è aperta a soluzioni diverse (c'è anche chi addirittura propone un sostanziale rinvio come per i cartai).
Va contrastata la supercentralizzazione delle trattative in corso. E' cioè necessario che i delegati ed i lavoratori siano informati ed abbiano la possibilità di contare sulla gestione delle trattative, che vengano effettuati attivi dei delegati ed assemblee in tutti i luoghi di lavoro ed, in particolare, che si pretenda il rispetto delle regole esistenti sulle assemblee di mandato.
Riguardo alla riduzione dell'orario di lavoro (lo ripetiamo per chi continua a sostenere che le piattaforme dei chimici non prevedono la riduzione d'orario e quindi andrebbero ritirate e ripresentate), nella consultazione per la definizione delle piattaforme rivendicative siamo riusciti ad ottenere:
Infine, la nostra forte battaglia sul "conto ore" e sulle flessibilità dell'orario e del mercato del lavoro ha contribuito alla fissazione di "paletti" sull'argomento.
Dunque siamo in presenza di una piattaforma condivisibile anche se contraddittoria, ma (da quello che si può capire finora) c'è il rischio che la trattativa si svolga su una impostazione diversa da quella definita nella piattaforma.
Infatti, ad esempio, la contrattazione in corso delle
norme sul mercato del lavoro (per molti versi già compromessa
dopo l'approvazione in Parlamento del "pacchetto Treu") vede comunque una
preoccupante disponibilità da parte sindacale all'aumento delle
flessibilità col rischio di stabilizzare una ampia fascia di lavoratori
precari.