Le forze che promuovono ed aderiscono alla manifestazione del 13 Maggio 1995, si appellano ai loro aderenti e simpatizzanti, perché si attivino per la riuscita dell’iniziativa.
L’attacco al sistema previdenziale pubblico, è solo un’aspetto, anche se importante, di una più generale strategia di deregolamentazione e riduzione del salario in tutte le sue forme.
La ristrutturazione in corso dell’apparato produttivo e finanziario, dell’interesse privato di capitale e di rendita, impone infatti la realizzazione di:
- Massicce redistribuzioni di reddito, dai salari e dalle pensioni, a favore delle rendite e dei profitti, sia riducendo le quote monetarie di salario che smantellando lo stato sociale.
- Forti deregolamentazioni delle forme di erogazione del salario (in via contrattuale e legislativa) e delle forme che regolano i rapporti di lavoro, utili a creare le condizioni di maggiore asservimento, subalternità, flessibilità del lavoro, all’interesse della ristrutturazione capitalistica.
Dietro allo scontro oggi aperto sulle pensioni, esiste quindi una più generale strategia (infarcita dal nuovo senso comune prodotto dalle linee ed illusioni concertative, produttivistiche, liberiste), che presuppone il profitto ed il mercato come unici riferimenti di valore per il paese, asservendo a ciò l’interesse di milioni di famiglie di lavoratori e pensionati, intaccando i diritti alla salute, all’istruzione, e la stessa democrazia.
I risultati di questo attacco sono sotto gli occhi di tutti.
Allo smantellamento della scala mobile ed alla eliminazione degli automatismi in sede contrattuale, non hanno fatto riscontro quei benefici sul piano occupazionale che la falsa razionalità economica aveva promesso.
Di contro, i salari hanno continuato a ridursi, compressi dal loro riferimento al tasso programmato di inflazione (a fronte di un’inflazione reale pari al 5,3%, gli ultimi contratti hanno stipulato adeguamenti salariali attorno al 2,5% ) senza contare il blocco della contrattazione che, come nel pubblico impiego, è durata ben 4 anni.
Di contro le condizioni di lavoro sono continuamente peggiorate, con l’aumento dell’intensità di lavoro, con lo snaturamento delle riduzioni d’orario ottenute precedentemente, con la liberalizzazione degli straordinari, ed ora, con le proposte del ministro Treu sul lavoro interinale ed in affitto e la riforma del mercato del lavoro.
E tutto cio’ a fronte di un dato anacronistico. L’occupazione continua a diminuire, mentre la produttività e la redditività d’impresa continua ad aumentare.
L’interesse dei venditori di forza lavoro, dei pensionati e delle loro famiglie, richiederebbe di fronte a questi dati una forte e decisa opposizione di merito, in grado di contrastare le strategie di capitale e dei governi, da Amato a Ciampi, da Berlusconi a Dini, che di queste strategie si sono fatti portavoce.
Ma l’opposizione sin qui manifestata da CGIL-CISL-UIL è risultata del tutto insufficiente ed inadeguata, già a partire dagli accordi di Luglio e dalla non opposizione ai decreti del Governo Amato in materia di pensioni.
La forza e l’unità del grande movimento dell’autunno scorso sulle pensioni e sul diritto all’istruzione aveva consegnato al sindacato una forza notevole, capace come è stata di contribuire non poco alla caduta dello stesso governo Berlusconi.
Ora, con il governo Dini, l’azione sindacale sembra riordinarsi su una linea concertativa che, accettando i punti di vista della razionalità economica di capitale e di rendita, si rende disponibile ad un’accordo che di fatto abbandona l’obiettivo minimo dei 35 anni al 2% ed inasprisce quella frattura generazionale già realizzata coi decreti del governo Amato.
Manca completamente, nell’azione sindacale, l’affermazione di una propria ed autonoma strategia difensiva, e ci si concede invece alla linea del “meno peggio, tanto meglio”. Una linea già carica di segnali negativi anche al di là del discorso pensioni, se è vero che già ci si stà apprestando ad una trattativa sulla riforma del mercato del lavoro, sull’introduzione definitiva del lavoro interinale ed in affitto, sulla deregolamentazione delle forme dei rapporti di lavoro.
L’interesse dei venditori di forza lavoro, dei pensionati e delle loro famiglie, necessita invece di un rilancio della battaglia difensiva a tutela delle loro condizioni di vita e di esistenza, smascherando le falsità della razionalità economica, sostenendo un’idea di società fatta di valori sociali e non di interessi privati.
La consultazione tenuta nelle fabbriche sulla piattaforma sindacale sulle pensioni stà a dimostrare quanto siano lontane le proposte sindacali dal quadro dei bisogni e necessità che i lavoratori esprimono.
Non è vero, come dicono le organizzazioni sindacali confederali, che i lavoratori hanno approvato le proposte presenti in piattaforma. La piattaforma sindacale è stata in larga misura respinta, o modificata in modo sostanziale dal voto delle assemblee di fabbrica.
La manifestazione nazionale del 13 Maggio a Milano rappresenta un momento importante di unità di tutti quei soggetti di movimento e sindacali, dei pensionati, degli studenti, dei disoccupati, delle associazioni, una unità fondata sui contenuti, per la costruzione di una piattaforma comune di difesa delle generali condizioni di esistenza e di lavoro, una unità che parte e si fonda sulla lotta per la difesa del sistema previdenziale pubblico, ma che vuole saldare a ciò la lotta per l’occupazione, per la riduzione dell’orario di lavoro, e per la difesa dello stato sociale.
La manifestazione nazionale del 13 Maggio diventa così la forma, il momento dal quale partire per avviare un progetto strategico di unità di tutti i soggetti sindacali di opposizione su una piattaforma generale di difesa delle generali condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie, a partire da:
La difesa della pensione di anzianità a 35 anni con il 2% di rendimento e senza penalizzazioni.
Bisogna rilanciare la lotta e la trattativa col governo sui punti già dichiarati dal movimento di autunno e confermati dalla consultazione appena conclusasi nelle fabbriche.
- Il sistema pensionistico deve rimanere pubblico ed obbligatorio, fondato sul metodo della ripartizione, cioè della solidarietà tra generazioni. In questo senso và difeso e salvaguardato, rifiutando ogni agevolazione all’introduzione di sistemi previdenziali a capitalizzazione o integrativi privati.
- Le prestazioni previdenziali devono essere separate da quelle assistenziali che devono rimanere a carico della fiscalità generale dello stato.
- La pensione è salario differito che spetta ai lavoratori e non è appannaggio nè del governo nè del governatore della Banca d’Italia. Vanno quindi ristabilite forme di controllo e di partecipazione diretta ed elettiva dei lavoratori alla sua gestione.
- Bisogna realizzare una vera omogeneizzazione tra tutti i sistemi previdenziali esistenti.
Vanno garantiti i seguenti trattamenti essenziali:
- Il mantenimento della pensione di anzianità a 35 anni per tutti, senza penalizzazioni o disincentivi, senza limiti anagrafici. Và garantito un meccanismo che permetta il pensionamento anticipato a 55 anni anche per chi non abbia ancora maturato i 35 anni di anzianità, con rendimenti adeguati.
- La maturazione del 2% di rendimento per ogni anno di lavoro, in modo da garantire gli attuali livelli di pensione.
- La rivalutazione delle pensioni rispetto all’aumento del costo della vita e delle retribuzioni.
- Eliminazione delle limitazioni alla reversibilità che penalizzano sopratutto le donne.
- Và garantita la copertura contributiva figurativa per i periodi di cura ed assistenza.
La difesa del difesa del sistema previdenziale pubblico deve però passare anche da:
- Una seria lotta all’evasione ed alla elusione previdenziale, stimata ormai attorno ai 60.000 miliardi anno, ed alla evasione fiscale, stimata attorno ai 250.000 miliardi anno.
- Una seria lotta per l’occupazione. Le entrate contributive dell’INPS sono immediatamente determinate dai livelli occupazionali esistenti, e quindi non si può parlare di difesa del sistema previdenziale senza disporre nel contempo di una chiara strategia sulla riduzione di orario, contro l’aumento dell’intensità di lavoro per l’occupazione.
Riduzione generalizzata dell’orario di lavoro ed occupazione.
Negli ultimi anni la produttività del lavoro è cresciuta notevolmente e tuttavia la disoccupazione è andata aumentando. Alla mancanza di lavoro, che persiste anche nell’attuale fase di ripresa produttiva, gli industriali ed il governo rispondono che la piena occupazione è un miraggio e che occorre adattarsi a lavorare quando si può ed alle condizioni dell’impresa.
Vogliono che il lavoro diventi precario, interinale, in affitto, a termine per disporre così di forza lavoro alle condizioni più favorevoli. Vogliono che ci si adatti al lavoro notturno, al Sabato, per non perdere neanche una goccia di incremento della produttività possibile.
La conclusione è che aumenta la precarietà del posto di lavoro per i giovani ed aumenta l’intensità di lavoro per gli attuali occupati, aumentando così (assieme alla flessibilità del lavoro ed a scapito dell’occupazione), la produttività ed i profitti.
Contro questo disegno va condotta una lotta intransigente e generale per realizzare un adeguato sistema contrattuale capace di collegare strettamente la riduzione dell’orario di lavoro alla difesa delle regole del mercato del lavoro.
La riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali, a parità di salario, per tutti i lavoratori, deve diventare l’architrave della più generale lotta alla disoccupazione.
- Una precisa linea a difesa dell’occupazione richiede che si sviluppi contestualmente una lotta contro l’aumento dello sfruttamento e dell’intensità di lavoro, contro la richiesta di maggiori flessibilità del lavoro e degli orari (ricorso al lavoro notturno, al Sabato, ecc.).
- Occorre impedire lo smantellamento di tutti quegli strumenti di “assistenza all’occupazione” in caso di crisi (CIG, mobilità ecc.).
- Vanno respinte le ipotesi di modifica del mercato del lavoro (lavoro interinale ed in affitto) e modificate le intese già realizzate sul lavoro a termine e sui contratti di formazione-lavoro che, così come sono strutturate oggi, rappresentano solo la messa a disposizione di forza lavoro a basso prezzo e facilmente ricattabile.
Difesa dello stato sociale.
Il debito pubblico non nasce certamente da un eccesso di spesa per i servizi sociali, che sono generalmente carenti e scarsamente finanziati, anche se li si paragona con gli standard degli altri paesi più industrializzati.
Le politiche di risanamento del debito pubblico si basano solo sui tagli alla previdenza, all’assistenza ed ai servizi sociali. Attraverso le varie leggi finanziarie, è stato perseguito l’obiettivo della riduzione del reddito dei lavoratori e dei ceti popolari a favore dell’aumento del reddito da profitto e da rendita.
Occorre ricostruire una capacità di mobilitazione generale in difesa del salario globale (ossia dell’insieme di beni e servizi percepiti dai venditori di forza lavoro e dalle loro famiglie).
In particolare occorre riprendere la mobilitazione in difesa del diritto alla salute ed all’istruzione contrastando le ipotesi oggi dominanti che accettano, o comunque non ostacolano adeguatamente, le privatizzazioni e le concezioni liberistiche che le sottendono.
La lotta per il recupero dell’evasione fiscale in tutte le sue forme, è quindi un obiettivo centrale ed irrinunciabile.
Difesa della Democrazia sui posti di lavoro.
La democrazia sui posti di lavoro, è prima di tutto capacità e volontà di permettere la partecipazione diretta dei lavoratori alla elaborazione delle linee rivendicative ed alla sua verifica, permettendo l’espressione ed il contributo di tutti i punti di vista, delle varie opinioni e sensibilità. Occorre quindi un sistema di regole che comprenda e garantisca l’esercizio di questo diritto.
Regole che sono contenute nella proposta di legge, sostenuta dal Referendum sull’art. 19 dello statuto dei lavoratori per il quale, due anni fa, sono state raccolte migliaia di firme sui posti di lavoro, con l’obiettivo di ridurre il monopolio ed il diritto di veto alle organizzazioni sindacali sia nella elezione che sul ruolo di contrattazione ed elaborazione delle strutture di base dei lavoratori.
Oggi si fa avanti una proposta parlamentare, emendata dal ministro Treu, che svuota questa possibilità, limitando gli spazi di contrattazione delle RSU e riproponendo un anacronistico monopolio di CGIL-CISL-UIL in quanto organizzazioni maggiormente rappresentative. Tutto ciò rischia di affossare il ruolo delle RSU e di limitare la democrazia e la libera dialettica sindacale.
Siamo perché lo spirito del quesito referendario vada salvaguardato, e perché venga permesso il diritto allo svolgimento del referendum. Per lo sviluppo della rappresentatività sindacale e per la democrazia, siamo per votare SI all’abrogazione dell’art. 19 dello statuto dei lavoratori.
La manifestazione nazionale del 13 Maggio a Milano, partendo dalla difesa del sistema previdenziale pubblico vuole rilanciare, più in generale, la necessità di una piattaforma generale sul salario e sull’occupazione, e sostenere il bisogno di partecipazione e democrazia che, anche l’ultima consultazione sui luoghi di lavoro, ha fatto emergere.
Il 13 Maggio è dunque un momento importante di rilancio di un progetto strategico adeguato alle attuali necessità di difesa delle condizioni di esistenza e di vita dei lavoratori, dei pensionati e delle loro famiglie, e di ripresa di quella grande unità tra i soggetti sindacali, i lavoratori, pensionati, studenti, disoccupati, che è stato alla base del grande movimento dell’autunno scorso.
Milano 1 maggio 1995
Coordinamento RSU - Verdi Girasole - Convenzione per l’alternativa - C.U.B.
Unione Sindacale Italiana (U.S.I.) - Sindacato di base (S.d.B.) - UNICOBAS