SULLA LEGGE FINANZIARIA 1997

 

Il Coordinamento delle RSU, delle delegate e dei delegati eletti nei luoghi di lavoro, esprime un giudizio sostanzialmente negativo sul merito della manovra finanziaria 1997.
Anche se va riconosciuto (grazie soprattutto ad alcune forze politiche di sinistra come Rifondazione Comunista ed i Verdi), che i capitoli relativi agli interventi sulla previdenza pubblica e sulla sanità precedentemente previsti nell'attuale manovra finanziaria sono stati bloccati, rimane la forte preoccupazione di una manovra chiaramente orientata ai dettami del trattato di Maastricht, dal contenuto sociale debole ed insufficiente, di una portata complessiva (64/68.000 miliardi) che non potrà non gravare essenzialmente sui ceti popolari e sul lavoro dipendente.

E ciò per diversi motivi.

  1. i tagli colpiscono soprattutto le amministrazioni locali che non avranno altra soluzione se non quella di intervenire sulle tassazioni e sulle tariffe (benzina, metano da riscaldamento, ICI) dei servizi (mense pubbliche, trasporti ecc..) che si trasferiranno in termini di aumento del costo della vita soprattutto sui ceti popolari.
  2. Gli altri tagli alla spesa su sanità, scuola, trasporto locale ecc., ed il blocco del turnover nella pubblica amministrazione, si trasformeranno anch'essi in un attacco a salari e pensioni, ed in un peggioramento della qualità e quantità dei servizi prestati.
  3. Nel contempo si continuano a finanziare con cifre considerevoli le grandi opere infrastrutturali (variante di valico ed alta velocità) e si confermano le scelte di sgravio fiscale e previdenziale in favore delle imprese.
  4. Dal lato delle entrate non si avverte alcun impegno per una rigorosa linea di lotta all'evasione ed all'elusione fiscale e previdenziale, con il rischio fondato che ancora una volta le nuove tassazioni (non ultima l'imposta per entrare in Europa) siano prelevate soprattutto dai redditi da lavoro dipendente e dalle pensioni.

L'impressione che se ne ricava è che questa finanziaria, pur depurata da interventi sfacciatamente antipopolari su pensioni e sanità, mantiene per la portata e per l'orientamento che la caratterizza, un'idea di sostegno all'ingresso di una Europa dei mercati e della finanza, tutto pagato dai ceti meno abbienti. Altri elementi concorrono a fondare la nostra preoccupazione.

  1. Ancora non sono chiare e conosciute a sufficienza le deroghe concesse al governo in materia di sanità e previdenza, e l'impressione che se ne ricava è che comunque la partita su questo fronte non è risolta, permanendo anche nella maggioranza una forte ed esplicita propensione a futuri e consistenti interventi su questa materia.
  2. I capitoli di sostegno all'occupazione sono trattati in modo del tutto irrilevante e solo in funzione dell'avvio delle grandi opere infrastrutturali.
  3. Le politiche si sostegno ai salari, riconosciute in termini di principio nella stesura del documento di programmazione economica, sono qui completamente smentite, sia per l'effetto dirompente che le politiche di risparmio e di nuove entrate contenute in finanziaria avranno sul potere d'acquisto dei salari, sia per la non volontà di questo governo di far rispettare ad una Confindustria ed a una Federmeccanica sempre più lanciata su una linea destabilizzante, il pur brutto ed insufficiente accordo del 23 luglio in sede di rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei Metalmeccanici.

Anche se non è ancora conosciuto il dettaglio tecnico dei vari capitoli previsti in finanziaria, il nostro giudizio non può quindi che essere già da ora negativo soprattutto sul senso e sulla logica comunque contenute in questa manovra.

In una società dove il problema principale rimane la disoccupazione e l'assenza di lavoro, dove le condizioni di lavoro e di vita vanno via peggiorando, dove già i lavoratori hanno pagato in termini di attacco ai salari, alla previdenza ecc., ci si aspettava da un governo di centrosinistra una scelta di politica economica e finanziaria rigorosa ma certamente orientata a combattere le grandi evasioni, i grandi sprechi, ed i grandi patrimoni.

A sostenere la nostra preoccupazione sta anche il quadro di scelte economiche e di politica sindacale in cui questo governo si muove.
E' di questi giorni la dichiarazione del ministro Treu che attacca il valore degli attuali ammortizzatori sociali e ne propone il loro superamento.
E' dei giorni scorsi "il patto per il lavoro" tra Governo-Confindustria-Sindacati.
Un accordo fortemente voluto da Confindustria e sostenuto dal Governo per la deregolamentazione del mercato del lavoro e l'aumento della flessibilità delle prestazioni e che dietro al buonismo delle parole d'ordine su lavoro ed occupazione, sostanzia invece una linea di deprezzamento del valore del lavoro e dei salari, e getta le basi di un pericoloso processo di desindacalizzazione.

Coi "contratti d'area" lo stato delega l'intervento nelle aree di crisi (non solo nel sud) all'interesse privato, sostenuto da "opportunità ed incentivi" fatti di defiscalizzazioni e decontribuzioni, di riduzione dei diritti e delle garanzie individuali e contrattuali per i lavoratori, di aumento dello sfruttamento e di riduzione dei salari.

Nella stessa logica si muovono le scelte sulla liberalizzazione del lavoro interinale , sui contratti di formazione lavoro e sull'apprendistato, sui contratti a termine e sul lavoro stagionale, che non trovano alcuna giustificazione se non quella di offrire all'interesse privato l'opportunità di accedere a manodopera a basso costo e maggiormente disponibile a qualsiasi condizione di lavoro..
Un accordo che propone una soluzione ai problemi occupazionali attraverso un aumento della flessibilità e della precarietà di lavoro e di salario e che sostanzia quindi l'abbandono, da parte del Sindacato confederale, di ogni idea si sviluppo e di difesa occupazionale fondata su politiche e scelte industriali serie, e su politiche di riduzione dell'orario di lavoro, e questo non potrà non avere ripercussioni pesanti e negative anche sui prossimi rinnovi contrattuali e sulle lotte per l'occupazione già aperte in importanti settori e gruppi industriali ed in importanti aree territoriali.

Altrettanto grave e preoccupante è infine il modo a cui si è giunti ad un accordo così importante che influenza la vita ed il futuro di milioni di persone.
Nessuna discussione e consultazione è stata fatta nei luoghi di lavoro tra i lavoratori ed i delegati delle RSU.
Anche ogni più timido barlume di democrazia sindacale sembra essere stata affossata da questo accordo.

Il Coordinamento nazionale delle RSU, dei delegati e delle delegate elette nei luoghi di lavoro, esprime quindi un giudizio negativo sia sulla legge Finanziaria per il 1997 che sull'accordo denominato "patto per il lavoro", e sottolinea contemporaneamente la necessità di riprendere la lotta per la democrazia sindacale fino alla completa affermazione dei risultati dell'ultimo referendum sull'articolo 19 dello statuto dei lavoratori.
Un bisogno di democrazia che aumenta ancor più in presenza di una fase difficile di attacco ai diritti ed alle condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice.
Un bisogno di ripensamento sulla intera strategia sindacale, ormai dimostratasi inefficace nei suoi presupposti concertativi come è ulteriormente dimostrato dalla vicenda tuttora aperta del rinnovo contrattuale dei lavoratori metalmeccanici.

Il Coordinamento delle RSU, delle delegate e dei delegati eletti nei luoghi di lavoro vede nello scontro aperto sul rinnovo contrattuale dei metalmeccanici un elemento di contraddizione non rimovibile se non con una lotta generale ed una scelta complessiva di revisione e ripensamento di merito sull'attuale strategia sindacale.

Per questo la lotta dei lavoratori metalmeccanici assume ogni giorno di più le caratteristiche di lotta generale di tutto il movimento, per la conquista di strumenti certi di tutela dei salari dall'inflazione, per l'occupazione ed il rilancio dell'obbiettivo delle 35 ore a parità di salario, contro lo smantellamento dello stato sociale.

Milano 4 ottobre 1996