Assemblea Nazionale delle delegate
e dei delegati eletti nelle RSU


Milano - Camera del Lavoro - 18 Aprile 1997



Relazione introduttiva di Giacinto Botti
a nome del Coordinamento nazionale


PREMESSA

Questa Assemblea Nazionale è un'iniziativa del Coordinamento Nazionale dei delegati e delle delegate RSU che si è riunito a Bologna il 19 Marzo scorso sulla base di una piattaforma contenente giudizi e proposte concrete in merito a problemi che ci riguardano direttamente come lavoratori e lavoratrici a partire da quelli relativi allo stato sociale ed alla previdenza, dei quali tutti parlano, e spesso a sproposito, tranne chi più di altri è direttamente interessato.
Questa Assemblea Nazionale è stata convocata da oltre 200 delegati e delegate, rappresentanti i molteplici luoghi di lavoro a livello nazionale, che vogliono confrontarsi ed esercitare sui problemi un ruolo attivo e propositivo, autonomo ma non estraneo alle organizzazioni sindacali, cioè da soggetti rappresentativi di tutti i lavoratori eletti nelle strutture elettive denominate RSU sui luoghi di lavoro.
Ma siamo anche lavoratori che vivono concretamente i grandi cambiamenti in corso e subiscono le trasformazioni in atto, dalle crisi industriali, alle nuove flessibilità e precarietà di lavoro e di salario e che, contemporaneamente, come cittadini di questo Paese, sentono i disagi e le conseguenze di uno stato sociale che non è stato riqualificato e migliorato, ma continuamente ridimensionato dalle politiche finanziarie degli ultimi anni.
Affrontare oggi i problemi dello stato sociale e della previdenza, non con l'ottusa ottica del bilancio di cassa, significa aprire una discussione sul futuro assetto economico e sociale di tutta la società.
Ciò è facilmente intuibile dalla connessione tra questi ed i problemi legati all'occupazione ed al mercato del lavoro, alle risorse finanziarie ed all'elusione ed evasione fiscale.

Su questo vogliamo interloquire con i sindacati CGIL-CISL-UIL e le realtà extraconfederali, qui invitati alla partecipazione ed al confronto, unitamente ai pensionati, ai disoccupati ed ai giovani.
A questa Assemblea sindacale hanno aderito circa 1.000 delegati e delegate ed ha inoltre aderito l'Area Programmatica di Alternativa Sindacale della CGIL, un'area nella quale molti delegati si riconoscono e che ha dato un consistente contributo.
Tale adesione non annulla, anzi valorizza la distinzione dei ruoli e non limita l'azione autonoma del Coordinamento che si pone l'obiettivo di divenire luogo di incontro e di iniziativa di tutti i delegati che, a prescindere dalla tessera di appartenenza, vogliono esercitare sui problemi un'azione di proposta sindacale e di coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici.
Questa Assemblea è il punto di arrivo di un confronto avviato da mesi con riunioni ed assemblee a partire da quella svoltasi a Firenze il 1º febbraio 97, convocata dal coordinamento delle delegate e dei delegati RSU della Toscana, dove è stata formalizzata la proposta di piattaforma che è oggi alla base di questa nostra Assemblea.
Ma vorremmo che questo momento di confronto diventasse la base di partenza per un'azione collettiva dei delegati delle RSU, capace di ricostruire le condizioni di coinvolgimento dei lavoratori, elemento questo indispensabile per qualsiasi azione sindacale di difesa e sviluppo dello stato sociale e dei diritti sindacali, in una fase nella quale complessivamente il movimento rischia di sentire forte una perdita di senso dei contenuti e dei valori che l'hanno da sempre animato. Una tendenza pericolosa all'individualismo che va contrastata riportando in campo l'azione di grandi masse di uomini e di donne in difesa dei propri diritti personali e collettivi, in alternativa alla cultura del mercato che, con il suo pragmatismo ideologico, la sua logica concorrenziale esasperata tra luoghi e soggetti, alimenta conflitti ed egoismi xenofobi e razzisti.

LA DIMENSIONE EUROPEA

E la "questione" Albania ci ha svegliato da un colpevole torpore.
Con sofferenza e preoccupazione abbiamo constatato che questa cultura devastante ha fatto breccia dentro di noi. A quelle donne, a quei bambini ed uomini che a decine, incolpevoli, giacciono in fondo al mare per una "fatalità" avvenuta durante l'attuazione di un irresponsabile blocco navale dobbiamo molto più della nostra esternazione e della sentita solidarietà ai parenti.
Il Sindacato solleciti le Istituzioni ed il Governo affinché si adoperino con scelte ed azioni politiche-umanitarie e non militari, per il superamento di una situazione che molti hanno contribuito a creare.
Il nostro impegno, come delegati e come lavoratori, è per il ritorno della tradizionale ospitalità, e affinché il valore della concreta solidarietà e dell'antirazzismo sia ribadito e riconosciuto come patrimonio del mondo del lavoro e della sinistra sociale e politica.

Il nostro impegno è perché le vere responsabilità della tragedia Albanese siano smascherate, annidate come sono nella speculazione e nella irresponsabilità di un liberismo economico che ieri ha prosciugato le risorse di un intero popolo ed oggi impone la sua pace con un intervento che si sta caratterizzando militarmente.

Si sta costruendo un’Europa senza diritti sociali, con una disoccupazione ed una povertà in costante crescita.
Per affermare una moneta forte si è disposti a tutto, anche ad avere una disoccupazione alta ed una produzione bloccata.
Se nel 1996 i senza lavoro (quelli ufficiali) erano 18 milioni, nel 1997 superano i 20 milioni. Da sole, Germania Francia ed i Italia ne totalizzano 13 milioni.
Questa situazione è destinata a peggiorare se non intervengono politiche sociali ed industriali mirate ad affrontare i nuovi problemi che sono conseguenza di un mercato saturo, dagli effetti devastanti sull’occupazione, delle nuove tecnologie, di una competitività transnazionale e di un capitale che corre verso le convenienze globali.
Dobbiamo recuperare i ritardi accumulati e spingere la nostra azione anche oltre i confini nazionali.
Abbiamo assistito in questi mesi ad una fievole ripresa dell’iniziativa a carattere Europeo in occasione della manifestazione a Parigi dei lavoratori Alcatel ed alle iniziative dei lavoratori Renault, ed il muoversi di associazioni e movimenti a carattere Europeo.
Salutiamo con soddisfazione l'iniziativa Europea che è partita il 14 Aprile da diverse città e che vedrà la sua conclusione con una manifestazione ad Amsterdam il prossimo 14/15 Giugno.

Aderiamo a questa importante iniziativa lanciata dalle associazioni dei disoccupati Europei con il concorso di numerose forze sindacali e molti altri movimenti.
Saremo ad Amsterdam, con le nostre posizioni, le nostre richieste e ci impegneremo per la riuscita dell’iniziativa per costruire un’Europa di civiltà e di progresso, pacifista ed antirazzista.

L'OBIETTIVO

Di fronte ai cambiamenti avvenuti ed a quelli in corso che hanno apportato già profonde modifiche nel corpo sociale del lavoro e agli avvenimenti politici di grande importanza che potrebbero cambiare gli assetti istituzionali usciti dalle ultime elezioni e rovesciarli in favore della destra economica e politica del Paese.
Di fronte ad un attacco generale della Confindustria al sistema contrattuale, ai salari, alle norme che regolano il mercato del lavoro ed ai diritti di chi lavora e ad una unificazione Europea guidata dagli estremismi monetari e da logiche liberiste tendenti a cancellare la cultura sociale della stessa Europa.
Infine dinanzi ad un Governo che si appresta ad un confronto su punti strategici per l'assetto economico del nostro Paese come lo stato sociale e la previdenza.....
vogliamo tentare ancora una volta di esercitare un ruolo attivo e porre l'attenzione della politica istituzionale, dei partiti, i pareri e le proposte di quella parte del mondo del lavoro che pensiamo di rappresentare. Siamo per affermare il primato dell'iniziativa sociale e dell'azione diretta dei lavoratori rispetto alla dimensione puramente istituzionale dei partiti, rispettando il ruolo e la loro positiva funzione ma ribadendo quelli altrettanto importanti del sindacato e dell'azione sociale.
Nessuno può pensare di non fare i conti con le aspettative ed i problemi di un mondo del lavoro dipendente che non è scomparso né residuale, come speso viene affermato da analisi superficiali.

Apriamo, rilanciamo dunque un'iniziativa a tutto campo, di discussione e confronto che può partire dai contenuti del documento con cui pensiamo di concludere l'Assemblea.
Documento che sarà curato da una commissione all'interno dei lavori di questa assemblea, formata da rappresentanti di delegati di tutte le regioni, in modo che la discussione di oggi sappia realizzare una concreta ed efficace sintesi del dibattito.
Crediamo caparbiamente di dover esercitare quel ruolo autonomo di delegati e delegate dei luoghi di lavoro riconosciuto anche nell'accordo sindacale sulle RSU, che sono forza e ricchezza per l'azione sindacale di categoria e per la stessa ricostruzione di un adeguato sindacato confederale.
In questa prospettiva, poniamo al centro della discussione la scelta dell'allargamento del Coordinamento dei delegati e delle delegate ed il rafforzamento della struttura a rete con i suoi riferimenti regionali, già configurata dalla precedente esperienza del Coordinamento delle RSU sviluppatosi sullo scontro con il Governo Dini in merito alle pensioni e con la raccolta del milione di firme per il ripristino di un sistema di indicizzazione automatico dei salari e delle pensioni.

L’AUTONOMIA DEL SINDACATO

Nel corpo sociale del sindacato sono avvenuti profondi mutamenti.
L’adesione al sindacato non passa più prevalentemente dall’appartenenza ad un partito o per ideologia. Il fare sindacato, la concretezza e la difesa degli interessi divengono gli elementi prioritari del giudizio e della stessa adesione.
Il Sindacato confederale deve esercitare, oggi più di ieri, una forte autonomia. Deve avvalersi, oggi più che mai, di un progetto, di un pensiero generale di ridefinizione di un modello di sviluppo e di società alternativo a quello che ci propongono. Un sindacato che ritrova il coraggio di provare, di osare una politica non subalterna alla logica dell’impresa e che agisce coerentemente a partire dalle politiche contrattuali generali e di categoria.
E, come rappresentante degli interessi di classe della parte più significativa della società, non abdica alla propria valenza politica - e alla politica - per confinarsi in un ruolo corporativo che delega alla rappresentanza politica la propria rappresentanza sociale.

LA NOSTRA IDEA DI PIATTAFORMA ED IL CONFRONTO COL GOVERNO PRODI.

Dal Governo Prodi ci attendiamo una politica sociale ed economica in discontinuità con il passato, non piegata sugli estremismi monetari e liberisti richiesti dalla Confindustria e dalla destra politica. Con questa speranza ci siamo schierati in molti a sostegno della coalizione del centro sinistra contro una destra che avevamo conosciuto col precedente Governo Berlusconi dal programma antioperaio ed antidemocratico.
Ma i governi vengono giudicati dai lavoratori per ciò che fanno concretamente.
Il nostro giudizio e la nostra azione sono determinati da ciò che abbiamo verificato in questi mesi ed in queste settimane.
Ministri, esponenti del Governo, hanno iniziato una campagna di stampa che individua ancora una volta i lavoratori ed i pensionati come responsabili dei disastri economici e di voler difendere i loro presunti privilegi.
Si è accompagnata a questa una campagna sui costi dell’INPS e dello stato sociale con l’utilizzo di falsità e strumentalizzazioni.
Siamo impegnati a riportare tra i lavoratori, elementi di verità e di controinformazione perché sentiamo quanto questa campagna culturale sia distorcente nel corpo sociale di tutto il Paese.
Attendiamo la concreta proposta del Governo.
Ma se si avvieranno nuovi tagli ad una spesa sociale che è tra le più basse d’Europa e se si metterà in atto un confronto anticipato sulle pensioni, sulla base di quanto definito nella Commissione Onofri e ripreso provocatoriamente da Monorchio, della Tesoreria di Stato, sarà necessario costruire la più ampia ed unitaria mobilitazione.
Abbiamo la necessità di costruire una proposta articolata per definire gli orientamenti e gli obiettivi del Sindacato in risposta alla Confindustria e nel confronto con il Governo.
Una piattaforma democraticamente e compiutamente costruita in tutti i suoi passaggi e condivisa dal numero più grande possibile di lavoratori e di lavoratrici, ma anche di pensionati, di giovani e disoccupati.
Questa fase di confronto-scontro di carattere generale non durerà pochi mesi e non si limiterà solo al alcune questioni.
Per questo siamo per aprire una fase vertenziale su tutti i punti di connessione con lo stato sociale e la previdenza, con di proposte articolate di breve e medio periodo, affinché attorno ad esse si costruiscano i rapporti di forza necessari e le alleanze per affermarli.
Ma nel contempo siamo contro qualsiasi ipotesi di riattivazione di un tavolo concertativo tra padronato, sindacato e Governo che ci porterebbe, come ci insegna l’esperienza degli accordi di Luglio, a nuovi scambi nei quali imprese e governo si avvantaggiano a discapito dei lavoratori e dei pensionati.
Questa ipotesi, avanzata da alcune organizzazioni sindacali, mira a consolidare un’idea di sindacato che, trasformando la pratica concertativa in un fine, vuole affermare un suo ruolo tutto istituzionale, con il riconoscimento attraverso la modifica dell'art. 81 della Costituzione.

LA FINANZIARIA E LO STATO SOCIALE

Le finanziarie in particolare in questi ultimi dieci anni, hanno favorito un ingente passaggio di ricchezza dai salari ai profitti ed alle rendite ed hanno contribuito alla riduzione costante dello stato sociale.
Il bilancio dello stato ed il suo enorme debito pubblico (problemi che esistono e che non ci sono indifferenti) sono stati il riferimento per attuare pesanti finanziarie che hanno ridotto le nostre condizioni di vita ma non hanno intaccato le vere cause del disavanzo ed hanno solo sfiorato i privilegi, quelli veri, e le risorse del paese.
La politica di bilancio dello stato non è più fondata sul principio costituzionale della democrazia sociale.
In questi anni gli istituti della democrazia hanno perso il potere di imporre limiti sociali all'iniziativa privata e la politica di bilancio viene subordinata ed orientata alla necessità dei mercati, ed oggi, all'imperativo imposto dal trattato di Maastricht.
Di questo si tratta e su questo si aprirà il confronto/scontro con il Governo.
Si vuole accelerare i tagli al salario sociale, previdenziale dei lavoratori, dopo averne ridotto quello diretto con le politiche concertative dell'accordo del 23 luglio, con la riduzione delle spese per lo stato sociale, colpendo tutti ma principalmente i lavoratori dipendenti ed i pensionati e, più in generale, gli strati più deboli della popolazione.

DIFENDERE E SVILUPPARE LA NOSTRA COSTITUZIONE

Il processo economico e sociale in atto richiede una democrazia autoritaria con il cambiamento delle regole. Le riforme istituzionali sono indirizzate al governo delle trasformazioni sociali.
Il vecchio regime si chiamava tangentopoli, cioè intreccio corruttivo-affaristico-politico crollato sotto l'azione di quei giudici che si vorrebbero imbrigliare.
La seconda repubblica che nascerà dalla Bicamerale deve avere al suo centro la questione della legalità, della democrazia e dell'applicazione dei principi e dei valori della costituzione.
La nostra progressiva Costituzione, con il suo impianto di democrazia sociale di condizionamento ai fini sociali dell'impresa e della proprietà, con i suoi valori fondamentali dell'uguaglianza e della solidarietà finisce per essere incompatibile con l'arroganza del mercato.

art. 1: La repubblica fondata sul lavoro .....
art. 4: La repubblica riconosce a tutti il diritto al lavoro ....
art. 32: La repubblica tutela la salute e garantisce gratuità agli indigenti ....
art. 35: La repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, cura la formazione e l'elevamento professionale dei lavoratori ....
art. 36: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità-qualità del suo lavoro .....
art. 37: La donna lavoratrice ha gli stessi diritti
art. 41: L'attività economica non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale ...

Chiediamo a questo governo di centrosinistra di applicare questi ed altri articoli fondamentali per uno stato di diritto, contro una modernità fatta di morti sul lavoro, di sfruttamento minorile, lavoro nero, gabbie salariali, deroghe ai minimi contrattuali, salari ridotti, lavoro in affitto e .. riduzione dello stato sociale e della previdenza pubblica.

PADRONI ITALIANI

Bisogna andare agli anni '62-'63 (anni che vedono la realizzazione della nazionalizzazione del settore energia) per ritrovare una iniziativa antigovernativa e di carattere politico come quella avvenuta il 10 aprile scorso convocata da Confindustria.
La manifestazione in poltrona, sicuramente più comoda rispetto alle nostre sfacchinate, dovrebbe aver chiarito quali sono gli obiettivi del padronato Italiano.
Competitività e concorrenza hanno obbligato questi padroni, sovvenzionati ed aiutati non poco e spesso fuori dalla legalità (vedi sentenze Fiat), a fare i conti con i ritardi e gli errori di questi anni.
Si sono dilapidate le ingenti risorse, i profitti altissimi di questi anni, favoriti da una lira fuori dallo SME e da una produttività alla giapponese del lavoratore italiano.
Il padronato Italiano chiede che l'impresa sia liberata da ogni vincolo, per produrre semplicemente a costi più bassi per una competitività senza qualità e prospettive.
Vuole imporre alla società la sua centralità subordinando le politiche sociali, fiscali ed economiche del governo alle sue esigenze.

Vuole abolire i due livelli contrattuali, svalorizzare il ruolo e la funzione del CCNL quale elemento portante per l'unità e la tenuta del movimento dei lavoratori e dello stesso sindacato confederale.
Vuole abolire l'anomalia dello statuto dei lavoratori, togliere i diritti, aumentare lo sfruttamento e, ovviamente, ridurre il salario dei lavoratori in tutte le sue forme.
E persino l'accordo del 23 luglio con le sue regole, utilizzato per ridurre conquiste e salari, oggi, nella nuova situazione, viene messo in discussione e non rispettato.
Il padronato non sopporta niente e nessuno che intralci la competitività d'impresa che, da strumento di ricerca è divenuto ideologia. Un obiettivo esclusivo per la sopravvivenza e l'egemonia.

COSI' NON C'E' PROSPETTIVA PER L’OCCUPAZIONE

Siamo il paese con il minor tasso di industrializzazione, il più basso indice di produzione tecnologicamente qualificata e con uno scarso livello di ricerca.
Il paese Italia rischia di essere una nicchia estranea allo scontro per la divisione del mercato mondiale che si è quasi concluso.
Privi di una seria ed innovativa politica industriale, assoggettati alle azioni ed alle scelte delle multinazionali che intervengono sulle privatizzazioni dei grandi settori come energia e telecomunicazioni, a fronte dell'assenza di un ruolo dello stato di indirizzo e di controllo e d alla scomparsa delle grandi famiglie capitalistiche, la piena occupazione non è realizzabile.
E non esistono ammortizzatori sociali, salario garantito, pratiche assistenziali che possano cancellare il peso della privazione di un diritto come quello del lavoro.
Quel lavoro che ti da diritto di cittadinanza e non ti esclude dalla società civile.
Ma attraverso la via contrattuale, i patti, gli accordi nazionali ed anche per via legislativa si sta consolidando la fine del lavoro come diritto, per farlo diventare semplice merce e, come tale, in balia del mercato e delle sue regole.
Siamo in presenza di un aumento delle ineguaglianze e della fine dell'equazione crescita=occupazione.
Il problema del lavoro è quello di come bilanciare l'innovazione di processo (che risparmia lavoro) con l'innovazione di prodotto (che crea parti di lavoro). E come ridistribuire il lavoro che c'è con una riduzione generalizzata degli orari a parità di salario accompagnata dal controllo degli orari di fatto nei luoghi di lavoro.

EVASIONE FISCALE, EROSIONE E DISPERSIONE DELLE RISORSE

Per mantenere e sviluppare un moderno ed adeguato stato sociale complessivamente inteso in tutti i suoi aspetti: diritto alla casa, alla cura, all'istruzione, al sostegno, alla salute, occorre utilizzare insieme alla contribuzione, la fiscalità generale.
La questione delle risorse è centrale in un paese che vanta il primato di un'evasione di 240.000 miliardi annui, dove la crescita del PIL è accompagnata da quella dell'evasione fiscale e sull'Iva.
Un paese dove il 24% delle società ha reddito nullo e solo 325.000 contribuenti dichiarano più di 100 milioni, ed il 35% degli esercenti dichiara meno di 15 milioni annui.
E la stessa IRPEF (imposta sulle persone fisiche) essendo pagata per il 75% dai lavoratori dipendenti si è trasformata, appunto, in una imposta sul reddito da lavoro dipendente.
E questi evasori ottengono anche una sfilza di privilegi sociali.
Pagano meno per il figlio all'asilo nido, hanno l'esonero dai ticket, tasse scontate all'università, mutui agevolati per la casa, accesso agli alloggi popolari, contributo ridotto al sistema sanitario nazionale, aiuti per la pensione sociale, per l'integrazione al minimo ecc. E non pagano neppure la tassa per entrare nella agognata Europa.
Sono poi gli stessi che, attraverso le loro associazioni, Confcommercio in testa, chiedono al governo di colpire i dipendenti pubblici e privati e di ridurre le pensioni.
La misura è colma, e così non si va avanti.
La riforma del fisco è prioritaria ed è l'unica via per evitare finanziarie che taglino la spesa sociale, e per ridurre il carico fiscale.
Pagare meno per pagare tutti. Questo è anche l'unico modo per ricostruire il senso di appartenenza ad una comunità, per garantire diritti di cittadinanza come base materiale della democrazia in un paese civile e moderno.

Applicando anche a questa materia l’art.. 53 della nostra costituzione che afferma .."tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è uniformato a criteri di progressività..."
Ma c'è un altro scandalo.
Lo stato italiano stanzia ogni anno 100.000 miliardi per le imprese pubbliche e private e per l'occupazione. Ma un terzo di questi soldi non viene utilizzato.
In 7 anni, quasi 2.800 miliardi sono stati cancellati dal bilancio perché nessuno li ha impiegati.
Il commercio e l'industria, soffocati dai tassi di interesse delle banche, hanno lasciato inutilizzato il 90% delle risorse finanziarie.
E lo stesso vale per i fondi destinati all'occupazione. Solo il 13% è stato utilizzato e sulla ricerca si scopre che su 100 lire stanziate solo 13 vengono utilizzate.
Per pressappochismo, per leggi fatte a metà, per una burocrazia farraginosa, migliaia di miliardi non vengono utilizzati perché non si sa a chi e come chiederli.
Mentre si usano i fondi che servono a coprire ristrutturazioni aziendali e la cassa integrazione.
E scandalosa è anche la perdita di fondi comunitari, oltre 60.000 miliardi stanziati e disponibili presso la comunità europea.
Sarebbe di buon senso, prima di fare nuove leggi per ulteriori finanziamenti, cominciare ad accertare dove e perché i fondi precedenti si sono arenati, e come fare per superare inadeguatezze ed intollerabili burocrazie.

E IL SUD ....

Le regioni meridionali rischiano di vedersi cancellare questi aiuti per incapacità di spendere e di fare programmazione.
Ai gravi problemi del Mezzogiorno, non si offrono risposte concrete sulla base di precise volontà politiche e scelte economiche stabili e durature. Anche da questo governo di centrosinistra le risposte sono vaghe.
Come sempre il mezzogiorno è considerato terra di saccheggio, e così, alle porte del 2.000 la sola ricetta economica e sociale di cui anche questo governo si è fatto sostenitore è quella padronale della tolleranza verso il lavoro nero, l'evasione e l'elusione. Ai milioni di persone che chiedono lavoro e rispetto, si offrono ricette tutte basate sui sottosalari, sull'abbassamento dei diritti e la deregolamentazione delle normative.
Si ripropongono le vecchie gabbie salariali che, lungi dal risolvere i problemi dell'occupazione, tracciano la linea di demarcazione tra rispetto e non rispetto della dignità umana di lavoratore.
Si ripropongono ricette da sottosviluppo, fatte di sfruttamento, precarietà, e assenza di prospettive certe e stabili.
Resta il fatto che è comunque interesse di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici, del Nord e del Sud, a contrastare questo disegno di frantumazione e divisione salariale, e la concorrenza tra occupati e disoccupati, tra lavoratori forti e tutelati e lavoratori deboli.

LA NOSTRA PROPOSTA VERTENZIALE

PER LA DIFESA DELLA PREVIDENZA PUBBLICA E DELLO STATO SOCIALE

"I 65 anni per l'età pensionabile per tutti è una soluzione immediata per l'equilibrio finanziario della previdenza. ... Bisogna estendere il metodo contributivo a tutti ...Il risanamento dei conti pubblici passa dal contributo alla spesa sociale".
Queste sono le affermazioni più gravi e provocatorie di Paolo Onofri e di Andrea Monorchio. Il primo responsabile della commissione sullo stato sociale, il secondo della tesoreria di stato.
Ed il presidente Prodi, seguito a ruota da Ciampi, rilasciano dichiarazioni preoccupanti.
Allora diciamo subito che le nostre pensioni non sono a disposizione per nessun governo e che il tavolo di confronto non deve essere anticipato per nessun motivo. Sono passati meno di due anni dal voto parlamentare sulla legge 335, che già si sta profilando un nuovo attacco.
Non è sufficiente il peggioramento avvenuto con la 335 ed i copiosi risparmi di oltre 6.000 miliardi ottenuti con il cambio del calcolo e la progressiva scomparsa della pensione di anzianità. E la rottura intergenerazionale con l'introduzione del metodo contributivo.
Contro quell'accordo sindacale, trasformato in legge avevamo sviluppato iniziative di piazza il 13 maggio '95 a Milano ed il successivo 24 giugno a Roma.
Contro quell'accordo si erano pronunciati milioni di lavoratori con un NO in quel referendum limitato ed imperfetto.
Ma l'8 Agosto, con un colpo di mano, la destra, con un sindacato ed una sinistra "disattenti", si è peggiorato lo stesso accordo sindacale, introducendo per legge una "clausola di garanzia". Una clausola che lega il sistema alla copertura finanziaria e al bilancio che, in caso di passivo, permette all'esecutivo, senza passare per il voto parlamentare, di intervenire aumentando i contributi o innalzando l'età pensionabile.
Quella clausola andrebbe respinta da CGIL-CISL-UIL, in quanto non prevista dall’accordo sindacale. Poiché difficilmente potrà essere rimossa, occorre da subito fare iniziative verso l'INPS e verso il Governo per non giungere alle condizioni che giustifichino la sua attuazione.
I lavoratori non dimenticano un sindacato, che per vincere il referendum nei luoghi di lavoro, spergiurava che la riforma ci avrebbe garantito la pensione per i prossimi 30 anni.
Noi sosteniamo la posizione sindacale che afferma che non ci può essere oggi nessun tavolo di trattativa che abbia come oggetto le pensioni ed i rendimenti pensionistici.
Siamo contrari allo scambio tra innalzamento dell’età pensionabile e riduzione dell’orario di lavoro: gli effetti della seconda sull’occupazione sarebbero vanificati dal primo.
Nessun confronto deve avviarsi prima del 1998, e comunque vanno prima verificati i numeri concreti e solo dopo all'applicazione delle numerose deleghe attualmente non applicate della 335.
Ma non ci fidiamo del governo e crediamo perciò che occorra da subito costruire le condizioni per contrastare l'azione di un esecutivo che è intenzionato a collegare alla finanziaria 98 l'intervento sulle pensioni.

L'INPS: FALSITA' E DEGRADO

Chiariamoci subito. Il fondo pensioni dei lavoratori dipendenti è in attivo.
Le cause dei problemi finanziari e della eventuale non tenuta del sistema, risiedono principalmente non nella diminuzione delle nascite o nel fatto che oggi (bontà loro) si campa di più, ma dalla riduzione dell'occupazione e dallo sviluppo di un lavoro sempre più precario, nella non effettiva divisione dell'assistenza dalla previdenza, nell'elusione-evasione previdenziale, nella mancata armonizzazione tra i fondi, nella mancata riscossione dei contributi, nell'uso della CIG e nei prepensionamenti.
Inoltre l’INPS continua ad erogare denaro per prestazioni che andrebbero finanziate con la fiscalità generale.
La riforma si basava sulla certezza di far rientrare nella previdenza pubblica tutti i lavori, compresi quelli flessibili "atipici", non qualificati come lavoro dipendente, e di avviare processi reali di armonizzazione tra i fondi e di divisione tra assistenza e previdenza.

MA NON E' COSI'

Siamo di fronte ad un processo di degrado e di incapacità gestionale, di non interventi irresponsabili e sospetti. E' la volontà politica a sostenere la previdenza pubblica che manca.
Chi ha amministrato sinora ha fatto una scelta politica in favore dei padroni, a sostegno dell'avvento della previdenza privata , a discapito dell'istituto pubblico.
Non c'è volontà di riscuotere i crediti verso le imprese (40.000 miliardi), né di colpire l'evasione e l'elusione previdenziale (altri 40.000 miliardi annui).
Ci sono, oggettivamente, tutte le condizioni per avviare una denuncia per omissione d'atti di ufficio alla dirigenza INPS.

Vogliano mantenere un sistema pubblico ed affermare la necessaria solidarietà. Ma senza equità e senza una vera armonizzazione dei trattamenti, non regge l'istituto e neppure la nostra disponibilità.
Vogliamo ridiscutere la legge 335 per modificarla e migliorarla, recuperando quanto è stato ingiustamente tagliato e tolto, ristabilendo le nostre verità, tornando a discutere dei lavori, dei settori, dei 35 anni.
E siamo stanchi di parlamentari, ministri, economisti che parlano di pensioni a 65 anni senza sapere cosa significa stare in un luogo di lavoro e come si lavora.
Che non sanno dei disagi e delle stanchezze del lavoro, che parlano di privilegi, dimenticandosi che i veri privilegi sono i loro.
Siamo stanchi di pagare 3 stipendi su 12, all'anno, di trattenute per ottenere una pensione ridotta e solo dopo 40 anni di lavoro.
I vari Onofri, Monorchio e parlamentari come Pannella (libertario che ferma i diritti ai cancelli delle fabbriche). Ci piacerebbe poterli mandare a svolgere uno dei tanti lavori che conosciamo. E magari in un luogo lontano da casa, per fare loro provare il pendolarismo delle 6 del mattino.
Ma pensiamo di vederli nella moderna Fiat di Melfi, dove i ritmi ti sfiniscono ed i ricatti ti umiliano. Dove a 35 anni si è considerati vecchi e ci si sente vecchi.
Oppure alla De Longhi di Treviso, dove impongono ritmi anche ai bisogni fisiologici e si sospende la pausa individuale per fare pipì.
E' un sogno poterli vedere faticare in quelle condizioni, un sogno che farebbe bene prima di tutto a loro perché capirebbero il perché si muore ancora così tanto sul lavoro.
Siamo oltre ai 2.000 morti all'anno, e ci sono un milione di infortuni con 100.000 invalidi permanenti.
Capirebbero perché vogliamo difenderci da questo nuovo attacco e perché non riusciamo a sopportare più chi ci viene a parlare di sacrifici e di privilegi. E capirebbero perché siamo contro a questa loro idea di previdenza e di stato sociale.

Abbiamo quindi l'urgenza di prepararci a rispondere al prossimo attacco alla previdenza pubblica.
Sosteniamo che la spesa sociale e le pensioni sono parte integrante del nostro salario. Pensiamo che la nostra previdenza, la qualità e la quantità della spesa sociale, possano e debbano essere migliorate, recuperando quanto è stato perso con la L. 335/95, e con una seria lotta all'evasione. Occorre utilizzare la fiscalità generale per lo sviluppo produttivo ed occupazionale e per rifinanziare il rilancio di uno Stato Sociale efficiente e giusto. L'obiettivo di medio termine a cui non rinunciamo è in sintesi:

OCCORRE

1. Combattere ogni forma di evasione ed elusione
Finora è mancata la volontà politica di procedere in questa direzione. Nel 1º semestre 1996, l'INPS ha controllato 27.500 aziende accertando un'evasione contributiva pari ad oltre 1.300 miliardi. Il 78% delle aziende visitate hanno presentato irregolarità. Questa è solo la punta del fenomeno. Si stima che l'evasione complessiva sia di oltre 40.000 miliardi anno. Eppure gli ispettori di vigilanza, a causa del blocco delle assunzioni degli ultimi 7 anni, sono in costante riduzione ed oggi sono meno del 50% dell'organico INPS. Parallelamente anche il numero delle aziende controllate si riduce di anno in anno. Il Governo deve approvare una deroga al blocco delle assunzioni INPS, finalizzata a sostenere l'attività ispettiva. Essa consentirebbe entrate contributive di notevole entità, altrimenti evase.
Il finanziamento dello stato sociale è sostanzialmente compromesso dall’enorme evasione fiscale (250.000 miliardi anno) e dall’evasione sull’IVA (50.000 miliardi anno). I lavoratori dipendenti, con le loro ritenute alla fonte, garantiscono da soli il 75% delle entrate fiscali, mentre il 24% delle società dichiara un reddito nullo ed il 35% degli esercenti dichiarano redditi inferiori ai 15 milioni annui. Anche per questo è inaccettabile qualsiasi proposta di riduzione dello Stato Sociale. La difesa e lo sviluppo dello Stato Sociale può realizzarsi solo con coerenti ed efficaci politiche contro l’evasione e l’elusione fiscale.
2. Bloccare la politica dei condoni Essi producono scarsi risultati sul piano delle entrate e rappresentano una sorta di copertura all'elusione ed all'evasione fiscale e previdenziale.
3. Attuare subito l’art. 37 della Legge 88-1989
Così il Governo è obbligato a caricare sulla fiscalità generale la copertura di gran parte della spesa assistenziale attualmente pagata dall'INPS, compresi i sostegni alle imprese, in termini di decontribuzioni, CIG, mobilità e prepensionamenti. La reale separazione della gestione previdenziale da quella assistenziale è essenziale per una valutazione corretta dei costi di gestione dei fondi pensionistici.
4. Realizzare quanto già previsto dalla L. 335/95 sulla parificazione dei prelievi contributivi e delle prestazioni per fondi speciali, di categorie particolari e dei lavoratori autonomi.
5. Rivendicare chiarezza nella gestione della riorganizzazione dei fondi INPS.
Siamo per la parificazione tra i fondi, ma siamo anche per impedire che il risanamento del disavanzo attuale e futuro di alcuni fondi speciali (elettrici, autoferrotranvieri, clero) sia scaricato sul fondo lavoratori dipendenti. Per questo chiediamo al Governo un intervento preciso per caricare i costi di tale copertura sulla fiscalità generale così che l'unificazione sia realizzata dopo il risanamento dei deficit di gestione dei fondi interessati.
6. Bloccare la politica governativa di decontribuzione del salario aziendale e di agevolazioni fiscali e contributive a favore delle imprese. 7. Bloccare l'attuale politica di sostegno ed agevolazioni pubbliche in favore dei gestori di previdenza integrativa privata. Lo sforzo principale deve essere quello di sostenere la previdenza pubblica ed il suo carattere universale e solidale. Il sostegno e le agevolazioni previste alle pensioni private, oltre che aumentare i costi previdenziali pubblici e quelli dei lavoratori (costretti a destinare ulteriori quote di salario alla previdenza integrativa) minano la tenuta stessa del sistema previdenziale pubblico.

Se la realizzazione delle precedenti misure non dovesse risultare sufficiente a garantire adeguate entrate all'INPS, allora dovrà essere posta con forza la questione di un aumento dell'imposizione fiscale sul capitale (industriale, monetario e commerciale) per ridistribuire una quota dell'aumento della produttività a favore del salario sociale e previdenziale.

SANITA'

Le linee proposte dalla commissione Onofri in materia di sanità, seguono lo stesso orientamento di quanto è oggi perseguito sulla previdenza pubblica. Ossia lo smantellamento (giustificato dalle ragioni del conto economico) della sanità pubblica per il sostegno e lo sviluppo della sanità privata.
Sul piano delle entrate statali Onofri propone:

Sul piano delle uscite:


Questo progetto, se realizzato compiutamente, comprometterebbe l'intero impianto dello stato sociale, impianto che vede nel diritto generale alla salute, al pari di quello all'assistenza ed all'istruzione uno degli elementi più alti di solidarietà, di universalismo e di civiltà sanciti dalla nostra costituzione.
Diritti questi che oltretutto sono per la maggior parte sostenuti dal nostro salario, dalle nostre trattenute alla fonte. Diritto che noi paghiamo anticipatamente e che ci vengono restituiti già in misura inferiore di quello che noi versiamo allo stato.
La salute deve ridiventare "diritto universale costituzionalmente riconosciuto".
Perché ciò avvenga bisogna:

SULLE CONDIZIONI DELL'OCCUPAZIONE E DEL MERCATO DEL LAVORO

La creazione di occupazione stabile è quindi presupposto fondamentale per allargare la base contributiva. La riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, a parità di salario e di condizioni di lavoro, rappresenta oggi la principale risposta ai problemi dell'occupazione e della previdenza. Essa permette di ridistribuire il lavoro e di aumentare e consolidare le entrate contributive e fiscali, rendendo disponibili le risorse necessarie a mantenere alto e qualificato il livello di protezione sociale e della previdenza pubblica.
Proponiamo quindi di:
1. Rilanciare l'iniziativa generale sull'occupazione a partire dall'obiettivo della riduzione della durata della giornata e della vita lavorativa
Questo obiettivo è fondamentale e va rilanciato con forza nella contrattazione confederale e di categoria per la conquista delle 35 ore entro il 2000.
2. Opporsi alla flessibilizzazione ed alla precarizzazione del lavoro, alla riduzione dei diritti e del salario.
E' chiaro infatti come le ipotesi concordate nel recente "patto per il lavoro" sull'estensione delle forme di lavoro precario, stagionale ed a termine, lungi dal risolvere i problemi dell'occupazione avranno effetti devastanti anche sulla tenuta del sistema previdenziale pubblico. La precarietà della prestazione, nelle forme previste (contratti a termine, lavoro interinale, lavoro stagionale) è anche precarietà salariale e quindi contributiva.
Ciò non solo crea le condizioni di una costante ed irreversibile riduzione della base contributiva, e quindi delle entrate INPS, ma rende quasi impossibile per i lavoratori precari, maturare una pensione pubblica dignitosa ed adeguata (specialmente se rimane il regime contributivo).
Del "patto per il lavoro" vanno quindi messi in discussione sia i presupposti concettuali che le determinazioni pratiche e normative.
3. Realizzare una difesa immediata
In coerenza con ciò vanno inoltre rivendicate soluzioni legislative che, per le forme di lavoro precario (comunque presenti) determinino una generale condizione di tutela anche previdenziale. In particolare ciò riguarda il lavoro interinale che, per come viene prospettato, risulterà gestito da vere e proprie agenzie che potranno vincolare a sé sempre maggiori quote di forza-lavoro, condannate a non avere altra soluzione di impiego se non rendendosi "disponibili" alla condizione di lavoratore precario, con scarsi diritti e tutele e con limitate possibilità di organizzare la contrattazione.
Sul piano della difesa immediata, rivendichiamo che le agenzie di lavoro interinale siano obbligate a garantire una continuità contributiva per i loro lavoratori. Tale contributo deve coprire i periodi di effettivo lavoro ed i periodi di non impiego, ponendo quest'ultima copertura a carico della fiscalità generale.

SALARIO E TFR

Per la prima volta, con la scomparsa della scala mobile e le politiche salariali legate all'inflazione programmata, dopo decenni, i salari contrattuali e le retribuzioni di fatto crescono meno dell'inflazione reale.
Le famiglie hanno ridotto il reddito e la busta paga continua a perdere potere d'acquisto. I dati dell’ISTAT che riproducono una realtà virtuale in quanto "media della media", non dicono di quanto abbiamo peggiorato.
Il recupero salariale, in tutti i suoi aspetti deve essere al centro di una nuova strategia sindacale.
E non c'è contrapposizione tra salario ed occupazione. Non solo perché una classe economicamente forte è meno ricattabile e più forte nel difendere i propri diritti ed affermare la solidarietà, ma anche perché c'è una contrazione della domanda interna, una recessione evidente che produce sia un problema di equità sociale, sia una questione strettamente legata alla salute dell'economia.
Paradossalmente ci si preoccupa di ridurre il costo del lavoro, di renderlo più flessibile senza accorgersi che la convenienza ad utilizzare lavoro è neutralizzata dalla domanda ridotta.
Inoltre la retribuzione, con i salari di ingresso, con le riduzioni le differenze introdotte (che sono gabbie salariali) si sta svincolando dall'unità di tempo e qualità del lavoro.

TFR
Per quanto riguarda il trattamento di fine lavoro, in difesa del quale si sono sollevati i padroni, costretti a pagare un anticipo delle tasse, è bene fare chiarezza.
Sotto l'azione referendaria dell'allora Partito di Democrazia Proletaria, è stato approvata nel 1982 la legge 297. Da allora l'indennità di liquidazione, divenendo TFR è un prestito forzoso, cioè di risparmio obbligatorio poco conveniente che il lavoratore è tenuto a compiere su una determinata percentuale della sua retribuzione diretta.
Un istituto anomalo ed unico in Europa.
E' giunto il momento di discutere anche di questo nostro salario il cui utilizzo è sconosciuto e non sempre finalizzato all'attività produttiva, come vogliono farci credere.
Si potrebbe trasformarlo in mensilità annuale o distribuirlo sul salariale mensile, e comunque allargare la possibilità di utilizzo dello stesso da parte del lavoratore.

SULL'ACCORDO DEL 23 LUGLIO E SUI RINNOVI CONTRATTUALI

La recente vertenza per il rinnovo 2º biennio CCNL metalmeccanici, ha definitivamente dimostrato i limiti dell’accordo del 23 luglio ‘93 nella lotta per la difesa del salario.
Ora l’accordo viene messo in discussione (disdettato) da destra. Confindustria non si accontenta della limitazione-subordinazione della contrattazione in modo da impedire la possibilità di una difesa concreta del salario reale, ma vuole lo smantellamento della struttura contrattuale.
Questo nuovo attacco alla struttura della contrattazione ed al salario sarà all’ordine del giorno della prossima verifica dell’accordo di Luglio (previsto e collocato ormai per il prossimo autunno), ma avrà sicuramente un importante anticipo in sede di rinnovo di quei contratti nazionali che vanno a scadenza in questi mesi, a partire dal rinnovo contrattuale dei lavoratori Chimici che sono già oggi impegnati nella definizione della loro piattaforma.
E’ ormai evidente l’interesse di Confindustria e del sindacato confederale verso questo rinnovo contrattuale. Rinnovo che sarà probabilmente usato come "veicolo" per predeterminare i contenuti del prossimo accordo confederale sulla contrattazione e sul salario.

Dobbiamo quindi da subito costruire una nostra linea di difesa che va portata al confronto confederale ma che già deve realizzarsi e concretizzarsi nella definizione della piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei Chimici.

    1. Sugli assetti contrattuali:
      Noi siamo per difendere il sindacalismo confederale, cioè il CCNL, come momento generale ed unificante di lotta in difesa del salario diretto di categoria al quale affidare il compito di sostenere e difendere il salario reale (aumento del costo della vita) e relativo (redistribuzione ai salari di quote di incremento di ricchezza generale).
      Siamo cioè per "Difendere e riprogettare i due livelli contrattuali" (Nazionale di categoria ed aziendale) superando i limiti in cui sono stati rinchiusi dall’accordo di Luglio.
    1. Sul salario:
      Con l’eliminazione della scala mobile (elemento importante per il sostegno del salario reale), l’accordo del Luglio ‘93 ha demandato questo compito ai contratti nazionali (richieste salariali calcolate in funzione dell’inflazione programmata).
      E’ venuta così a meno la funzione dei contratti nazionali che storicamente si erano orientati su linee rivendicative di sostegno sia al salario reale che a quello relativo contrattando il trasferimento di parte della ricchezza prodotta nel settore sui salari categoriali.
      La difesa dei livelli di contrattazione, ed in particolare del contratto nazionale, presuppone quindi anche la difesa ed il recupero di una loro efficacia a sostenere una adeguata azione di tutela e di difesa.

SULLA DEMOCRAZIA SINDACALE

In questo paese ci sono troppe sigle sindacali, spesso corporative, di convenienza, l'una contro l'altra in una competizione spesso feroce e deleteria per la tenuta del movimento dei lavoratori.
Il primo obiettivo che abbiamo è individuare strumenti e prassi efficaci, all'interno di una linea sindacale generale, per ricomporre ciò che la crisi e la ristrutturazione capitalistica tendono a frantumare e dividere.
I grandi cambiamenti ci impongono di ripensare agli strumenti, alle forme organizzative ed alle stesse relazioni sindacali.
Contemporaneamente ci troviamo di fronte al rischio della scomparsa di una idea confederale, intesa come capacità di un progetto e di costruzione dell'unità del mondo del lavoro, di ricomporre la classe lavoratrice generalmente intesa nella sua scomposizione ed articolazione, come elemento essenziale per qualsiasi progetto generale.
Abbiamo bisogno di un insediamento sociale reale, di una organizzazione dei lavoratori democratica e pluralista, con una linea politico-sindacale propositiva, efficace e di classe.
Nella convinzione che la linea di demarcazione di un sindacato confederale e di classe dipende dalla ridefinizione e dalla ricostruzione degli elementi strutturali di un nuovo e diverso sistema economico e sociale.
Noi pensiamo che bisogna ripartire dai luoghi di lavoro, scardinare le pratiche burocratiche, il potere centrale delle organizzazioni sindacali attraverso il ripristino di regole democratiche e di strutture elettive dove i lavoratori possano essere veramente protagonisti della vita sindacale.
Si tratta di un problema di natura politica ed istituzionale; non c’è dubbio infatti che la risposta al quesito relativo al ruolo dei lavoratori nei luoghi di lavoro e del sindacato nella società sarà anche data dagli assetti istituzionali che verranno a configurarsi.
Ma l’attuale dibattito sulle riforme istituzionali lascia ancora ai margini la questione sociale e le sue forme di rappresentanza.
Questione che è di straordinaria importanza vista la necessità di dare anzitutto riconoscimento legislativo alle forme elettive della rappresentanza sindacale e sancire i diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici e con essi ricostruire la rappresentatività dei sindacati.
Siamo per mantenere aperto un percorso di unità sindacale ma la sua realizzazione è possibile solo se si riconoscono le strutture elettive che, assieme alle regole democratiche, rimangono l’elemento fondativo di qualsiasi sindacato unitario. L’elezione delle RSU avrebbe potuto essere un evento importante e luogo in cui, sfuggendo dalla riduttiva competizione di organizzazione, si mettevano in primo piano i problemi e si valorizza il rapporto con i lavoratori.
Questa è oggi la nostra sfida, però in condizioni più difficili.
Il processo unitario si è arenato e le RSU non sono state elette in tutti i luoghi di lavoro, in parte sono state svuotate o trasformate in semplici terminali d’organizzazione.
Ma è da qui che dobbiamo ripartire, riaffermando il valore della partecipazione, dell’autonomia dal Governo e dalle forze politiche.
Pensiamo a strutture sindacali che formino organismi dotati di certi ed autonomi poteri di contrattazione in ambito aziendale e nazionale, in grado di realizzare un equilibrio tra i poteri e le funzioni dell’associazionismo sindacale ed il diritto dei lavoratori a scegliere i propri rappresentanti in tutti i luoghi di lavoro ed a decidere dei propri destini.
Vogliamo un modello di "democrazia compiuta" e sfuggire dall’aziendalismo e dal corporativismo che ha portato in alcuni casi alla realizzazione di accordi squalificanti e pericolosi.
Ma per realizzare realmente i due livelli di contrattazione occorre una linea sindacale rinnovata che vada oltre il 23 luglio e avere lo strumento che consenta l’esercizio pieno del ruolo di rappresentanza e di contrattazione sulle condizioni materiali del lavoro.
Su tutto ciò si stanno evidenziando differenze sostanziali tra le organizzazioni.
Il progetto CISL-UIL, tutto istituzionale, non prevede il rilancio delle RSU e neppure la loro rielezione (molte infatti stanno andando in scadenza e dovrebbero essere rielette nei prossimi mesi) ed è alternativo a quello CGIL, alla quale chiediamo coerenza rispetto alla sua proposta di legge avanzata in Parlamento; Proposta che si è affiancata a quella del Movimento dei Consigli, promotore del referendum sull’art. 19 della legge 300.
Siamo fortemente avversi ad un sindacato che vuole limitare la democrazia (la vicenda dei metalmeccanici, che dopo 9 mesi non hanno avuto il diritto di contare è emblematica e preoccupante) ed intende avocare a se il diritto di circoscrivere, soffocare in un patto neocorporativo ed autoritario con lo stato ed il padronato, le richieste del mondo del lavoro.
Sulla questione della legge e delle regole democratiche delle strutture elettive, troverete nella documentazione dell’Assemblea la "CARTA" elaborata in precedenza dal Coordinamento delle RSU e un "APPELLO" firmato dai delegati che hanno promosso il referendum sull’art. 19.
L’appello e la Carta possono e devono essere utilizzati per rilanciare l’iniziativa sindacale.
Chiediamo a tutte le forze politiche, in particolare a quelle di sinistra che hanno sostenuto l’iniziativa referendaria, di svolgere un’azione coerente in Parlamento e nelle commissioni affinché la democrazia possa essere esercitata nei luoghi di lavoro.
A conclusione dell’assemblea proponiamo di aderire collettivamente e individualmente all’appello dei promotori, come impegno a sostegno delle posizioni assunte, e ad avviare iniziative locali e regionali su questo tema.


Consapevoli delle difficoltà e di quanto abbiano pesato le sconfitte e gli arretramenti vogliamo continuare a lavorare, inventare e elaborare il nostro agire per poter incidere al meglio nella realtà. Una realtà che sostanzialmente non è da noi determinata ma che a noi interessa determinare in quanto nostro obiettivo è essere soggetti attivi.
La nostra azione diretta in quanto lavoratori e loro rappresentanti può e deve mantenere nonché migliorare le nostre condizioni di lavoro e di vita.

Grazie e buon lavoro a tutti e a tutte.