Ordine del giorno approvato nella riunione del Coordinamento Nazionale delle RSU, convocato a Bologna il giorno 6 dicembre 1997 per una valutazione sull'esito della consultazione su pensioni e stato sociale e per la preparazione delle prossime iniziative del coordinamento.
La consultazione sindacale su pensioni e stato sociale ha registrato una bassa partecipazione dei lavoratori alle assemblee ed al voto.
Hanno votato in 3 milioni .... neppure la metà (solo il 35%) dei soli iscritti a Cgil-Cisl-Uil.
La bassissima affluenza al voto, soprattutto tra i lavoratori attivi, è imputabile alla scarsa credibilità di questa consultazione sindacale.
In questa occasione, infatti, il voto non poteva essere quell’importante occasione di partecipazione consapevole e solidale che è insito nell’utilizzo dello strumento del referendum.
La vera consultazione doveva essere fatta soprattutto prima, sugli obiettivi e sul mandato a trattare.
Le organizzazioni sindacali hanno invece scelto prima la strada della subordinazione al quadro politico e poi la conferma di una pratica concertativa centralizzata, escludendo a priori il coinvolgimento dei lavoratori nella definizione degli obiettivi e nella valutazione sui tempi ed i modi della trattativa.
Con la bassa adesione al referendum i lavoratori hanno sottolineato così la loro insoddisfazione nei confronti di un sindacato che li emargina dai veri momenti decisionali ma anche l’insufficienza delle risposte sindacali rispetto al generale peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro.
Non è da sottovalutare infatti che soprattutto nelle aree più sindacalizzate i NO abbiano raggiunto il 30%.Come Coordinamento Nazionale delle RSU riteniamo urgente l’apertura di una riflessione sulla democrazia nel sindacato, sulla necessità di una legge che regoli i rapporti tra rappresentanti e rappresentati, sull’efficacia delle linee e dell’azione sindacale, sulla fiducia (ormai ridotta al lumicino) tra Cgil-Cisl-Uil e lavoratori. Una riflessione che non può essere né elusa né rinviata e che deve avvenire prima di qualsiasi discussione sui presunti progetti di unificazione sindacale, perché non può esistere alcuna unità utile o credibile senza un coinvolgimento di tutti i lavoratori, senza la definizione di regole certe di partecipazione e rappresentanza, di espressione del voto e del mandato. Non può esserci nessuna unità se l’azione sindacale non viene rifondata su una linea salariale e occupazionale adeguata e senza l’apporto diretto dei lavoratori e delle loro rappresentanze elettive nei luoghi di lavoro alla costruzione della linea. Questo è ancora più necessario se consideriamo che all’inadeguatezza dell’attuale linea sindacale fa riscontro la persistenza di un attacco, tuttora all’ordine del giorno, al nostro salario previdenziale e sociale che non è stato per nulla risolto dall’ultimo accordo.
Una linea sindacale, subordinata alle coerenze col PIL, alle compatibilità del bilancio statale ed alle logiche del mercato, è una linea che contiene già ora in sé tutte le premesse per ulteriori arretramenti.
Non è credibile dichiarare che l’accordo appena firmato è l’ultimo intervento di riduzione e peggioramento del sistema previdenziale pubblico e dei diritti.
L’attacco alle pensioni di anzianità ed allo stato sociale saranno ancora all’ordine del giorno del Governo, del FMI, della Confindustria finché non riusciremo a mettere in discussione la "clausola di garanzia" che subordina il diritto alla pensione (che è salario da noi anticipato) agli obiettivi di bilancio.
Per questo la nostra iniziativa deve continuare, sul terreno della lotta all’elusione ed all’evasione fiscale e previdenziale, contro l’allargamento del lavoro precario e flessibile, per l’occupazione.
Elementi questi che sono alla base di una vera linea di difesa dello stato sociale e delle pensioni e che vanno rilanciati con una decisa azione vertenziale.
Rimane quindi la necessità di un ampio movimento di massa, dentro e fuori i luoghi di lavoro, con i lavoratori dipendenti, i precari, i pensionati, i disoccupati, attorno ad un progetto capace di unificare i temi del salario complessivo, dell'occupazione, della sicurezza nei luoghi di lavoro e dei diritti.
Oltre al salario previdenziale e sociale, la nostra preoccupazione si rivolge ora anche agli aspetti della retribuzione e dell’occupazione in vista della prossima verifica dell’accordo del 23 luglio (politica dei redditi), delle prossime scadenze contrattuali e della discussione sulla riduzione d’orario a 35 ore settimanali entro il 2001.
E’ bene affermare sin d’ora che siamo contrari all’apertura di tavoli concertativi tra sindacati-governo e Confindustria senza aver prima definito una linea vertenziale generale, adeguata ed efficace in un percorso democratico di costruzione degli obiettivi e delle linee rivendicative sindacali da adottare, ed a fronte di un preciso mandato a trattare da parte dei lavoratori.
Il confronto che si preannuncia sulle politiche contrattuali e sull’orario di lavoro già dai primi mesi del 1998 sottintende in realtà l’intenzione di Confindustria di subordinare ancora di più la retribuzione alla flessibilità della prestazione e di subordinare ogni riduzione d’orario alla deregolamentazione delle regole contrattuali in modo da rendere esigibili da parte delle aziende maggiori possibilità di aumento dell’intensità di lavoro e dello sfruttamento e maggiori libertà nel ricorso a prestazioni a carattere precario.
Quello che si cercherà di fare sarà l’abolizione o il depotenziamento del Contratto Nazionale di Lavoro soprattutto in materia di salario, di controllo della prestazione e sui diritti.
Quello che si cercherà di fare è depotenziare la portata dell’impegno assunto in sede di maggioranza di Governo in materia di riduzione d’orario e di occupazione.
Ci preoccupano le disponibilità sindacali in materia di flessibilità salariale e della prestazione, così come ci preoccupa la pericolosa insofferenza da parte sindacale nei confronti delle opportunità determinate dall’impegno in sede di Governo a legiferare in materia di riduzione di orario.
La riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, a parità di salario e di condizioni di lavoro, rappresenta oggi la principale risposta ai problemi dell'occupazione.
Essa permette di ridistribuire il lavoro e di aumentare e consolidare le entrate contributive e fiscali, rendendo così disponibili risorse per mantenere alto e qualificato il livello di protezione sociale e della previdenza pubblica.
Sulla base delle scelte che abbiamo effettuato con l'elaborazione della piattaforma approvata nell'assemblea nazionale svoltasi a Milano il 18 aprile 1997, indetta dal Coordinamento nazionale delle delegate e delegati RSU, proponiamo quindi di aprire da subito un confronto tra i lavoratori per riaffermare e discutere l’iniziativa sindacale attorno agli obiettivi di difesa del salario (quindi anche della previdenza) e dell’occupazione, per il controllo e la riduzione dell'orario di lavoro, contro l’aumento della flessibilità e della precarizzazione.
Questi obiettivi, in un progetto di riunificazione del mondo del lavoro, devono essere al centro dei prossimi rinnovi dei Contratti Nazionali di Lavoro, che quindi devono proporsi il superamento dei limiti e dei vincoli dell'accordo del 23 luglio (difendendo i due livelli contrattuali dall'attacco padronale che vuole eliminare il CCNL) e realizzare il ruolo contrattuale delle RSU.
Per questo, come coordinamento nazionale delle RSU, abbiamo deciso di organizzare già dal prossimo mese di Gennaio ‘98 una serie di iniziative regionali e di incontri con i delegati eletti nelle RSU per arrivare alla definizione di una proposta vertenziale generale e condivisa in materia di salario e di orario.
Bologna 6 Dicembre 1997