ACCORDO PENSIONI E STATO SOCIALE

Facciamo chiarezza

L’accordo Sindacato-Governo sulla previdenza e sullo stato sociale richiede una attenta ed articolata valutazione.
Una valutazione necessaria che va al di la dei risultati di un referendum che comunque non prevede alcuna possibilità di modifica anche parziale dell’accordo raggiunto.
In questa occasione il voto tramite referendum non è partecipazione consapevole e solidale dei lavoratori alla soluzione dei loro problemi.
La vera consultazione doveva essere fatta prima, sugli obiettivi e sul mandato a trattare.
Le Organizzazioni Sindacali hanno invece scelto prima la subordinazione al quadro politico e poi la conferma di una pratica concertativa centralizzata escludendo la costruzione di una piattaforma che avrebbe imposto al confronto una logica vertenziale costruita con il diretto supporto dei lavoratori.
Questo referendum non deve essere usato per celebrare l’accordo raggiunto; la consultazione deve essere utilizzata per discutere la strategia e l'autonomia del sindacato confederale.

Il contenuto dell’accordo ridimensiona certamente l’attacco che era stato sferrato contro le pensioni di anzianità da parte del Governo e di Confindustria ed accelera un processo positivo di equità e parità di trattamenti tra lavoratori pubblici e privati (anche se vengono lasciate fuori categorie e privilegi). Questi contenuti sono anche il risultato del precedente accordo tra la maggioranza di Governo che ha fornito al sindacato una positiva base di partenza per tentare di allargare le tutele e le garanzie già previste.

I lavoratori non possono però accontentarsi del meno peggio. Deve essere chiaro che con que-sto accordo non si allargano le tutele ed i diritti di chi lavora, sia nel privato che nel pubblico im-piego.

· Si lasciano semplicemente fuori da ulteriori peggioramenti gli operai, i lavoratori precoci e gli equivalenti (tutti da definire nel 1998 e nei limiti di bilancio, e quindi a rischio di perdere le prossime finestre) mentre la definizione dei lavori usuranti si trascina dal 1995.
· Dal 3 novembre 1997 tutti i lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione di anzianità potranno andare in pensione solo dal 1° aprile 1998.
· Non ci sono le coperture finanziarie per il passaggio al TFR e per l’avvio dei fondi di previdenza complementare per i lavoratori del pubblico impiego. Inoltre lo stanziamento per il CCNL è inferiore alla stessa copertura dell'inflazione programmata.
· Non si indicano gli interventi su come risanare il deficit strutturale dei fondi speciali e su come affrontare l’elusione e l’evasione fiscale.
· La stessa positiva separazione tra assistenza e previdenza deve essere ancora concretamente definita e non solo sul piano contabile ma anche strutturale.
· Rimane aperta la questione relativa al rapporto coi lavoratori cosiddetti parasubordinati o atipici, nonché l’aumento dei contributi dei lavoratori autonomi.

In una logica di contenimento della spesa per 4100 miliardi l'accordo contiene anche un nuovo intervento sulla previdenza che frantuma e divide ulteriormente il mondo del lavoro sia privato che pubblico e peggiora la precedente legge 335 varata dal Governo Dini e contrastata da milioni di lavoratori. Una legge, quest’ultima che non doveva essere peggiorata come dichiarato dalle stes-se organizzazioni sindacali.
Quest’accordo si realizza dopo che il sindacato, senza il mandato dei lavoratori, aveva dato la sua disponibilità a ritoccare ancora le pensioni di anzianità, facendosi carico di un discostamento dei conti INPS imputabili al rallentamento della crescita del PIL, alla riduzione delle entrate contributive, allo sviluppo di nuove forme di rapporti di lavoro non stabile e precario, all’aumento degli esodi.
Elementi questi che non sono certo imputabili ai lavoratori (che con la riforma Dini hanno già pa-gato prezzi altissimi sul loro salario previdenziale) ma dovuti alle politiche economiche e sociali del Governo, al mancato sviluppo occupazionale, ed alla deregolamentazione e precarizzazione del mercato del lavoro voluta da Confindustria.
Elementi che non sono neppure stati affrontati nel confronto Governo-Sindacati, mentre la questione della difesa della previdenza pubblica è stata affrontata dal punto di vista dei tagli e del blocco delle finestre e non delle entrate.

Questo accordo, si realizza anche nei limiti di una linea sindacale che non affronta con determinazione i processi in atto e che accettando la subordinazione della spesa previdenziale e sociale al PIL ed alle logiche del mercato, costringe i sindacati stessi a contrattare da una posizione di-fensiva continui peggioramenti delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori.
Non è più sufficiente, né credibile dichiarare che questo accordo è l’ultimo intervento di riduzione e peggioramento del sistema previdenziale pubblico e dei diritti. L’attacco alle pensioni di anzianità ed allo stato sociale saranno ancora all’ordine del giorno del Governo, del FMI, della Confindustria finché non riusciremo a mettere in discussione la "clausola di garanzia" che subordina il diritto alla pensione (che è salario da noi anticipato) agli obiettivi di bilancio.

Sulla riforma e rimodulazione dello Stato sociale ci troviamo di fronte ad un accordo che contiene elementi di discontinuità con il passato, alcuni immediatamente operativi (finanziamenti a scuola e formazione, casa, politiche sociali, ecc.), altri che sono solo affermazioni di principio che do-vranno essere concretizzati in un futuro non definito.
Restano inadeguati gli interventi per lo sviluppo e l'occupazione (privatizzazioni, politiche di setto-re, ecc.) e per le entrate (recupero dell'evasione ed elusione fiscale e contributiva).
Questo accordo (coerentemente con una Legge Finanziaria che giudichiamo complessivamente negativa) conferma un quadro di contenimento della spesa sociale, per i servizi e per l'occupa-zione (che resta tra le più basse d'Europa).

Sulla base delle scelte che abbiamo effettuato con l'elaborazione della piattaforma approvata nell'assemblea nazionale svoltasi a Milano il 18 aprile 1997, indetta dal Coordinamento nazionale delle delegate e delegati RSU, dobbiamo aprire un confronto tra i lavoratori per riaffermare e di-scutere l’iniziativa sindacale attorno agli obiettivi di difesa del salario (quindi anche della previdenza) e dell’occupazione, per il controllo e la riduzione dell'orario di lavoro, contro l’aumento della flessibilità e della precarizzazione.
Questi obiettivi, in un progetto di riunificazione del mondo del lavoro, devono essere al centro dei prossimi rinnovi dei Contratti Nazionali di Lavoro, che quindi devono proporsi il superamento dei limiti e dei vincoli dell'accordo del 23 luglio (difendendo i due livelli contrattuali dall'attacco padro-nale che vuole eliminare il CCNL) e realizzare il ruolo contrattuale delle RSU.

Bologna 15 Novembre 1997

Il Coordinamento Nazionale
delle delegate e dei delegati eletti nelle RSU