ANALISI CRITICA DELL’INTESA FRA GOVERNO E CGIL-CISL-UIL
SULLA RIFORMA DELLO STATO SOCIALE
a cura del Coordinamento delle delegate e dei delegati RSU del Lazio
Roma 13 Novembre 1997
Premessa
La prima osservazione critica, riguardo alla gestione della trattativa sullo “Stato sociale” fra governo e sindacati confederali, è sul metodo della sua conduzione.
Ribadiamo che è mancato nella maniera più completa un percorso democratico che coinvolgesse i lavoratori nella costruzione di una piattaforma rivendicativa, avente come obiettivo la difesa e il rilancio di quella parte del loro salario che viene erogata in forma differita (previdenza) e indiretta (servizi collettivi).
La consultazione che ora viene svolta ha il significato di una mera ratifica a posteriori delle scelte operate dal gruppo dirigente sindacale, ma non ha alcuna possibilità di proporre e decidere sul merito delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori stessi: infatti la tipologia e il peso economico dei provvedimenti sono già stati inseriti nella legge finanziaria per il ’98 e nel disegno di legge ad essa collegato.
Continua l'attacco al salario sociale e globale
Appare evidente che un tale metodo di gestione non può essere scisso dal merito dei provvedimenti concordati.
Infatti il senso generale dei provvedimenti inseriti nella legge finanziaria è quello della continuazione dell’offensiva contro il salario sociale globale della classe lavoratrice (descritta nelle sue ragioni e nella sua dinamica nel nostro precedente documento del 5 luglio 1997), che i precedenti governi Amato, Ciampi, Berlusconi e Dini avevano condotto con diversa intensità e abilità: in dieci anni le leggi finanziarie hanno rastrellato ben 468.400 miliardi, che per la maggior parte sono stati tolti alla classe lavoratrice e ai pensionati per finanziare direttamente (con sgravi fiscali, incentivi, finanziamenti) e indirettamente (interessi sui titoli del debito pubblico) le esigenze di profitto delle imprese e la rendita finanziaria.
Se così non fosse non si capisce perché la quota dei redditi da lavoro dipendente sul Pil (cioè la quota appropriata dai lavoratori della nuova ricchezza prodotta) sia continuamente calante dal valore massimo del 51,1%, nel ‘75, al 41,01% nel ‘96.
Anche il prossimo anno sono previsti tagli per un totale di 25.000 miliardi, una cifra pari all’1,2% del Pil (dopo i 62.500 della legge finanziaria per il ’97, a cui vanno sommati gli ulteriori tagli di 16.000 miliardi della primavera di quest’anno).
Questi provvedimenti serviranno ad ottenere un indebitamento netto della Pubblica Amministrazione, nel ’98, di 56.890 miliardi (pari al 2,8% del Pil, e perciò in regola con le regole del trattato di Maastricht e del “patto di stabilità” ad esso conseguente).
Tale indebitamento è dovuto non all’alto livello della spesa pubblica - poiché la differenza fra entrate ed uscite correnti (avanzo primario) è positiva da diversi anni; per l’anno in corso è previsto un attivo di 130.877 miliardi (6,69% del Pil) e per il prossimo di 117.129 (5,76%) - ma serve per pagare gli interessi sui titoli pubblici per un ammontare previsto di 174.019 nel ’98.
Il giudizio positivo delle confederazioni sindacali su tale manovra finanziaria viene giustificato con l’ottenimento di presunti risultati a favore dei lavoratori:
“L’obiettivo è quello di una ripresa produttiva all’insegna di nuovi investimenti, di un miglioramento della qualità della formazione e della ricerca, di un superamento degli squilibri economici e sociali presenti nelle diverse aree del paese così da favorire l’occupazione.
Sulla base di questi presupposti si muoverà l’ipotesi d’accordo per il rilancio dello stato sociale siglata tra governo e parti sociali.
Cgil Cisl Uil, partendo da questa premessa, invitano i lavoratori e i pensionati ad approvare nell’insieme tutti i punti dell’accordo sulla riforma del welfare.
Per i sindacati il documento prevede soluzioni e strumenti che completano ed integrano il Patto per il lavoro firmato nel settembre ’96, qualifica il futuro dello stato sociale nel rapporto con le politiche attive del lavoro, il sostegno alle famiglie, la tutela e la promozione delle aree sociali più esposte alla disoccupazione e alla povertà ed infine stabilisce criteri più equi per l’utilizzo dei servizi e delle prestazioni sociali.
Secondo Cgil Cisl Uil, inoltre, l’intesa completa e consolida la riforma pensionistica del 1995, vengono unificate, per la prima volta in una dimensione di vasta portata, le regole tra i vari sistemi esistenti, cancellando storiche condizioni di privilegio e di differenze non più sostenibili e accettabili”.
Analizziamo allora, in sintesi, tali provvedimenti per verificare la sussistenza di tali benefici.
Le entrate
Su circa 10.000 miliardi di maggiori entrate previste per il ’98, circa 5.725 derivano dalla modifica delle aliquote delle imposte indirette su diversi prodotti (a cui vanno aggiunti altri 1.000 miliardi che entreranno nelle casse dell’erario prima della fine di quest’anno).
Si aumenta tale forma di imposizione che è regressiva, ovvero colpisce relativamente di più i redditi inferiori, che sono quelli dei lavoratori ed è meno direttamente percepibile da essi, perché incorporata nei prezzi dei prodotti acquistati.
Quindi si prosegue la tendenza all’incremento di tale forma di imposte (dal 9,56% del Pil nel ’92 al 10,53% nel ’96) pur in presenza di una enorme evasione ed elusione fiscale, dalla quale si prevede di ottenere solo 3.174 miliardi (aumentati di altri 500 dopo la soluzione della crisi di governo). Inoltre parte dei processi di riordino fiscale, che si prevede aumentino le entrate per 1.717 miliardi, sono delle ulteriori forme di incremento della tassazione a carico della classe lavoratrice (ad esempio sulle tasse automobilistiche, oppure sulla revisione delle aliquote Irpef, che diminuiscono le aliquote sui redditi più alti ed aumentano su quelli bassi).
Anche la prevista compensazione, degli effetti della revisione delle aliquote Irpef, tramite l’incremento delle detrazioni per i carichi familiari realizza una redistribuzione all’interno della classe lavoratrice attiva e dei pensionati, ma non tocca i rapporti fra i redditi da lavoro e quelli da capitale.
Inoltre essa appare funzionale alla diminuzione di copertura e di efficacia dei servizi pubblici che dovrebbe essere rimpiazzata dalle cure familiari e parentali.
Quest’ultime vengono incentivate fiscalmente, ridando centralità al ruolo di “servizio” della famiglia, con sicuri effetti negativi per il ruolo sociale delle donne e sulla loro condizione in rapporto al mercato del lavoro.
Sembra evidente che il governo Prodi, senza discontinuità da quelli precedenti, non abbia intenzione di intensificare decisamente la lotta all’evasione ed elusione fiscale, poiché ciò implicherebbe una lotta contro parte del blocco politico e sociale che lo sostiene.
Prosegue invece, grazie anche all’accondiscendenza sindacale, il più facile tentativo di inasprire il peso fiscale sui lavoratori e parte dei ceti medi.
I tagli alle spese
Dei circa 15.000 miliardi di minori spese: 1.100 riguardano la sanità; 924 la spesa per il personale pubblico, 2.500 gli enti locali, di ricerca e l’università; 200 i controlli sull’invalidità civile; 1000 la riduzione di stanziamento per l’Ente poste; 1000 l’apporto al capitale delle Fs; 350 altre economie di spesa negli acquisti pubblici; 1000 le dotazioni di cassa della Difesa; 1.926 il recupero delle somme non spese per gli investimenti pluriennali; ed infine i tagli di 4.194 miliardi nel settore della spesa sociale.
Anche solo ad un esame superficiale appare chiaro che molta parte di tali tagli di spesa riguardano la quota diretta, indiretta e differita del salario globale della classe lavoratrice.
1) Sanità
Nella sanità 250 miliardi deriveranno dalla limitazione delle prescrizioni di fisioterapia e riabilitazione per ogni ricetta, ed altri 450 dal contributo delle assicurazioni per la cura degli infortunati negli incidenti automobilistici e sul lavoro, con il prevedibile incremento delle tariffe liberalizzate, da parte delle compagnie di assicurazione, e delle spese da parte dell’Inail, che è finanziato sempre dai prelievi sui salari.
La funzionalità del servizio sanitario pubblico rischia di peggiorare anche per la penalizzazione delle condizioni di lavoro e di salario dei lavoratori che operano in esso.
Infatti prosegue il blocco del ricambio del personale, mentre aumenta il ricorso al lavoro precario e agli appalti esterni, con la conseguente intensificazione dell’attività lavorativa ed il suo peggioramento qualitativo.
L’impegno del governo a sanare il precariato nel settore, sotto la spinta dei sindacati di categoria, sembra riguardare solo il personale medico, ma non fa cenno degli altri operatori. Sul versante del salario diretto, gli stanziamenti contrattuali per il prossimo anno, come per tutto il pubblico impiego, coprono solo lo 0,4% dell’inflazione programmata e quindi comportano un taglio dei livelli salariali reali.
Nello stesso tempo si incrementa il tempo di lavoro erogato nella vita lavorativa, in conseguenza dell’unificazione del regime previdenziale con quello privato, senza tenere in alcun conto la specifica situazione di usura lavorativa che buona parte dei lavoratori del settore subiscono.
Nella legge finanziaria viene concessa una delega al governo per intervenire nel ’98 sul riordino del Ssn, ma, a dispetto della propagandata rivalutazione del fondo sanitario nazionale (8.000 miliardi), del ripiano dei debiti pregressi (3.000 miliardi) e del nuovo stanziamento per l’edilizia sanitaria (2.500 miliardi), la riaffermata impostazione aziendalistica del sistema sanitario nazionale comporterà un aumento della quota di risorse pubbliche che affluirà agli operatori privati del settore, a discapito del servizio pubblico e della lotta per la prevenzione delle malattie e della sicurezza sul lavoro.
La revisione dei criteri di imposizione dei ticket prevede la costanza del suo livello (4.100 miliardi nel ’96), che rappresenta una forma di tassazione impropria.
Tali provvedimenti comportano perciò un taglio netto del salario sociale erogato in forma di servizi sanitari per tutti i lavoratori e le loro famiglie, sia in termini quantitativi che qualitativi: le recenti prove di “efficienza criminale” degli imprenditori sanitari privati in Lombardia e altrove ne sono una drammatica testimonianza.
2) Assistenza
Si prevede la sperimentazione di un Fondo per le politiche sociali con l’introduzione di un “reddito minimo di inserimento”, da utilizzare soprattutto nelle aree ad alta disoccupazione e per famiglie con figli minori e redditi inferiori alla soglia di povertà.
In tale ambito è prevista la promozione del ricorso agli operatori del settore no profit, ammettendo implicitamente che la lotta alla nuova crescente povertà e al disagio sociale non sono ritenuti compiti pubblici prioritari.
In questo campo il ricorso alla politica di sostegno fiscale alle famiglie per anziani non autosufficienti e figli minori prefigura la “privatizzazione” di tali bisogni sociali e la rinuncia dei servizi pubblici (sanitari ed assistenziali) ad intervenire efficacemente, con in più la beffa che le risorse destinate a tale fine provengono sempre dal salario globale: si tratta dei fondi per la restituzione del fiscal drag nel ’98.
3) Previdenza
L’accordo raggiunto fra governo e sindacati confederali, seppure migliorativo rispetto alle intenzioni iniziali di estensione del calcolo contributivo e abolizione delle pensioni di anzianità, non inverte la strategia di attacco costante e progressivo al salario previdenziale della classe lavoratrice.
Vi sono presenti in esso degli elementi positivi: l’aumento della contribuzione per i lavoratori autonomi e parasubordinati (seppure realizzati con incredibile lentezza) per riequilibrare il vantaggio delle prestazioni rispetto ai lavoratori dipendenti; l’armonizzazione dei coefficienti di rendimento e delle aliquote contributive a quelli dei lavoratori dipendenti per tutti i fondi; la parziale separazione fra previdenza e assistenza.
Tuttavia tali elementi sono sovrastati da quelli negativi per i lavoratori:
- il recupero dell’evasione ed elusione contributiva rimane una petizione di principio, senza che siano stabiliti i mezzi per raggiungerlo
- la separazione fra previdenza e assistenza, pur migliorando il deficit dell’Inps per il ’98, non è un provvedimento strutturale.
Secondo una recente analisi dell'Inps, le spese assistenziali non coperte dai trasferimenti statali sono ammontate, fra l'89 ed il '96, a ben 205.582 miliardi.
Ciò ha comportato che i disavanzi dell'Inps si sono accumulati negli anni, fino ad un passivo patrimoniale di 79.029 miliardi nel '96, mentre - se fossero stati versati i fondi dovuti - il bilancio avrebbe un attivo patrimoniale di 145.602 miliardi, ed un avanzo nel '96 di 22.322 miliardi invece che un disavanzo di 16.203.
La decisione del governo di pagare 13.500 miliardi di spese assistenziali per quest’anno e quello in discussione in parlamento per le spese precedenti non risolvono il problema per il futuro, riproponendo la possibilità di deficit dell’Inps crescenti
- quest’ultima possibilità è aumentata dal fatto che sono stati fatti passare come interventi a sostengo dell’occupazione numerosi sgravi contributivi per le imprese
- l’individuazione delle categorie “usuranti” a due anni dalla previsione della legge 335/95 non sono state individuate e la loro definizione nel primo semestre ‘98 richiede una battaglia tutta da condurre, non affidandosi solo a “commissioni tecnico-scientifiche”
- l’accelerazione dell’andata a regime della controriforma Dini per i lavoratori privati, peggiora ulteriormente le condizioni precedenti, anche se i lavoratori precoci e quelli operai ed “equivalenti” sono stati salvaguardati
- per i lavoratori pubblici con anzianità contributiva superiore ai 19 anni ne 1995 si realizza un allungamento della vita lavorativa, una sorta di “egualitarismo al ribasso” che non ci pare essere un presupposto positivo per una battaglia di riconquista della riduzione generalizzata della vita lavorativa. Nel settore della scuola tale elemento è ulteriormente peggiorato rispetto alle recenti decisioni governative
- tutte questi provvedimenti vanno nel senso di incentivare ulteriormente l’adesione ai fondi pensione complementari, richiesti soprattutto dal mondo finanziario per le loro esigenze di investimento.
In conclusione ci sembra che avanzi ancora una modalità di gestione dei rapporti fra lavoratori e sindacati confederali profondamente antidemocratica: avanza cioè quella gestione neocorporativa dei rapporti sociali che - in cambio del riconoscimento del ruolo istituzionale di Cgil, Cisl e Uil - subordina gli interessi dei lavoratori alle esigenze finanziarie dei vari governi in carica e, più in generale, all’attacco alle condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice, per sostenere la profittabilità e competitività delle imprese e trarre dai salariati le risorse per migliorare i conti del bilancio pubblico.
Per tali motivi riteniamo di dover dare una indicazione di critica negativa alla recente intesa fra governo e sindacati confederali.