Ordine del giorno finale del Coordinamento nazionale RSU tenutosi a Bologna il 17 gennaio 1998
Per una linea generale sull’occupazione e sul salario

Conclusa la vertenza sulla Legge Finanziaria, lo Stato sociale e la previdenza, si va ora al rinnovo di importanti contratti nazionali di categoria, con grandi questioni aperte quali la verifica dell’accordo confederale del 23 luglio ‘93 (politica dei redditi) e la legge per la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore.

La piattaforma dei padroni
Il cambiamento del contesto economico ("globalizzazione", competitività globale, riduzione dell’inflazione, ecc.) ha favorito la conquista dell’egemonia nel padronato da parte di quei settori che ricercano la loro competitività principalmente nei vantaggi di cambio e nella riduzione del costo del lavoro e che, non potendo più fare affidamento sul primo aspetto, pretendono con ancor più determinazione il secondo.
Perseguono cioè una ulteriore flessibilizzazione e precarizzazione dell'occupazione, del salario, delle condizioni di lavoro.
La Confindustria, con la sostanziale disdetta dell’accordo del 23.7.93 attuata nella vicenda del rinnovo del 2° biennio del CCNL metalmeccanici, segna un cambiamento di fase: ormai si propone l’eliminazione dei due livelli di contrattazione passando per lo svuotamento del CCNL, cioè si propone l’aziendalizzazione della contrattazione e quindi anche l’eliminazione del carattere confederale e generale del sindacato.
Contemporaneamente preme affinché le leggi di tutela dei lavoratori (come lo Statuto dei diritti dei lavoratori) ed i concetti e valori di democrazia sociale presenti nella prima parte della Costituzione perdano efficacia e peso, proponendo la sua concezione di società e di sviluppo.

L'inadeguata piattaforma dei sindacati
Le organizzazioni sindacali, pur con le loro differenze, risultano complessivamente incapaci di produrre cultura, progetto sociale, strategia vertenziale che sappiano contrastare i processi in corso.
La centralizzazione degli accordi e l'istituzionalizzazione del sindacato, la linea della concertazione e delle compatibilità si sono rivelate insufficienti ed inadeguate a difendere gli interessi complessivi della classe lavoratrice, come dimostrano anche i dati negativi sull'andamento dei salari e dell'occupazione.
Le reazioni alla prospettata legge sulle 35 ore e l'arroccamento a difesa dell'accordo del 23 luglio ne sono solo la manifestazione più recente.

I lavoratori rischiano di essere sempre più soli
Le avvenute trasformazioni economiche e sociali, le riorganizzazioni e ristrutturazioni delle imprese, i processi di esternalizzazione, ecc. ma anche l'assenza di una adeguata direzione da parte del sindacato, hanno frammentato la classe lavoratrice, anche nella sua coscienza e capacità di lotta.

Per una linea vertenziale generale
Dobbiamo rafforzare il nostro impegno per ricostruire una concezione della società e dello sviluppo da contrapporre a quella dei padroni, che sappia riunificare ciò che la crisi ed il padronato hanno diviso.
Ciò può avvenire solo nella pratica vertenziale quotidiana nei luoghi di lavoro, attraverso il protagonismo dei lavoratori e delle RSU, ricostruendo pazientemente una conoscenza e controllo del ciclo produttivo e dell’organizzazione del lavoro, una linea rivendicativa generale per incidere sulle condizioni di lavoro, sugli orari di fatto, ecc., per affermare nuovi vincoli, rigidità, condizioni a partire dalla riscoperta dei bisogni dei lavoratori.
Il rinnovo dei contratti nazionali di lavoro, la revisione del 23 luglio e le 35 ore sono le prossime concrete occasioni per muoverci in questa direzione.
I sostenitori del 23 luglio di fronte all’incalzare della Confindustria, sono disponibili a sospendere i rinnovi contrattuali per riproporre un tavolo negoziale che inevitabilmente assumerebbe il carattere della concertazione, probabilmente peggiorando lo stesso accordo del 23 luglio.
Noi, invece, riteniamo che si debba procedere con i rinnovi dei CCNL, ma è necessario affrontare queste scadenze con una linea generale.
Separare, o peggio contrapporre, le rivendicazioni su riduzione d’orario, occupazione, aumenti salariali, condizioni di lavoro, ecc. è sbagliato e perdente.

Per la difesa dell’occupazione
La difesa dell’occupazione richiede innanzi tutto politiche di settore che favoriscano lo sviluppo.
Sia quantitativamente che, soprattutto, qualitativamente (tenendo conto che i processi di unificazione europea rendono ormai insostenibile la tradizionale specializzazione italiana nelle produzioni a basso valore aggiunto).
Infatti siamo ancora il paese col minore tasso di industrializzazione, il più basso indice di produzione tecnologicamente qualificata, con una pochezza vergognosa di ricerca, con un basso livello di istruzione, ecc.
Le privatizzazioni realizzate o prospettate di importanti settori strategici industriali e dei servizi (telecomunicazioni, energia, ecc.) indeboliscono la struttura produttiva italiana, anche nell’ottica della competizione territoriale nella futura Europa unificata, e prefigurano nuovi cali occupazionali.
Inoltre, l’Italia è uno dei pochi paesi in cui le multinazionali possono tranquillamente acquisire aziende, marchi, mercati e poi licenziare i lavoratori. Serve in generale una politica industriale ed in particolare una legge che vincoli le multinazionali a mantenere e sviluppare la ricerca e l’occupazione nel nostro paese.
E’ indispensabile cercare di invertire la tendenza all’aumento della flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro (Pacchetto Treu, ecc.) con norme e strumenti di controllo che favoriscano la riunificazione del mondo del lavoro.

Per la riduzione dell’orario di lavoro
Per difendere l’occupazione non possiamo semplicemente affidarci ad uno sviluppo che, per altro, si prospetta incerto e limitato (contenimento della domanda, ecc.).
Non funziona più la formula più profitti, più investimenti, più occupazione. A fronte della massiccia introduzione di tecnologie che “risparmiano” lavoro è indispensabile ridurre l’orario per ridistribuire il lavoro.
La riduzione e la modificazione degli orari di lavoro richiede l’elaborazione di una visione più complessiva del tempo, che tenga conto delle modifiche avvenute nell’organizzazione del lavoro, nel territorio, nei comportamenti sociali, utilizzando sia gli strumenti di legge che contrattuali.

Per una legge sulla riduzione dell’orario di lavoro
Abbiamo bisogno di un insieme di norme che favoriscano un allargamento dell’occupazione e delle tutele che consenta non solo di ridurre l’orario di legge ma anche quello contrattuale e soprattutto quello effettivo.
Più in particolare la legge dovrebbe prevedere:

Per la contrattazione della riduzione dell’orario
I contratti ai vari livelli e soprattutto quelli nazionali sono gli strumenti insostituibili per poter concretizzare la riduzione, la gestione ed il controllo degli orari, gli effetti positivi sull’occupazione, senza peggiorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici.
Più in dettaglio, la funzione prevalente del CCNL è quella di stabilire la quantità della riduzione (con l’utilizzo e la non monetizzazione delle riduzioni già ottenute) e la funzione del secondo livello è quella di stabilirne l’articolazione.
Anche se ci fosse una buona legge, senza contrattazione resterebbe inapplicata o verrebbe applicata in modo distorto.
Solo la pratica rivendicativa può da un lato respingere l’opposizione del padronato e dall’altro costruire l’indispensabile consenso dei lavoratori stessi sull’obiettivo della riduzione dell’orario e per una linea solidaristica in difesa dell’occupazione.
Consenso realizzabile se si sconfigge la contrapposizione tra salario ed orario.

Per la contrattazione del salario
I prossimi rinnovi contrattuali devono prevedere anche adeguate richieste di aumenti salariali.
In una fase di bassa inflazione, se si vuole evitare lo svuotamento del CCNL, non bisogna proporsi solo la tutela del potere d’acquisto dei salari (per altro eroso in questi ultimi anni perché riferito all’inflazione programmata e non al reale aumento del costo della vita) ma bisogna proporsi anche la ripartizione della nuova ricchezza prodotta.
L’accordo del 23 luglio, quindi, deve essere modificato nella finalità, e deve essere modificato anche nella forma, eliminando i due bienni ed adottando un meccanismo automatico di rivalutazione dei salari (ad esempio legandoli all’andamento del PIL).

Per la democrazia e l’unità sindacale
I lavoratori e le lavoratrici - come è avvenuto nella consultazione sull’accordo sullo Stato sociale e nella preparazione e conclusione di importanti vertenze – non hanno ancora il diritto di contare e decidere.
Non è accettabile e non è irrilevante che, mentre si discute delle regole e dei principi per avviare l’unità sindacale, la democrazia – quella che coinvolge e fa contare i lavoratori – si fermi fuori dai luoghi di lavoro.
Il ripristino delle regole democratiche, garantito da una legge che dobbiamo realizzare, insieme alla struttura elettiva in tutti i luoghi di lavoro, sono gli elementi fondativi per qualsiasi sindacato unitario e di massa.
Bisogna ripartire dai luoghi di lavoro, sviluppare l’insediamento sociale del sindacato, per avviare un reale processo unitario.
Così non verrebbe costruito dalle segreterie sindacali o di partito, ma dall’agire consapevole e quotidiano dei delegati, dei quadri sindacali, dei lavoratori e delle lavoratrici.

Il Coordinamento nazionale delle delegate e dei delegati eletti nelle RSU

Bologna, 17.1.98