Il testo ed i commenti al
disegno di legge sull’orario di lavoro
approvato dal Consiglio dei ministri del 24/3/98.
a cura del Coordinamento Nazionale
delle delegate e dei delegati eletti nelle RSU
ARTICOLO 1 - Orario di lavoro
A decorrere dal 1° gennaio 2001, per le imprese con più di 15 dipendenti l’orario normale di lavoro secondo le modalità di calcolo previsti dai contratti collettivi di lavoro, è fissato in 35 ore settimanali, ai fini delle disposizioni del presente Capo.
Il disegno di legge indica la riduzione a 35 ore nel 2001 solo per le aziende con più di 15 dipendenti.
Se consideriamo che la forza lavoro impiegata in aziende al di sopra dei 15 dipendenti non supera il 40% del totale della forza lavoro, viene compromessa la portata della riduzione di orario ed i suoi effetti occupazionali.Il DDL sancisce la separazione strutturale tra imprese sopra e sotto i 15 dipendenti.
Questo è un passo indietro notevole anche rispetto alla bozza Onofri e produce una pericolosa separazione normativa e contrattuale tra le diverse dimensioni si azienda.
L’introduzione di questa separazione normativa e di legge per dimensione aziendale (per quanto riguarda l’orario di lavoro) potrebbe inoltre favorire un’azione (indotta dall’interesse di impresa) a ridurre le dimensioni aziendali e gli assetti societari (decentramenti, scorpori, terziarizzazioni ecc..) in modo da sfuggire alle disposizioni della legge creando così ricadute negative sull’occupazione ed una ulteriore frammentazione del mondo del lavoro.
La riduzione dell’orario può avere effetti sull’occupazione solo se è una riduzione generalizzata. Per questo è necessario che la legge sia estesa anche alle aziende al di sotto dei 15 dipendenti.
La dicitura “orario normale” sembra ridurre il raggiungimento delle 35 ore a semplice “indicazione”. La dizione di “orario normale” è infatti orientata non già a definire un nuovo regime di orario legale ma un orario di riferimento valido ai soli fini delle successive disposizioni del DDL riguardo ai temi delle “maggiorazioni” e delle “incentivazioni”.
Per evitare confusioni e strumentali interpretazioni è necessario che la legge venga emendata eliminando il riferimento all’orario “normale” e sostituendolo con “legale”.
Sono confermate per le altre imprese le disposizioni di cui al comma 1, primo periodo, dell’articolo 13 della legge 24 giugno 1997, n. 196 ....
Per le aziende sotto i 15 dipendenti viene confermato l’orario a 40 ore settimanali come previsto dal comma 1, primo periodo, dell’art. 13 della legge 196/97.
Questa separazione non è temporanea (come invece previsto nel dispositivo francese) in quanto nulla è previsto in proposito nella verifica trattata dal successivo art. 4.
La precedente proposta di emendamento per l’estensione della riduzione alle aziende sotto i 15 dipendenti comporta la soppressione di questo capoverso dell’art.1 del DDL.
.... e in ogni caso quelle di cui al secondo periodo del medesimo comma 1.
In ogni caso (quindi per tutti) si mantengono le disposizioni previste dal secondo periodo del comma 1 dell’art. 13 della legge 196/97 che afferma (in attesa di una nuova normativa in materia) che rimane valido quanto previsto dal regio decreto 692/23 che considera ore straordinarie (e quindi soggette a denuncia all’ispettorato del lavoro) solo le ore oltre le 48.
Tutta questa parte dell’articolo 1 del DDL va eliminata
ARTICOLO 2 - Maggiorazioni
Per le ore di lavoro eccedenti l’orario di 35 ore di cui all’articolo 1, comma 1, oltre alle maggiorazioni retributive disposte dalla contrattazione collettiva, il decreto di cui all’articolo 13, comma 2, della legge 24 giugno 1997, n. 196, stabilisce altresì, anche a modifica di quanto previsto dai commi da 18 a 21 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, maggiorazioni contributive di diversa entità rispettivamente per le ore eccedenti l’orario normale di lavoro di cui all’articolo 1 e per le ore eccedenti l’orario contrattuale, ove superiore.
Per le aziende sopra i 15 dipendenti le ore eccedenti risultano quelle successive alla 35° ora. La maggiorazione salariale per le ore eccedenti dovrà essere stabilita contrattualmente.
Il DDL stabilisce che dal 2001 (anno di entrata in vigore effettiva della riduzione d’orario) già dalla 36° ora scattino delle penalizzazioni sotto forma di maggiorazioni contributive a carico dell’impresa.
Si fa qui riferimento alla legge 549/95 che prevede le seguenti maggiorazioni contributive per le prestazioni eccedenti le 40 ore:
+5% per le ore tra le 40 e le 44
+10% per le ore tra le 44 e le 48
+15% per le ore oltre le 48
Pertanto, se l’orario normale di lavoro sarà stabilito in 35 ore, la legge 549/95 dovrà essere modificata (solo per le aziende sopra o 15 dipendenti) prevedendo che le maggiorazioni contributive abbiano a scattare dalla 36° ora con diversa penalizzazione per le ore eccedenti l’orario contrattuale e per le ore eccedenti le 35 (da notare che il DDL considera la possibilità che i CCNL indichino orari di lavoro anche superiori a quello “normale” indicato dal DDL stesso).
Le penalizzazioni previste non agiranno comunque se non dal 2001 (anno di entrata in vigore delle 35 ore) e non potranno quindi avere alcuna influenza per sostenere possibili riduzioni prima di allora.
Per le aziende sotto i 16 dipendenti rimane in dubbio la reale entità delle maggiorazioni contributive per le prestazioni che superano le 40 ore. Per queste rimarrebbe valido quanto stabilito dalla legge 549/95 il che produrrebbe una minore penalizzazione, e questo è indubbiamente un’ulteriore incentivo alla riduzione delle dimensioni d’impresa.
Salvo quanto previsto dal presente articolo e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo di cui all’articolo 5, nonché dall’articolo 13, comma 1, primo periodo, della citata legge n. 196 del 1997, resta ferma la competenza esclusiva dei contratti collettivi in ordine alla regolazione del regime ordinario e di retribuzione dell’orario di lavoro.
Il DDL non stabilisce nulla sulla parità tra riduzione di orario e salario e rimanda la soluzione del problema alla contrattazione tra le parti sociali. La parità orario salario è quindi una cosa tutta da conquistare.
Non essendoci indicazioni riguardo alla parità salariale in caso di riduzione d’orario, si finisce con lo stabilire implicitamente che non vi è obbligo di legge al ricalcolo della paga oraria in quanto il citato art. 13 della legge 196/97 stabilendo l’orario “legale” in 40 ore settimanali lascerebbe (per legge) tutto invariato, salvo quanto diversamente contrattato tra le parti.
La stessa indeterminatezza è presente per quanto riguarda la distribuzione dell’ orario. E’ chiaro che la definizione di particolari regimi di orario è materia di contrattazione, ma ciò deve avvenire in presenza di una normativa di riferimento precisa che indichi chiaramente da cosa si sta derogando e che tuteli le condizioni della prestazione di fronte agli abusi ed alla assenza di contrattazione.
La legge deve indicare chiaramente che la riduzione d’orario è realizzata senza alcuna penalizzazione salariale per i lavoratori e deve, in coerenza con l’articolo 36 della Costituzione indicare chiaramente la durata massima della giornata e della settimana lavorativa.
ARTICOLO 3 - Modifiche all’articolo 13 della legge 24 giugno 1997, n. 196, "Incentivi alla riduzione e rimodulazione degli orari di lavoro, lavoro a tempo parziale"
All’articolo 13, comma 2, della legge 24 giugno 1997, n. 196, il secondo e terzo periodo sono sostituiti dai seguenti:Tali misure sono attuate secondo criteri e modalità stabiliti nel medesimo decreto con particolare riferimento alla rimodulazione delle aliquote contributive per fasce di orario. Dette aliquote si applicano quando l’orario medio settimanale sia compreso nelle fasce suddette, anche con riferimento ai casi di lavoro a tempo parziale verticale.
Si ribadisce quanto già previsto dal comma 2 dell’art 13 della legge 196/97 in merito agli incentivi alla riduzione di orario sotto forma di riduzione delle aliquote contributive.
La legge 196/97 prevede incentivi per orari settimanali al di sotto delle 40 ore e segnatamente per le seguenti fasce orarie: fino a 24 ore settimanali - fino alle 32 - fino alle 36 - fino alle 40.
Le agevolazioni contributive vengono concesse alle imprese anche in presenza di prestazioni a partime.
Ciò è estremamente grave poiché si vuole assimilare alla politica per la riduzione d’orario, l’estensione di rapporti di lavoro a tempo parziale utilizzando a questo fine le incentivazioni previste anche per sostenere la riduzione dell’orario.
Le incentivazioni vanno previste solo per casi di riduzione d’orario che abbiano come effetto il mantenimento e l’ampliamento di occupazione stabile.
Le misure sono prioritariamente finalizzate ad incentivare la tempestiva conclusione di accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale per la riduzione dell’orario di lavoro, a favorire l’efficacia di tali accordi sul piano della promozione di nuova occupazione...,
Si introduce l’utilizzo degli incentivi per sostenere la realizzazione di accordi di riduzione d’orario stipulati dalle “organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, suggerendo quindi che accordi che non vedano la firma di queste organizzazioni non potranno godere di alcuna incentivazione.
Ciò è grave perchè non si riconosce l’autonomia delle rappresentanze di base (RSU) a firmare accordi anche in presenza di dissenso con le organizzazioni nazionali.
L’incentivazione viene così utilizzata non solo per sostenere riduzioni d’orario ma anche per sostenere il ruolo delle organizzazioni indipendentemente dal consenso che queste possono avere sulla singola vertenza.
Nel DDL va ribadita la titolarità di contrattazione alle RSU e quindi la loro titolarità a siglare accordi su mandato dei lavoratori.
... in particolare nei casi in cui sia prevista l’assunzione a tempo indeterminato di personale ad incremento dell’organico, nonché nei casi di nuovi insediamenti produttivi o nei casi di trasformazione dei contratti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, anche nell’ambito di processi di gestione degli esuberi di personale".
Il decreto di cui all’articolo 13, comma 2, della medesima legge n. 196 del 1997, è emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
L’incentivazione è prevista non solo per riduzioni che realizzino incrementi di organico assunto a tempo indeterminato ma anche per:
- sostegno alle imprese per nuovi insediamenti produttivi
- sostenere accordi che trasformino forme di rapporto di lavoro a tempo indeterminato in rapporti di lavoro a tempo parziale
- e questi anche quando scaturiscono da accordi di gestione di ristrutturazioni e gestione degli esuberi
In questo modo le disponibilità finanziarie (peraltro neppure indicate nel DDL) non risultano univocamente indirizzate a sostegno della riduzione d’orario, ma anche a favore di interventi già oggi finanziati in varie formeVa notato inoltre che la legge 196/97 prevede che queste agevolazioni siano subito esigibili mentre lle 35 ore come ’orario “normale” lo saranno solo dal 2001.
Ciò aumenta il rischio che le risorse stanziate nei prossimi anni siano utilizzate solo per sostenere nuovi insediamenti e lo sviluppo dei rapporti di lavoro a tempo parziale.
Per evitare usi impropri delle risorse destinate a sostenere accordi di riduzione d’orario è necessario, come si diceva prima, che il DDL limiti il loro accesso solo a riduzioni di orario che abbiano come effetto il mantenimento e l’ampliamento dell’occupazione stabile.
ARTICOLO 4 - Verifica
Entro il 1° novembre 2000 il Governo verifica con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale gli effetti delle misure di incentivazione alla riduzione dell’orario di lavoro di cui al presente Capo e le conseguenze della fissazione della durata dell’orario normale di lavoro in 35 ore settimanali ai sensi dell’articolo 1, in relazione alla situazione economica e sociale nei diversi settori produttivi e aree territoriali.
L’art. 4 del DDL, più che come temporizzazione di una verifica si configura come una vera e propria clausola di dissolvenza tutta da giocare in sede di verifica nel 2000.Si dice che la verifica deve riguardare:
- Gli effetti delle misure di incentivazione, ma abbiamo visto quanto indeterminate siano già ora queste incentivazioni e come siano orientate su diversi interventi e non solo sulla riduzione dell’orario
- Le conseguenze della fissazione di un’orario “normale” a 35 ore (prevista nel 2001) in relazione alla situazione economica e sociale, per i singoli settori e territori.
Con queste affermazioni il DDL si fa promotore di una disponibilità a rivedere tempi e modi della riduzione che potrebbero slittare se la situazione economica lo richiederà, e di una disponibilità a disarticolare la realizzazione della riduzione a seconda delle situazioni settoriali e territoriali.
Tutto ciò è grave poichè già oggi si subordina l’obiettivo della riduzione ad una ricontrattazione del tutto in sede di verifica nel 2000.
La verifica, prevista dal DDL, deve invece riguardare una valutazione degli elementi (se ce ne saranno) che risulteranno avere ostacolato la realizzazione della riduzione per contrattazione e per rimuoverli con l’applicazione della legge nei tempi previsti già ora .. nel 2001.
ARTICOLO 5 - Delega
Il Governo è delegato ad emanare entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge disposizioni intese a dare attuazione alla direttiva n. 93/104/Ce concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell’orario di lavoro.
Il decreto legislativo, che terrà conto dell’avviso comune espresso dalle parti sociali, si conformerà ai seguenti principi e criteri direttivi, oltre a quelli desumibili dalla stessa direttiva:
- valorizzazione della contrattazione collettiva quale strumento per disciplinare la materia dell’orario di lavoro
- attuazione delle modifiche alla direttiva eventualmente intervenute fino all’esercizio della delega
- salva l’applicazione delle norme penali vigenti, previsione, ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni, di sanzioni amministrative per le infrazioni alle disposizioni medesime secondo i criteri previsti dall’articolo 3, comma 1,lettera c)della legge 6 febbraio 1996, n.52, e della legge 6 dicembre 1993, n.499, nonché del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n.758, relativamente alla disciplina sanzionatoria delle disposizioni in materia di orario di lavoro
- introduzione, alla fine di evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori di attività interessati dalla normativa da attuare, delle necessarie modifiche e integrazioni alle discipline stesse, ricorrendo anche alla predisposizione di un Testo unico in materia di orario di lavoro
Lo schema di decreto legislativo di cui al comma 1 è trasmesso alla camera dei deputati e al Senato della Repubblica ai fini dell’espressione, entro 30 giorni dalla data di trasmissione, del parere delle competenti Commissioni.
Qualora il termine previsto per il parere scada nei 30 giorni antecedenti allo spirare del termine di cui al comma 1, o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di 60 giorni.
Entro 2 anni dalla data di entrata in vigore della presente legge il governo può emanare disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al comma 1 con la procedura di cui al presente comma.
Con questo articolo il Governo chiede la delega a realizzare una serie di disposizioni attuative della direttiva europea 93/104.
Si tratta di tutto il capitolo sulle flessibilità dell’orario di lavoro e della prestazione che già è stato trattato nell’avviso comune realizzato tra Confindustria e CGIL-CISL-UIL e che il DDL richiama impegnandosi a recepirlo integralmente.
L’accordo, presentato come naturale conseguenza applicativa di norme comunitarie, rappresenta in realtà una pesante compromissione di tutta la strategia per la riduzione dell’orario di lavoro.
Infatti, nel definire il nuovo orario legale in 40 ore settimanali, l’accordo recepisce però tutta la filosofia confindustriale per una maggiore flessibilizzazione della prestazione.
- Sulla durata massima dell’orario giornaliero, l’accordo prevede che siano abrogate le disposizioni di legge che quantificano la durata massima normale della giornata di lavoro.
Ancora oggi, in base al Regio decreto 692 del 1923, la durata giornaliera è fissata in 8 ore, ed oltre a queste è possibile svolgere ulteriori 2 ore di straordinario per un totale di 10 ore come limite massimo. Se si toglie il limite di legge, l’unico sbarramento che rimarrebbe alla durata della giornata lavorativa rimane una disposizione della a direttiva europea 104/93 che prevede un riposo consecutivo dal lavoro di 11 ore nell’arco delle 24 ore, sempre che non vi sia una diversa disposizione contrattuale collettiva.
Vale a dire che in una giornata, un lavoratore potrebbe lavorare fino a 13 ore consecutive senza violare alcuna legge.
Non solo tale interpretazione non tutelerebbe la salute dei lavoratori ma sarebbe una aperta violazione dell’art. 36 della costituzione che dispone: “La durata massima della giornata lavorativa è stabilita per legge”:
- Sulla durata massima dell’orario settimanale, il criterio minimo posto dalla direttiva europea è che la durata media dell’orario non superi le 48 ore settimanali, compreso lo straordinario.
L’accordo, riconfermando le 40 ore settimanali della legge Treu, precisa che è facoltà dei contratti collettivi ...”stabilire che il limite normale della durata settimanale dell’orario di lavoro, sia espresso come media effettuata su periodi plurisettimanali fino ad un limite di 12 mesi”.
In questo caso, per assurdo, sarebbe possibile stabilire un’orario fino a 78 ore una settimana (13 ore per 6 giorni lavorativi) compensato da 2 ore di lavoro nella settimana successiva. Naturalmente, in questo caso, le 38 ore in più della prima settimana sarebbero considerate orario normale e non straordinario. - sul lavoro straordinario, l’accordo prevede che siano abrogate le disposizioni legislative sulla durata massima giornaliera e settimanale dello straordinario, e cioè le 2 ore giornaliere e le 12 settimanali previste dal RD 692/1923.
In assenza di una regolamentazione contrattuale, secondo l’accordo, lo straordinario non dovrebbe superare comunque le 80 ore trimestrali e le 250 ore annuali.
Il testo, per come è scritto, sottintende comunque che in occasione di contrattazione collettiva, si possano stabilire ricorsi più ampi al lavoro straordinario.
Va sottolineato che l’accordo prevede inoltre l’obbligo di segnalazione all’ispettorato del lavoro, non dopo le 40 ore settimanali ma dopo le 48 ore come era previsto dal RD 692/1923.2.
- Sul riposo settimanale la direttiva europea fissa un riposo minimo di 24 ore ogni 7 giorni da sommarsi in genere alle 11 ore di riposo giornaliero, ma anche in questo caso l’accordo precisa che i contratti collettivi potranno stabilire soluzioni diverse.
La direttiva europea, come pure la legislazione italiana, afferma che il riposo settimanale comprende in linea di principio la Domenica.
Che alcune particolari produzioni e lavori si potessero svolgere normalmente anche di domenica era già previsto nel DM del 22/6/35 che indicava una serie di produzioni e di lavori che poi nel corso degli anni è stato via via allungato. Ma nonostante la sua già considerevole attuale estensione, l’accordo prevede che il ministro del lavoro, sentite le parti sociali, possa varare un decreto che estenda il lavoro domenicale a tutte quelle attività sinora non considerate.
Non occorrono particolari commenti sul senso complessivo dell’accordo del 12 novembre 1997.
Tutti i suoi capitoli dimostrano da soli come l’indirizzo centrale sia la scelta di una totale flesibilizzazione dell’orario di lavoro e della prestazione.
In alcuni casi si introduce la normativa che non solo disattende la direttiva europea a cui l’accordo stesso fa riferimento sul piano della tutela della salute, ma addirittura rischia di peggiorare le disposizioni dei regi decreti anteguerra.
Nell’accordo, inoltre, il rimando alla contrattazione tra le parti è indicata solo al fine di derogare (in peggio) a quanto già previsto nell’accordo siglato il 12 novembre.
E’ chiaro che se l’accordo fosse recepito così com’è nella legge, l’obiettivo delle 35 ore verrebbe praticamente annullato e svuotato, rimanendo nel caso una pura disposizione formaleTutto l’articolo 5 va eliminato poichè contiene (sotto forma di deleghe al governo) impegni a deliberare in materia di flessibilità della prestazione.