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Date: Mon, 17 Nov 1997 01:10:09 +0100
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Partito Comunista Internazionalista- Battaglia comunista
Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario
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Senza la mobilitazione di lotta del proletariato, la borghesia può
solo peggiorare le condizioni proletarie
La farsa e la beffa abbiamo titolato il volantino distribuito a Roma
alla manifestazione del 25 Ottobre di Rifondazione come
allegato/aggiornamento di BC10.
Il cosiddetto accordo sulle trentacinque ore è davvero una farsa e
una beffa. Si vuol far credere che le 35 ore diverranno una realtà e
- peggio - se ne parla come se si fosse alle soglie, grazie a quella
diminuzione d'orario, della vera rinascenza umana: più tempo libero dal
lavoro sociale che l'individuo impiega per la liberazione del proprio
essere, della propria fantasia, delle proprie personali inclinazioni e
capacità. E meno disoccupati.
E chi avrebbe portato all'Uomo una tale grazia? Il divo Bertinotti
all'ombra di un olimpico Ulivo.
Fuori dai fumi ideologici e dai consolatori parnasi, la realtà che
milioni di proletari vivono è diversa.
Lotte lunghe ed eroiche della classe occorsero per passare alle 8 ore
di lavoro giornaliero per sei giorni alla settimana. Da quelle lotte
dei lavoratori di tutto il mondo nacque la celebrazione del 1º Maggio
e a quelle si ispirano molte canzoni del tradizionale repertorio
operaio. Ogni piccolo avanzamento strappato al capitale, ancorché
inefficiente alla emancipazione del lavoro dalle catene del salario,
ha segnato comunque una battaglia vinta dal proletariato nella guerra
incessante fra proletariato e borghesia e cvhe dovrà concludersi con
la vittoria rivoluzionaria.
Oggi che la legge italiana riconosce come limite legale massimo le
48 ore e i contratti che regolamentano il rapporto fra capitalisti
e lavoratori indicano in 40 ore il limite ordinario (a paga ordinaria),
quel limite è quasi generalmente superato, con il ricorso massiccio
agli straordinari. Al capitalista (all'impresa, come dicono oggi
per mistificare i concetti) costa meno pagare anche il doppio dieci
o dodici ore straordinarie a settimana di 4 operai, piuttosto che
assumere un solo lavoratore in più.
D'altra parte, quando il lavoro vivo è ridotto a pura appendice delle
macchine - nelle quali si concentrano l'utensile e la sua operatività,
il mezzo per fare e il saper fare - non è la forza di lavoro in più
che serve, quanto la applicazione di quella disponibile a un prolungato
uso delle macchine. E la forza di lavoro subisce e si presta.
Sono da enumerare le aziende che hanno licenziato alla grande negli
anni scorsi e fanno fare straordinari a iosa ai pochi rimasti?
Fiat, Alfa, Rizzoli, Montedison,...., per citare le maggiori e migliaia
fra le medio piccole imprese.
Il salario ha perso più del 12 per cento del suo potere di acquisto
negli ultimi dieci anni e una sostanziosa integrazione attraverso gli
straordinari fa comodo a chi ha ancora il "privilegio" di un salario
regolare e ancor più a chi "in regola" non è. La classe avvilita e
disarmata, in altre parole atomizzata da processi ed eventi che
altrove abbiamo esaminato e andiamo esaminando, ha accettato questa
situazione, in cui milioni di disoccupati stazionano fuori dei luoghi
di lavoro, mentre lì dentro si fanno milioni di ore di straordinario.
E intanto i sindacati (tutti) si accordano con le Ferrovie per
determinare i livelli ufficiali (oggettivi?) di esubero: 13 mila entro
il 2001, ma entro i medesimi 4 anni che ci separano da quella
data "potrebbero uscire grazie alle ristrutturazioni e alle
innovazioni tecnologiche altri quindicimila ferrovieri, portando
così la cifra totale degli esuberi a quella cifra di 28.500 unità
fatta dalle Ferrovie al governo nei mesi scorsi e mai ammessa
ufficialmente" (La Repubblica del 5/11).
Non è certo la mobilitazione di classe sul tema cruciale dell'orario
di lavoro e del salario che ha quindi convinto Prodi ad accettare
l'idea di una diminuzione reale dell'orario. Né è serio credere alla
favola che le manovrette parlamentari di RC abbiano potuto portare
a un risultato anche solo paragonabile a quelli in altri tempi
costati sacrifici a milioni di lavoratori e il sangue di decine.
D'altra parte il contenuto vero dell'accordo è chiaro: le trentacinque
ore si applicheranno là e quando farà comodo alle imprese, all'andamento
del loro mercato e all'organizzazione del lavoro vivo che avranno
saputo o voluto dare all'operatività delle loro macchine e dei loro
sistemi.
Ma chi dovrà accordarsi per il varo del famoso rivoluzionario decreto,
in base all'accordo fra RC e il governo? La commissione trilaterale
fatta dei padroni - che già stanno facendo fuoco e fiamme contro
l'ipotesi delle 35 ore - il governo - che ha anch'esso espresso la
inattuabilità della riduzione - e i sindacati, che già prima dell'accordo
davano del pazzo a Bertinotti.
Che questa commissione arrivi a varare un decreto che porta il limite
legale a 35 ore è per lo meno ... improbabile. A meno di arrivare da
qui al 2001 ad una soluzione che - previe rassicurazioni e robusti
incentivi alle piccole e medie imprese per la loro ulteriore
ristrutturazione tecnologica - veda le 35 ore settimanali calcolate
come media su base annua. Ciò significherebbe lasciare invariato
l'attuale limite legale alle 48 ore (per altro oggi superato
ampiamente - non lo si dimentichi) all'interno del quale variare
gli orari settimanali in base all'andamento dei mercati aziendali.
Nel mese in cui la richiesta tira e occorre produrre di più si lavorano
43, 44 o 52 ore la settimana, e nel mese di "stanca" del mercato si
lavora 20 ore; basta che la media annua faccia 35.
E' una delle soluzioni suggerite dalla esperienza in corso della
Volkswagen dopo i due accordi. Altre, simili, sono possibili,ma
tutte all'insegna dell'interesse aziendale, ovvero del capitale e
dunque contro il lavoro.
Le ipotesi reali aperte sono due: o non se ne fa niente perché se
la cosa può essere sopportata e addirittura utile alle grandi aziende
è inaccettabile dalle medio-piccole; o si arriva a una soluzione che,
comunque vedrà peggiorare e non di poco, le condizioni di vendita
della forza lavoro, ovvero la precarietà, l'incertezza, il basso
salario, in un mare di disoccupazione che non sarà minimamente
ridotta da quel decreto - qualunque cosa faccia finta di pensare
Bertinotti (abbiamo troppa stima della sua intelligenza per pensare
che lo creda davvero).
Se a tutto ciò si accompagnerà il perdurare della passività proletaria,
la società borghese avrà fatto un passo avanti verso la barbarie che
tanto più cresce quanto più cresce l'urgenza del comunismo.