Da:      Antonio Pellilli
A:       All                           Msg #13, 17-01-97 10:00PM
Soggetto: i conti in tasca

Ciao All !!!

da manifesto

"Mi faccio i conti in tasca


Il salario netto nell'ultimo ventennio è rimasto pressoché invariato.
Nonostante la produzione media di beni per ogni occupato sia duplicata in termini reali

LUCIANO ZAMPERINI - SAN QUIRICO D'ORCIA

IL DIBATTITO che si è svolto sul costo del lavoro in questi anni ha molto a che fare con le due storie sopra ricordate. Si parla del costo del lavoro a proposito e a sproposito. Il tentativo, direi finora ben riuscito, è quello di scaricare sui lavoratori, dipendenti o "autonomi" che siano, il peso del fallimento della società, dei suoi meccanismi, delle sue contraddizioni. L'economia del paese va male? È colpa del costo del lavoro troppo alto, è colpa dei pensionati che sono troppi: la responsabilità è sempre dei più deboli, di coloro che non hanno i mezzi per difendersi, di coloro che, come il contadino della storia raccontata qui a fianco, non sanno "né leggere né scrivere".

Vorrei proporre alla vostra attenzione un viaggio all'interno della busta paga, per tentare di carpirne i segreti. Il periodo preso in considerazione in questo studio va dal 1973 al 1995 e ha come oggetto il salario di un operaio edile del quarto livello (chiamiamolo Cipputi). Le tabelle paga sono quelle della provincia di Siena. Si tratta di un salario simile a quello delle altre categorie di lavoratori dell'industria e dell'agricoltura che hanno percepito all'incirca due milioni lordi mensili nel '95.

Un confronto istruttivo

Il costo del lavoro è rappresentato da tutte le somme di danaro che il datore di lavoro paga a vario titolo: il salario netto che si riceve in busta paga, la quota Irpef che viene pagata per nostro conto allo stato, i cosiddetti oneri sociali che il datore di lavoro paga per conto del lavoratore.

Confrontiamo per prima cosa l'andamento del prodotto interno lordo (Pil) e del costo del lavoro dal 1973 al 1995, calcolati a prezzi costanti 1994. Il Pil nel periodo è cresciuto del 94, cioè è quasi raddoppiato. Il costo del lavoro fino al 1977 è cresciuto con un ritmo analogo a quello del Pil e poi più lentamente segnando nel 1995 una crescita complessiva del 50. Ben diversa la sorte del salario netto: anche lui fino al 1977 è cresciuto in linea col Pil, ma a fine 1995 la sua crescita complessiva è risultata solo del 10,9.

Come si vede il gran clamore che anche oggi si cerca di fare intorno al costo del lavoro non è affatto giustificato, e comunque non ha un riscontro oggettivo con la realtà dei fatti: sulla base dell'evidenza appena riportata possiamo tranquillamente affermare che il salario netto nell'ultimo ventennio è rimasto pressoché invariato, nonostante la produzione media di beni per ogni operaio occupato sia quasi raddoppiata in termini reali.

Le ragioni del differente incremento del salario netto rispetto al Pil vanno ricercate nel fatto che la politica salariale di questi anni ha impedito a Cipputi di adeguare il proprio salario alla produttività, legando invece gli incrementi salariali quasi esclusivamente al recupero dell'inflazione. Il fatto che il costo del lavoro cresca di più del salario netto dipende invece dalla struttura del salario: infatti per un aumento di 100 lire contrattuali a Cipputi ne entrano in tasca solo 65 lire nel 1995 mentre ne entravano 90 nel 1973; inoltre un aumento di 100 lire contrattuali comporta un aumento complessivo del costo del lavoro di 164 lire nel 1995 mentre ne comportava 159 nel 1973. Se andiamo a vedere qualivoci del salario determinano questo squilibrio ci accorgiamo che in parte sono gli oneri sociali che incidono maggiormente rispetto al 1973, mentre l'incidenza dell'Irpef sconvolge letteralmente la fisionomia della busta paga.

Nella realtà esiste davvero il problema del costo del lavoro, nel senso che ben poco degli aumenti contrattuali arriva nelle tasche di Cipputi, mentre aumenta in modo esponenziale il costo del lavoro.

La statistica non è una religione né una fonte di verità assoluta: è semplicemente utile, in questo caso a dare un'idea della realtà e dei suoi cambiamenti. Nel 1973 il costo del lavoro di Cipputi incideva per il 79 sul Pil medio prodotto da ogni operaio occupato: nel 1995 tale incidenza è scesa al 62. in altri termini in poco più di vent'anni il costo del lavoro è diminuito del 17 in termini reali (il tutto calcolato a prezzi costanti del 1994).

È bene chiarire una volta per tutte che un "alto costo del lavoro" non significa affatto che i lavoratori dipendenti addetti alla produzione abbiano un salario sproporzionato rispetto a quello che producono: al contrario, pur in presenza di un "alto costo del lavoro" Cipputi riceve un salario proporzionalmente di molto inferiore non solo rispetto ai suoi bisogni elementari ma anche rispetto alla ricchezza che egli realmente produce.

Entra in vigore l'Irpef

Nel periodo considerato l'Irpef ha avuto un incremento esponenziale del suo peso nella busta paga. Nel 1973 l'imposizione diretta allora in vigore (l'Irpef fu istituita nel 1974) incideva sulla busta paga per il 4,2; nel 1974 tale incidenza è salita al 9,3; nel 1995 siamo al 19,4; nel 1996 si raggiunge quota 20,1. Nel ventennio considerato il peso dell'Irpef è sempre cresciuto, salvo rarissime eccezioni, riducendo corrispondentemete il salario netto. Basti pensare che Cipputi nel 1973 lavorava 79 ore (10 giornate) per pagare l'equivalente dell'Irpef; di ore ne occorrevano 174 nel 1974, 363 nel 1995 e 376 (ossia 2 mesi e mezzo) nel 1996. Non vi è dubbio che l'Irpef ha avuto un effetto devastante sulla busta paga di Cipputi, la qual cosa può essere apprezzata con un altro dato: fra il 1973 e il 1995 il Pil, a prezzi correnti, è cresciuto del 1.750 mentre l'incremento dell'Irpef sulla busta paga è stato del 6.500. Se questo tipo di tassazione non viene corretta adeguatamente nel corso dei prossimi anni, essa continuerà a erodere il già magro salario dei lavoratori italiani.

Paniere indispensabile

Ma non finisce qui. Per capire meglio cosa è successo alla busta paga di Cipputi, ho cercato di tenere conto anche delle imposte indirette, quelle che si pagano sui generi di consumo che si acquistano. Ho così costruito un paniere di prodotti indispensabili ogni anno per una famiglia di 3 persone; a questi prodotti sono stati applicati i prezzi medi rilevati dall'ufficio statistico del comune di Siena e archiviati presso la locale Camera di commercio. Da questi prezzi ho successivamente scorporato l'Iva (imposta sul valore aggiunto).

È stato così possibile calcolare l'ammontare complessivo che Cipputi paga "indirettamente" in tasse sui consumi. A queste spese sono state aggiunte anche le tasse sulla casa (sia sotto forma di Ici che di Irpef), le spese di energia, telefono, acqua, metano, nettezza urbana. Sono state escluse le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria della casa. Per quanto riguarda i trasporti si è fatta l'ipotesi che Cipputi e famiglia possiedano un'auto di media cilindrata; sono state poi considerate le sole spese per la benzina, le tasse automobilistiche e i bolli per la patente (2 all'anno).

Ecco cosa emerge. Nel 1973 gli esborsi al fisco per queste spese incidevano per il 18,3 sul salario netto di Cipputi; nel 1995 si sale al 36,3. Un incremento notevole: vediamo nel dettaglio. A Cipputi nel 1973 occorrevano 5 ore di lavoro per pagare le tasse sulla casa (allora erano Irpef e Ilor); per pagare Irpef e Ici nel 1995 di ore ne deve lavorare 79. Per pagare le tasse sulla nettezza urbana nel 1973 erano necessarie 2 ore di lavoro, 18 nel 1995. Complessivamente, nel 1973 Cipputi doveva lavorare 327 ore per pagare tutte le tasse sopra indicate che gravano sul salario netto, e ne ha dovute lavorare 533 (quasi un mese e mezzo in più) nel 1995.

Guardando tutto ciò da una prospettiva diversa si può dire che Cipputi nel 1973 spendeva il 21,7 del suo salario netto per pagare queste imposte, e dunque gli rimaneva il restante 78,3 per l'acquisto dei beni e servizi per sé e per la propria famiglia. Nel 1995 la prima percentuale sale al 48,6: per l'acquisto di beni e servizi gli rimane il 51,4 del suo salario netto.

Parlano le percentuali

Di per sé le percentuali dicono tutto e dicono niente: occorre vedere ancora più chiaramente cosa succede al salario di Cipputi. Prendiamo come riferimento il reddito lordo di Cipputi nel 1973. Se questo ammontare fosse stato rivalutato con lo stesso ritmo con cui in venti anni è cresciuta l'inflazione Cipputi avrebbe dovuto guadagnare nel 1995 22,3 milioni. Invece, in realtà, di milioni Cipputi nel 1995 ne ha percepiti 26,8. Dunque, in apparenza, Cipputi in venti e passa anni avrebbe non solo mantenuto il suo reddito reale ma avrebbe incrementato il proprio reddito di 4,5 milioni (un incremento, intendiamoci, comunque molto al di sotto dell'aumento di produttività). Succede che tutte le analisi che vengono fatte sui salari di questo mondo sono riferite al reddito lordo: è sul reddito lordo che si calcolano le tasse, è sulla base del reddito lordo che si stabilisce il diritto o meno di ricevere gli assegni familiari, ecc.. Ma ....

Ve la ricordate la storia del contadino? C'è più di un'analogia con la storia del salario di Cipputi. Prendiamo infatti in considerazione non il reddito lordo ma quello al netto di tutte le forme di imposizione, diretta e indiretta. Per avere un reddito annuo equivalente a quello netto di tasse percepito nel 1973 Cipputi avrebbe dovuto avere a disposizione nel 1995 17,5 milioni: in realtà il reddito disponibile nel 1995 è stato di soli 13,8 milioni. Ecco cosa sta succedendo a milioni di lavoratori italiani: nel 1995 gli viene attribuito un reddito superiore in termini reali a quello del 1973 e invece, una volta depurato delle varie forme di imposizione, a ciascuno di essi mancano 3,7 milioni all'anno per avere la stessa capacità di spesa che avevano nel 1973. La storia si ripete, con volti e forme diverse: ma la sostanza non cambia affatto.

Liquidazione compresa

Compreso il Tfr (trattamento di fine rapporto) l'intero costo del lavoro annuo di Cipputi è di 54,6 milioni. Il 41, pari a 22 milioni, serve per pagare, come si è visto, imposte a vario titolo, equivalenti nel complesso a 748 ore di lavoro. Il 12,4, pari a 6,5 milioni, serve per pagare gli oneri sociali, equivalenti a 233 ore di lavoro. La pensione (che non arriverà mai) corrisponde a 11,5 milioni, pari al 21,3 e a 399 ore di lavoro. Ciò che rimane, ossia il 25,3, sono i 13,8 milioni l'anno con cui acquistare beni e servizi: equivalgono a 490 ore lavorate su 1.870 effettivamente lavorate.

Il reddito preso in esame è tra quelli più bassi percepiti da un lavoratore italiano. Da questo reddito si può continuare a prelevare circa il 50 per tasse e imposte? E proprio mentre continuano a diminuire i servizi che lo stato offre al cittadino? Come si può pretendere che Cipputi possa comprarsi la casa, l'automobile o i beni di consumo che la tecnologia e l'aumento della produttività mettono a disposizione? E allora, non sono danari buttati quelli che si cerca di dare alle imprese per creare nuova occupazione? Se ai nuovi occupati viene dato un salario ancora più basso, a quale mercato sarà mai possibile accedere?

E' abbastanza sconcertante vedere che appena il 25 del costo del lavoro vada a finire nelle tasche di Cipputi, ed è altrettanto sconcertante sapere che nel 1995 appena il 15 del Pil prodotto da un operaio è andato a finire nelle sue tasche: ci si deve vergognare del fatto che un lavoratore con moglie e un figlio debba avere a disposizione ogni giorno la modica somma di 12.590 lire per sé e altrettanto per i familiari. Se comprasse un quotidiano spenderebbe più del 10 di quello che ha a disposizione. Questo non ha nulla a che fare con una società civile.


Un Saluto, Antonio


apellilli@peacelink.it      or      thestone@tightrope.it
--- GoldED 2.41 * Origin: Vita nel Cyberspazio (61:395/2.3)