IL QUADRO ECONOMICO E POLITICO DELLO SCONTRO DI CLASSE

1. Il quadro economico

1.1 Crisi del fordismo e della relativa accumulazione keynesiana

Dalla fine degli anni Sessanta entrano in crisi il fordismo e il relativo modello keynesiano di accumulazione e sviluppo: tutte le configurazioni produttive e riproduttive "a flusso lineare" (catena di montaggio) esauriscono la loro capacità di fare profitti.
Le grandi multinazionali ed i trust industriali e commerciali, con il relativo tessuto produttivo di medie e piccole imprese vanno in crisi di profittabilità.
Il flusso dei servizi finanziari, monetari, di distribuzione del reddito, sociali e istituzionali vanno in crisi di bilancio e di efficienza.

1.2 La risposta alla crisi e la guerra internazionale di ricapitalizzazione

Il sistema capitalistico tenta di rispondere alla sua crisi attraverso un massiccio processo di ristrutturazione e riorganizzazione produttiva e finanziaria. Ne segue una impressionante accelerazione della concorrenza nei mercati interni ed internazionali.
Questa situazione porta ad una guerra internazionale di ricapitalizzazione. Essa interviene sulla produzione mediante le acquisizioni (concentrazioni-centralizzazioni), l'eliminazione del capitale pubblico e la riorganizzazione produttiva, e sul reddito mediante la massima libertà nella redistribuzione di ricchezza finanziaria privata (speculazioni monetarie, ecc.) e pubblica (politiche monetarie complici es. svalutazione) e nella redistribuzione dei redditi da lavoro dipendente: in tutto il mondo/mercato gli uomini e le donne che vivono di reddito da lavoro dipendente ed il loro monte retribuzioni devono diventare funzionali alla ricapitalizzazione.

1.3 La guerra di ricapitalizzazione in Italia dal lato della produzione

Negli anni '70 la guerra di ricapitalizzazione dal lato della produzione inizia in Italia con la distruzione del processo di produzione fordista e del relativo assetto economico governato da un blocco monopolistico privato e di stato che unifica la grande impresa privata (relativamente debole), la grande impresa pubblica e la forte presenza di piccole e medie imprese.
Negli anni '80 viene attuato un tentativo di arginare la distruzione del processo di produzione fordista. Ciò caratterizza un ulteriore indebolimento della grande impresa privata, l'indebolimento e la decadenza di quella pubblica, il rafforzamento delle piccole e medie imprese operanti in settori dinamici.
Il blocco politico dominante, privato e di stato, entra in crisi profonda; la sua "politica economica" ne risulta indeterminata e confusa. Le linee dei diversi protagonisti si divaricano.
Dall'inizio della crisi '91 - '94 il processo di produzione fordista viene sottoposto ad una nuova distruzione e riorganizzazione (utilizzando le tecniche just in time - total quality che presumibilmente rappresentano una forma di transizione dal modello fordista, ormai irrimediabilmente in crisi, ad un possibile futuro modello "a matrice"). L'assetto strutturale è caratterizzato da rischi di disastro per la grande impresa privata, dalla fine dell'impresa pubblica, dalla tenuta e dal consolidamento delle piccole e medie imprese.
Il blocco monopolistico dominante è finito, dunque produce una "politica economica" di emergenza per gestire il passaggio ad un nuovo blocco dominante con una strategia di ricapitalizzazione-internazionalizzazione subordinata al capitale eurotedesco.
Questa strategia è caratterizzata dallo scontro per la privatizzazione delle grandi imprese pubbliche.

1.4 La guerra di ricapitalizzazione in Italia dal lato della distribuzione del reddito

Il reddito dei lavoratori dipendenti consiste nel loro monte retribuzioni, che è distinto in una forma di retribuzione diretta (la retribuzione netta), da una forma di retribuzione differita (le pensioni) e da una forma di retribuzione sociale (le forniture di beni e di servizi pubblici e sociali).
L'insieme dei lavoratori usa per vivere il monte retribuzioni nella sua forma reale, costituita dall'insieme delle tre forme di retribuzione precedentemente citate: salario diretto + salario differito + salario sociale = salario globale. Una quota di questo reddito reale viene trasferita al profitto e alla rendita per "aiutare" la ricapitalizzazione.
Dalla metà degli anni '70 si avvia una strategia finalizzata ad "aiutare" la ricapitalizzazione riducendo il salario relativo (la quota della ricchezza prodotta che va al lavoro dipendente) cioè riducendo gli occupati, aumentando l'intensità del lavoro e riducendone il costo.
Negli anni '80, oltre a proseguire con i precedenti sistemi di riduzione della retribuzione, viene accentuato l'attacco al salario diretto e si attua l'eliminazione della scala mobile. Anche il salario sociale incomincia ad essere ridotto e destrutturato.
Negli anni '90 a ciò si aggiunge la riduzione e la destrutturazione della retribuzione differita (l'attacco alle pensioni) e continua l'attacco al salario sociale (sanità, servizi erogati dagli enti locali, ecc.).

2. Il quadro politico

2.1 Il modello sociale costituzionale

La Costituzione sancisce il passaggio dallo stato liberal-corporativo fascista ad uno stato di democrazia sociale, condizionando a fini sociali il regime della proprietà e dell'impresa.
Ciò ispira le decisioni di economia pubblica e particolarmente dell'equilibrio del bilancio statale ai princìpi qualificanti della democrazia sociale, utilizzando la fiscalità generale (le entrate) a favore dei ceti deboli con norme (le spese) riguardanti da un lato lo sviluppo produttivo e occupazionale, dall'altro lo sviluppo sociale e civile.
Malgrado ciò i risultati sono inferiori (per la classe lavoratrice) a quanto realizzato dalle socialdemocrazie di altri paesi europei, perché in Italia il blocco sociale dominante che si esprime nel "regime democristiano" riesce a deformare il modello costituzionale piegandolo alle sue esigenze di stabilizzazione sociale (clientelismo, ecc.) in relazione alla specifica composizione delle classi (grande borghesia gracile e ceti medi ipertrofici) ed in funzione anticomunista.

2.2 Le lotte del movimento per la difesa e lo sviluppo del modello sociale costituzionale

Negli anni '69 - '76 le forze politiche e sindacali della classe lavoratrice cercano di completare il modello sociale della Costituzione fino all'affermazione dello stato sociale, nella "teoria" mediante la programmazione democratica dell'economia, nella "pratica" con la lotta per le riforme in materia di casa, sanità, ambiente, assistenza, previdenza, istruzione, cultura e formazione professionale, ricerca scientifica, trasporti, opere pubbliche, ecc.

2.3 Il logoramento del modello sociale costituzionale

Nel '77 Stammati, Pandolfi e il compromesso storico (politico e sindacale) iniziano la destrutturazione dei risultati che si era riusciti a conquistare a prezzo di lotte durissime.
La Finanziaria, come guida di tutta la politica legislativa, deroga il principio costituzionale del governo basato sulla democrazia sociale e lo sostituisce con il principio dell'economicità finanziaria della spesa pubblica ricavato dall'economia privata. Essa tende a garantire che l'iniziativa economica privata risponda solo al mercato.
Ogni anno, dal 1978 in poi, l'"economicità finanziaria" è il nuovo principio guida del "buon governo" della spesa pubblica e piega e comprime il modello sociale costituzionale.
Sul piano istituzionale ogni anno aumenta la subalternità del Parlamento alle "oggettive" linee di bilancio del Governo. Ogni anno la politica dello Stato appartiene sempre più al "regime dei mercati" che si impone ai soggetti istituzionali della manovra finanziaria (il Tesoro) ed della manovra monetaria e creditizia (la Banca d'Italia).
Sul piano materiale ogni anno le difficoltà di bilancio prodotte dalla crescita della spesa pubblica a favore delle imprese e della proprietà, vengono affrontate emanando leggi finanziarie che riducono i diritti sociali.

2.4 Crisi economica e instaurazione del "regime dei mercati" contro la socialità costituzionale

La crisi, la concorrenza internazionale e la guerra interna al capitale richiedono che ogni "risorsa inefficiente" sia "liberata" per essere impiegata nella ricapitalizzazione.
Le frazioni capitalistiche dominanti (industriali e finanziarie) e le istituzioni che governano l'economia (Tesoro, Banca d'Italia) sono costrette ad accelerare l'instaurazione del "regime dei mercati".
Da un lato procedono al riassetto capitalistico mediante le concentrazioni dei capitali privati (che nello scontro risultano più deboli) e le privatizzazioni dei capitali pubblici, dall'altro accentuano la redistribuzione del reddito a favore dell'impresa e della proprietà.

2.4.1 L'instaurazione del "regime dei mercati" secondo Amato e Ciampi

I governi Amato e Ciampi si assumono il compito di accelerare l'instaurazione del "regime dei mercati" per cercare di affrontare i problemi di ricapitalizzazione che affliggono i gruppi economici industriali e finanziari dominanti (vedi documento sulle privatizzazioni di Amato).

2.4.1.1 Le finanziarie '93 e '94 per la ricapitalizzazione

L'operazione redistributiva affidata alle finanziarie '93 e '94 si svela con alcune semplici cifre.
Nel 1993 con la manovra di 93.000 miliardi, di cui il 70% circa viene dal reddito da lavoro dipendente, per la maggior parte con la "riforma" delle pensioni (Amato '92), ed il resto colpendo il reddito delle piccole imprese con la minimum tax. Il Governo preveda di pagare una quota dei 182.100 miliardi di interessi passivi agli evasori fiscali, agli imprenditori e ai proprietari che gli avevano prestato rispettivamente le tasse evase e "risparmiate", i profitti "risparmiati", le rendite "risparmiate".
Nel 1994 con una manovra da 31.000 miliardi (di cui circa l'80% viene dal lavoro dipendente).

2.4.1.2 La seconda repubblica della "democrazia per i mercati"

All'inizio della crisi '91 - '94 il progetto di instaurazione del "regime dei mercati" prevede una graduale transizione della "democrazia per i mercati" dalla "prima" alla "seconda repubblica".
Il governo Amato, l'accordo del 31 luglio e l'affermazione della concertazione (come linea strategica anche per le Organizzazioni Sindacali), la minimum tax, il governo Ciampi, l'accordo del 23 luglio, il sistema elettorale maggioritario è quanto emerge da una scena politica e sociale orientata da una strategia economica che cerca di recuperare risorse anche dalla piccola e dalla media borghesia. Ma la gravità della crisi, le resistenze e gli scontri violenti con il capitale monopolistico di stato, il consistente rafforzamento congiunturale del piccolo e medio capitale (debolezza della lira) con la nascita e lo sviluppo della sua rappresentanza politica (prima la Lega, poi anche Forza Italia) deviano a destra la transizione.

2.4.2 L'instaurazione del "regime dei mercati" secondo Berlusconi

Il governo Berlusconi opera su 2 direttrici:
1) salvaguardare gli interessi della sua frazione, che si è alleata con il piccolo e medio capitale; consolidarsi per poi
2) accelerare l'instaurazione del "regime dei mercati" secondo le necessità delle frazioni capitalistiche dominanti (industriali e finanziarie).

2.4.2.1 La finanziaria '95 per la ricapitalizzazione

Nel 1995 la Finanziaria da 51.000 miliardi del governo Berlusconi ha la stessa logica di quella precedente (anche se cambia riguardo alla quota di manovra pagata con il reddito da lavoro dipendente).

2.4.2.2 La seconda repubblica della "democrazia per il buon governo"

Essa sintetizza il progetto istituzionale del governo delle destre (che assomiglia molto al contenuto strategico della P2 di Licio Gelli):
1) liberismo economico
2) nuovo blocco sociale
3) sconfitta delle sinistre
4) sistema elettorale integralmente maggioritario
5) modello istituzionale presidenziale
Ma questo progetto deve fare i conti con la lotta del popolo che vive di reddito da lavoro dipendente. Un movimento di milioni di persone spacca il nuovo blocco sociale che si stava instaurando.
L'alta borghesia ritiene che in una situazione dove l'economia italiana incomincia a manifestare segni di vitalità non sia auspicabile l'accentuazione del conflitto e la Lega di Bossi, una parte della rappresentanza politica della piccola e media, "sfiducia" il Governo.

2.4.3 L'instaurazione del "regime dei mercati" secondo Dini

Il compito di accelerare l'instaurazione del "regime dei mercati" passa al governo "tecnico" di Dini.
Lamberto Dini, il "tesoriere dello Stato", è il continuatore dell'azione governativa sui problemi di ricapitalizzazione che affliggono i grandi gruppi economici industriali e finanziari. Il suo comitato tecnico (delle banche e degli industriali) interviene sul fisco, sulle privatizzazioni, sulle pensioni affermando le "regole dei mercati".

2.4.3.1 La manovra correttiva per la ricapitalizzazione

Le Finanziarie definiscono gli obiettivi tattici annui per l'affermazione della strategia di "regime dei mercati". Lo scontro generale di interessi produce risultati diversi che vengono recuperati attraverso le cosiddette "manovre correttive".
Dopo lo scontro e l'accordo che sospende i tagli sulle pensioni, la finanziaria registra un costoso sbilanciamento dovuto al mancato successo in materia previdenziale. Esso è registrato dall'ipotesi Dini di aumentare le entrate per circa 12.000 miliardi (gennaio 1995), fatto questo che disturba la piccola e media borghesia.
Ma l'insuccesso e il disturbo vengono in gran parte recuperati attraverso l'uso delle imposte indirette che, come noto, scaricano il maggior peso fiscale sui redditi da lavoro dipendente. Restano comunque altri 4-5.000 miliardi di tagli sulla sanità e su qualche altra voce di spesa.

2.4.3.2 La seconda repubblica della "democrazia tecnica"

Un Dini politicamente a termine non può fare grandi progetti istituzionali. Ma egli può ed è molto probabile che voglia costruire le condizioni strutturali per marcare la seconda repubblica con la "democrazia tecnica", auspicata con forza, proprio in occasione del suo incarico a presidente del consiglio, dai grandi gruppi economici industriali e finanziari.