La lotta tra capitale e lavoro sul salario diretto

LINEE SINDACALI GENERALI DI RIFERIMENTO

Nel precedente numero, abbiamo affermato che la rivendicazione del salario globale (ossia del salario complessivo di classe) è la base strategica per l'azione contrattuale nel mercato della forza lavoro (o, il che è lo stesso, per la contrattazione delle condizioni di vita dei lavoratori).

Consideriamo ora i seguenti fatti:

1. "... il valore della forza lavoro è determinato dal valore degli oggetti d'uso corrente che sono necessari per produrla, svilupparla, conservarla e perpetuarla."

2. se sommiamo i beni di consumo di produzione privata (comprati attraverso il salario diretto e il salario differito) ai beni e servizi che lo stato paga totalmente o parzialmente (attraverso il salario tassato trattenuto in busta paga) otteniamo l'insieme degli oggetti che oggi sono d'uso corrente (questo insieme corrisponde al salario complessivo di classe)

3. il salario complessivo di classe ossia "... il prezzo di mercato del lavoro, come quello di tutte le altre merci, si adatterà a lungo andare al suo valore; ... perciò, ... l'operaio ..., in ultima analisi ... non riceverà che il valore del suo lavoro, il quale si risolve nel valore della sua forza lavoro, determinato a sua volta dal valore degli oggetti d'uso necessari ..."

4. la forza lavoro ha la proprietà di produrre una quantità di valore superiore a quello necessario alla sua produzione e riproduzione, superiore cioè al salario; in altri termini il salario rappresenta solo il valore pagato, mentre il valore non pagato diventa profitto e dunque un aumento del salario (del valore pagato) causa una riduzione del profitto (del valore non pagato)

5. il salario complessivo di classe a differenza del prezzo delle altre merci dipende da due diversi elementi di valore della forza lavoro "... di cui l'uno è l'elemento fisico, l'altro è storico o sociale. [...]. Questo elemento storico o sociale ... può aumentare o diminuire, ed anche annullarsi, in modo che non rimanga che il limite fisico."

6. poiché il modo di produzione capitalistico, trasformando il lavoro in merce forza lavoro, ne trasforma il limite fisico nel suo valore minimo:
· possiamo"... stabilire i salari minimi,
· ma non (possiamo stabilire) quelli massimi.
· Possiamo ... dire che ... il massimo del profitto corrisponde al limite fisico minimo (del salario complessivo di classe caratteristico della attuale fase fordista), ...
· (ma) Non possiamo dire quale è il limite ultimo al quale (il profitto può) cadere. [...].
· (possiamo infine dire che per il profitto) ... è possibile una serie immensa di variazioni. (e che) La determinazione del suo livello reale viene decisa soltanto dalla lotta incessante tra capitale e lavoro; in quanto il capitalista cerca costantemente di ridurre i salari al loro limite fisico minimo e di estendere la giornata di lavoro al suo limite fisico massimo, mentre l'operaio esercita costantemente una pressione in senso opposto."

7. la "... lotta ... in cui vengono richiesti aumenti o combattute riduzioni di salario si verifica soltanto come conseguenza di mutamenti precedenti ed è il risultato di precedenti variazioni nella quantità della produzione, delle forze produttive del lavoro, del valore del lavoro, del valore del denaro, della estensione o dell'intensità del lavoro estorto, delle oscillazionidei prezzi di mercato, ... e delle diverse fasi del ciclo industriale: in una parola si tratta delle reazioni degli operai contro una precedente azione del capitale. Se si considera la lotta per un aumento (del salario complessivo di classe) indipendentemente da tutte queste circostanze, e si prendono in considerazione solo i mutamenti (delle forme particolari di salario diretto, salario differito e salario tassato in modo separato ed esclusivo) trascurando tutti gli altri mutamenti dai quali essi derivano, si parte da una premessa falsa per arrivare a false conclusioni."

8. Se teniamo conto "... (del)l'imponente sviluppo delle forze produttive ...(e) ... (del)l'enorme massa di capitale fisso che ... é entrata nel processo della produzione sociale... (durante gli ultimi 20 anni, ci troviamo di fronte alla necessità di) ... spiegare le cause per cui la diminuzione del saggio di profitto non sia stata più forte o più rapida. (La risposta a questo problema é nota. Agiscono infatti) ... influenze antagonistiche, che contrastano ... l'azione della legge generale (della caduta del saggio di profitto). (Tra) Le più generali di queste influenze antagonistiche ... (troviamo l')Aumento del grado di sfruttamento del lavoro [...], (la) Riduzione del salario [...] (e) La sovrappopolazione relativa".

I fatti considerati permettono di tracciare le seguenti linee sindacali generali:

1. Un adeguato "programma di lotta per il salario complessivo di classe" deve
· valutare come uno stato determinato del capitale produca, mediante l'azione dei capitalisti, la corrispondente riduzione dei salari o, più semplicemente, come la classe dei capitalisti attacca nel determinato stato del capitale;
· decidere come la classe operaia deve "strappare dalle occasioni che le si presentano (in quel determinato stato del capitale) tutto ciò che le può servire a migliorare temporaneamente la sua situazione" o, più semplicemente, come la classe operaia risponde all'attacco del capitale.

2. La rivendicazione di una qualsiasi forma particolare del salario (salario diretto, differito e tassato), in quanto é sempre e soltanto parte dell'opposizione oggettiva tra capitale e lavoro, deve sempre e soltanto essere parte del "programma di lotta per il salario complessivo di classe".

Seguendo queste linee sindacali affrontiamo ora le questioni relative all'attuale scontro sul salario diretto.

Il monte delle retribuzioni dirette è uguale al valore degli stipendi lordi, moltiplicato per il numero dei lavoratori occupati e quindi dipende dalla lotta e dalla contrattazione sul livello degli stipendi e sul livello dell'occupazione.

COME ATTACCA LA CLASSE DEI CAPITALISTI

Dall'inizio degli anni '70, la crisi di valorizzazione e le necessità della ricapitalizzazione, hanno portato il capitale a mettere in atto le influenze antagonistiche alla caduta del saggio di profitto puntando a:

1. La riduzione del monte delle retribuzioni dirette attraverso la riduzione dell'occupazione realizzata con:
· la riduzione del numero dei dipendenti attraverso l'aumento della produttività, la gestione delle eccedenze occupazionali tramite la mobilità, la cassa integrazione, i prepensionamenti
· la precarizzazione dei rapporti di lavoro e delle prestazioni, che si traducono poi in precarietà anche delle condizioni di reddito.

2. La riduzione del monte delle retribuzioni dirette attraverso la riduzione della paga realizzata con:
· l'eliminazione della scala mobile e di ogni altra forma di indicizzazione delle retribuzioni
· il blocco della restituzione del fiscal drag.
· l'attacco alle forme stesse di determinazione del salario, per via contrattuale e di legge
· l'introduzione del salario di produttività e per obiettivo
· l'eliminazione dei sistemi classificatori ad "inquadramento unico"
· l'introduzione del salario di mansione
· l'introduzione del salario di ingresso, di formazione lavoro, ecc.
· le gabbie salariali per area geografica.

 

L'attacco al salario diretto dal lato dell'occupazione

Gli anni 60 e l'"occupazione assistita"

Negli anni 60 lo scontro tra capitale e lavoro sull'occupazione ha prodotto un quadro normativo che potremmo definire di "occupazione assistita". I contratti e le leggi stabiliscono che l'occupazione a rischio sia gestita con lo strumento della sospensione temporanea dal lavoro monetizzata da integrazioni salariali e senza risoluzione del rapporto.
La condizione di "occupato" risulta "assistita" per periodi più o meno lunghi. Prima con la Cassa integrazione guadagni (C.I.G.) ordinaria, a tutela di precarizzazioni momentanee, causate da mancanza di commesse ed ordini, o per improvvise fermate causate da eventi di forza maggiore ed urgenze manutentive. Poi (fine anni '60) con la C.I.G. straordinaria o speciale, a tutela di precarizzazioni occupazionali conseguenti ad interventi o crisi strutturali, aziendali e di settore, o conseguenti a piani di ristrutturazione e riconversione.
Il cardine di questo sistema era la "titolarità del posto di lavoro". Questa assicurava al lavoratore sospeso il rientro in azienda a parità di condizioni, salariali e professionali.
Il quadro normativo, che abbiamo chiamato di "occupazione assistita" risulta dallo scontro di classe generato dallo sviluppo del fordismo.

Alla fine degli anni 60 inizia il declino fordista. Le prime evidenze della crisi di valorizzazione erano considerate momentanee ed accidentali (congiunturali). Il sistema reagiva in modo tradizionale illudendosi che le difficoltà sarebbe state superate con interventi "classici" di ristrutturazione della produzione e dei costi occupazionali e salariali. La base produttiva Fordista non era messa in discussione.
Gli accordi sindacali, anche quelli realizzati dai consigli di fabbrica, non sfuggivano all'illusione "congiunturalista". Il ricorso alla C.I.G. e alle altre normative di sostegno, diventava la soluzione principe per fronteggiare lo scontro sull'occupazione durante ogni "congiuntura negativa". Intanto, progressivamente, si affermava l'idea che fosse opportuno fare sacrifici per contribuire alla ripresa così che durante gli anni 70 il sindacato arrivò a considerare inevitabili e necessari sia la riduzione dei salari (contenimento delle rivendicazioni e loro compatibilità con le esigenze di produttività, competitività e mercato), sia il taglio dei "rami secchi", sostenendo che si sarebbero liberate risorse da destinare ad investimenti nuovi e "più efficienti", capaci di rilanciare l'economia e l'occupazione.

Dall'"occupazione assistita" alla "disoccupazione assistita" attraverso la legge 223

Negli anni 70-90 emergono tutti i limiti del processo di produzione fordista. In particolare le crisi generali dei primi anni 80 e 90 dimostrano l'esaurimento delle sue capacità di valorizzazione. La sua forma e la sua sostanza di capitale vengono progressivamente "distrutte-liberate-mutate" mentre cercano di realizzare un nuovo processo lavorativo in grado di rialimentare condizioni stabili di valorizzazione e di crescita del profitto.
La "distruzione" della fabbrica Fordista a flusso lineare rigido (la fabbrica che legava fortemente la singola forza-lavoro (F.L.) al suo posto e mediava lo scontro tra capitale e lavoro nel quadro normativo di occupazione assistita) e la sua scomposizione nella fabbrica Fordista integrata e flessibile (la fabbrica che ha rotto quel legame e non sopporta quel quadro normativo) modificano sostanzialmente le condizioni dello scontro di classe.
Da un lato le distruzioni-trasformazioni tecnologiche ed organizzative riducono la quantità di lavoro prestato e il tempo necessari alla produzione dell'insieme di merci effettivamente vendibili.
Dall'altro la qualità vendibile della F.L. (la "professionalità" formatasi nella fabbrica Fordista) diventa inutile (perde valore d'uso).
I lavoratori vengono precarizzati, resi disponibili e sottomessi alle flessibilità proprie dei nuovi modelli organizzativi, e quando ciò non avviene, mostrano drammaticamente ciò che sono: manodopera eccedente da espellere.

In questo quadro, il normale ricorso alla sospensione dal lavoro non risolve alcun problema. Al contrario esso aumenta le difficoltà del capitale poiché colpisce ancora di più un livello di profitto già calante per la crisi di sovrapproduzione. Da qui l'attacco al quadro normativo di "occupazione assistita" (fine anni 80) e il passaggio ad un sistema contingente di "disoccupazione assistita" (inizio anni 90) che in pratica viene progressivamente eluso e logorato da un gran numero di licenziamenti "informali" e che può precipitare in ogni momento nella "disoccupazione pura e semplice".
Inizialmente il problema della liquidazione della manodopera eccedente viene ancora attenuato dall'applicazione delle norme assistenziali. Ma il numero dei lavoratori obsoleti e l'impossibilità di un loro reimpiego crescono così tanto che lo Stato per pagare il sostegno previsto dalla legislazione alla sospensione del lavoro (cassa integrazione ordinaria e straordinaria, contratti di solidarietà) ed alla ricollocazione (liste di mobilità, corsi di formazione per i lavoratori in cassa integrazione, ecc.) dovrebbe aumentare le entrate contributive attraverso un rilevante incremento di costo del salario tassato. Ecco dunque come le norme assistenziali si trasformano in sprechi, rigidità e vincoli economici.
I capitalisti si pongono alla testa di un violento attacco contro tali sprechi della "spesa sociale", per l'affermazione del mercato e del profitto come valori unici ed unici regolatori delle leggi della società. Il sistema della "occupazione assistita" viene dichiarato vecchio, burocratico, inefficiente e pericoloso per la "salute" delle aziende. Esso deve essere "riformato" secondo la strategia della deregolamentazione per eliminare ogni vincolo alla libertà di impresa (quindi anche alla libertà di licenziare) ovvero e in realtà per eliminare le sue influenze negative sul livello del profitto.

In sostanza i capitalisti attaccano:
· il diritto dei lavoratori sospesi al mantenimento della "titolarità del posto di lavoro" chiedendo l'eliminazione di tale diritto dalle norme di C.I.G.
· il sistema della "assistenza all'occupazione" chiedendone la trasformazione in sistema di "assistenza alla disoccupazione" in modo che le risorse in esso impegnate siano ridotte, quelle risparmiate siano utilizzate per finanziare provvedimenti di sostegno all'impresa e sia avviata la "liberalizzazione del mercato del lavoro, in entrata in uscita".

Lo smantellamento del precedente quadro normativo, inizia concretamente con la legge 223 del '91. Essa stabilisce le procedure che permettono ai padroni di licenziare i lavoratori riconosciuti eccedenti.
In particolare tali lavoratori:
· sono licenziati immediatamente o dopo la totale sospensione dal lavoro attuata in modi e periodi diversi (cassa integrazione ordinaria e straordinaria)
· sono inseriti in liste di "mobilità ordinaria", per periodi limitati di tempo
· sono inseriti in liste di "mobilità lunga" per un massimo di 7 anni fino al raggiungimento della pensione, e
· sono assistiti economicamente con una indennità (dello stesso importo della C.I.G.S.) versata dall'INPS durante la permanenza in mobilità (l'assistenza economica può essere prorogata mediante decreto).

La legge 223 sostanzia così il passaggio al sistema che abbiamo chiamato di "disoccupazione assistita".

L'attacco alla "disoccupazione assistita" attraverso l'erosione della legge 223

L'"esaurimento economico" del fordismo non si traduce immediatamente nel suo mutamento e il capitale continua a utilizzarne la base tecnica intensificandone al massimo lo sfruttamento (come nel caso della produzione toyotista) per realizzare l'enorme massa di capitale necessaria alla "transizione" verso un nuovo processo di produzione capitalistico capace di rilanciare l'accumulazione.
Il capitale esausto viene liquidato (chiusura di fabbriche, di linee, di attività) e i suoi "residui" vengono ricomposti in quegli interventi sulla fabbrica (produzione snella e flessibile) e sulla forza lavoro (riduzioni di organico, aumento dell'intensità di lavoro e della flessibilità, peggioramento della sicurezza sul lavoro) che si rivelino capaci di produrre una qualche adeguata valorizzazione. Contemporaneamente la F.L. occupata e le organizzazioni sindacali vengono sottomesse a questa logica.
Gran parte delle ristrutturazioni degli ultimi anni e di quelle in corso, complete di accordo sindacale per l'uso massiccio della 223, realizzano semplicemente la distruzione di ciò che non serve più ed il massimo sfruttamento di ciò che può dare profitto.

Ma questo non basta!
Le pressioni dei capitalisti per la deregolamentazione del mercato del lavoro stanno già producendo una consistente erosione delle norme di "disoccupazione assistita ".
E' nota al riguardo la linea del ministro del lavoro Tiziano Treu che:
· considera la C.I.G. uno strumento inadatto al sostegno dell'occupazione e troppo oneroso per le casse dello stato,
· considera conclusa la fase delle "facili proroghe" dell'indennità di mobilità,
· sostiene la necessità di rivedere sia la durata che l'ammontare dell'indennità della C.I.G. e ritiene inevitabile disattivare i prepensionamenti e la mobilità lunga di accompagnamento alla pensione.

La trasformazione dei contratti: dalla condizione lavorativa stabile a quella precaria

La produzione flessibile si basa su una rinnovata sussunzione formale del lavoro che il capitale realizza sviluppando la concorrenza occupazionale tra i lavoratori attraverso la precarizzazione e riducendo la loro forza lavoro ad un mezzo flessibile e disponibile ad essere impiegata quando, dove, e solo se serve. Così ad esempio il "capitalista toyotista" contrappone ad una minoranza di occupati meno precari (perché dispongono di F.L. con valore d'uso adatto alla produzione flessibile e perché scambiano intensificazione del lavoro con minore precarietà) una maggioranza di disoccupati e precari disponibile a ridurre il salario, la qualità delle condizioni di lavoro, la sicurezza, i diritti e la democrazia nei luoghi di lavoro.
Dunque Il capitale ha bisogno di realizzare la massima flessibilità e variabilità delle forme del rapporto di lavoro.
Per questo i capitalisti intendono affermare nei contratti di lavoro i principi di variabilità occupazionale e flessibilità professionale eliminando quelli attuali di garanzia e stabilità.
Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la posizione professionale non dequalificabile ed il relativo livello categoriale non devono più essere diritti automaticamente derivati dall'assunzione. Rapporto di lavoro, prestazione professionale e livello categoriale devono cambiare casualmente secondo le mutevoli condizioni dell'impresa e del mercato.
Lo scontro per la determinazione del nuovo quadro normativo è aperto e sarà una delle questioni sociali principali all'ordine del giorno dei prossimi mesi.

Il capitale ad esempio intende:
· allargare i contratti di formazione lavoro anche alle categorie professionalmente più' basse, favorendo così assunzioni a termine, a salario ridotto e sostenute con sgravi fiscali e previdenziali
· estendere il più possibile anche nell'industria le assunzioni a termine a carattere stagionale e precario il cui utilizzo è oggi prevalentemente concentrato in settori quali l'agricoltura ed il terziario
· legalizzare il lavoro interinale a cui il capitale guarda con interesse come strumento di regolamentazione organica e stabile delle nuove forme di rapporto di lavoro. Nel rapporto di lavoro interinale il lavoratore può essere affittato da un'azienda all'altra, passando per periodi di inattività e disoccupazione, in una logica di deregolazione totale.

Le proposte di legge sul lavoro interinale

Con l'accordo confederale è stata aperta la strada alla realizzazione di una legge sul lavoro interinale.
Le proposte, avanzate dai diversi soggetti interessati, prevedono che chiunque abbia avuto regolare autorizzazione possa costituire un'agenzia di intermediazione di mano d'opera, cui i lavoratori disoccupati ed in cerca di impiego si possono iscrivere. All'agenzia si rivolgono le imprese che intendono "affittare" mano d'opera per periodi più o meno lunghi riconoscendo una retribuzione corrispondente a quella prevista dal CCNL di appartenenza dell'azienda. Tutti fanno comunque riferimento alle due modalità sperimentate in Europa. E precisamente: in un caso il lavoratore iscritto all'agenzia di intermediazione, percepisce comunque nei periodi di non affitto, un assegno minimo a carico dell'agenzia (con la variante dell'assegno totalmente o parzialmente a carico dello stato); nell'altro l'agenzia di intermediazione funziona solo come luogo di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, senza alcuna responsabilità di erogare sostegni al reddito.

In parlamento sono state presentate tre proposte di legge:

· La proposta di legge Giugni.
Giugni, propone di garantire ai lavoratori iscritti all'agenzia, un assegno minimo mensile da erogare come indennità di mancato lavoro che verrebbe assorbito (superata una certa somma semestrale) dalla retribuzione eventualmente percepita per gli impieghi svolti. Questa proposta è fortemente avversata dalle compagnie multinazionali di intermediazione di mano d'opera per i costi che comporta.
· La proposta della Lega.
La Lega propone che le agenzie di intermediazioni possano stipulare convenzioni per l'utilizzo di F.L. disponibile iscritta alle liste di mobilità e che ad esse sia riconosciuto un compenso pari al 30% della retribuzione netta spettante al lavoratore "appaltato".
· La proposta di Forza Italia (ipotesi Mastella).
Forza Italia propone di ampliare il ricorso alle normative già esistenti in materia di lavoro a termine e di lavoro stagionale, senza inventare nuove tipologie di rapporto di lavoro. Riconosce la possibilità, per le imprese, di affittare la propria mano d'opera, attraverso una diversa definizione e liberalizzazione degli strumenti del "comando" e del "distacco". La retribuzione dei lavoratori assunti a termine, o affittati con il comando-distacco, dovrebbe far riferimento ai CCNL di appartenenza dell'impresa che assume o affitta, proporzionalmente alla durata dell'assunzione a termine o del comando-distacco.

Le associazioni multinazionali di intermediazione di mano d'opera, che già operano all'estero, propongono di istituire un fondo, gestito dalle imprese e dai sindacati, che deve curare la formazione del personale iscritto alle agenzie ed in attesa di affitto o appalto. In questo caso i lavoratori interessati percepirebbero un gettone di partecipazione alla formazione, invece di una integrazione retributiva. Le citate associazioni chiedono inoltre di estendere l'affitto e l'appalto di mano d'opera anche alle categorie professionalmente più' basse, cosa che non è trattata chiaramente nelle proposte di legge già presentate in parlamento.
Su questo aspetto il sindacato ha avanzato qualche obiezione poiché teme una eccessiva precarizzazione del lavoro "stabile". Ma Treu ha già messo in guardia i sindacati dal formulare eccessive rigidità nel fissare i limiti all'uso di forza lavoro in affitto. D'altra parte il Ministro del lavoro, anche sul trattamento economico dei lavoratori iscritti alle agenzie, si è premurato di andare incontro alle società di intermediazione.
In una intervista al "sole 24 ore", afferma infatti.
"Occorre verificare i costi di queste esperienze. L'indennità di mancato lavoro, come è prevista nel progetto Giugni ed in quello Mastella, rischia di rendere questo strumento non più appetibile per le imprese, e quindi, alla fine, può' rivelarsi controproducente"..."E' chiaro che anche le agenzie di intermediazione sono imprese come le altre, e quindi, devono poter avere un margine economico, devono poter far profitti".

L'attacco al salario diretto dal lato della retribuzione

La struttura retributiva fordista

La lotta di classe tra i lavoratori e i capitalisti ha prodotto i seguenti elementi della retribuzione fordista:

a) Retribuzione di base

É l'elemento direttamente collegato alla riproduzione del valore di scambio e del valore d'uso della F.L. Esso é costituito da tre parti:

1) La quota professionale ossia la parte di salario che paga il costo di riproduzione della F.L. secondo il suo particolare valore d'uso e che é rappresentata, nei contratti dal minimo tabellare per ciascun livello categoriale.
Nel dopoguerra, e fino agli anni '60, la contrattazione ha definito due quote-figure professionali di tipo taylorista:
· la prima, utilizzando il concetto "scientifico" di "lavoro qualificato", classificava l'operaio comune, quello che si stava preparando alla qualifica, e l'operaio qualificato (esistevano anche la classificazione inferiore di manovale e quella superiore di operaio specializzato, ereditate dalla fabbrica pretaylorista);
· la seconda, utilizzando il concetto di "paga di posto", classificava i lavoratori in rapporto alla posizione e alla relativa mansione (utilizzando i sistemi cosiddetti di job-evaluation).
Le lotte successive agli anni '60, hanno cambiato queste tipologie introducendo il sistema classificatore fordista così detto di "inquadramento unico" che invece della mansione valuta e remunera una particolare capacità lavorativa. Questo sistema rende visibile la relazione tra un particolare valore d'uso del lavoratore e un determinato salario, la fissa nell'assegnazione della categoria e di quest'ultima assicura la remunerazione indipendentemente dall'utilizzo ottimale del lavoratore stesso nel ciclo produttivo.

2) La quota di mantenimento
ossia la parte di salario che tutela o integra la retribuzione base di fronte a fatti esterni come l'aumento delle necessità o del costo della vita. Appartengono a questa quota:
· gli assegni familiari che sostengono il mantenimento della famiglia tenendo conto della sua dimensione e composizione
· la scala mobile che recuperava automaticamente una parte dell'inflazione.
La scala mobile, in quanto garantiva la tenuta della retribuzione di base, in tanto agiva come elemento fondamentale di unificazione economica della classe. Questa unificazione e quella tenuta, con i livelli occupazionali relativamente alti degli anni 60-70, hanno costituito la base strutturale e materiale del sindacalismo vertenziale fordista.

3) L'Indennità di mantenimento
ossia la parte di salario a sostegno dei costi che la F.L. deve affrontare per recarsi e mantenersi sul posto di lavoro. Le vertenze sindacali degli anni 60/70, avendo riaffermato il concetto che il salario dipende dalla quantità di beni e servizi necessari alla produzione-riproduzione della F.L., comprendevano e consideravano oggetto di contrattazione l'erogazione di servizi o di indennità sostitutive per la mensa, il trasporto, il vestiario, ecc., nonché numerosi rimborsi come quello previsto a sostegno delle spese scolastiche dei figli.

b) Retribuzione di anzianità

É l'elemento che, attraverso il meccanismo cosiddetto degli scatti di anzianità, collega automaticamente il livello dello stipendio agli anni di lavoro presso la stessa azienda. Esso dovrebbe servire a premiare la fedeltà aziendale, ma, essendo costituito da una rilevante percentuale (5%) sullo stipendio o su una parte di esso, ha finito per diventare un importante mezzo di adeguamento garantito del salario del lavoratore.

c) Retribuzione di produttività'

É l'elemento che recupera salario dagli incrementi di produttività secondo il grado di sottomissione dei lavoratori alla logica del cottimo o, il che é lo stesso secondo il grado di accettazione dell'idea che il salario sia determinato dalla capacità di rendimento del lavoratore. Esso si presenta in duplice forma:
· "retribuzione di produttività a riparto" e
· "retribuzione di produttività ad incentivo".
Preso a riferimento l'aumento di produzione derivato da maggior produttività:
* nella prima forma, si utilizza una quota della maggior produzione per migliorare le condizioni generali di tutti i lavoratori (premio di produzione in cifra fissa, riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario e di condizioni di lavoro, aumento degli occupati);
* nella seconda forma, il lavoratore ottiene un aumento individuale della paga calcolato mediante meccanismi (cottimo, straordinario, premi per obiettivo o di produttività) che dovrebbero misurare quanto i "produttori" (individualmente o in gruppo) siano capaci di aumentare il rendimento economico del capitale.
La composizione contrattuale delle due forme indica il grado di sottomissione dei lavoratori alla logica del cottimo. Se le richieste dei lavoratori sono costruite secondo la prima forma la sottomissione si riduce, aumenta in caso contrario. La sottomissione é massima quando tutta la retribuzione di produttività é regolata sulla base della seconda forma.
Negli anni 60-70, con la contrattazione aziendale sui premi (di produzione, feriali, a mensilità aggiuntive, ecc.) e con l'introduzione ed il continuo aumento del minimo garantito di cottimo, con la riduzione di orario a parità di salario, aumenta il salario di produttività a riparto e diminuisce di conseguenza il grado di sottomissione dei lavoratori alla logica del cottimo.

d) Retribuzione di merito.

É l'elemento elargito discrezionalmente dall'impresa a singoli lavoratori (superminimi, assegni ad personam, benefit, ecc.).

L'attacco alla retribuzione fordista

L'esaurimento del fordismo e le corrispondenti azioni del capitale, antagonistiche alla caduta del saggio di profitto, hanno determinato la crisi del relativo modello di retribuzione.
Il capitale oltre alla diminuzione del salario, realizzata riducendo l'occupazione, riducendo la retribuzione netta con l'eliminazione degli automatismi (scala mobile e scatti di anzianità) e con l'introduzione di retribuzioni ridotte (salario di ingresso, contratti di formazione lavoro), comprimendo le dinamiche rivendicative sul salario (tetti programmati di inflazione), deve ristrutturarne la forma e l'utilizzo, per facilitare la sussunzione della F.L. all'aumento dello sfruttamento ed alla intensificazione del lavoro propria della fabbrica fordista integrata e flessibile.
Cosi' ad essere attaccate e trasformate sono soprattutto le voci che costituiscono la retribuzione base di mantenimento e riproduzione della F.L. per distruggerne le caratteristiche stabili e difensive e spostare il baricentro del sistema salariale verso la retribuzione di produttività ad incentivo. Il salario non deve più corrispondere al fabbisogno monetario necessario al mantenimento e alla riproduzione della famiglia del lavoratore e, di conseguenza, essere rivendicabile in misura tale da permettere condizioni di vita normali. Esso deve invece diventare il compenso per le particolari capacità del lavoratore di produrre un determinato rendimento o risultato economico. Più tali capacità appariranno valide, più la classe accetterà di piegarsi alle condizioni produttive imposte dal capitale e più la sua F.L. sarà sfruttata per un salario "apparentemente" maggiore.
Dal punto di vista della determinazione delle forme della retribuzione, questo è lo scontro di classe attualmente aperto.
Vediamone lo svolgimento, mantenendo come riferimento gli elementi retributivi prima descritti:

a) Retribuzione di base.

La quota professionale.
La appartenenza categoriale, una volta acquisita, è garantita, in virtù del codice civile e delle normative contrattuali, indipendentemente dalla prestazione ottimale e dalla produttività che il lavoratore realizza; essa inoltre rappresenta una concreta rigidità alla dequalificazione poiché non é possibile adibire un lavoratore a mansioni di livello inferiore. Orbene, dato che i caratteri di stabilità e di difesa tipici del salario professionale non sono immediatamente piegabili alla nuova logica che prevede il predominio del salario ad incentivo e di merito, i capitalisti hanno messo in discussione il sistema dell'inquadramento unico.
Sono significative le seguenti note di Confndustria in preparazione degli ultimi rinnovi contrattuali:

Gli attuali sistemi classificatori sarebbero obsoleti e superati. La ristrutturazione dell'organizzazione del lavoro, la informatizzazione delle procedure e delle operazioni, le nuove tecnologie, avrebbero fatto nascere nuove tipologie di F.L., non adeguatamente rappresentate negli attuali dispositivi di inquadramento, i quali, appiattendo le differenze e non valorizzando le nuove specificità professionali, demotiverebbero lo sviluppo delle nuove professionalità.
In realtà, dietro questa "voglia di nuovo", si nasconde l'impossibilità di sussumere il salario professionale, così come è ora, e la necessità di disattivarne la portata stabilizzante e difensiva.
Con l'assenso sindacale, Confindustria ipotizza di scomporre la professionalità fordista (declaratorie contrattuali) in moduli professionali adattabili al ciclo lavorativo. Si cerca così di aumentare le distinzioni categoriali (da 8 a 12, ma anche a 16 come nel caso del contratto del petrolio) in modo che si costituiscano scale salariali facilmente utilizzabili per politiche di incentivazione.
Questa impostazione è sostenuta anche in sede di contrattazione aziendale, dove la pressione salariale dei lavoratori viene dirottata verso la formalizzazione di ulteriori "specificità professionali d'azienda" che ampliano ulteriormente la frammentazione già definita a livello nazionale.
Tuttavia, data l'oggettiva difficoltà di stravolgere completamente gli attuali sistemi di inquadramento (tutelati dal codice civile), si definiscono sistemi salariali paralleli legati al modulo-posto flessibile.
E' il caso dell'I.P.O. (indennità di posizione organizzativa), istituita con l'ultimo contratto dei chimici che Confindustria intende generalizzare a tutte le categorie e settori. Con questa innovazione contrattuale, che individua all'interno di ogni livello categoriale una graduatoria di indennità associate a particolari attività, l'azienda:
· può dare o togliere tale indennità, semplicemente spostando il lavoratore tra le attività nell'ambito della stessa categoria (che quindi non viene toccata);
· può sventagliare le paghe dei lavoratori di pari categoria incentivando la mobilità interna di posto e di mansione, o di contro, penalizzando le rigidità.
D'altra parte la stessa innovazione contrattuale permette di spostare quote di salario professionale a forme di salario ad incentivo. Gli aumenti contrattuali sono infatti riparametrati in parte sui livelli professionali ed in parte sulle I.P.O. e Confindustria si è già premurata di sottolineare che lo stesso si dovrà fare per la contrattazione salariale aziendale, che andrà riparametrata sulle I.P.O.
Siamo per ora in una fase iniziale e confusa (strutturata contrattualmente solo nei chimici), ma questa impostazione é sicuramente uno dei cardini della strategia padronale per la contrattazione.
L'obiettivo è lo smantellamento dell'inquadramento unico, affermando al suo posto sistemi modulari di valutazione funzionali alla flessibilizzazione ed alla intensificazione del lavoro.

La quota di mantenimento.
La sostanziale eliminazione della scala mobile, in quanto ha tolto e toglierà stabilità e consistenza a tutte le retribuzione di base (che periodicamente incorporavano l'importo di scala mobile), in tanto produce e produrrà la divisione-competizione economica tra i numerosi e diversi frantumi della classe. L'interesse dei frantumi "aristocratici" (i lavoratori più forti) sostenuto dal loro vantaggio competitivo e dalla "benevolenza" dei capitalisti (sostanziata di straordinari, aumenti di merito, ecc.), vuole istituire, a fondamento di un "nuovo" sistema retributivo, il compenso della capacità dei "produttori" di aumentare il rendimento economico del capitale. Come é evidente, siamo al ritorno della forma di cottimo.
Tutto questo diventa la base strutturale e materiale del sindacalismo concertativo.
Anche gli assegni familiari, che in qualche modo erano concettualmente legati al sostegno del carico familiare del lavoratore, non più rivalutati dalla legislazione, sono da tempo diventati elementi marginali della retribuzione del lavoratore.

L'indennità di mantenimento.
Il capitale mette in discussione tutte le indennità di mantenimento e, con accordi o ricorsi alla magistratura (ad esempio l'indennità di mancata mensa), le caccia fuori dalla categoria di salario.
Il fatto che il lavoratore sostenga dei costi (viaggiare e mangiare), per garantire la messa in produzione della sua merce F.L., è questione irrilevante per l'impresa che tiene in considerazione tale merce dal lato del suo consumo e non della sua riproduzione.
I capitalisti attribuiscono all'indennità di mensa, di trasporto, ecc. il carattere di vere e proprie "false spese aziendali"; operano quindi perché il lavoratore le sostenga in misura sempre maggiore, fino ad accollarsele totalmente.

b) Retribuzione di anzianità

Lo smantellamento degli scatti di anzianità, diventati ormai una garanzia difensiva del salario al pari della scala mobile e di tutte le altre forme di indicizzazione della retribuzione, é un passo importante nell'azione del capitale per la riduzione dei salari e per la loro ristrutturazione.
L'attacco alla retribuzione di anzianità, come per la scala mobile, è stato condotto:
· sul piano teorico mettendo in discussione gli automatismi, tacciati (anche da parte sindacale) di occupare spazi negoziali che competevano alla contrattazione, e di essere strumenti obsoleti di derivazione fascista e premianti di una fedeltà all'azienda ormai anacronistica;
· sul piano pratico procedendo, nei contratti di molte categorie, prima alla riduzione del numero di scatti di anzianità, poi alla loro liquidazione con la ristrutturazione del meccanismo. Alla fine si é prodotto un arcipelago di soluzioni, tutte orientate al seguente obiettivo: il salario di anzianità deve perdere la sua funzione difensiva e diventare un fattore marginale e residuale della retribuzione.

c) Retribuzione di produttività

Sappiamo che la prevalente composizione a riparto del salario di produttività ed il relativo basso grado di sottomissione dei lavoratori alla logica del cottimo riduce la concorrenza tra le diverse F.L. e ne favorisce la rigidità difensiva a fronte di peggioramenti delle condizioni lavorative. D'altra parte conosciamo anche l'assoluta necessità del capitale di aumentare l'intensità di lavoro, allungare il tempo di lavoro ed affermare modelli organizzativi più flessibili. É dunque evidente che la composizione a riparto della retribuzione di produttività costituisce un ostacolo da eliminare. Il capitale deve ridurla ed aumentare quella ad incentivo, deve cioè ottenere una adeguata sottomissione dei lavoratori alla logica del cottimo.
Questo é certamente l'attacco principale del capitale per realizzare la trasformazione delle retribuzioni.
Per quel che riguarda il salario il capitale deve ottenere la progressiva riduzione delle quote erogate a riparto. In particolare deve:
· sostituire i premi di produzione con i premi di produttività o di partecipazione, individuali o di reparto
· orientare la contrattazione a sistemi di compenso per "obiettivi" e "parametri oggettivi" costruiti sulla capacità di aumentare il rendimento economico di reparti, funzioni o singoli lavoratori.
Per quel che riguarda l'orario il capitale deve svuotare ogni riduzione che produca una reale diminuzione del tempo di lavoro o che sia collegata al recupero di posti di lavoro. In particolare deve:
· imporre ai lavoratori regimi di orario a maggiore flessibilità ed intensità di lavoro (part-time, job-sharing ossia un posto di lavoro in due, straordinari, lavoro al sabato e nei giorni festivi, scivolamenti dei periodi lavorativi feriali secondo le necessità della produzione)
· deviare le ferie e i riposi compensativi dalle loro finalità principali per destinarle a chiusure programmate funzionali alle necessità della produzione, alla copertura di brevi periodi di fermata per cause di forza maggiore, alla sostituzione di ammortizzatori sociali (va rimarcato che nei cicli continui i riposi compensativi dovrebbero essere goduti immediatamente dopo la loro maturazione ed invece sono cumulati e utilizzati in occasione di fermate per manutenzione).
In definitiva il capitale vuole conquistarel'utilizzabilitá permanente della forza lavoro.
In questa prospettiva anche il tempo di riproduzione diventa disponibile ed asservito alle necessità del capitale. E questa utilizzabilitá non va remunerata poiché si dichiara che serve a far sopravvivere l'azienda e (sic!) i posti di lavoro. Eventualmente può essere scambiata con qualche posto o con contratti di formazione e in futuro con lavoro precario (appena le nuove normative su lavoro interinale, lavoro temporaneo, ecc. lo permetteranno).

d) Retribuzione di merito

La riduzione del salario, soprattutto nelle sue quote dedicate alla riproduzione, al mantenimento ed all'anzianità, libera risorse da impegnare al finanziamento della ristrutturazione delle retribuzioni. L'uso arbitrario e sempre più massiccio della retribuzione di merito (benefit, assegni ad personam, superminimi) da parte delle aziende, e rivolto soprattutto verso le professionalità più tecniche e specializzate, è parte di questa strategia.

Con la retribuzione di merito si cerca di sottomettere sempre più alcuni lavoratori ad un rapporto di maggiore fedeltà all'impresa e ad aumentare la concorrenzialità tra i diversi frantumi della classe, tra diverse aziende, all'interno della stessa azienda e dello stesso reparto.

COME LA CLASSE OPERAIA RISPONDE ALL'ATTACCO DEL CAPITALE

Affronteremo questo argomento in un prossimo numero.
L'articolo seguente fornisce alcune indicazioni vertenziali di riferimento.

Note:


le parti del testo tra virgolette in corsivo sono tratte da:
K. Marx, "Salario prezzo e profitto", Editori Riuniti, p. 73-112
K. Marx, "Il Capitale", Libro terzo, Einaudi Editore, p. 327-333