Michel Bounan - Architettura

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MICHEL BOUNAN:

LA MEDICINA RADICALE DOPO GUY DEBORD

La nostra epoca è afflitta nel pensiero e nella carne dal virus dell'AIDS e da altre malattie mortali. La maggior parte delle spiegazioni mediche sembrano pseudoscientifiche e buone solo a generare più confusione e qualche strana campagna contro o a favore. Con Michel Bounan invece, che esercita la sua attività di medico omeopata a Parigi, ci troviamo di fronte ad un caso diverso: qui l'analisi scientifica è supportata da una precisa visione del tessuto reale in cui l'AIDS fa più facilmente presa e viene utilizzata per sgombrare il vasto campo delle false opinioni e per descrivere le cause delle malattie in una dimensione diversa. Bounan, nella sua ricerca medica, utilizza la prospettiva critica di Guy Debord e della sua Società dello spettacolo (il libro e il film che hanno ritratto fotograficamente la società contemporanea) e la accompagna con un'analisi delle situazioni comportamentali che stanno dietro l'esplosione delle malattie.

Nel "Tempo dell'Aids", attualmente introvabile nella sua traduzione italiana, Bounan esordisce precisando che la nuova epidemia di AIDS è "il prodotto più compiuto e terrificante delle condizioni sociali derivate dalla logica mercantile", e di come la stessa logica generi non solo il disastro, ma anche "l'insieme delle idee dominanti che lo riguardano". Allontanandosi dall' opinione che la diffusione di questa malattia avvenga esclusivamente attraverso contatti sessuali ed ematici, Bounan vede il virus dell' H.I.V. piuttosto come un "cofattore", un elemento che si aggiunge in presenza di stati vitali insufficienti e di comportamenti psichicamente degenerativi, tutte condizioni che il dottor Bounan indica come inevitabili conseguenze di un sistema economico e sociale che non solo è incapace di soddisfare le sue promesse, ma che sta portando alla distruzione della natura e del corpo umano che la abita. Sarebbe un errore immaginare Bounan come un moderno ciarlatano - d'altra parte la sua poco nota "Istigazione all'autodifesa" confuta tutte le accuse, che gli sono state mosse dopo l'uscita del "Tempo dell'Aids", di essere un ciarlatano, un mistico ed un omofobo - la sua tesi, infatti, trova riscontro in molte osservazioni di specialisti più noti, come il dottor Montagnier, le cui amare verità circa l'AIDS hanno raramente avuto il privilegio di essere diffuse dagli organi preposti alla presunta informazione pubblica. Ma Michel Bounan non parla solo da medico radicale. In altri suoi lavori, tra cui il non tradotto "La vie innomable", si intuisce che si sia prefisso lo scopo di far conoscere all'uomo moderno la sua tragica condizione e cioè che "la degradazione delle moderne condizioni di esistenza" viaggia incontrollata verso il Crash apocalittico, a meno che i "soggetti viventi", gli uomini risvegliati e coscienti, non intervengano per cambiare il corso delle cose. Mentre si parla della disoccupazione come se fosse l'unico flagello che attanaglia la vita di una nazione, vecchie e nuove epidemie unite all'alto numero di suicidi, all'inquinamento, al temibilissimo effetto serra e alle nevrosi quotidiane stanno mettendo a repentaglio la vita stessa, e tutto questo per un processo economico mondiale che non riesce a fare, e mai riuscirà, la felicità di nessuno. Per concludere vorremmo dire che Bounan ha cinquant'anni, e che solo recentemente ha cominciato a scrivere libri. Durante il giorno è spesso impegnato a trovare dei rimedi omeopatici per frenare lo sviluppo della malattia.

Bibliografia:


MISERIA DELL'ARCHITETTURA.

ARCHITETTURA DELLA MISERIA.

Le città sono ideologiche. Nella sostanza che le compone si é sempre insinuata l'idea di una cattura dello spazio-tempo che edificasse il mondo sui pochi, ristretti principi della Civiltà, malattia dell'Essere.

Dovunque edifici, paesaggi urbani, monumenti, ma guardiamo allo spazio residuo, alle strade, agli ambienti, ai cortili e ai loro effetti sui flussi, sugli accadimenti, sulle maniere. Guardiamo allo spazio contenuto, limitato, condizionato dall'urbanistica, osserviamo il nostro vivere indotto. E siamo nella Psicogeografia, che i Situazionisti usarono e ritennero, per un po', come la pratica radicale che fondesse Arte e Vita, con la creazione di un'urbanistica unitaria che si riapropriasse dello spazio comune e della vita imprigionata nei tempi ciclici. La Psicogeografia con cui Luther Blissett gioca e scopre i nostri comportamenti a causa dello spazio ideologico, attraverso la Deriva, il vagare senza mete razionali per vagare dentro se stessi, nell'inconscio ("fendere la folla" per i Surrealisti) e sentirsi finalmente liberi dai segnali e dai segni che spremono il nostro corpo per farne uscire atteggiamenti comuni e situazioni previste. Un controllo sociale senza guardiani, dove ognuno fornisce all'altro il modello dell'oppressione corrente, creando una catena di norme silenziose, di forme determinate. Eppure la forma non é l'immagine, l'immagine é più forte, più condizionante, la forma non fa altro che trasportarla al cuore dell'osservatore, mentre dietro di essa si annida l'immagine prevalente, percepita e poi trasformata nello stato d'animo corrispondente ad una certa idea (gli stretti passaggi del metrò, l'immagine di un abbandono al percorso, l'idea di un'inevitabile affidarsi al "già fatto", burocrazia geometrica).

E' molto semplice tutto questo, un bambino sa come fare, ma per gli adulti, per la mente razionale, i fantasmi che la grande giostra della città proietta sull'uomo diventano abitudini, diventano tragitti, gesti, carriere ed ambizioni. Le immagini che si esprimono da quelle forme diventano le nostre percezioni quotidiane ed é difficile sentire che non si é più sciolti e naturali ma condizionati, posti in meccanismi e meccanismi noi stessi. Ma strappiamo questa visione dalla trappola della razionalità: non sono i metri, le misure, le strutture, i larghi e i bassi a renderci i nostri comportamenti quotidiani, no, questi sono solo gli effetti. Quei larghi, quei bassi sono emanazioni di un certo modo di pensare il mondo che attraversa i secoli ormai da molti secoli e che, volta per volta, afferma il clan, il feudo, la classe, la mente. Un certo modo di pensare il mondo che ora si realizza sulle città e su di noi.

Le città sono ideologiche? Ma questo "già pensato", questa pratica della separazione che induce alla competitività, alla depressione o a quale altro stato prediletto dall'attuale fase del Dominio (il Capitale), dimostra tutta la sua fragilità ai buoni occhi del sentire totale, della percezione aperta. Come ad esempio avviene nella Deriva, girare pretestuoso che rigetta le frecce insinuanti dei comportamenti indotti e spinge il corpo-mente di fronte a se stesso, alla libertà dell'indipendenza. Ma anche le esclamazioni dei bambini sull'edificio che sembra un'aquila rannicchiata o un grosso mostro sdentato, anche questa ed altre ginnastiche poetiche aprono il velo di Maya, dello Spettacolo o organizzazione delle apparenze e mostrano lo stato del Dominio.

Prendiamo Napoli, facciamo un'onesta analisi locale (di altrove non se ne parla, si rischia il miraggio dell'Assoluto o la cantonata del Mito). Prendiamo Napoli, uno sguardo globale e sentiamo che la sua struttura viene dal mare, da lì si inerpica fino ai suoi monasteri, fino alle sue solitudini di periferia come blocchi esagerati di un Dominio che non tiene il passo alle sue crisi. Notiamola, é appassionante, estrema, rocambolesca ed ogni sua estensione sa dell'impegno preso, secolo per secolo, di esercitare un dominio speciale sugli abitanti. Osserviamo la struttura delle sue mitologie che per affermarsi si sono realizzate come totem, monoliti che irradiassero, tempo per tempo, l'idea prevalente dell'individuo prevalente, che dalla saggezza delle origini si allontanava attraverso la gestione delle tradizioni, limandole e mozzandole, ai fini di uno sviluppo senza crescita che arriva fino all'attuale condizione borghese diffusa. Una reificazione dell'alienazione e dello sfruttamento che per quanto si attuasse su canoni estetici, appassionanti ed erotici, non ha mai trovato, per fortuna, quell'unitarietà che oggi può vantare una metropoli come Parigi ed é passata da uno stato centralizzato dell'organizzazione delle apparenze ad un tentativo, ancora carente, di insinuarsi dal basso, attraverso l'intraprendenza locale dei suoi adepti.

Appassionante e divisa in quartieri, mitica per i suoi abitanti, ma di un Mito che si ricava dal vissuto delle sue strade e non dalla teoria dei suoi salotti. Liturgica, per la divisione in quartieri radicata nella mente degli abitanti, che si sforzano di racchiudere quel magma esistenziale in classi-quartieri con implicazioni di appartenenza e di modalità che alimentano il risentimento degli sfruttati contro gli sfruttatori (essere del Vomero commerciale contro gli oltraggiati Quartieri spagnoli e via dicendo). E dietro questa segmentazione c'é il grande gioco delle differenze tra centro e colline. La fuga dall'incontrollabile quotidiano su colline, prima di casta e poi di classe, e lì l'edificazione di templi all'oppressione sociale prevalente, palazzi residenziali e ville che funzionano da miraggi che abbagliano il nemico ed attraggono il complice. Condividere la prassi del Dominio, questo é il messaggio annidato nell'architettura di sfavillanti strutture che dopo aver disseminato con le loro immagini la storia del Centro, si sono ritirate in collina, lasciando lì i blocchi burocratici e amministrativi, che appaiono, così, più vicini a tutti, per un effetto di democrazia geografica che risolve nell'apparenza ciò che nega in realtà. O la contemplazione di castelli, oggetti di guerra e di sangue, che mistificano una storia che non é stata di tutti, ma decisa dai pochi che in quei castelli si ritiravano e che ora vorrebbero anche coloro che ne venivano esclusi ad adorarli, anzi, riunendo sotto quel falso mito glorioso la falsa gloria del potere politico presente, che viene messo a sbandierare dentro quegli stessi ambienti per servirsi della loro immagine collaudata per incutere timore (si, pensavo al Maschio Angioino). E le chiese, signore del plagio, induttrici di rassegnazione all'ordine sociale esistente, fin troppo facili da denigrare ripensando ai Situazionisti, che volevano, quella delle chiese, come l'immagine principale a cui ispirarsi nell'edificazione di radicalità e libertà. E i palazzi ricchi e nobiliari, irraggiungibili perchè costruiti nell'illusorio, nella menzogna di una felicità inesistente, ma che funzionano nell'affermare che una conquista é possibile solo accettando le leggi dei potenti. Poi i quartieri centrali, congestionati, dove ogni angolo degradato spinge alla fuga dentro i canoni dell'ascesa sociale. Dove le vie strette e mal ripulite, attraverso la depressione o la furia, dispongono i suoi abitanti al plagio da parte delle mitologie, si chiamino esse Merce o Religione. Le abitazioni si formano intorno all'idea di un nucleo familiare che riemuli quello borghese, con la sua mobilità sociale attraverso il sacrificio, oppure viva come un'estensione carnale che opprime la libertà del soggetto e lo lega alla propria oppressione. Qui, la scommessa del Dominio é di non dover più svelarsi, presentandosi con le proprie armi, ma di lasciare che le sue stesse vittime si facciano portatrici di menzogne, distribuendosele a vicenda. E tra queste case matte che lasciano sprofondare od aderire, si insinuano le grosse lingue delle strade commerciali, non più percorse come linee comunicative, ma come enormi espositori della famelica Merce che sta lì a misurare le proprie menzogne e a farsi desiderare dopo aver distrutto i desideri (qui, si potrebbe immaginare un'analisi sulla diffusione dei vari esercizi e modalità commerciali). Poi le piazze, dove tutto é più scoperto e le contraddizioni vengono a confronto e ne nasce una continua sfida di territorializzazione tra le istituzioni e le libertà, tra le conquiste mercantili ed i rancori popolari, in un alternarsi di verità e di menzogne, controllate dal falso generale di relazioni sociali tra individui mediate dalle immagini. E ovunque, tutto vorrebbe riportare nello strato sociale la grandiosità della Natura circostante, per sentirsi prediletti dell'Universo ed affermare che, in fondo, "tutto va bene così". Miseria dell'architettura ed architettura della miseria.

Le città sono ideologiche! Allora il pensiero borghese si é costruito le proprie conferme alle fermate degli autobus, ai banconi dei bar, nelle aule accademiche, che non solo servono a contemplarsi ma che condizionano tutte le azioni sotto la medesima idea, in un guardare il mondo da una prospettiva limitata. Un qualcosa che accetta i propri dogmi come presupposti, ma che una volta svelata mostra ciò che é: una pratica nata dal terrore dell'Essere. Eccola, intarsiata negli archi, nelle volte, nelle piazze, ribadendo la propria violenza, la propria fallimentare ambizione di conquistare il mondo. Essa é la Mente, lo stato di razionalità assoluta che distrugge il reale e che non viene solo da una classe ma dall'interno di noi tutti.

Tuttavia nessuno è sottomesso se sa andare oltre questa ristretta prospettiva, se apre la propria percezione e si rende consapevole che chi muove i fili siamo noi. Rifiutare il controllo significa innanzitutto non esercitarlo e saper assistere alla discesa di un sistema che si illude di detenere il Mondo.

Sono stato anch'io un pessimista, ho seguito Debord e la critica radicale giungendo fino al Nulla per poi rendermi conto che tutto ciò di cui ha bisogno un uomo è già lì e che solo il buio può impedirgli di vederlo. Ed anche se esiste chi approfitta della confusione degli individui per cancellare le loro potenzialità di amore e di rivoluzione, sempre e comunque queste energie cospireranno contro la banalità del Dominio.

Restano, allora, valide, le cose più semplici, le più chiare, per dire, come Lautréamont: "Io non accetto il male, l'uomo è perfetto, l'anima non sbaglia, il progresso esiste".

 

Zona Autogestita Multipla "DiegoArmandoMaradonaMontesanto"



 

 

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