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Stefano Mantovani
Cooperativa Salto Biralto

 

L'arte invisibile: percorsi espressivi

 

L'arte invisibile: percorsi espressivi Il mio intervento intende descrivere gli aspetti fondamentali del lavoro svolto in collaborazione con gli operatori e le strutture dell'U.L.S.S. n. 11 Opitergino-Mottense presso la Residenza Altinate. Il progetto obiettivo "La Tutela della Salute Mentale" elaborato dal gruppo di lavoro composto dall'equipe psichiatrica dell'U.L.S.S. n. 11, assumeva un'importanza rilevante in quanto per la prima volta dall'entrata in vigore della legge 180, tentava il superamento della struttura e della mentalita manicomiale, organizzando una serie di iniziative a carattere socioriabilitativo. Tra le varie attivita previste quelle a carattere animativo espressivo assumevano un ruolo prioritario. Nel periodo ottobre-dicembre 1989 allo scopo di approfondire il nostro grado di conoscenza della realta della struttura e per sperimentare alcune strategie operative viene realizzata una esperienza pilota. Sulla base dei dati e delle impressioni raccolte in questo periodo e stato possibile elaborare un programma di intervento biennale. Nell'approccio con gli ospiti, in questa prima fase, vengono privilegiati gli aspetti a carattere ludico-motorio e l'espressione corporea. Il luogo utilizzato era un salone interno alla stessa residenza. Lo spazio era stato svuotato dal mobilio precedentemente presente (tavoli, sedie, panche, ecc....) e veniva stesa su tutta la superficie una moquette. Le impressioni nel nostro vissuto esperienziale in questo primo periodo possono essere descritte come segue: Nell'immagine percepita emergeva come caratteristica dominante l'omogeneità. In tutti gli ospiti c'era qualche cosa di comune che non si manifestava nell'aspetto o nel comportamento, ma li prescindeva. Permeava le persone ed era cosi forte che alle volte sembrava coprire gli aspetti individuali.
Nella sfera delle relazioni azioni semplici come un saluto o un abbraccio erano in grado di andare oltre la formalita di queste azioni esse esprimevano piuttosto la ricerca di una comunicazione. I due messaggi apparentemente antitetici ci mostravano forse due aspetti della medesima realta, facce contrapposte della stessa medaglia? Un segnale forte descriveva una realta oggettiva, fatta di pazienti tutti uguali, con lo stesso "male". Essi erano soltanto "i matti". Ci chiedevamo se esistevano ancora o se la malattia che stava dentro di loro, o il tempo, o chissa quale altra causa li avesse svuotati, lasciando soltanto dei contenitori vuoti. Un segnale piu debole ci mostrava dei segni sbiaditi, quasi impercettibili, mediante i quali venivano trasmesse delle emozioni. Sopra o dentro le persone si era stratificata una condizione che li rendeva irriconoscibili e li omogeneizzava, negando cosi ogni aspetto della personalita e della soggettivita. I1 manicomio (cancellato dalla nostra cultura da piu di un decennio!?) era ancora presente ed emergeva in questa esperienza. Nei cosiddetti "Residui Psichiatrici" erano rimasti molti pazienti-ospiti che il manicomio se l'erano portato dentro. Era ed e presente nella quotidianita, nei rapporti, nel linguaggio, nelle dinamiche e in tanti altri aspetti che non si possono ne cancellare ne trasformare con un qualsia si gesto formale. L'insieme omogeneo di persone, comportamenti, luoghi comuni, era manicomiale altrettanto quanto ogni persona portava in se un manico mio e lo riproponeva a se stesso e agli altri nel contesto attuale. I deboli segnali percepiti ci incoraggiavano nel nostro percorso per l'individuazione del senso da far assumere all'intervento. Era necessario;coinvolgere l'intera struttura in un percorso riabilitativo alla riscoperta della soggettivita. Bisognava sconvolgere quell'equilibrio statico che la rendeva immobile (monolitica).L'attuazione della prima fase di lavoro, finalizzata alla ricerca del senso e dei contenuti dell'intervento, ci ha permesso di inviduare nel vissuto comunitario i seguenti aspetti;
- privazione dell'individualità;
- assenza di stimoli;
- mancanza di linguaggi funzionali ai bisogni comunicativi;
- appiattimento delle dinamiche interpersonali.
Proseguiamo descrivendo come il tempo e lo spazio agisca dei condizionamenti nel vissuto e nelle dinamiche degli ospiti. n tempo.
Gli appuntamenti giornalieri e settimanali nella programmazione della R.A., come in molte altre strutture aventi la stessa origine, si susseguono e si ripropongono identicamente giorno dopo giorno. Ogni giornata nella rappresentazione della temporalita assume aspetto e valenza modulare. Momenti come il pranzo, la merenda, il caffè ecc. vengono proposti alla comunita in orari prefissati e la loro successione scandisce il tempo. Gli ospiti partecipavano con puntualità da cronografo svizzero agli appuntamenti quotidiani sopracitati. All'inizio noi operatori esterni eravamo perplessi nell'osservare questo fenomeno di partecipazione semiautomatica di massa. La sistematicita con cui l'evento si ripeteva sottolineava che il tempo, all'interno di quel luogo, era scandito dal ripetersi di alcune cerimonie comunitarie. La successione di questi fenomeni agiti nel quotidiano in maniera perpetua fa assumere al tempo un aspetto ciclico. Lo svuotamento del significato dell'agire nel tempo colloca tutti gli eventi in un ciclo perpetuo, all'interno del quale anche la soddisfazione dei bisogni e agita nella privazione dell'espressione degli stessi. "La cerimonia del caffe" o quella delle docce o qualunque altra, riconfermava nel tempo presente "il ciclo perpetuo" che nel suo manifestarsi sembrava creare una specie di vuoto dentro di se e nei suoi dintorni. Lo spclzio Nel rapportarci con il significato della spazialita in una realta comunitaria ritengo importante rappresentare lo spazio del quotidiano in relazione agli aspetti istituzionali ed individuali. I1 loro equilibrio nel vissuto comunitario e un indice significativo nella determinazione della qualita della vita. Lo spazio istituzionale soddisfa le necessita delle persone che ospita, assicura tetto, protezione, nutrimento, soddisfa requisiti igienico-sanitari, ecc.... Una pianificazione razionale ed oggettiva, permette all'istituzione di affrontare e superare i problemi di gestione ordinari della struttura. Nel considerare lo spazio della R.A. e importante ricordare la sua origine manicomiale. Gli spazi grandi, quadrati, simmetrici certamente idonei dal punto di vista igienico sanitario e pratici nella loro gestione quotidiana nel rapporto con il soggetto non rispettano il bisogno dello spazio personale.
Come in molte altre istituzioni simili la negazione dell'individualita si manifesta nello spazio con soluzioni logistiche come le camerate a dieci o piu posti letto, i bagni comuni, l'assenza di armadi personali ecc....
I1 soggetto a cui l'istituzione si rivolge e la comunita e non il singolo ospite. L'equilibrio tra individuo e istituzione nella spazialita non e rappre- sentabile nella sua forma ideale. Cio che prevale e l'affermazione og- gettiva dello spazio "contenitore asettico", il non riconoscimento del- l'individuo manifestato nella negazione dei propri spazi ed un vissuto spaziale collettivo chiaramente anafettivo.

Gli obiettivi

Dopo le osservazioni, considerazioni e analisi bisognava stendere un programma operativo in grado di interagire con la realta e fornire sti- moli al fine di iniziare un processo di trasformazione.
L'impossibilita di agire una trasformazione radicale sulla realta ogget- tiva della struttura (camerate, saloni comuni, bagni, organizzazioni tem- porali) era uno dei limiti da tenere in considerazione. Potevamo comun- que agire sul tempo libero, sull'utilizzo e l'appropriazione degli spazi e sull'acquisizione di nuovi linguaggi.
La nostra esperienza professionale, d'altronde, si basa soprattutto sulle attivita espressive con finalita riabilitative ed educative. Gli obiettivi preposti per il biennio 1990/91 venivano definiti come segue:

 
Attivita espressive
Nel 1990 la nostra presenza nella struttura era articolata in due giorni di attivita con gli ospiti. Le giornate prevedevano la copresenza di due nostri operatori in uno o due laboratori della mattinata e uno o due nel pomeriggio.
Nel 1991 invece le giornate di intervento aumentano a tre alla settimana sempre con la copresenza di due animatori. Nei due anni le attivita proposte sono state:

Riportiamo di seguito alcuni degli avvenimenti realizzati durante l'intervento dall'ottobre 1989 alla fine del 1991.

 
Riportiamo alcune riflessioni fatte nel corso dell'intervento. Dopo l'individuazione degli obiettivi specifici e l'impostazione delle attivita, nell'attuazione del progetto bisognava affrontare alcune ipotesi di rischio. Una di queste consisteva nella possibilita che la struttura con i suoi meccanismi inglobasse, prima che ce ne potessimo rendere conto, la nostra propositivita. I nostri dubbi le nostre incertezze, il nostro osservare continuo attraverso le esperienze, il nostro agire tra spontaneita e consapevolezza ve- nivano messi alla prova da una realta forte, immobile, sicura. Il confronto diretto con essa non era facilmente sostenibile.
Temevamo di essere inghiottiti nelle dinamiche sterili dell'istituzione manicomiale, anziche agire la trasformazione della stessa.
I pazienti nella manifestazione della loro cronicita tendevano a trasferire abitudini e stereotipie anche nelle attivita proposte. Se gli sti- moli forniti durante il lavoro non fossero stati sufficientemente adeguati, avremmo potuto ottenere, invece degli elaborati espressivi, una ripetizione meccanica in un ciclo infinito della medesima produzione segnica.
L'attivita non doveva rimanere fine a se stessa ma bensi essere lo strumento per attivare un processo il cui fine era la riabilitazione. Una strategia utilizzata nel primo periodo (1990) consisteva nel variare continuamente le attivita, le proposte e gli stimoli forniti.
Questa fase progettuale era caratterizzata da una raffica di input e dalla continua mutazione degli eventi. Spesso gli oggetti prodotti e utilizzati in qualche festa o altro venivano bruciati dopo l'uso. La loro mancanza non lasciava alcun vuoto.
La distruzione dell'oggetto, vissuta come azione conclusiva di una fase di lavoro ricreava lo spazio necessario alla nuova progettualita.
Quello che rimaneva di ogni esperienza vissuta non poteva essere lasciato agli oggetti come evocatori di un bel ricordo. Nelle emozioni di ciascuno restava cio che era stato realmente vissuto.
Attraverso le rielaborazioni di gruppo venivano condivisi contenuti, emozioni e sensazioni di un'esperienza. In questi momenti comuni ospiti ed operatori creavano una dimensione corale per far rivivere e scambiare cio che rimaneva realmente nella memoria individuale e collettiva.
Un'ulteriore osservazione prende in considerazione alcuni fenomeni relativi all'utilizzo dello spazio verificatisi nei laboratori espressivi.
Inizialmente veniva utilizzato per l'attivita soltanto un salone inter- no. Dal carnevale 1990 ci "appropriammo" di una sala adiacente agli uffici degli operatori psico-sociali, interna alla R.A. ma esterna allo spazio quotidiano.Osservando gli ospiti notammo un'incongruenza nel loro comporta- mento rispetto alla spazialita. Nel laboratorio (esterno?) cominciavano ad emergere alcuni tratti della soggettivita. Gli ospiti discutevano, si lasciavano avvicinare, si espri- mevano e qualche volta, qualcuno era anche propositivo.
Nel ritorno allo spazio quotidiano (interno?) tutto scompariva. Tornavano in quel "limbo" in cui tutti eguali trascorrono il tempo infinito.
Cosa stava succedendo? Tale manifestazione era un segnale negativo? La struttura si stava dissociando, ammettendo la copresenza di due luoghi all'interno dei quali venivano svolte prassi molto diverse.
Nel "reparto" la quotidianita continuava la routine di sempre, nel laboratorio veniva stravolto il significato della presenza soggettiva con una stimolazione continua all'autoaffermazione e all'autostima.
I1 riconoscimento di queste due realta nel vissuto spazio-temporale portava all'identificare una diversita nella struttura e all'agire due diverse modalita relazionali.
Si era creato ed era stato riconosciuto un luogo parallelo allo spazio del quotidiano. Bisognava pero superare questa divisione che ammet
Una strategia utilizzata nel primo periodo (1990) consisteva nel variare continuamente le attivita, le proposte e gli stimoli forniti.
Questa fase progettuale era caratterizzata da una raffica di input e dalla continua mutazione degli eventi. Spesso gli oggetti prodotti e utilizzati in qualche festa o altro venivano bruciati dopo l'uso. La loro mancanza non lasciava alcun vuoto.
La distruzione dell'oggetto, vissuta come azione conclusiva di una fase di lavoro ricreava lo spazio necessario alla nuova progettualita.
Quello che rimaneva di ogni esperienza vissuta non poteva essere lasciato agli oggetti come evocatori di un bel ricordo. Nelle emozioni di ciascuno restava cio che era stato realmente vissuto.
Attraverso le rielaborazioni di gruppo venivano condivisi contenuti, emozioni e sensazioni di un'esperienza. In questi momenti comuni ospiti ed operatori creavano una dimensione corale per far rivivere e scambiare cio che rimaneva realmente nella memoria individuale e collettiva.
Un'ulteriore osservazione prende in considerazione alcuni fenomeni relativi all'utilizzo dello spazio verificatisi nei laboratori espressivi.
Inizialmente veniva utilizzato per l'attivita soltanto un salone interno. Dal carnevale 1990 ci "appropriammo" di una sala adiacente agli uffici degli operatori psico-sociali, interna alla R.A. ma esterna allo spazio quotidiano.
Osservando gli ospiti notammo un'incongruenza nel loro comportamento rispetto alla spazialità.
Nel laboratorio (esterno?) cominciavano ad emergere alcuni tratti della soggettivita. Gli ospiti discutevano, si lasciavano avvicinare, si espri- mevano e qualche volta, qualcuno era anche propositivo.
Nel ritorno allo spazio quotidiano (interno?) tutto scompariva. Tor- navano in quel "limbo" in cui tutti eguali trascorrono il tempo infinito.
Cosa stava succedendo? Tale manifestazione era un segnale negativo? La struttura si stava dissociando, ammettendo la copresenza di due luoghi all'interno dei quali venivano svolte prassi molto diverse.
Nel "reparto" la quotidianita continuava la routine di sempre, nel laboratorio veniva stravolto il significato della presenza soggettiva con una stimolazione continua all'autoaffermazione e all'autostima.
Il riconoscimento di queste due realta nel vissuto spazio-temporale portava all'identificare una diversita nella struttura e all'agire due diverse modalita relazionali.
Si era creato ed era stato riconosciuto un luogo parallelo allo spazio del quotidiano. Bisognava pero' superare questa divisione che ammettendo la copresenza di due realta non interagenti tra loro, non avrebbe fatto crescere a sufficienza la struttura.
In un primo momento questa divisione poteva essere accettata al fine di costruire una credibilita' negli ospiti e negli operatori. Essa, in una fase successiva avrebbe favorito, l'azione di "intrusione" nel reparto e l'integrazione progressiva dei due luoghi paralleli in un'unica realtà.
Nel 1991 la programmazione delle attivita espressive alla R.A. diviene piu strutturata fornendo riferimenti spazio-temporali maggiormente definiti e lasciando uno spazio piu ristretto all'estemporaneita iniziale. Cresce anche il livello di integrazione con le altre attivita e la collaborazione con le altre figure professionali. Inizia anche, una suddivisione degli ospiti da inserire nei laboratori, per contiguita' di interessi e per potenzialita espresse.
Tutto cio ha contribuito alla progettazione di questa mostra, che ha come finalita il proporre la realta del malato di mente cronico, attraverso gli elaborati artistici dello stesso come strumenti per ricostruire una comunicazione sociale.


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