Appunti 6

Vorremmo capire.

Siamo tra coloro che non potevano condividere la logica del "di più di tutto" alla base del referendum contro la Legge 12, convinti che nella qualità dei sistemi posti in rete e in sinergia e non sulla moltiplicazione o razionalizzazione di servizi autoreferenziali si giochi il futuro (non solo nella sanità). Ci sembra utile ad esempio definire meglio alcuni punti fermi in uno dei nodi del sistema: i distretti.

1) la ragion d'essere del Distretto e squisitamente connessionale. Quand'anche ricco (come dovrebbe essere e non è) di unita vuoi operative vuoi funzionali, il distretto non e il luogo del comando su queste unita operative, mentre e suo compito organizzare le interazioni tra di esse e con le altre componenti del sistema per costruire risposte ai bisogni di salute. Questa impostazione riduce anche l'eterno e sterile dibattito tra "poteri" dei Dipartimenti strutturali e "poteri" del Distretto. Il Distretto non deve governare i fattori produttivi dei Dipartimenti (e deve limitarsi fortemente nel governo dei fattori produttivi delle unita operative), ma ha il compito quasi esclusivo di costruire relazioni virtuose tra i diversi fattori produttivi e su questo si esercitare una forte autorità. (chi se non il Distretto può intermediare protocolli di relazioni e lavoro comune tra DSM e MMG, tra specialisti ed ospedale, tra servizi comunali ed aziendali, tra consultori e programmi oncologici per le donne, tra volontariato e servizi deputati, ecc.?) Non e quindi centrale la questione dell'attribuzione organica di uomini e mezzi (con dipendenza formale) alla struttura distrettuale, ma il ruolo di regia che il Distretto deve assumere, diventando punto di riferimento obbligato e responsabile del raggiungimento degli obiettivi sanitari. 11 punto di forza dei Distretti non e tanto la capacita di produrre in proprio prestazioni, ma quello di coordinamento e di finalizzazione di risposte fornite da più soggetti da mettere in rete.

  1. la ragion d’essere del distretto essenzialmente territoriale. Questo significa che sono fondamentali:
  1. una cartografia dei bisogni di salute prioritari percepiti come non affrontati adeguatamente nell’area di riferimento
  2. la perfetta conoscenza delle risorse istituzionali e non istituzionali disponibili
  3. la lettura dello scarto tra bisogni e risposte ed il conseguente lavoro critico pratico di progressiva riduzione di questo scarto (tempi di attesa, risposte a lato, disinformazione dell’utenza, doppioni, ipertrofia medicale e carenza, eccessivo carico familiare o deresponsabilizzazione della famiglia, pratica di provata inefficacia, ecc.).
  1. Il Distretto non può essere progettualmente autarchico. Intendiamo con questo che deve essere attraversato da una progettualità a livello almeno aziendale su aree (minori, anziani, handicap, donne, ed. sanitaria, riabilitazione, ecc.). Le azioni programmate ed i progetti obiettivo devono essere aziendali o interaziendali e "informare di se" i Distretti in modo da costituire verifica continua di poteri, pratiche, obiettivi, innovazione. Il percorso è: progetto – gestione da parte del distretto – fall out sul progetto.
  2. Il Distretto non ha nulla da mutare dall’organizzazione ospedaliera.
    a.	Non è tanto un erogatore in proprio di risposte quanto un luogo di indirizzo forte di risposte erogabili da più diverse agenzie: è il "rappresentante della domanda" (deve essere quindi anche capace di modificare criticamente il rapporto tra bisogno e domanda quando questo è evidentemente perverso).
    b. E’ essenzialmente che le unità operative siano produttrici di identità e di professionalità specifica per i propri addetti, ma anche di una grande flessibilità: molte delle prestazioni di ciascun addetto devono essere monodisciplinari e " interne all’unità operativa", ma molte altre devono essere agite i équipe interdisciplinari ( e queste devono essere governate dal Distretto).

 

Ferme restando queste valutazioni generali sui Distretti, va detto che il sistema territoriale è ancora in fase di crescita e di sviluppo ed è quindi necessario che vengano progettate ed organizzate le unità di lavoro periferiche. In buona sostanza si può affermare che i Distretti debbano considerare, in questa fase propedeutica, il bisogno di essere una sorta di "strutture incubatrici" di unità operative e/o funzionali con le quali contribuire a costruire la rete di servizi.

 

Punto importante delle politiche territoriali è lo sviluppo quindi di una organizzazione operativa che sia in grado di schierare unità di lavoro qualificate e professionalmente valide. In questo senso vanno riviste e riprogettate forse anche l’Assistenza Domiciliare e le RSA. La prima deve sempre più attivarsi come intervento "sanitario" integrandosi per le restanti necessità con gli Enti Locali e con l’associazionismo. In sostanza uno strumento qualificato a disposizione del Distretto capace di fornire supporto infermieristico alla presa in carico del paziente, in collaborazione con il Medico di Medicina Generale e con gli specialisti. Le RSA non vanno viste solamente come una valvola di sfogo per le dimissioni ospedaliere, ma come una struttura protetta di aiuto per u percorso terapeutico riabilitativo che può essere anche governato direttamente dal MMG e dall’ADI e quindi dal Distretto, anche in collaborazione con competenze specialistiche ospedaliere. Appare suggestiva l’opzione di creazione di RSA focali, rivolte cioè a persone con particolari problemi riabilitativi.

 

Vogliamo uscire dai vicoli ciechi di una riforma desiderata a cui vogliamo chiedere invece di affrontare la sfida della complessità del sistema. E preghiamo di credere che siamo convinti fino in fondo che l’aggancio con una corretta valutazione dei costi, un oculato uso del denaro siano elementi cardine di questa complessità. Siamo consapevoli che la limitatezza delle risorse impone un uso oculato delle medesime e che il contrario comporta gravi danni ai cittadini.