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NOTIZIE EST #29 - BULGARIA/MACEDONIA/KOSOVO
15 marzo 1998

LA RUSSIA, LA BULGARIA E LA MACEDONIA
di Plamen S. Cvetkov

[Pubblichiamo questo articolo tratto dal numero dell'11 febbraio del quotidiano "Demokracija", organo della SDS, il partito di destra attualmente al governo a Sofia, perché è un'ulteriore conferma del clima isterico che regna ultimamente in Bulgaria, anche a livello governativo, riguardo alla questione macedone, in particolare da quando è salita la tensione nel Kosovo. La pubblicazione da parte nostra non comporta in alcun modo una condivisione dei punti di vista dell'autore - a.f.]

La visita del presidente macedone Kiro Gligorov in Russia non poteva che intrecciarsi con la drammatiche trattative tra Sofia e Mosca riguardo alle forniture di gas naturale dalla Russia. La generosa promessa, fatta dai russi a Gligorov, di aprire circa quindici cattedre di "lingua macedone" nelle università russe è un tentativo diretto di ricatto nei confronti della Bulgaria. Il flirt della Russia con la Repubblica di Macedonia non poteva che essere prevedibile. E' almeno dal XIX secolo in poi che la Russia si attiene ininterrottamente alla dottrina di Stojan Novakovic che prevede la "macedonizzazione" come prima fase della "serbizzazione". Non importa che venga giustificata con motivi di solidarietà "di classe" o "slava", l'obiettivo ultimo rimane quello dell'assimilazione di tutti i popoli sotto lo scettro dell'autocrate russo oppure sotto il pugno di qualche "condottiero del proletariato mondiale". L'alleanza tra Mosca e Belgrado è dettata da crude realtà geopolitiche - la Bulgaria è un ostacolo sulla strada della Russia verso Istanbul e i Dardanelli, mentre la Serbia rappresenta uno sbarramento contro l'influenza dell'Occidente nei Balcani. E' vero che a causa dei loro interessi strategici, gli Stati Uniti difficilmente consentirebbero una penetrazione più seria della Russia in Macedonia, ma a Washington non dimenticano certo il regime non poi così democratico al potere nella Repubblica di Macedonia, un fatto che non sarà certo un buon attestato per un'eventuale accettazione nella NATO e nell'Unione Europea. Il rafforzamento dell'islamismo in Turchia porta invece i circoli di potere americani a cercare nuove garanzie per la sicurezza e la tranquillità della penisola balcanica. A Washington già più di una volta hanno messo in evidenza che dopo la fine dell'impero sovietico l'umanità è minacciata innanzitutto dal narcotraffico e dal fondamentalismo islamico. Per contrastare queste due minacce, il Patto atlantico dovrà cercare punti di appoggio e comunicazioni in Albania, Macedonia, Grecia e Bulgaria. Il rischio, per la Bulgaria, risiede soprattutto nella possibilità che la diplomazia americana e quella russa possano cominciare a fare la gara a chi riesce ad accattivarsi di più i governanti di Skopje, un'eventualità che porterebbe a un appoggio sempre più evidente al macedonismo sia da parte di Washington, che da parte di Mosca. Una tale gara potrebbe però seppellire definitivamente gli sforzi americani e della NATO per una pacificazione dei Balcani. Il fatto è che il macedonismo costituisce una minaccia prima di tutto per il governo del giovane stato macedone. Di fronte all'inarrestabile disfacimento della Jugoslavia, la nomenklatura titoista è stata costretta a dichiarare l'indipendenza della Macedonia, imponendo tuttavia una costituzione basata sul dogma marxista-leninista delle nazioni e delle minoranze nazionali. Conformemente a questo postulato, la Macedonia si è definita come lo "stato della nazione macedone", ovvero del "popolo macedone". Naturalmente, si professa solennemente l'uguaglianza tra il "popolo macedone" e le "minoranze nazionali" e in particolare si nominano gli albanesi, i valacchi, i rom, i turchi e altre comunità etniche. La cosa più allucinante è che in stile pienamente orwelliano, la divisione dei cittadini macedoni in una "nazione" e in alcune "minoranze nazionali" non fa che rendere l'"etnia macedone" più uguale delle altre. In altre parole, la crescente tensione interetnica è programmata dalla stessa costituzione macedone e l'isterica convalidazione delle falsificazioni moscovite e belgradesi sui macedoni come qualcosa di completamente diverso dai bulgari, non può che portare il focolaio sempre più divampante del Kosovo dentro alla stessa Macedonia. Un giorno forse la Russia diventerà uno stato veramente civile e democratico. Nell'attesa di un tale miracolo, la nostra reazione difensiva non potrà essere altro che quella di preparare nel più breve tempo possibile una strategia a lungo termine per la diversificazione delle nostre fonti di materie prime, per non essere dipendenti unicamente dal mercato russo. La nostra stessa sopravvivenza come stato e nazione richiede tuttavia anche un ricupero della nostra memoria storica, poiché senza memoria non vi può essere volontà di vita. E' giunto ormai il tempo di comprendere che l'"ideale di San Stefano" [nel 1878, con il congresso di San Stefano, su pressioni russe, è stato creato uno stato bulgaro che comprendeva i territori dell'attuale Repubblica di Macedonia, della Macedonia greca e di parte della Serbia meridionale, che è rimasto l'obiettivo di tutti i fautori di una "Grande Bulgaria". Il congresso di Berlino, su iniziativa delle potenze centrali, ha invece limitato i confini della Bulgaria più o meno a quelli attuali - n.d.t.] non è altro che un patto per un'occupazione russa a lungo termine, mentre d'altra parte a Skopje devono finalmente capire la semplice verità pronunciata in occasione delle ultime elezioni presidenziali dal principale candidato dell'opposizione macedone, Ljubco Georgievski [leader della VMRO-DPMNE, un partito nazionalista nel quale recentemente sono cresciute le tendenze filobulgare e che secondo i sondaggi dovrebbe vincere le elezioni dell'ottobre prossimo - n.d.t.], e cioè che il termine "macedone" deve indicare ogni cittadino della Repubblica di Macedonia, senza riferimento alla sua provenienza nazionale o alla sua confessione religiosa.

(da "Demokracija", 11 febbraio 1998 - l'autore è uno storico, membro dell'Accademia delle Scienze bulgara)

SCIOPERI A RAFFICA E PROBLEMI CON I MILITARI IN BULGARIA

Le tendenze nazionaliste o direttamente scioviniste che a Sofia si fanno sempre più influenti in ambito governativo o para-governativo (Accademia delle Scienze) sono forse anche un sintomo della difficoltà del nuovo potere di affrontare i problemi economici e politici del paese. Negli ultimi mesi la Bulgaria è stata attraversata da un'ondata di scioperi: i minatori hanno piegato il mese scorso le resistenze del governo ottenendo ampi aumenti, a spese tuttavia dei lavoratori degli uffici amministrativi del settore, che hanno dovuto subire pesanti tagli ai posti di lavoro. Blocchi ferroviari sono stati organizzati dai lavoratori del complesso chimico Plama, sul Mar Nero (uno dei più grandi del paese), che rischia la chiusura. Altri lavoratori della stessa regione hanno anch'essi scioperato in solidarietà con i propri colleghi. Negli ultimi giorni, infine, dopo un blocco del traffico navale sia sul Mar Nero che sul Danubio per uno sciopero dei marinai, è stato semibloccato il traffico ferroviario in tutto il paese, dopo che una parte dei sindacati dei ferrovieri ha rifiutato di firmare un accordo che prevede aumenti degli stipendi nettamente inferiori a quelli richiesti. Il governo ha fatto intervenire forze dell'ordine e addetti del genio militare per estromettere i macchinisti in sciopero dalle locomotive e affidarne all'esercito la conduzione, "con enormi pericoli per i viaggiatori", affermano i sindacati dei ferrovieri. Il ministro delle finanze per ora continua a rifiutare ogni dialogo. Infine, anche i pensionati si sono mobilitati, con manifestazioni regolari che si tengono ogni settimana di fronte al Ministero degli Affari Sociali.

Problemi anche a livello militare, per il governo del premier Kostov. Alcuni giorni fa il gen. Marin, che comanda l'intero settore missilistico del paese, si è pubblicamente pronunciato contro l'adesione alla NATO, che è stata richiesta alla Bulgaria, secondo le sue parole, "con modalità disoneste". Convocato immediatamente dal presidente della repubblica Stojanov, il gen. Marin è stato sollevato dal proprio incarico: "a nessun militare è e sarà consentito criticare la scelta del governo di aderire alla NATO", ha dichiarato il presidente della repubblica.

(fonti: "Kapital", "Kontinent", "Demokracija")