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![]() L'Europa OrientaleNOTIZIE EST #17 - EUROPA ORIENTALE L'EUROPA ORIENTALE TRA CRISI IRACHENA E NATO LA CRISI IRACHENA - La drammatizzazione data dagli Stati Uniti alla crisi irachena ha costretto molti paesi dell'Europa Orientale, nella fase ancora delicata di un allargamento a Est della NATO, a fare una scelta di campo tra Washington e Londra da una parte, e le posizioni più moderate di Parigi, Mosca e altri paesi, dall'altra. Sulle rispettive decisioni ha evidentemente pesato la maggiore o minore prossimità dei singoli paesi a un'ammissione nel Patto Atlantico. Tra tutte le posizioni spicca quella della REPUBBLICA CECA, che ha dato tutto il suo appoggio agli Stati Uniti con le dichiarazioni del ministro degli esteri Sedivy e soprattutto con quelle del presidente Havel, che in un discorso alla nazione si è detto favorevole a una partecipazione diretta del suo paese a un'azione militare, pur ritenendo improbabile che "sarà un jet ceco a colpire il palazzo di Saddam Hussein". Schierata con gli USA anche la POLONIA il cui ministro degli esteri Geremek (un noto ex-dissidente come Havel) ha promesso personalmente a Madeleine Albright durante una visita a Washington che la Polonia invierà una propria unità nel Golfo se gli Stati Uniti decideranno un attacco militare. Sul piede di guerra anche l'UNGHERIA, che non ha voluto essere da meno, promettendo di "appoggiare la coalizione internazionale con ogni mezzo disponibile", come già nel 1991. In particolare, il ministro degli esteri ungherese ha parlato di logistica, trasporti e permessi di utilizzo dello spazio aereo, con evidente riferimento alla grande base militare di Kaposvar, dove già stazionano truppe e aerei americani di sostegno all'intervento in Bosnia. Sul netto pronunciamento di questi tre paesi ha evidentemente pesato l'ansia di non sfigurare di fronte agli USA nell'imminenza di una loro ammissione alla NATO, tanto più che da Washington sono di negli ultimi tempi giunte voci preoccupate per la recente profonda crisi politica nella Repubblica Ceca, che mina la stabilità del paese, e per l'insufficiente livello di preparazione delle forze militari polacche, per le quali Washington chiede a Varsavia un aumento delle spese militari. La SLOVENIA, che attualmente è membro temporaneo del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, ha da parte sua dichiarato ufficialmente che voterà a favore di "ogni risoluzione che preveda il ricorso all'uso della forza". Altri paesi, meno pressati da scadenze vicine, si sono schierati a favore degli americani, ma con maggiore moderazione. La ROMANIA, nella persona di un portavoce del ministero degli esteri, si è pronunciata a favore del progetto USA, pur dicendosi preoccupata dalla situazione. Il governo di Bucarest, secondo il portavoce, è in costante contatto con Washington e il ministero "non conferma e non smentisce" le voci sul possibile invio di un contingente. La BULGARIA, il cui presidente Stojanov è stato in questi giorni ospite di Clinton, ha espresso la speranza che non si giunga a un'azione militare, pur dichiarando la propria comprensione per l'atteggiamento aggressivo degli USA. Stojanov ha tenuto tuttavia a ricordare che il suo paese vanta nei confronti dell'Iraq un credito di 2 miliardi di dollari che dal 1991 non può ricuperare a causa del rispetto delle sanzioni. Questo credito, insieme ai soldi che la Jugoslavia deve al suo paese e che sono anch'essi bloccati dalle sanzioni ancora in vigore, sarebbe sufficiente a ripagare l'intero, pesante debito estero del paese, ha fatto notare Stojanov. L'unica voce stonata è stata quella della SLOVACCHIA, e cioè proprio quella di un paese emarginato dal processo di espansione della NATO. Il portavoce del ministero degli esteri di Bratislava ha affermato a chiare lettere che la "Slovacchia si opporrà con tenacia" all'uso della forza contro l'Iraq e insisterà "presso la comunità internazionale affinché venga vietato il ricorso alla forza come mezzo per risolvere le crisi". LA NATO - Negli ultimi giorni si è riunuto a Bruxelles il Consiglio della NATO, che ha esaminato i piani per il proseguimento delle proprie operazioni in BOSNIA. I paesi membri hanno deciso di continuare l'operazione con la stessa quantità di forze attualmente in campo (35.000 uomini) almeno fino alle elezioni del prossimo settembre, dopo di che l'Alleanza prenderà in considerazione un'eventuale lieve riduzione della propria presenza. Tutti i rappresentanti si sono detti favorevoli alla creazione di "unità speciali" per il mantenimento dell'ordine pubblico. Si dovrebbe trattare di vere e proprie unità paramilitari e come paragoni sono stati citati i carabinieri italiani, la gendarmeria francese e "le forze di polizia britanniche nell'Irlanda del Nord" [sic]. Alle domande dei giornalisti che chiedevano maggiori particolari sui compiti di tali unità, i rappresentanti dei paesi membri della NATO hanno risposto che più che l'arresto degli accusati di crimini di guerra (che rimarrebbe di competenza delle strutture militari) queste forze paramilitari si dovrebbero occupare "del controllo delle folle e di eventuali sommosse". Va infine fatto notare che secondo fonti non ufficiali citate dal quotidiano di Belgrado "Nasa Borba", gli Stati Uniti sarebbero pronti a fare ricadere sulla missione in Bosnia un'eventuale crisi tra alleati in merito a un attacco militare contro l'Iraq. Nuovi sviluppi per la NATO e gli USA anche in altri paesi vicini. Gli Stati Uniti, nella persona del comandante delle forze alleate in Europa Wesley Clark hanno ufficialmente richiesto alla CROAZIA l'uso di basi militari nel paese per lo stazionamento di propri effettivi di supporto alle proprie operazioni in Bosnia. Il ministro della difesa croato Susak ha parlato delle basi di Zadar e di Slavonski Brod come possibili candidate a essere cedute in uso agli americani. Entrambe le località sono di enorme importanza strategica: Zadar, infatti, è una città portuale che occupa una posizione centrale ideale sul Mare Adriatico, mentre Slavonski Brod si trova in Slavonia, la regione nella quale è iniziato il conflitto jugoslavo e che è stata restituita al controllo della Croazia solo di recente - la sua posizione è di notevolissima importanza, perché la città si trova praticamente al confine con la Bosnia e in prossimità al confine con la Serbia. Se questo progetto si concretizzasse (come appare quasi sicuro) gli USA disporrebbero di un "quadrilatero" di basi (Zadar e Slavonski Brod in Croazia, Kaposvar in Ungheria e Aviano in Italia) importantissimo per il controllo del Mediterraneo, dei Balcani e dell'Europa Centro-Orientale. La Croazia ha inoltre recentemente richiesto in via ufficiale di potere far parte della Partnership per la Pace, il programma della NATO per i paesi che intendono prepararsi per un'ammissione nel Patto Atlantico. Anche più a sud, la NATO sembra conquistare nuovi spazi. In JUGOSLAVIA hanno suscitato grande scalpore le affermazioni del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Momcilo Perisic, il quale ha detto che "la Jugoslavia deve aderire al programma NATO 'Partnership per la Pace', se non vuole rimanere isolata e se vuole prosperare in futuro". Affermazioni praticamente identiche sono state fatte da Vladimir Dodik, il neoeletto premier della REPUBBLICA SERBA DI BOSNIA, le cui parole sono state definite dal comando NATO di Bruxelles come "estremamente incoraggianti". In MACEDONIA è stato definitivamente varato il progetto di aprire la base militare di Krivolak, nel centro del paese, alle forze NATO che vi terranno esercitazioni permanenti con altri paesi dell'area. Inoltre, il presidente Gligorov ha chiesto alcuni giorni fa che a partire da agosto prossimo, mese in cui si ritireranno dalla Macedonia le forze ONU della missione UNPREDEP (in realtà si tratta di un contingente per due terzi formato da truppe USA), gli Stati Uniti stanzino un contingente di protezione nel paese, come d'altra parte aveva ipotizzato nelle settimane scorse Madeleine Albright. "Se gli Stati Uniti non saranno disponibili", ha detto Gligorov, "rivolgeremo la nostra richiesta alla NATO". Anche nell'Europa Settentrionale è stata varata una nuova iniziativa militare euro-atlantica di grande portata strategica. Germania, Danimarca e POLONIA hanno deciso di dare vita a una forza militare congiunta che controllerà le acque di accesso al Mar Baltico. La forza avrà sede nella città portuale di Stettino e sarà composta da tre divisioni (una per ogni paese) con un totale di 25.000 effettivi e costituirà la prima missione militare permanente della NATO nell'Europa Centro-Orientale. L'iniziativa ha suscitato le energiche proteste di Mosca, che ha accusato la NATO di "avanzare verso la Russia con le armi in mano". (fonti: RFE/RL, "Nasa Borba", "Nova Makedonija")
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