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ALLA CONQUISTA DELL'EST
di Andrea Ferrario

L'esito del processo di allargamento dell'Alleanza atlantica a Est, voluto soprattutto degli Stati Uniti, non è affatto scontato. Le sue ripercussioni andranno ben al di là della sfera militare. Ma quello che vuole essere uno sfoggio di sicurezza potrebbe anche rivelarsi un passo più lungo della gamba.

Come era prevedibile, il vertice russo-americano svoltosi alla fine di marzo a Helsinki non ha avuto alcun effetto sul processo di allargamento a Est della NATO, se non quello di confermare ulteriormente una situazione che si trascina ormai da alcuni mesi: da una parte l'Alleanza atlantica che continua a perseguire con aggressività la propria politica di espansione e dall'altra una dirigenza russa dura a parole, ma totalmente impotente nei fatti. In occasione del vertice che si terrà a Madrid ai primi di luglio, alcuni paesi dell'Est verranno pertanto invitati a entrare a fare parte della NATO. Va tuttavia sottolineato che si tratta solo di un invito e non di un'effettiva entrata nell'Alleanza, che avverrà solo tra due anni, nel 1999, in occasione del 50° anniversario della fondazione della NATO. Si apre così un biennio nel quale potremmo assistere a sviluppi imprevedibili e che sarà comunque carico di tensioni in tutta la regione.

TENSIONE IN CRESCITA
Se ne è già avuto un esempio a marzo, quando, a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro, alti esponenti dei governi di Polonia e Ucraina hanno accusato la Russia di ordire piani segreti per la destabilizzazione dei relativi paesi, mettendo apertamente in relazione tali accuse con l'opposizione dei russi a un allargamento della NATO. La tensione è cresciuta in aprile anche tra Repubblica Ceca e Slovacchia, che dopo la divisione della Cecoslovacchia avevano sempre mantenuto buoni rapporti. La Slovacchia ha deciso, pur non essendo tra i paesi che verranno invitati a luglio, di tenere un referendum su un'eventuale adesione alla NATO, causando un evidente nervosismo politico nella vicina Repubblica Ceca, il cui presidente Havel è stato costretto a ripetere in più occasioni che un referendum non è necessario "poiché tutti sono d'accordo" e definendo "paranoico" il premier slovacco Meciar. I ripetuti attacchi verbali da parte dei dirigenti cechi hanno portato prima al rinvio di una visita ufficiale di Meciar a Praga e poi al richiamo per consultazioni dell'ambasciatore slovacco nella Repubblica Ceca, mentre tra i due paesi si è aperta una lite riguardo alla suddivisione dell'oro della Repubblica cecoslovacca e riguardo ai rispettivi debiti.
Problemi potrebbero insorgere anche tra Romania e Ungheria, qualora quest'ultima dovesse avere la precedenza nell'ammissione all'Alleanza, come sembra ormai sicuro, ricevendo così un trattamento preferenziale che non mancherebbe di influire sull'ampia minoranza ungherese in Romania (più di due milioni di persone; anche in Slovacchia vive una vasta minoranza ungherese).
I rischi maggiori di crisi potrebbero tuttavia essere legati più all'economia e alla politica interna dei singoli paesi che ai rapporti tra le diverse nazioni. I tre paesi che verranno invitati (Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria, salvo sorprese dell'ultimo minuto) sono apparentemente tra i più stabili. L'economia ceca, tuttavia, sembra essersi lasciata alle spalle il periodo di stabilità per il quale il suo governo era stato tanto lodato, per entrare in una fase di recessione, con tutti i rischi che ciò comporta in un paese in cui il reddito reale della maggior parte della popolazione rimane ancora inferiore ai livelli di prima del 1989. Da più di un anno nella Repubblica Ceca si sono svolti a ripetizione imponenti scioperi di ferrovieri, medici, insegnanti e pensionati, mentre per porre rimedio a un deficit di bilancio e commerciale in crescita esponenziale, il traballante governo ceco intende operare dei tagli alle spese sociali, fin qui rimandati proprio per evitare di acuire le tensioni nel paese.
In Polonia stanno crescendo le forze nazionaliste e fondamentaliste cattoliche, che prevedono di allearsi, in occasione delle elezioni che si terranno quest'anno, in una coalizione incentrata su quello che rimane del vecchio sindacato Solidarnosc.

OMBRELLO ATLANTICO E LIBERO MERCATO
Anche alcuni paesi che con ogni probabilità a luglio non verranno ancora invitati ad aderire alla NATO hanno avviato riforme radicali al fine di rendersi più attraenti nei confronti dell'alleanza militare occidentale, che tra i requisiti irrinunciabili per l'ammissione di nuovi membri pone la democrazia (intesa come mancanza di ostacoli legali alla penetrazione economica e politica dell'Occidente) e l'esistenza di un'economia di mercato sviluppata. E' il caso della Romania, un paese in cui la frustrazione della popolazione per un governo immobilista e corrotto come quello di Iliescu, ha portato all'elezione di un nuovo governo che ha accelerato drasticamente il ritmo delle privatizzazioni (con i relativi licenziamenti di lavoratori) e dei tagli alle spese sociali, aderendo alle ricette messe a punto da FMI e Banca Mondiale e perdendo in pochi mesi, secondo le indagini svolte da vari istituti, l'appoggio dei propri elettori. Il neoeletto premier Ciorbea ha messo direttamente in relazione tali riforme con i requisiti per essere ammessi nella NATO. Politiche analoghe sono in corso di applicazione in Bulgaria, dove un nuovo esecutivo d'emergenza che governa in assenza di parlamento dopo le violente manifestazioni di gennaio, ha scelto come primo atto ufficiale internazionale proprio la richiesta di aderire all'Alleanza atlantica. Vi è inoltre la rivolta albanese (un chiaro esempio delle crisi che possono improvvisamente nascere per motivi economici e politici interni) che rischia di alterare il quadro dei Balcani, una regione in cui la NATO è già presente direttamente in seguito a un intervento militare (quello in Bosnia) che, come continuano ad affermare i funzionari dell'Alleanza, è stato il laboratorio di prova dell'allargamento a Est del Patto Atlantico. Vi è qui la possibilità di un riaprirsi della conflittualità tra Europa e USA rispetto alle sfere di influenza nella regione (come già era avvenuto in Jugoslavia, sulla pelle delle popolazioni).
Gli USA hanno recentemente cambiato la loro politica di interesse esclusivamente militare nei Balcani, dando vita alla SECI (Iniziativa per la cooperazione nell'Europa sud-orientale), che dovrebbe avviare nel prossimo futuro importanti progetti a egida esclusivamente americana, senza alcuna partecipazione europea. L'iniziativa ha suscitato la reazione negativa della Croazia, economicamente legata alla Germania, che ha tuttavia accettato controvoglia di partecipare come paese osservatore. Non è infine da sottovalutare il potenziale elemento destabilizzante, per la NATO, della presenza di nuovi membri la cui cultura, storia e tradizione hanno sempre seguito un'evoluzione diversa da quella dell'Europa Occidentale, per non dire degli USA.

LA russia ACCERCHIATA
Un'altra incognita è la reazione a lungo termine della Russia a quello che si sta delineando sempre più chiaramente come un accerchiamento da parte degli Stati Uniti. A nord, gli USA premono fortemente per un'integrazione nella NATO dei paesi baltici (Lituania, Lettonia, Estonia), ritenuta inaccettabile dalla Russia e alla quale si oppongono anche i membri europei dell'Alleanza. Americani e inglesi tuttavia collaborano già all'addestramento e al mantenimento di una forza navale congiunta dei paesi baltici, mentre Washington ha allo studio un trattato di sicurezza con le tre repubbliche, in attesa di una loro ammissione nella NATO. A ovest della Russia, a parte il previsto allargamento della NATO a Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e la presenza militare dell'Alleanza in Bosnia (cui si affianca quella americana in Macedonia, sotto la bandiera dell'ONU), aspetti ai quali abbiamo già accennato, stanno guadagnando rapidamente posizioni le forze politiche filoamericane in Serbia, Montenegro e Bulgaria, paesi che negli ultimi anni erano nella regione tra quelli più orientati verso la Russia. Anche l'Ucraina si sta orientando sempre più verso una politica filoatlantica, spinta a ciò dalla decisa politica di espansione americana e dall'impotenza dimostrata dalla Russia: il paese ha infatti chiesto di avere rapporti speciali con la NATO, ottenendo di recente un impegno in tal senso da parte del ministro della Difesa inglese Portillo. Negli ultimi tempi è cresciuta la tensione anche in Crimea, la penisola in territorio ucraino e a maggioranza russa, dove è di stanza la parte della flotta sovietica del Mar Nero ereditata dalla Russia. Il sindaco di Mosca Luzkov, uno dei candidati favoriti a un'eventuale successione a Eltsin, ha dato ampia risonanza al proprio appoggio ai russi di Crimea, mentre l'Ucraina insiste affinché la flotta russa abbandoni in tempi brevi la base di Sevastopol dove è attualmente di stanza.
Un esempio di quanto poco la NATO si preoccupi delle possibili reazioni della Russia è dato dal fatto che il giorno prima del summit Clinton-Eltsin gli americani hanno annunciato che a settembre terranno delle manovre navali congiunte con l'Ucraina proprio di fronte alle coste della Crimea.
Ma è a sud della Russia che gli Stati Uniti stanno attuando la politica di accerchiamento più aggressiva. Qui Washington appoggia militarmente i Talebani in Afghanistan, mentre alcune fonti ritengono che gli americani siano dietro anche alla fazione che si è ribellata con le armi all'accordo raggiunto nei mesi scorsi in Tajikistan tra il governo e i gruppi armati dell'opposizione, dopo anni di sanguinosa guerra civile. Gli Stati Uniti sono inoltre riusciti a entrare a fare parte del gruppo di mediazione tra Azerbaigian e Armenia per la questione del Nagorno Karabakh, aggiungendo una presenza fondamentale in una regione ricchissima di risorse energetiche.
Nell'Asia Centrale, assente l'Europa, l'America ha mano libera anche a livello economico e sta mettendo le mani sulle ricche risorse, soprattutto petrolifere, della regione. Anche in questa regione, tuttavia, vi sono situazioni di grande instabilità, come quella del Kazahstan, il cui governo ha da una parte firmato con società americane e inglesi contratti miliardari per lo sfruttamento delle proprie risorse petrolifere, mentre dall'altra non è in grado da mesi di pagare stipendi e pensioni e di trovare un rimedio alla miseria in cui versa la popolazione.

PENETRAZIONE AMERICANA
L'espansione americana all'Est, imperniata sulla NATO e sulla "Partneship per la Pace" (la struttura militare studiata appositamente per i paesi ritenuti ancora non idonei a fare parte dell'Alleanza atlantica), non avviene solo attraverso i patti militari e le multinazionali, ma anche tramite finanziamenti diretti della Casa Bianca alle istituzioni statali di questi paesi o alla miriade di fondazioni e organizzazioni non governative "indipendenti" che si sono diffuse capillarmente nell'area. Clinton ha chiesto e ottenuto di recente dal Congresso americano un aumento di più del 100% dei fondi per gli aiuti all'Europa Orientale. Nel nuovo bilancio, infatti, la cifra stanziata a tale fine passerà dai 400 milioni di dollari dell'anno scorso a 900 milioni di dollari. Questi soldi andranno a finanziare organizzazioni come la USAID, mirata a diffondere "la democrazia e il libero mercato" addestrando funzionari governativi, operatori dei media e quadri aziendali secondo i criteri americani, con una particolare attenzione, quest'anno, per i paesi dell'Asia Centrale. Un compito analogo, ma leggermente diverso, avrà la "Partnership per la Libertà", una nuova organizzazione che dovrà affiancare la "Partnership per la Pace". Molti dei fondi che le verranno attribuiti andranno direttamente a mezzi di informazione "indipendenti" e il Dipartimento di Stato americano ha citato come esempio dei paesi che potranno essere oggetto delle attività di questa organizzazione la Serbia e la Bielorussia.
Il malumore russo di fronte a questo accerchiamento è forte ed è aumentato da una grande frustrazione per le scarse contromisure che il paese è in grado di mettere in campo nel momento in cui sta vivendo una crisi politica e militare di dimensioni gigantesche. Il Ministro degli Esteri russo Primakov, fautore di una politica estera "eurasiatica", ha cercato di mettere in atto un'offensiva diplomatica sul fronte asiatico e più in particolare nei confronti di Cina, Iran e, in parte, India.
Con Cina e Iran sono stati siglati importanti accordi per la vendita di armi, un settore in cui la Russia risulta molto competitiva per un rapporto qualità/prezzo che non ha eguali sul mercato, mentre con l'India vi è solo un abbozzo di di ripresa degli intensi rapporti economici e militari dell'epoca sovietica. Con la Cina sono stati siglati anche importanti accordi sul reciproco riconoscimento dei confini e sulla riduzione delle truppe di frontiera, chiudendo in tal modo un conflitto che si trascinava da anni.
Secondo la stampa americana, è tuttavia improbabile che si giunga a un'alleanza stabile tra Russia e Cina, perché la forte crescita economica di quest'ultima dipende in misura essenziale dalle esportazioni, dirette in misura di quasi il 50% verso gli Stati Uniti. La Russia, a sua volta, ha crescenti problemi a controllare politicamente e militarmente la parte asiatica del suo territorio, sempre più spopolata di russi, che tendono a emigrare verso l'area europea, e popolata di immigrati cinesi, i quali portano con sé anche un sostanziale controllo economico della regione, grazie ai loro legami con la economicamente più dinamica patria cinese.
I russi stanno perdendo ogni influenza anche sulla Corea del Nord, che per risolvere l'enorme crisi economica interna dovrà con ogni probabilità giungere ad accordi con Cina e Stati Uniti, non essendo la Russia in grado di fornire alcun aiuto. Anche nella penisola coreana, tuttavia, i russi hanno giocato la carta della vendita di armamenti, minacciando di rubare agli americani uno dei loro migliori mercati asiatici, quello della Corea del Sud e suscitando una forte reazione da parte di Washington rispetto alle intenzioni di Seoul di acquistare missili dalla Russia. Nel complesso, tuttavia, l'elemento che più desta timore è il fatto che di fronte all'accerchiamento da parte degli Stati Uniti, l'unico elemento che conferisce ancora un peso decisivo alla Russia è il suo arsenale nucleare, il cui ruolo nelle politiche del paese diventerà presumibilmente sempre più centrale.

RISCHI PER L'EUROPA
L'allargamento della NATO e il contemporaneo accerchiamento della Russia da parte degli Stati Uniti espongono tuttavia anche i paesi occidentali ad alcuni rischi. Anzitutto si avrà un'alterazione degli equilibri interni all'Alleanza, che dovrà riconfigurare la propria struttura adattandola ai nuovi compiti di espansione militare e politica, nonché alla presenza di nuovi membri con esigenze e problemi del tutto diversi da quelli originari. A lungo termine, poi, le difficoltà di integrazione economica e monetaria tra i paesi dell'Unione Europea potranno ripercuotersi anche all'interno della NATO, accentuate dal fatto che in politica estera quest'ultima sta compiendo dei passi avanti da gigante rispetto all'allargamento dell'UE, rimandato ormai a tempi lontanissimi, con la conseguente perdita di influenza europea a est. Vi è poi il problema dei costi, che saranno pesanti soprattutto per i nuovi membri dell'Est e per gli altri paesi ancora in "sala di attesa", ma che rappresenteranno un onere non indifferente anche per le casse americane ed europee. A tale proposito vengono citate le cifre più disparate, che vanno da poche decine di miliardi di dollari (un'ipotesi comunque poco convincente) a svariate centinaia di miliardi di dollari, costi la cui suddivisione tra i vari membri vecchi e nuovi non è ancora stata definita e che gli Stati Uniti, se vorranno ottenere l'approvazione da parte del Senato, dovranno cercare di scaricare il più possibile sull'Europa e sulle già fragili economie dei nuovi membri.
Non va infine sottovalutato il fatto che l'ammissione nella NATO dei nuovi paesi dovrà essere ratificata dai parlamenti di tutti gli stati membri, un processo che nel corso dei prossimi due anni potrebbe rivelarsi non così privo di problemi come si suppone e che, per fare un esempio, è già stato usato come "merce di scambio" da parte della Turchia, la quale all'inizio di quest'anno ha minacciato di impedire l'allargamento con un suo voto contrario, nel caso in cui il paese non dovesse essere ammesso in tempi brevi nella UE.
Se l'allargamento a Est della NATO viene dato come un fatto scontato (e con ogni probabilità è da ritenersi come tale) è difficile prevedere quali saranno le conseguenze che il processo di espansione avrà nei prossimi anni. Quello che sembra essere oggi uno sfoggio di forza e sicurezza potrebbe rivelarsi nel tempo un impegno eccessivo dal punto di vista finanziario e politico, su un numero troppo vasto di fronti. In aprile, comunque, funzionari della Casa Bianca hanno lasciato intendere che Washington ha già allo studio una "seconda ondata" di nuove ammissioni nella NATO.

FONTI: "David Johnson's Russia List", OMRI, "International Herald Tribune"