"Le societa` sono sempre state plasmate piu` dalla natura dei media attraverso i quali gli uomini comunicano che non dal contenuto della comunicazione...E` impossibile capire i mutamenti sociali e culturali senza una conoscenza del funzionamento dei media."
Marshall McLuhan.
PREMESSA
La dizione "nuove tecnologie della comunicazione" fa immediatamente pensare ad un calderone ribollente di novita`, o presunte tali, in cui sia sufficiente immergere un mestolo, tirare su per il naso una minima quantita` di vapore per emettere una sentenza del tipo "manca il sale, non piacera` a nessuno" oppure "perfetta, non se ne potra` piu` fare a meno". (cfr. la profezia espressa cento anni orsono per il cinema...). In molti testi universitari capita spesso di trovare nella premessa l'auspicio ad una maggiore integrazione fra le varie discipline (sociologia, linguistica, filosofia...) che hanno contribuito e contribuiscono alla delimitazione di un campo di studio ancora vasto e non del tutto esplorato. Cio` e` assolutamente desiderabile, ma non solo: servirebbe integrazione, se parliamo di "nuove tecnologie della comunicazione", anche e soprattutto fra discipline tecniche ed umanistiche. Sarebbe auspicabile, infatti, che chi si occupa di studiare l'uso e le conseguenze della comunicazione veicolata da un mezzo conosca anche quest'ultimo, il suo funzionamento, per poterne capire il ruolo all'interno del processo nella sua globalita`.
Non sono totalmente d'accordo, dunque, con Fausto Colombo quando afferma che "la comunicazione "sintetica" non e` descrivibile a partire dalle tecnologie...ma si definisce come mix di tecniche e processi di socializzazione...". Non c'e` dubbio che tecniche e processi di socializzazione siano importanti ma risulta difficile immaginare come si possa pensare di capire un fenomeno complesso senza sapere...come funziona: e` un po' come tentare di capire il "mix" di socializzazione di un quartiere di Roma esempio di degrado senza esserci mai andati.
Ritengo che tutta la materia "new media" possa essere "attaccata" da tre punti di vista diversi: dalla parte della socializzazione (cioe` il come avvengono certi processi), dalla parte del soggetto coinvolto (quali sono gli effetti derivanti dai processi), dalla parte della tecnologia (attraverso quali strumenti). Fino a questo momento si e' letto e sentito molto sui primi due punti, ed e' per questo che ho cercato di mettere insieme una serie di osservazioni sul terzo, partendo dalla considerazione che il mezzo non puo` piu` essere considerato "trasparente": Se la televisione del gennaio 54 non fosse stata diffusa a livello nazionale non saremmo qui a parlare di unificazione linguistica, il che e` come dire che fino all'avvento della videoregistrazione personale, di "socializzazione derivante dal palinsesto alla carta" (Morcellini) non se ne intuiva neanche la forma. Quante discussioni, quante conferenze piene di "parole difficili" pronunciate forse senza riflettere a fondo sul loro reale significato, e soprattutto guardandosi bene dal fornire (o chiedere...) spiegazioni.
La prima parte, anziché dispiegarsi in tassonomiche classificazioni accademiche, parte con semplici osservazioni su di una serie di parole da molti usate, spesso, con troppa disinvoltura e scava intorno, con veloci pennellate, a riferimenti storici o tecnici. Da questi il gergo "da addetti ai lavori" e` stato accuratamente bandito, a parte le occasioni in cui e` cosa buona e giusta usare termini precisi; abbondano le metafore nelle spiegazioni "piu` complesse".
Il tono e` molto discorsivo, forse troppo, ma per uscire dall'impasse comunicativa ho pensato di immaginare un destinatario ideale: uno studente di Scienze della Comunicazione. Spero di aver evitato uno dei fondamentali problemi dei testi sequenziali, la noia, e spero, concludendo, che gli errori di natura concettuale o derivanti da lacune culturali specifiche siano ridotti al minimo...con la speranza di poter approfondire il lavoro in futuro, magari "in linea".
PARTE I
LE PAROLE DELLE NUOVE TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE
Introduzione alle "parole-contenitore"
Il motivo per cui esistono le "parole-contenitore" e` essenzialmente pratico: in una sola parola si ingloba come per magia un intero concetto, una storia, anni di fatti: un esempio per tutti e` "Mani Pulite" (con lettera maiuscola). Scrivendo Mani Pulite si intende tutta una serie di persone, fatti, eventi storici ecc. Ovviamente il motore di questo "trend" e` il giornalista e la testata per cui lavora: una parola e via, si evitano discorsi complicati, colonne di piombo (!). A volte pero` si esagera, nel senso che si da troppo per scontato che tutti sappiano di cosa si parla, sotto l'etichetta semplice semplice oppure, ancor peggio, e` proprio il giornalista a non sapere di cosa sta parlando. In questo caso egli usa le "parole contenitore" come "parole magiche", per accreditarsi nei confronti del lettore, il quale fara` lo stesso con un amico e via dicendo. Con un poco di fortuna, insistendo per un periodo di tempo sufficiente sulla chiavetta di avviamento, il motore si mette in moto definitivamente e la nuova parola-contenitore "decolla", nessuno si chiede piu` bene cosa significhi veramente. E` successo, per esempio, con la parola "telefonino", voluta per rendere piccoli (almeno a parole) i telefoni cellulari che all'epoca proprio piccoli non erano (dopo sono diventati piccoli davvero).
Nel settore che piu` ci interessa le parole-contenitore vanno sul serio per la maggiore, purtroppo piu` in senso negativo che positivo. La realta` e` abbastanza triste: esperti, scrittori, giornalisti "della carta stampata" ed inspiegabilmente anche studenti usano con disinvoltura etichette di cui spesso ignorano i significati, evidentemente con gli stessi scopi dei giornalisti di cui sopra, oppure, in buona fede, per averle da altri ascoltate. La parola-etichetta piu` abusata del momento e` senz'altro "multimediale", che suona accidentalmente molto bene! Spesso la fortuna di certe parole e' indubbiamente legata alla piacevolezza della loro pronuncia: "multimediale", con la sua doppia "emme" suona quasi doppiamente bene di "mastice", che pero` ha in piu` una notevole forza onomatopeica. Ora, "multimediale" e` un'etichetta che non dovrebbe proprio trovar posto nel futuro dato che si riferisce ad un passato che stiamo veramente superando, siamo qui per questo.
Il problema lessicale che avvolge i new media non e` soltanto "multimediale" ma anche legato alla negazione di uno dei cinque sensi, l'udito dimenticato dagli "esperti di realta` virtuale", come pure "interattivo" e spesso...bloccato su una "autostrada telematica". Andando con calma esamineremo tutto questo ponendo pero` alla base di tutto due parole che sono fondamentali per la comprensione dei new media e quasi mai poste come porte di ingresso al settore: digitale e compressione.
CAP I. DIGITALE: UNA PAROLA PER TUTTE LE STAGIONI
Quando ne 1793, in piena Rivoluzione francese, vide la luce (e` il caso di dirlo) il telegrafo ottico di Claude Chappe, che consenti` di dare ordini da Parigi a Lille, nessuno ebbe modo di rendersi conto delle enormi potenzialita` del mezzo. A dire il vero neanche in seguito, dato che lo stesso McLuhan ebbe a dire che soltanto con l'avvento del telegrafo di Samuel Morse "i messaggi poterono viaggiare piu` in fretta dei messaggeri". Oggi, alla luce della digital revolution, possiamo affermare che il futuro e` molto piu` vicino al telegrafo ottico di Chappe che non a quello elettrico di Morse! Ma andiamo con ordine.
Il termine digitale, come si intuisce da tutto questo lavoro, è molto abusata: un esempio ne è l'utilizzazione in campo linguistico fatta da Watzlawich Jackson in "Pragmatica della comunicazione umana" quando si parla di linguaggio analogico e digitale. Il digitale come lo intenderemo da qui in poi è però un'altra cosa.
La parola digitale e` di uso quotidiano (cioe` entrata nel lessico della casalinga di Voghera) da circa vent'anni, da quando James Bond, l'agente 007, dopo l'ennesima dura missione sfodero` al suo polso un enigmatico quadrante nero al posto del classico Seiko modificato. La magia consisteva nel fatto che l'indicazione dell'ora, anziché tramite lancette, avveniva premendo apposito pulsante: il quadrante buio come la notte si illuminava, allora, di un vibrante rosso rubino e l`ora appariva come per magia tradotta in ore e minuti. L'unica scritta sopra il quadrante nero era "Texas Instruments" anche se l'orologio pesava quanto un pregevole Rolex, senza avere due mani libere era comunque inservibile ed il consumo di energia elettrica del display a led costringeva a portarsi appresso pile... di pile scorta.
La parola digitale deve molto, in negativo, all'esordio dei primi strumenti ad indicazione "discreta" anziché con lancette, tamburi rotanti come il mitico contachilometri Citroen anni settanta ad esempio. Da quel momento il grande pubblico non ha piu` ben capito "cosa c'e` dietro" alla parola digitale: gli orologi divennero tutti digitali, le calcolatrici pure, poi vennero le radio, le bilance e i forni a microonde, il compact disc, le telecamere e i telefoni. Da anni assistiamo alla proliferazione, sulle confezioni, della parola "digitale" che spesso indica alcune funzioni accessorie, come nel caso delle telecamere si parla di zoom digitale e non di registrazione audio e video digitale: se sono stati di capaci di "inventare" gli snack "in 3D" qualcuno inventera', prima o poi, anche le merendine digitali.
Il digitale come lo intendiamo noi, quello che serve ai new media, non e` riferito al display dell'apparecchio (costituito da semplici "digit", da qui la confusione dei termini, che non utilizzano una base binaria bensi` decimale, altrimenti saremmo costretti ogni volta a fare mentalmente la conversione) bensi` al succo stesso della comunicazione: il messaggio.
1.1 The digital revolution: i fondamentali
La vera rivoluzione parte da precise necessita` tecniche, legate alla trasmissione dei segnali telefonici. Gli ingegneri della Bell Telephone, lo stesso autore della prima modellizzazione teorica del flusso comunicativo (Shannon), capirono subito che il problema fondamentale era quello del rumore che affliggeva il canale. In prima istanza essi non erano minimamente interessati al contenuto messaggio ne alla capacita` di decodifica dell'ente ricevente e neanche al "trasferimento sul piano semiotico" che la digitalizzazione opera sul segnale, ma essenzialmente al buon fine della comunicazione (senza specificare se si trattasse di comunicazione fra macchine, fra esseri umani, fra macchine ed esseri umani).
Il problema del rumore del canale e` esattamente identico, sia che si stia parlando di un canale elettrico (es. un filo percorso da un segnale elettrico) sia di un canale non elettrico (es. l'aria che separa voi ed un vostro amico immersi in una festa). In entrambi i casi, per farsi sentire come minimo bisogna urlare forte (aumentare il livello di segnale a parita` di livello di rumore, cioe` aumentare il rapporto segnale/rumore), ma finche` il vostro messaggio (analogico) sara` della stessa natura del rumore (analogico), dato che la vostra voce non e` diversa da quella di tutti gli altri invitati, l'esito della comunicazione rimane molto incerto.
Qual'e` la soluzione del problema? Svincolare la natura del segnale da quella del rumore (che e` sempre segnale ma casuale, non organizzato, uno "spettro distribuito"...) cioe` rappresentare il segnale analogico (il messaggio o una rappresentazione in forma fisica) attraverso un codice di segni, ovviamente non casuali, facente parte di un comune "universo cognitivo" fra emittente e ricevente: si tratta di descrivere una grandezza fisica tramite un semplice numero.
La rappresentazione di un segnale analogico (una grandezza elettrica che varia nel tempo ad esempio) attraverso un codice numerico, comune ai due poli della comunicazione, nella fattispecie il codice binario (ma la base numerica potrebbe essere diversa) si dice conversione analogico/digitale, ed il viceversa conversione digitale/analogico. Per semplificare molto le cose, convertire un segnale analogico che rappresenta analogicamente, con continuita' nel tempo, una informazione a sua volta analogica, l'unica in grado di essere accettata dei nostri sensi, in digitale significa rappresentarlo attraverso una serie di "mattoncini-standard", attraverso una unita` base ripetuta un certo numero di volte al secondo. L'unita' base a cui facciamo riferimento prende il nome di bit. I bit sono trasmessi l'uno di seguito all'altro in un flusso detto bit- stream in cui il numero di dati per unita` di tempo e` detto bit-rate.
Il codice binario come accennato, non e` l'unico codice possibile ma e` quello piu` facile e piu` comodo per le macchine che abbiamo saputo inventare. E` fatto di bit, contrazione di "binary digit", due soli segni, lo zero e l'uno che possono corrispondere a niente e tutto, spento e acceso, zero e cinque volt. Le macchine, sin dal 1834 con la macchina analitica del professore inglese Charles Babbage, sanno accendere o spegnere, riempire o svuotare (o confrontare), determinate caselle, le celle di memoria, e soprattutto sanno farlo molto velocemente. Questo e` il motivo per cui il codice binario "funziona": il nostro cervello possiede capacita` piu` "intelligenti" ma non e` altrettanto veloce, ecco perché ci siamo affidati alla base decimale per "significare" i numeri, dieci segni invece che due, base complicata contro base semplice ma molto lenti noi e abbastanza veloci (ma il troppo non e` mai abbastanza) le macchine. Per dirla con le parole di Watslavic, nel suo quarto assioma, il modello numerico si avvale di una sintassi logica complessa ed efficace, ma di una semantica povera, viceversa il modello analogico.
L'insensibilita` al rumore (a parte quello di quantizzazione, intrinseco nella conversione) si spiega col fatto che un sistema digitale e` in grado di gestire due stati diversi, alto e basso, e non si accorge (ovvero vengono automaticamente eliminate le eventuali differenze contingenti) di "quanto e` alto" e "quanto e` basso". Se avessimo a disposizione un solo bit, il rumore di quantizzazione (cioe' l'errore, la differenza fra il livello da rappresentare e quello rapppresentato, sarebbe ovviamente elevatissimo, del 50% nella peggiore delle ipotesi). Abbiamo bisogno, quindi di qualcosa di piu' preciso. La "precisione" nella rappresentazione digitale e` legata al numero di bit impiegati nella "parola": se un bit consente di rappresentare due stati (acceso e spento), 16 bit consentono la descrizione di 65.536 livelli diversi (base due elevata alla sedicesima potenza), ma basta scendere a 12 bit per averne "solo" 4.096.
Oltre al numero di bit, l'altra grandezza che regola la qualita` della conversione e` la frequenza di campionamento ovvero il numero di volte al secondo in cui il livello da convertire viene misurato; essa (44.1 kHz per l'audio digitale di qualita` compact disc) non puo` essere inferiore al doppio della frequenza massima che si intende convertire, nel senso che volendo rappresentare "un qualcosa" che varia 20.000 volte al secondo (la massima frequenza udibile per un essere umano, un fischio acutissimo) e' necessaria una frequenza di campionamento di almeno 40.000 Hz, misurare la grandezza quarantamila volte al secondo. Inutile dire che quantizzazione e frequenza di campionamento vanno considerate insieme (moltiplicate, piu` annessi e connessi) per capire la "quantita" di informazione" derivata da conversione: maggior numero di bit e piu` alta frequenza di campionamento significa maggiore qualita`, maggiore precisione nel rappresentare ma anche maggior numero di dati.
1.2 Capire i vantaggi del digitale
Dopo aver preso confidenza con la materia (nel modo piu` semplice possibile ma correttamente) vediamo cosa si puo` fare con il nostro pacchetto di dati.
Chiariamo subito un aspetto importantissimo forse non troppo esplicitato. Capire l'essenza del digitale significa capire che, a parte i dati che nascono digitali (come quelli prodotti in questo momento mentre sto scrivendo) il vero decollo e` avvenuto quando l'uomo ha acquisito la possibilita` di trasformare segnali naturalmente analogici, come quelli che stimolano i nostri sensi, essenzialmente il suono e l'immagine, per ora, e chissa' cos'altro in futuro (scavalcando le consuete interfacce e connettendosi direttamente al cervello...) in segnali digitali. Questa e` stata la vera rivoluzione tolemaica. Oltre all'insensibilita` al rumore del canale, la conversione in digitale di segnali analogici comporta una serie di vantaggi, riassumibili per quanto ci riguarda direttamente in una sola parola: unificazione.
Sia i "magazzini" (i luoghi in cui le informazioni sono custodite), sia i "vagoni del treno" su cui viaggia la nostra merce-standard sono sempre gli stessi, indipendentemente dal tipo della "merce" ante-conversione! Finche` le "merci-informazioni" erano fra loro tutte diverse per forma e dimensioni avevamo bisogno di molti vagoni diversi: un tipo per i viaggiatori umani, un tipo per la posta, uno per i cavalli, uno per i maialini e via dicendo, ovvero di treni passeggeri, treni merci, treni postali (una realta` "multi...trenale"!). Oggi ci serve, invece, soltanto un tipo di treno! (ovvero soltanto un "canale-binario" e scusate il gioco di parole).
Ripetendo in termini piu` accademici quello che abbiamo appena detto, e` chiaro che tra un testo scritto attraverso un programma di videoscrittura, un file dati, per es. di un archivio qualunque ed una immagine o una canzone convertita in digitale non esiste nessuna differenza sostanziale. Si tratta di un file dati, esattamente come per il nostro cervello non esiste nessuna differenza fra gli impulsi che viaggiano sul nervo ottico o su quello acustico: e` poi il nostro cervello che, grazie ad un apposito...programma, ci offre la "sensazione" di vedere ed ascoltare. Questo file dati puo` essere registrato su un supporto duraturo (memorie EPROM, floppy disk, disco rigido, nastro streamer, compact disc, DAT, Minidisc), trasmesso attraverso canali diversi (fili di rame, fibre ottiche, oppure senza fili attraverso l'etere), manipolato con un computer dotato di apposito programma di manipolazione (nel caso di un testo sara` un word processor), riprodotto da un computer dotato dell'apposito programma di riproduzione (programma che e` in grado di gestire le informazioni del file dati). Questo e` il motivo, ma sara` spiegato piu` tardi, per cui il nostro futuro e` probabilmente "monomediale".
Claude Chappe non lo sapra` mai ma la sua invenzione e`, a grandi linee, il futuro che ci aspetta: cosa di piu` visibile, infatti, di una luce nel buio, dovendo t