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SPRIGIONIAMO IL PRESENTE PER LIBERARE IL FUTURO!
Con questo testo tentiamo di affrontare e impostare le basi di una campagna
che parta dai centri sociali che restituisca il senso degli anni70, che
liberi i compagni in galera, che deve a nostro avviso
partire da una forte lettura del presente, dei movimenti che lo attraversano,
delle esigenze che esprime, cercando cosi di rivolgerci e riferirci non
soltanto a noi stessi, a come siamo o siamo stati.
Pensiamo quindi vada letta l'attuale società, i fermenti che
la attraversano, le forme di controllo che la caratterizzano, i tanti e
nuovi diritti negati.
1)IERI COME OGGI...CONTRO LA CULTURA DELLE EMERGENZE
Una riflessione sulla situazione in cui oggi si trovano i compagni
dei Centri Sociali, rispetto all'enorme quantità di procedimenti
penali ed amministrativi che li coinvolgono, è probabilmente necessaria
anche per riuscire a determinare quali siano le richieste da rivendicare
in merito al tentativo di costruire una campagna per la scarcerazione dei
compagni detenuti.
E infatti in questo momento in atto un bombardamento di denunce relativamente
poco gravi, che pur, colpendo con continuità singoli soggetti ne
limitano con forza gli spazi di agibilità politica e le libertà
individuali (vedi il caso estremo del compagno di Milano arrestato per
un prosciutto, caso che comunque tende ad essere sempre meno isolato...).
E perciò chiaro che l'apparato repressivo dello stato non ha
assolutamente cessato di funzionare se non nell'apparenza: evidentemente
lo scontro frontale è ormai quasi inesistente, proprio perché
una raffinata delocalizzazione capace di coinvolgere dal funzionario comunale
al controllore di autobus, dalla guardia giurata al preside di una scuola,
non necessita più della sola forza del suo apparato militare.
Un nemico perciò che fa molto meno rumore, ma che limita con
continuità la libertà dei soggetti cosiddetti incompatibili:
non soltanto i movimenti organizzati, ma tutto quel disagio sociale generalizzato
di cui sono piene le nostre città.
Una campagna per la liberazione dei compagni in carcere non pur prescindere
quindi da un'analisi di queste problematiche e dal coinvolgimento di tutti
questi soggetti: è dunque prioritario piantarla di essere autoreferenziali;
discutere fra 20 "addetti ai lavori" non ha mai prodotto movimenti
reali, qualche volta semplice pietismo, a volte cultura, a volte solidarietà.
Insomma espressione dai margini di una incapacità di porre veramente
in comunicazione le diverse generazioni di un movimento, che invece di
trasmettere le intuizioni e le lotte di un periodo ne trascina solo più
gli Skazzi, sempre più svuotati anche dei loro originari contenuti.
Il '77 e con esso tutti gli anni '70, in questo modo, finiscono chiusi
in un angolo, belli e confezionati, pronti ad essere tirati fuori per le
occasioni importanti, ma completamente scollegati da quella che è
la quotidianità di un movimento che in 20 anni è cambiato
molto, anni paradossalmente lontani ed inutili per i compagni arrestati,
per gli immigrati in galera, per tutti i soggetti che vivono la repressione...anni
chiusi?
Perché allora l'apparato repressivo dello stato si è
continuamente rafforzato e non accenna a sgravare il suo peso militare
e giuridico (leggi dell'emergenza)?
Occorre superare queste contraddizioni , occorre sprigionare le potenzialità
sovversive e le intuizioni sommerse del '77, occorre partire da una campagna
contro la repressione per arrivare alla liberazione di tutti gli incompatibili.
2)PER UNAMNISTIA GENERALIZZATA DAL 68 AL98
Obiettivo evidentemente irraggiungibile per chi cerca nelle istituzioni
una soluzione ai conflitti, ma il minimo per chi i conflitti li vive, unico
possibile perché radicale e non discriminante, e soprattutto forte
perché riconosce finalmente quella continuità storica che
l'informazione cerca in ogni modo di negare, ma che non sfugge certo né
a noi né al nostro nemico.
Premessa
La commemorazione del ventennale del '77 è passata anche lei.
Un po' sotto tono, un po' edulcorata dagli aspetti più brutali e
violenti, soprattutto incentrata a ricordare quanto c'era di bello e creativo,
ingenuo, in quel lontano movimento, ormai morto, per eroina, riflusso e
polizia. Un po' come per la commemorazione del '68 i vecchi protagonisti
resuscitati dal nulla sono stati messi in bella mostra, giusto per
ricordare un grande avvenimento di rottura sociale e di classe come se
fosse un allegra festa di transfughi delle famiglie per bene, un grande
happening, al più un rave party universitario.
Settantasette, sessantotto, il biennio rosso, gli anni settanta.
Al limite ci si ricorda di un signor Calabresi "giustiziato" da mano
misteriosa, ma solo perché uno sfigato di nome Marino, caduto dalle
stelle di popolare operaio di Lotta Continua alle stalle di sconosciuto
frittellaro, ha messo di mezzo un noto intellettuale di area socialista
accusandolo di essere l'occulto regista dell'omicidio.
Gli anni settanta, sono quindi frutto di amarcord disordinati e spesso
spettacolarizzati per un pubblico di pacificati che digerisce tutto, dalle
stragi di stato fatte dagli anarchici, alla lotta armata pianificata dai
servizi segreti (o dalla Cia anticomunista), dagli hamburger al '68 come
un movimento di educande, dal '77 come un movimento di geni incompresi
(vedi Bifo) ad Aldo Moro come grande artefice del compromesso storico,
mai realizzato a causa della "follia omicida" brigatista.
Insomma, tanta è la confusione sotto il cielo, ma la situazione
è per nulla eccellente.
Basta solo pensare che parlando in generale di anni settanta, tutti
o quasi, si dimenticano che una parte dei protagonisti è ancora
detenuta o soggetta a delle condanne cosiddette "alternative". In tal senso
siamo stufi di celebrazioni che glissano tranquillamente su questa ferita
ancora aperta nella nostra società.
Paradossalmente ci troviamo in una situazione in cui il superamento
storico di certi avvenimenti è di gran lunga più avanti di
quello politico: su quest'ultimo grava l'ottusità degli uomini,
cioè dei vincitori reali di quella battaglia, ovvero di Stato, padroni
e politici di ieri e di oggi, del Pci di ieri e di oggi.
Crediamo che una battaglia per la liberazione dei prigionieri politici
sia l'elemento essenziale per rileggere quegli anni in maniera diversa,
operando attraverso un percorso di ricostruzione delle esperienze di lotta
che passa anche per l'eliminazione dell'emergenzialismo e per una battaglia
credibile di amnistia generale.
Dell'indulto.
Precisiamo. Non crediamo nell'indulto o nei progetti di indulto in
discussione nei gabinetti parlamentari. Se non altro perché nascono
da un rapporto di scambi politici tra partiti di destra, sinistra e centro,
senza tener conto, più di tanto, dei diretti interessati. Il chiaro
rischio che nasce dall'attuale dibattito, fatto sottovoce, fra le forze
politiche istituzionali è quello di riprodurre in tono minore una
continuità con la cultura emergenziale e punitiva di uno Stato vincitore.
Basta vedere come una legge di indulto comporti già una differenza
di trattamento fra esuli e carcerati in Italia, fra ergastolani e detenuti
con pene temporali e condannati a pene inferiori ai dieci anni. Senza dimenticare
che qualsiasi beneficio verrebbe sospeso di fronte alla ripetizione dei
reati (per cui chi, una volta libero, partecipasse ad un'occupazione
o un blocco stradale verrebbe automaticamente reincarcerato).
E' banale osservare che senza grandi mobilitazioni non si otterrà
mai la liberazione di nessuno senza scambi o condizionamenti. Pensare di
organizzare queste con battaglie tattiche a favore di leggi parziali come
quella sull'indulto, o per la semplice liberazione di Sofri, è già
partire con il piede sbagliato. Perché l'indulto per il PDS e Alleanza
Nazionale è la pietra tombale con cui chiudere gli anni settanta,
oltre il quale non si può andare.
Alla fine il risultato sarebbe quello di convogliare tante energie
per la liberazione di alcuni a discapito di altri "impresentabili", lavorando
solo al servizio degli interessi di bottega di qualcuno.
Sia chiaro, come incompatibili siamo da sempre per la liberazione di
tutte le vittime della repressione, che siano democratici o rivoluzionari,
al di là delle discutibili scelte politiche di ciascuno. Proprio
per questo non crediamo nelle leggi che salvano pochi o nelle battaglie
pulite per la liberazione di persone pulite. Non crediamo che parole d'ordine
parziali inneschino un processo di liberazione di tutti se questo non è
un obiettivo chiaro sin da subito.
Pro Amnistia
E' per questo che siamo per una amnistia generale, in quanto manovra
universalistica priva di condizionamenti e di scambi, che può essere
realizzata solo con una dura lotta contro tutto il sistema repressivo.
Un'amnistia che comprenda tutte le vittime della repressione statale sulle
lotte dal '68 al '98, legando ad un filo rosso chi rischia di finire in
carcere per occupazioni, blocchi, sabotaggi di questi anni con chi è
dentro per fatti di lotta armata e di violenza politica dagli anni settanta
e ottanta.
Un'amnistia che sia generale perché vuole rivedere (bruciare)
in toto il sistema carcerario, perché attraverso questa gogna passano
tutti gli esclusi ed i cosiddetti incompatibili di questa società.
Prove sotto gli occhi di tutti sono le nuove leggi sull'immigrazione:
tattica tipica da anni di piombo, come ha confermato alla tv lo stesso
Napolitano "E' la legge più restrittiva che sia mai stata approvata
in materia", così come la "legge reale" del '74 '75 poneva le realtà
extraistituzionali sempre più nell'ambito dell'illegalità
(leggi terroristi, assassini, folli) tramite i sequestri di persona legalizzati
ed un restringimento/annullamento delle libertà di movimento e di
espressione, medesima operazione oggi nel costringere tutti coloro senza
permesso di soggiorno a nascondersi nella clandestinità per poter
sopravvivere: quindi case a prezzi esorbitanti senza contratti, lavoro
nero, documentazione falsa, ecc.
Ormai da anni le nostre coste sono "invase" da orde di persone provenienti
dai più diversi paesi del cosiddetto "terzo mondo". A memoria d'uomo
non ricordiamo nessun tentativo riuscito di fermare queste migrazioni
che sono principalmente mosse dalla fame e dal desiderio di riuscire ad
ottenere una vita dignitosa per se e per la propria famiglia.
Come al solito invece di cercare di recepire questo spostamento di
persone come un arricchimento per un paese che lo riceve, l'unica risposta
che sono state in grado di dare le istituzioni è stata quella della
repressione. Ricordiamo i manganelli contro gli albanesi in Puglia, i charter,
le retate di massa in tutta Italia, l'affondamento dei gommoni e delle
navi nei "nostri" mari, l'atteggiamento degli sbirri in tutta Italia ed
in particolare a Torino ai Murazzi del Po, ecc.
Altra categoria che la legge individua come devianti da reprimere e
da rieducare per il reinserimento nella società civile è
composta dai consumatori di sostanze stupefacenti (caffeina, nicotina ed
alcool distribuiti dallo stato sono esclusi dal reato).In questo caso strumento
per la repressione è il proibizionismo.
Da un lato il proibizionismo è mezzo di grandi guadagni illegali
per le caste mafioso-politiche italiane, dall'altro costringe a vivere
nel sommerso i consumatori rendendo facile il controllo di questa fascia
di popolazione. Questo percorso solitamente si conclude con la reclusione,
o con il tentativo tramite comunità pseudo-terapeutiche che nella
maggioranza dei casi lavorano sul contenimento sociale.
Non ultimo per importanza ricordiamo la situazione degli obbiettori
di "coscienza" totali processati e condannati perché
si rifiutano di servire lo stato in ogni forma: arresti a Gaeta ed a Peschiera,
domiciliari, affidamento sociale, ecc.
Non ci appartengono i discorsi rispetto ai limitati e democratici ampliamenti
della zona di legalità, ma di sicuro ci preoccupa l'utilizzo di
tutti i mezzi classici e non per restringere gli spazi di sopravvivenza.
Come da sempre ad oggi, ad ogni tentativo di cambiamento radicale del
sistema l'unica risposta data dal sistema del capitale è quella
repressiva. Repressione che crea emarginazione; repressione che permette
controllo delle classi non dominanti; repressione che annulla le individualità;
repressione che non può far altro che uccidere.
Contro tutto ciò non possiamo che opporci con ogni mezzo necessario
e combattere per ottenere un'amnistia.
Una campagna capace di superare a pié pari la volontà
di chiudere un periodo, sottesa a molte proposte in materia perché
ribadisce con forza quella che è la nostra storia: quella del '68
e dell'ideazione di una società altra, quella del '77 e del tentativo
di attuarla, quella degli anni ottanta e delle "trincee", quella dei primi
anni 90, della fuoriuscita in ogni direzione, della sperimentazione
e degli errori, e quella di oggi.
Una campagna che riesca a superare quindi i confini storicamente tracciati
per gli anni '70, che supera la solidarietà, la controinformazione,
la memoria, che coinvolga direttamente tutti coloro che fanno movimento
per il movimento: dalla galera ai cortei, dai concerti , agli attacchinaggi,
ai presidi alle occupazioni....
3) ANTIPROIBIZIONISMO COME LIBERAZIONE.
Continuando la riflessione sulle forme di controllo è necessario
osservare quale sia lo spaccato generale della situazione carceraria odierna.
Un'analisi, anche superficiale, delle condizioni, dei numeri, della trasformazione
dell'istituzione totale stessa, mette in evidenza alcuni dati "forti":
-Decisamente più della metà dei detenuti è dentro
per vicende legate al consumo, al commercio o reati connessi
alle sostanze stupefacenti.
-Il proibizionismo rappresenta oggi una delle maggiori giustificazioni
della militarizzazione delle nostre città e la possibilità
di esercitare un controllo capillare non sicuramente sulle sostanze, che
continuano ad avere il loro mercato indisturbato, ma sulla vita quotidiana
di ognuno di noi. Lo spaccio, la tossicodipendnza diffusa, sono gli spauracchi
che novelli governanti-iperpopulisti cavalcano ogni qualvolta si debba
in qualche modo affrontare il degrado dei quartieri: polizia, vigilantes,
spazzini in comunicazione con la questura per avere interventi di repressione
in tempo reale, sono come sempre le uniche soluzioni atte a rassicurare
i cittadini "rispettabili" e nel contempo a garantire una spaventosa continuità
nello strapotere delle forze dell'ordine, che abilmente riattualizzano
la necessità delle leggi dell'emergenza.
Facile poi intuire come il collegamento tra microspaccio ed immigrazione
venga fatto, ancor più che nelle continue teorizzazioni del candidato
razzista di turno, calpestando concretamente i diritti della persona.
Tutto questo non solo invita, ma impone che questa battaglia di libertà
non possa prescindere da un discorso sul proibizionismo, sia nelle sue
forme più drammatiche legate al eroina, sia in quelle legate al
consumo delle cosiddette droghe leggere.
Il problema che ci poniamo è quello di liberare le persone e
non le sostanze.
4)DIRITTI DI CITTADINANZA PER TUTTI
Proseguire l'analisi condotta sinora significa affrontare la grande
questione che è emersa in questi anni, quella dell'immigrazione.
Questo fenomeno esprime, sempre con più forza, un nuovo portato
di diritti ed esigenze, a nostro parere paradigmatiche delle trasformazioni
dell'ultimo decennio, dei processi di globalizzazione, di ridefinizione
di nuovi confini, di costruzione di nuove fortezze e nuove barriere di
esclusione sociale. Inoltre l'Italia, per la posizione geografica che occupa,
riveste nei disegni di Schengen un inevitabile ruolo strategico nel controllo
dei flussi di persone che da Albania, Nord-Africa o Kurdisatan hanno come
triste primo approdo in Europa proprio le coste di questo paese. Questo
ruolo, peraltro, sembra non dispiacere alle nostre classi dirigenti, entusiaste
di fronte alla possibilità di ritagliarsi una posizione di prestigio
nello scacchiere internazionale, ciò è dimostrato, ad esempio,
dal modo protagonista con cui il governo Prodi ha voluto gestire la vicenda
Albania, affondamenti compresi.
Essere contro ogni repressione e cultura dell'emergenza significa quindi
farsi carico, insieme a tutti i soggetti che hanno la disponibilità/capacità
di farlo, di una vertenza per i diritti di cittadinanza degli immigrati,
che a tutt'oggi sono fra i primi a subire un regime di umiliazione fatto
di ping-pong fra dogane, perquisizioni, la continua richiesta di esibire
fonti di reddito certe, botte e, ovviamente, galera.
5) IN CONCLUSIONE
Non si fermano certo qui le suggestioni per impostare una campagna
di libertà e giustizia che, sulla base dell'oggi, rifaccia luce
sugli anni '70. Non possiamo non parlare, della magistratura e del ruolo
politico che essa ha espresso soprattutto dal '92 ad ora, della continua
delegittimazione reciproca fra pezzi di Stato, ( dai ROS alle Procure,
dalle Questure alle direzioni investigative antimafia...), di bicamerale,
di quelle garanzie minime di democrazia per i cittadini, di quale legalità
questo Stato sia oramai in grado di farsi garante.
A partire da queste riflessioni ci sarebbe piaciuto che il 13 dicembre
potesse essere un momento di piazza capace di dare visibilità a
tutti gli incompatibili, carico perciò di tutte le tematiche fin
qui da noi delineate. Rispettiamo comunque scelte probabilmente determinate
da questioni legate a dimensioni territoriali. Ribadiamo comunque la nostra
forte volontà di partecipare a dibattiti e mobilitazioni in materia;
saremo in piazza il 13 stesso a Genova a fianco della comunità senegalese
e di tutti gli immigrati per l'abolizione del disegno di legge Napolitano,
per diritti di cittadinanza per tutti, per la liberazione delle sostanze,
per un amnistia generalizzata '68 '98...
Cominciamo comunque con il proporre un appuntamento nazionale a Torino
per sabato 17 gennaio 98,in occasione di un importante processo torinese
che vede il comune e i vigili urbani nel "ruolo" di pubblico ministero
contro alcuni compagni su cui gravano accuse particolarmente pesanti.
Ancora non vogliamo dimenticarci della situazione a dir poco indecente
che in questi giorni si sta vivendo nelle strade torinesi a causa della
casa di ospitalità notturna (leggi dormitorio) in quartiere Santa
Rita proposta da Castellani attraverso il suo tirapiedi l'assessore Lepri
per "risolvere" il problema dei senza fissa dimora. Da notare che la nascita
e la morte del dormitorio stesso sono legati al progetto "emergenza freddo",
quindi con un periodo che va da metà novembre a metà aprile.
E dopo, tutto come prima.
Ma nonostante tutto ciò, si aggiungono anche le assurde promesse
dell'assessore al comitato xenofobo di quartiere quali le garanzie di non
far entrare gli extracomunitari e la visita forzata (tipo zoo) di lunedì
1 dicembre '97 durante la manifestazione di A.N. di Ghiglia e camerati
all'interno della struttura. Ma non basta perché sabato 29 novembre
in una notte di nebbia, pioggia, ecc. prendono miracolosamente fuoco le
baracche ai bordi del dormitorio di via Carrera (???) la polizia non interviene.