In nome...della rosa
C’è un “affaire” che si aggira come un fantasma nel nostro paese. E’ l’anno del Signore 1977. Storici, politologi. giornalisti gli stanno dedicando una grande attenzione, ma soprattutto la magistratura e i suoi organi direttivi hanno deciso, per conto di nuovi e vecchi politici, di impossessarsene. L’oggetto del contendere è la riscrittura, criminalizzazione e cancellazione di quegli anni che sono stati e rappresentano l’insorgenza sociale e il rifiuto dei meccanismi di potere per milioni di persone che formatisi in movimento collettivo, con la forza delle idee e della mobilitazione avevano posto in essere la critica radicale del modello societario esistente. I mittenti di questo affare di stato che si va costruendo e pianificando su larga scala, sono tutti coloro che in nome di dottrine economiche e ricette finanziarie, vogliono normalizzare tutto, creando un paesaggio afono e schiavizzato, consegnando alle nuove generazioni l’idea che nella storia del recente passato i movimenti di lotta e di autodeterminazione sono stati dei mostri che hanno tentato di sovvertire l’ordine tradizionale e secolare delle cose esistenti. La conseguenza per coloro che hanno trasgredito alle regole, presenti o passate che siano, è la punizione divina del carcere, luogo terreno di espiazione della colpa, messaggio per chi in divenire non abbia più a commettere il reato di insubordinazione al potere esistente. Sono trascorsi venti anni dal 1977, molte cose sono cambiate, quella generazione si è incamminata su mille percorsi, simili o diversi, da quelli di allora; si iniziava a intravedere la possibilità di una reale costruttiva lettura di un decennio tra i più vivi e ricchi di qualsiasi contenuto, della storia del nostro paese. Inesorabilmente, con l’accetta della morte, è arrivata la vendetta del potere costituito. I tre ex-esponenti della ex Lotta Continua, Sofri, Bompressi e Pietrostefani, vengono incarcerati per 20 anni, per un fatto mai commesso. Le cose le conoscono tutti, ma il monito è durissimo: i pentiti servono alla riqualificazione dello Stato, i conflitti sociali non sono più permessi e si risolvono con controparti addomesticate, le masse occupate o disoccupate devono stare supine e accettare le regole di mercato, la galera è la cura terminale per i soggetti affetti da qualunque devianza sociale, ieri come oggi. Messaggio ricevuto e procediamo oltre. Perché tanto accanimento giuridico se quegli anni sono così lontani, o, sembrerebbero dimenticati? La sentenza sulla vicenda Calabresi, tenta di mettere una pietra tombale su quegli avvenimenti, il dispositivo usato vorrebbe rimanere legato a contestualizzazioni tecniche, invece è intriso da evidenti logiche politiche. Gli anni 70, non hanno unicamente visto e sviluppato uno straordinario movimento di opposizione sociale e politica, forte e variegato, complesso e articolato; in quegli anni il potere ha dispiegato, facendo scendere in campo tutto quanto in suo possesso, tecnologicamente e militarmente, per schiacciare e sconfiggere quel movimento. Gli armadi dei vari Palazzi di Giustizia, le cantine dei Ministeri, le segrete di chissà quali posti contengono i cadaveri eccellenti della storia recente del nostro paese e le chiavi devono essere custodite rigorosamente. In gioco c’è la natura stessa del potere e la sua legittimità, i meccanismi di controllo sulle classi, gli affari e le cordate di interessi che hanno seminato la morte a suon di stragi. Questi medioevali paladini tanto simili al signor Cuccia, suprema mente della finanza, gran cerimoniere degli interessi del capitalismo, persona appartata e quasi invisibile, vogliono ricostruire la storia, solo quella dei movimenti, perchè quegli anni hanno una stridente attualità con i nostri. Noi quegli anni vogliamo rileggerli e riviverli, ma a tutto tondo, con tutti gli interessati che possano dire e raccontare la loro storia, tutti in libertà, non sottoposti a nessun vincolo o restrizione della propria persona, perché imprigionata o autoconfinata. Conosciamo bene le regole del gioco con cui ci scontriamo quotidianamente ed è per questo che non chiederemo mai agli aguzzini di graziarci. Quando gli interessi delle classi contrapposte si scontrano sul piano della battaglia politica e sociale, il piano delle risposte deve essere politico e sociale. L’uso della magistratura e della carcerazione per chi difende o difendeva gli interessi proletari, in questo paese è arrivato ad un limite insopportabile. La nuova mobilitazione inizia da qui, qualcuno credeva di chiudere un ciclo invece l’ha riaperto e se ne assuma le sue responsabilità. Il percorso è alla luce del sole, con il rispetto delle differenze, ma con la tenacia che potrà essere compiuto solo quando tutti avranno accesso alla parola e alla libertà. Chi non ha memoria non ha futuro e non avendo nulla di cui pentirci rispediamo al mittente ogni tentativo di ingabbiamento o annientamento della nostra identità per la costruzione di liberazione oggi.
Centro Autogestito Garibaldi