IMMIGRAZIONE E CONFLITTO
CANI RANDAGI
"Spendete più per i cani randagi che per alleviare le sofferenze dei popoli del sud del mondo".
Con queste parole ha esordito Fidel Castro in occasione di una conferenza sulla fame nel pianeta, tenutasi qualche settimana fa a Roma.
Dunque siamo più propensi ad elemosinare i nostri amici a quattro zampe che ad essere solidali verso le vittime del modello di sviluppo capitalistico. Uno strano paradosso, dettato forse dal fatto che i cani presenti nelle città dell'occidente sono un fenomeno contenibile, perché quando il numero supera certi limiti si può fare ricorso alla sterilizzazione oppure alla camera a gas (sic). E poi i cani fanno comodo alla struttura familiare che si va affermando nel nostro tempo. Una famiglia sempre meno numerosa, epurata dagli anziani, abbandonati a se stessi e muniti di sofisticati strumenti tecnologici per chiamare aiuto in caso di malore. Quale migliore rimedio, alla solitudine dei vecchi, di un simpatico ed affettuoso quadrupede?
Invece gli uomini e le donne del terzo mondo sono scomodi. A parte rare eccezioni, non siamo molto propensi ad affidare loro i vecchi. Quando vogliamo combattere la fame nei paesi sottosviluppati, preferiamo mandare giù i nostri missionari, che porteranno in quelle regioni lontane qualche briciola di benessere, un po di medicinali e tanta, tanta religione.
E quanto spendiamo per quei poveri disgraziati che, stanchi di attendere la morte nei paesi d'origine, tentano di raggiungere le nostre coste? Niente per farli sopravvivere! E tanto per tenerli lontani dai confini. Se è vero che in Italia si spendono ogni anno 34000 miliardi per le spese militari e se pensiamo che una delle attività principali dell'esercito consiste proprio nel respingere i flussi migratori, ci rendiamo conto di come vengano utilizzati questi soldi. Oltre a precipitare sulle scuole elementari con i loro modernissimi aerei e a fare bum bum sulle montagne con le loro inutili quanto costose esercitazioni, i nostri militari si divertono infatti da qualche anno a dare la caccia agli Albanesi lungo le coste dell'adriatico, oppure a far affogare in mare i nord-Africani. E queste non sono farneticazioni, ma crude verità, ricavabili dalle cronache di qualunque mezzo d'informazione. Lo stesso "Manifesto", che sforna appassionate prime pagine sul naufragio in cui sono morti, a due passi dalla Sicilia, un numero imprecisato di profughi, dedica poi solo un trafiletto alla storia di un albanese che si è suicidato, in Puglia, solo per sfuggire all'inseguimento di un carabiniere.
IL LINGUAGGIO: LA LINGUA BATTE DOVE PARTE IL MESSAGGIO
Spike Lee ci ha insegnato che non bisogna dire "negri", ma "neri", perché "negri" ha il sapore di antica schiavitù e denota, nel risvolto semantico, una carica di aggressivo differenzialismo. Per lo stesso motivo per il quale non diciamo "biancri", ma "bianchi", dobbiamo dunque imparare a dire: "neri".
Dj Lugi ci ha insegnato che non bisogna dire "extracomunitari", ma semplicemente "immigrati", perché "extracomunitari" somiglia troppo insidiosamente a "extraterrestri" e i marziani non sempre vengono in pace come in "incontri ravvicinati del terzo tipo". Spesso, come in "visitors", vengono per mangiare i nostri bambini. E siccome parliamo come pensiamo e pensiamo come parliamo allora, a scanso di equivoci, meglio usare "immigrati". Anche perché, riflettendo sul termine "extra-comunitario" ci viene spontaneo che a noi, delle 'comunità' imposte dall'alto ci importa pochissimo. Preferiamo i nostri modelli comunitari, autogenerati nei sentieri nascosti della città.
Nella critica del linguaggio, in modo troppo approssimativo siamo portati a liquidarlo come "espressione delle forme di dominio". Il fatto che le singole parole siano state strappate dalle bocche del popolo per essere riconvertite dai potenti, ci porta a censurarle. Risalire all'origine di un significante vuol dire svelare il suo antico significato. "Migro - migras" significava un tempo "trasferirsi da un luogo ad un altro per abitarvi", ma voleva dire anche "passare da uno stato (con la s minuscola) ad un altro, trasformarsi". E questo la dice lunga sulla teoria violenta all'origine dell'imposizione dei confini degli stati nazionali. Così come anche religioni vietano e negano il rapporto tra l'io e l'invisibile, funzionanti come sindacati della spiritualità, gli Stati oggi, gli imperi e i feudi ieri, impediscono la libera propagazione degli esseri umani in nome di un principio che non è solo quello dell'ordine pubblico. Ciò che preoccupa il neoliberismo non è l'abbattimento dei confini politici, bensì la possibilità che questi vengano 'superati'. Una libera girandola dei flussi culturali consentirebbe infatti uno scambio troppo intenso. E se gli scambi di informazioni tra le culture dei popoli abbattono le barbarie, il neoliberismo ha bisogno della barbarie per alimentarsi. Potrà sembrare una banale masturbazione cerebrale, ma forse è arrivato il momento di abbandonare il suffisso "im" dalla parola "im-migrato". Come soggetti libertari ed ostili al neoliberismo dobbiamo scacciare l'idea che ci sia un luogo dentro il quale qualcuno possa o non possa entrare. I luoghi sono infiniti e fanno parte dello stesso pianeta. Possono e debbono essere attraversati da chiunque. Non dalle merci, ma dagli esseri umani, che hanno il diritto di migrare. Dunque siamo tutti potenziali MIGRANTI.
VICINO ALLA BARBARIE
Clarke è un signore che amava scrivere romanzi. Il suo nome resterà impresso nella storia del cinema per la sceneggiatura del film "2001: Odissea nello spazio". Beh, all'inizio degli anni '60, questo signore, in un racconto descriveva una zona neutra immaginaria ai confini dell'atmosfera terrestre. Una zona in cui i corpi non vengono attratti né respinti dalla gravità del pianeta. E siccome "la realtà supera sempre la fantasia" quel signore aveva ragione. Aveva cioè teorizzato un'idea reale, aveva compiuto una piccola profezia. Già, una profezia, perché solo qualche anno dopo gli scienziati hanno scoperto che quella zona esiste veramente e hanno pensato di ribattezzarla "fascia di Clarke". Oggi in quella fascia, che si trova a circa 36000 metri dal suolo, volano i satelliti geostazionari che consentono il funzionamento delle antenne paraboliche.
Direte voi: "Ma questo è un documento sull'immigrazione o un trattato di fantascienza applicata?" Diciamo entrambi.
Infatti se traslata su un piano sociale, l'idea fantasiosa di Clarke trova applicazione nel disegno di legge Turco-Napolitano, che dovrebbe regolare nei prossimi anni l'immigrazione in Italia.
Cosa vuol dire "detenzione amministrativa"? Cosa vuol dire "centro di custodia"?
Un centro di custodia secondo la nuova legge, è un'area neutra in cui verranno rinchiusi, sotto il rigido controllo della polizia, gli immigrati da espellere. Presumibilmente questi campi di concentramento dell'era postfordista saranno collocati a ridosso dei confini. Dunque il potere non si limiterà a vietare a elementi indesiderati l'accesso ai luoghi del benessere. Farà di più, produrrà luoghi-non luoghi, piccoli territori ibridi, fuori dal controllo dell'umanità, o se preferite: aree in cui gli uomini e le donne si sentiranno respinti da tutti e attratti da nessuno. Altro che zone temporaneamente autonome zone costantemente subordinate ad una società che sopravvive da millenni sull'annientamento del diverso. Ve li immaginate gli uomini e le donne fuggiti/e dalle guerre civili che infestano il pianeta? Parliamo per esempio dell'Algeria. Ti trovi a fuggire da un paese che ti sgozzano solo se vesti "all'occidentale", affronti il mare e le sue insidie, superi sofisticate barriere ai confini e finisci chiuso/a in un campo di concentramento. E non ti espellono più, come un tempo, perché eri considerato "socialmente pericolo", ma basterà che tu sia "entrato illegalmente", "non hai chiesto il permesso di soggiorno", o semplicemente perché "è scaduto". L'articolo 7 del d.l. n.489 del 18/11/95 prevede "l'intimazione allo straniero trovato in condizione irregolare di lasciare il territorio dello Stato entro 10 giorni" e l'esecuzione del provvedimento di espulsione si riduceva all'"accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell'ordine". Grazie a Turco e Napolitano, rispettivamente ministri della solidarietà (?) sociale e degli interni, tra breve gli stranieri da espellere saranno deportati nei "centri di custodia", dove saranno stipati per un termine massimo di trenta giorni e poi scaraventati fuori dal territorio nazionale.
E' finito il tempo in cui la condizione di illegalità dei migranti era scavalcata dal loro essere funzionali ad uno sfruttamento selvaggio. Quelli che sono entrati nel territorio nazionale bastano ed avanzano a coprire tutte le aree del lavoro nerissimo, sottopagato ed illegale. L'Italia di Prodi e D'alema ha fatto il pieno: venditori d'accendini, raccoglitori di pomodori, pusher, lavavetri e prostitute rientrano in 'settori lavorativi' saturi non occorre altra forza lavoro. Il principio del nuovo disegno di legge è esattamente quello del "chi c'è c'è e chi non c'è non c'è". Cadono nel vuoto i recenti appelli della associazioni antirazziste e dei sindaci della Toscana. Niente Comuni, l'immigrazione resterà un problema di ordine pubblico da affidare alle questure. L'ingresso sarà consentito solo a chi ha un visto. I valichi di frontiera saranno rigorosamente controllati ed informatizzati. I non dichiarati, espulsi. Chi vorrà ottenere la carta di soggiorno dovrà farlo solo dopo sei anni di presenza e la cittadinanza sarà limitata al solo voto attivo alle amministrative. Il fatto che "coloro che denunciano le organizzazioni criminali avranno diritto ad uno speciale permesso di soggiorno" pone in evidenza la mentalità di chi scrive le leggi. Il migrante, come il tossicodipendente e il teppista, appartiene alla sfera del criminale, è un caso da trattare con i manganelli o con gli strumenti giudiziari di moda oggi: la delazione, il pentitismo, lo scambio di piaceri tra istituzioni e devianti. Fortunatamente il disegno Turco-Napolitano prevede che "non saranno espulsi: minori di 16 anni, donne in gravidanza o in fase post-parto, stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con coniuge di nazionalità italiana e infine stranieri che possono essere oggetto di persecuzione razziale, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di opinioni politiche, di religione". E' previsto il ricongiungimento con i familiari qualora "lo straniero dimostri di avere reddito di almeno 500000 lire mensili". Chi frutta la prostituzione o i minori in attività illecite sarà punito con l'arresto da 3 a 15 anni. Gli ingressi per lavoro saranno fissati da quote annuali. Diversamente da adesso, medici ed infermieri stranieri potranno iscriversi agli albi professionali. Va sottolineato che questa novità riguarda solo il settore sanitario. Agli irregolari privi di mezzi economici (?) è riconfermato il diritto all'assistenza sanitaria. Gli stranieri potranno partecipare ai bandi pubblici per la casa e saranno obbligati ad inserire i loro bambini nella scuola. E' infine previsto un fondo per gli enti locali da utilizzare per le politiche d'accoglienza. E poi "dulcis in fundo", la parte più gloriosa del disegno di legge, quella dedicata a volontari, comunità di base cristiane, centri sociali e famiglie che ospitano, danno lavoro e sostengono i migranti. L'articolo 10, comma 1, prevede che "chiunque compie attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello stato in violazione delle disposizioni della presente legge è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a trenta milioni". Come dire che la solidarietà è un problema penale e chi manifesta alcuni sentimenti deve essere affidato, come la totalità dell'Essere di questo porcile di società, alla polizia.
Ecco perché avvertiamo una strana sensazione. Circondati dai sintomi di un malessere diffuso e da fenomeni sociali da medioevo, restiamo a dir poco tramortiti quando apprendiamo che l'egoismo diventa legge di stato. I segni sono quelli di un panico morale che somiglia a ciò che accadeva alla vigilia del secondo millennio. Il "pearcing" ricorda i flagellanti, i sassi dal cavalcavia sono caduti dallo stesso sadico piacere della giustizia feudale: la volontà di arrestare il movimento umano, fermare il tempo, apparire, modificare la realtà a costo di ucciderla. E poi, come mille anni fa, c'è la peste Il tutto condito dall'arroganza di un potere politico che tratta le persone come bestie, subordinandole alle necessità del mercato: "gli extracomunitari non servono più, buttiamoli fuori". Ecco perché ci sentiamo fottutamente vicini alla barbarie.
A VOLO DI FARFALLA
Di fronte ad uno scenario così cupo vogliamo recuperare la facoltà di reagire. Non si tratta più di resistere o testimoniare come quando, alla fine degli anni ottanta, occupammo gli spazi abbandonati per consegnarli alla socialità. Le nostre cittadelle fortificate non ci bastano. Abbiamo intenzione di passare all'attacco. E come? Conquistando nuovi territori nella desolazione della città. Costruendo micro-organismi sociali che, attraverso la pratica del conflitto, riescano a contaminare all'esterno, riproducendosi. E per portare avanti un simile progetto è necessario partire dalla soddisfazione dei bisogni. Solo l'autorganizzazione dei non garantiti è in grado di produrre un'alternativa materiale, qui ed ora, all'annientamento. Attraverso una forma di relazione tra soggetti sociali e politici che agiscono in prima persona sui problemi è possibile raggiungere obiettivi tangibili, costituire nuove reti di intervento e partecipazione. Tutto questo senza avere la presunzione di dire la verità su tutto.
La farfalla, insetto assente dalle metafore politiche, perché troppo utilizzato nella simbologia psichedelica, vola di fiore in fiore alla ricerca di polline. Portando con sé i granuli, si nutre e contemporaneamente contribuisce alla riproduzione dei fiori. Alla fine nasce un prato. L'esperienze antagoniste del terzo millennio dovranno lavorare come le farfalle se vogliono ancora candidarsi alla trasformazione della realtà. Per uscire dalla condizione di frangia minoritaria, dobbiamo cercare la contaminazione, perché in ogni aggregato sociale che utilizza gli strumenti della democrazia diretta è contenuta una potenzialità politica positiva, trasformatrice, rivoluzionaria.
LA FINESTRA DEI MIGRANTI
Per tradurre questo discorso in fatti concreti è necessaria la sua applicazione in ogni campo sostanziale delle contrapposizioni sociali. Per esempio: la questione dei flussi migratori. In una città come Cosenza, fino a qualche anno fa, il colore della pelle variava dal bianco all'olivastro allo scuro. Tuttavia la tonalità solare dipende esclusivamente dal fatto che, come recitava una canzone, "i meridionali hanno la pelle scura". Oggi nelle nostre strade possiamo osservare molte persone dalla pelle nera o dalla carnagione chiarissima, la prima tipica dell'Africa, la seconda dei paesi dell'Europa orientale. E questo a dimostrazione che il mancato sviluppo del sud Italia, descritto abbondantemente in centocinquanta anni di questione meridionale e recentemente addirittura esaltato da certi intellettuali, si rivela come un paradiso per le migliaia di migranti che provengono dal sud del mondo. Come mi ha detto una volta un amico nord africano: "tu la miseria non l'hai mai vista!".
Ci siamo accorti di questo fenomeno solo in occasione di episodi insoliti. Come quando due compagni sono finiti in questura per aver difeso un lavavetri dall'aggressione di due poliziotti. Oppure quando i migranti si sono presentati alle porte del centro sociale e ci hanno chiesto ospitalità. Dopo una prima fase di impreparazione, siamo comunque riusciti ad affrontare il problema, grazie anche al fatto che, a dispetto di come li dipinge l'informazione del paese dell'eterna emergenza, i migranti generalmente sono socializzati, proprio dalla vita che conducano, alla convivenza e al rispetto. Ci sembra dunque giunto il momento di fare un salto di qualità. Troppo spesso le associazioni di volontariato che si occupano dei problemi di chi migra, sono portati a considerarli come 'animali da salvare'. I nord africani, gli albanesi, i polacchi, i filippini, ecc. che attraversano i nostri luoghi hanno una cultura, una dignità e delle conoscenze da trasmettere. Da questo punto di vista la "Festa dei Popoli", che da anni viene organizzata a Cosenza dall'Arci e dalle associazioni che compongono il Coordinamento Antirazzista, si è rivelata un serbatoio importante e un contenitore validissimo di stimoli alla comunicazione.
Come militanti di una struttura autorganizzata vogliamo ora puntare a realizzare un osservatorio, che ci dia la possibilità di interagire materialmente con le problematiche dei migranti presenti sul territorio. Si tratta di un punto di partenza, non di un obiettivo. Nella pratica della rivendicazione dei diritti, non quelli sanciti dalla costituzione , ma quelli connessi all'esistenza di ogni soggetto, vogliamo aprire un sentiero di battaglia Politica, fuori dalle deleghe della politica simulata. Non ci interessa sostituirci alle istituzioni, ma intendiamo comunque spingere le istituzioni e gli enti locali ad intervenire in un ambito non valorizzabile nella dimensione del mercato. La prima tappa potrebbe trovare forma nella stimolazione dei meccanismi autorganizzativi. In parole povere: non esistono, a Cosenza e dintorni, comunità di migranti consapevoli delle loro condizioni e dei loro diritti, quindi è necessario stimolare la loro nascita.
Nella finestra dei migranti, ubicata in corso Garibaldi e gentilmente affidataci temporaneamente dai legittimi proprietari (la Casa dei Diritti Sociali di Roma), potrebbe trovare realizzazione il nostro progetto. Di cosa hanno bisogno i migranti? In quale settore non sono tutelati?
Anzitutto quello legale. Tutti siamo a conoscenza degli enormi ricatti cui devono sottostare queste persono quando devono essere regolarizzate. Dovendo dimostrare che hanno un posto di lavoro, spesso sono costrette a far finta di averlo cioè pagarsi i contributi e accordarsi con un falso datore di lavoro. Il quale, godendo dell'impunità assoluta, prende il denaro e non rilascia alcuna dichiarazione al povero migrante raggirato.
Un altro settore è quello dell'igiene. Non esiste in città un diurno gestito pubblicamente. Alcune iniziative in questa direzione sono state prese dalle comunità di base cattoliche, ma non sono sufficienti a colmare la richiesta. All'igiene fisica si aggiunge quella mentale. Ve lo immaginate voi un migrante clandestino che si presenta al servizio di igiene mentale? Dopo dieci minuti si ritroverebbe in questura.
E poi ancora, tra gli infiniti problemi c'è quello della lingua. I meno scolarizzati e i più giovani imparano con grosse difficoltà l'italiano e spesso apprendono solo il nostro dialetto, la cui conoscenza esclusiva li consegna automaticamente ai margini della società.
Sulla base del contributo di compagni e di persone sensibili al fenomeno, che possono mettere in campo delle conoscenze socialmente utili, abbiamo intenzione di creare un servizio di segretariato sociale. Il suddetto servizio, inizialmente limitato a due giorni settimanali, dovrebbe garantire ai migranti: assistenza legale, sostegno socio-psicologico, corsi di italiano e possibilità di usufruire di una doccia. In questo progetto abbiamo intenzione di coinvolgere i migranti stessi, per evitare di dar vita all'ennesima esperienza di filantropismo sociale.
Una battaglia contro il razzismo necessita di almeno tre articolazioni: una politica e militante, nelle forme della prevenzione e della lotta alle iniziative xenofobe provenienti da organizzazioni neo-fasciste, una culturale, nella valorizzazione e nella diffusione delle diversità e infine una sociale, attraverso l'autorganizzazione della soddisfazione dei bisogni.
Questo documento è rivolto a quanti sono interessati o vorranno aderire al nostro progetto. Le parole sono armi iniziamo ad utilizzarle.
COSENZA, FEBBRAIO 1997
Centro Sociale Autogestito Gramna
Comitato per i Diritti Negati
La Finestra dei Migranti
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