"ALLE REALTA' DEL NORD-EST"
dalla TOSCANA ANTAGONISTA
Premessa
La nostra scelta di intervenire sull'appuntamento di Venezia
(settembre'97) fu conseguente all'essersi interrogati, sulla base
dei documenti di convocazione presenti in rete e su "Il
Manifesto", se partecipare o non partecipare. Sciolto
velocemente questo nodo, la discussione, che investì tutto il
corpo militante della Toscana, si centrò non tanto sul giudizio
da dare su "Venezia", quanto sul fatto che ci
interessava, e ci interessa, capire meglio i percorsi della
soggettività antagonista del Nord-est e, soprattutto, verificare
la distanza che si misura sull'agire politico in questa fase.
Abbiamo cercato (Impressioni di settembre) di impostare un
dibattito franco e serrato, scegliendo deliberatamente la forma
dell'interlocuzione, avanzando dubbi, perplessità,
preoccupazioni molto forti, ma stando ben lontani da lanciare
scomuniche, anatemi come è nella "liturgia di una sinistra
gruppettara e minoritaria".
Pensavamo che questo fosse il metodo giusto per misurare
differenze emerse nel linguaggio, nella pratica, nelle scelte
tattiche, senza cadere nella logica delle microappartenenze che
caratterizza buona parte dell'area antagonista.
Tutto ha un limite; la risposta che avete scritto, e che pure
affronta con vigore i termini della questione, è purtroppo
lontana dal metodo di confronto che intendevamo stabilire:
a) la vostra risposta inizia con una livorosa pagina dedicata
alla vicenda dei treni per Amsterdam. Eppure sapevate bene che
noi non ne abbiamo parlato, né a settembre, né a giugno, quando
eravamo troppo impegnati nella battaglia contro la
"Folgore" per farsi appassionare da decadenti
polemiche. Perchè allora?
b) avete cercato, partendo dalle nostre pagine, di
"analizzarci", di ricavare una nostra "visione del
mondo" per poterla conseguentemente censurare, tacciandoci,
a colpi di citazioni, di possedere tutti i vizi accumulati nella
storia del movimento comunista. Tipico del costume
terzinternazionalistico è l'espediente usato di virgolettare
espressioni, come se fossero state usate nel documento a cui si
risponde, pur sapendo che non ci sono. Al di là dell'ilarità
che ci ha suscitato l'essere accusati di tutto e del suo
contrario, perchè compagne e compagni è così
difficile il confronto.
In questo senso anche l'importante e costante richiamo allo
zapatismo risulta snaturato da esperienza in modello. Eppure
sapete bene che: "lo zapatismo non c'è, non esiste. Serve
solo, come servono i ponti, per passare da un lato all'altro
Nello zapatismo ci stanno tutti, tutti
quelli che vogliono passare da un lato all'altro".
Abbiamo capito che il documento serve al vostro interno, e,
soprattutto, nelle relazioni esterne che costruite, ben più che
come risposta a noi. Ben venga, quindi, la strumentalizzazione,
perfino il travisamento di quel che si è sostenuto, se serve a
spostare in avanti il dibattito. Ma tutto ha un limite! Varcato
questo limite, anche l'appello alla fiducia, che è senz'altro la
base indispensabile della politica, diventa vuota retorica.
Se volete combattere posizioni ed atteggiamenti chiamateli con il
loro nome, non ce li attribuite "non parlate a suocera
perchè nuora intenda", come si dice dalle nostre parti.
Se vi interessa discutere dovete mettervi bene in testa che
rappresentiamo solo noi stessi, i faticosi processi del movimento
dell'autorganizzazione in Toscana, di quelli, e non di altro,
rispondiamo.
TORNARE AL DIBATTITO
Con questo obbiettivo, dato che non abbiamo nessuna intenzione di
seguirvi sul terreno degli insulti, raggruppiamo una serie di
questioni, rimandando su altre, come il no profit, a quanto già
scritto.
1. Governo Prodi. Il nostro giudizio è preciso, ed in questo
senso rilegge numerose esperienze di questo secolo: un governo di
"sinistra" che fa una politica di destra, finisce per
aprire gli spazi a soluzioni autoritarie.
Questa non è la logica del "tanto peggio tanto
meglio", che non ci appartiene. Così come non ci
appartiene, e ci è sempre parso privo di senso, parlare del
"governo migliore". Semmai possiamo parlare, per il
ruolo svolto in determinate situazioni, di "governo
peggiore" (pensiamo ai governi "di unità e
solidarietà nazionale" del '76-'79).
La missione dell'Ulivo è la modernizzazione capitalistica
dell'Italia nel quadro di costruzione dell'Unione Monetaria
Europea. Questo vale per il nord-est come per il resto del paese
e l'intera Unione: la sinistra istituzionale al governo è un
dato generale della strada per Maastricht (13 paesi su 15). Le
diverse articolazioni territoriali, che senza dubbio esistono ed
è giusto indagare, le diverse componenti, da quelle partitiche
ai sindaci, sono accomunate dalla sostanza politica dell'azione
di governo.
Per meglio interderci: non è materialisticamente sostenibile la
distinzione che fate tra un Ulivo protervo ed arrogante in
Toscana, ed in altre zone dove è abituato ad un esercizio
costante del potere, e di un Ulivo condizionabile, laddove è una
debole pianta, come nel Veneto. Allora siamo noi che parliamo di
"tanto peggio tanto meglio" o siete voi che dovete
giustificare "il meno peggio"?
2. Bertinotti, Rifondazione, la trappola della crisi. Ma per
chi cazzo ci avete presi? Non conosciamo nella nostra storia
politica termini come "orfani" o "traditi".
La critica che abbiamo, sempre!, fatto nei confronti di
"Rifondazione" è globale ed investe tutto:
- la distinzione tra lotta politica e lotta economica, tra forma
partito e sindacato, che ne deriva;
- la costruzione di un apparato burocratico e di professionisti a
cui è riservata la politica;
- l'assenza d'insediamento sociale a cui si risponde con la
macchina elettorale;
- l'orizzonte istituzionale e statalista;
- il legame di "discendenza" dalla storia del
"socialismo reale" e del PCI.
Bertinotti fa il suo, certo, e noi non ci sogniamo di diventare
suoi consiglieri
siete voi che lo incontrate su presunte
"nuove strade dell'agire politico".
Noi non abbiamo mai parlato di un asse Prodi-D'Alema-Bertinotti,
formula banale, che mal rappresenta la sostanza degli interessi
tutelati da questo governo. Quello che abbiamo sostenuto è che
per "centrare Maastricht" era fondamentale, e non è
mai mancato, il voto del PRC.
Quanto all'essere caduti nella "trappola della crisi di
governo" non capiamo come ve la siete potuta inventare:
- il nostro documento era di settembre;
- sul n° 0 di "Comunicazione antagonista" nuova serie,
uscito proprio in quei giorni, non abbiamo sprecato una parola
sulla vicenda convinti, nell'economia del mensile, che la
"crisi" sarebbe rientrata molto prima. Noi non abbiamo
abboccato. Piuttosto, avete presente quanto da voi sostenuto nei
due ravvicinati comunicati "Dalle parole ai fatti", e
"Se esistesse il paese reale, imporrebbe l'accordo"?
3. La questione del frontismo, non come il "nemico
storico principale all'interno del movimento operaio", ma
come "una delle peggiori formule".
E, non in assoluto, prescindendo dall'analisi concreta della
situazione concreta, ma nella specifica e ricorrente tentazione
di rivolgersi alla "sinistra nel suo complesso",
indipendentemente dalle politiche e dal ruolo delle sue
componenti. Il nostro esplicito riferimento era alla comune
valutazione negativa della manifestazione del 25 aprile 1994 a
Milano (dopo la vittoria elettorale della destra). Vi chiedevamo
cosa ci fosse di diverso "allora solo Berlusconi, oggi solo
Bossi"? Ci rispondete che Venezia con il frontismo non
c'entra nulla, non trattandosi di mediazioni fra le linee, ma di
metodo di lavoro. Continuiamo a non capire
4. Classi, lotta di classe e diritto alla cittadinanza. Altro
che concezione statica delle classi
ma avete mai letto
qualcosa di quello che abbiamo scritto in questi anni? Non c'è
dubbi: il capitalismo rivoluziona costantemente se stesso per
riprodursi, ed il conflitto capitale/lavoro sta dentro questi
mutamenti, assume nuove forme e condizioni con il modificarsi
della composizione di classe. Il problema è che,
indipendentemente dalle forme in cui si manifesta, è la
contraddizione capitale/lavoro la leva per una trasformazione
rivoluzionaria dei rapporti sociali di produzione.
Post fordismo è un termine che non ci convince, perchè
definisce un'epoca sulla base della constatazione che viene dopo
(post), e proprio perchè siamo convinti di essere in una fase
caratterizzata dall'accumulazione flessibile (la convinvenza,
peraltro comune a tutti gli stadi di sviluppo capitalistico, di
diverse forme particolari di produzione e sfruttamento).
Che cosa significa questo per voi? Che la fase non è matura per
una politica rivoluzionaria? Che dobbiamo aspettare
l'affermazione di un soggetto collettivo maturo?
Dentro questa fase, dove il capitalismo organizza efficientemente
la propria lotta di classe ma è alle prese con enormi
contraddizioni, non ci aspettiamo l'emergere di un nuovo soggetto
egemone nella composizione di classe come lo sono stati, in
epoche particolari caratterizzate
dall'affermazione della grande industria l'operaio professionale
e l'operaio massa.
Partiamo dalla generalità dell'alienazione, dello sfruttamento
propri di un'epoca in cui il capitale sottomette tutto a sè.
Il colmo è che ci volete spiegare a noi, che da sempre
conosciamo forme di lavoro irregolare (basti pensare alle catene
del lavoro a domicilio o ai processi propri
dell'industrializzazione leggera e della campagna urbanizzata)
che non esiste più l'operaio massa
Grazie, anche, per la lezione sul rapporto fra lotta di classe e
lotta per l'estensione dei diritti democratici ("di
cittadinanza"), ma non ce n'era proprio bisogno. Chi ha mai
parlato d'incompatibilità fra di loro? Le lotte che abbiamo
promosso con le immigrate e gli immigrati per affermare i loro
diritti all'assistenza sanitaria, alla casa, alla permanenza in
Italia sono
solo l'ultimo esempio della nostra pratica. Questi conflitti
poggiano su soggetti sociali precisi, e sulla loro capacità di
costruire alleanze nella società, non sulla generica definizione
di "cittadino". Si ottiene qualcosa quando si
costruiscono rapporti di forza, dal momento che non esistono
sindaci e schieramenti politici che tutelino questi diritti. E'
così anche
per voi? Meglio, molto meglio di quando leggiamo "Vogliamo
sindaci come Cacciari, Zanonato, Illy" (ma non era quello a
cui dovevamo boicottare il caffè, e relative insegne, non più
di due anni fa?)
Qual'è il "trionfo della moltitudine" a cui vi
riferite? Quello di essere partecipi con i vostri candidati
nell'affermazione plebiscitaria di Cacciari, ben sostenuto anche
dagli industriali veneziani? E perchè nel vostro lungo documento
non c'è traccia della scelta di presentare candidati nelle liste
associate a Cacciari?
Perchè parlate dei Comuni come amministrazione del bene pubblico
e non come governo, categoria che implica l'esercizio di potere
politico? Anche fare il Piano Regolatore Generale di un Comune è
un atto politico che favorisce determinate classi sociali e ne
penalizza altre
Sono questi problemi ("siamo tutti uguali nella
municipalità"?) che ci portano a non capire la formula del
"federalismo municipalista", e non chissà quale
eredità statalistica che ci porteremo dietro (questa poi ?!) Ma
che cos'è il vostro, "federalismo di lotta e di
governo"?
Più che il Comune è la Regione che assume un ruolo decisivo
nella deregolazione del mercato del lavoro, della politica
urbanistica, dei fondi U.E., della fiscalità, della spesa
sociale. E' la Regione, almeno nella nostra specifica esperienza,
a determinare i flussi di comando, a
rappresentare il centro decisore della spesa.
5. L'implosione della soggettività politica. Il
gruppuscolarismo di ritorno è un tratto che caratterizza la
sinistra antagonista italiana. Lo denunciamo dal '92,
all'indomani della cacciata di Trentin e degli altri sindacalisti
dalle piazze. E' l'attuale miseria della sinistra antagonista
che antepone scorciatoie organizzative e presunzione di
rappresentanza alla costruzione di un'alternativa politica e
sociale capace di misurarsi e di dare risposta ai processi di
scomposizione di classe avvenuti. Questo tratto ha investito con
forza anche le realtà del sindacalismo di base e
dell'autorganizzazione dei lavoratori, con rarissime eccezioni,
portando alla palese contraddizione di una presenza
significativamente estesa nei luoghi di lavoro in assenza di
progetto. Risultato, la reiterazione delle stesse forme,
manifestazione nazionale e susseguente sciopero, di anno in anno,
con oggettivo depotenziamento delle stesse.
L'incapacità di dare risposte organizzate alle forme di
precarizzazione del lavoro ne è la cartina di tornasole.In
questa situazione il criterio con cui ci orientiamo è la
discriminante
fra chi rappresenta qualcosa e chi è parte di qualcosa. Fra chi
si mette in gioco, e mette in gioco la soglia di identità e di
organizzazione raggiunta fino a quel momento, per contribuire a
costruire momenti e movimenti significativi e chi li attraversa
per riaffermare una propria, separata, identità utilizzandoli
per perpetuare l'esistenza del proprio gruppo.
6. Autorganizzazione sociale non è il nome con cui ci
vogliamo chiamare, ma la possibile alternativa, complessiva, da
esercitare su tutti i terreni, dalla contrapposizione della
democrazia diretta agli istituti di governo, fino alla
prefigurazione della società futura. Per questo abbiamo la
necessità di parlare ed organizzare grossi settori sociali. La
nostra
storia è chiara, ed è caratterizzata dal lavoro di massa, non
sprechiamo energie cercando di spaccare i capelli sulla giusta
linea, nè sui formalismi. C'è un piccolo particolare che
mostrate di non capire, sappiamo bene quello che facciamo. E'
dalle esperienze che abbiamo maturato in
Toscana, nelle lotte di resistenza dei lavoratori, nelle lotte
sociali a partire da quella per il diritto alla casa, nel
movimento dei centri sociali autogestiti, nelle lotte ambientali,
nelle mobilitazioni antimperialiste e nella solidarietà
internazionalista, che partiamo per definire il nostro modo di
agire. Esercizio del conflitto, costruzione di rapporti di forza
favorevoli con lo
sviluppo dell'azione diretta, a partire dai dati specifici su cui
si riflettono le contraddizioni; radicamento nel territorio,
sulla capacità militante di far vivere una pratica, un programma
ed i luoghi d'incontro e comunicazione; lavorare per superare le
singole specificità conquistando
una dimensione generale di critica e d'opposizione, sviluppando
quindi un agire ricompositivo: è questo il nostro COME costruire
e su questa strada troviamo tanti alleati nella società, ma non
li troviamo nello schieramento politico istituzionale della
sinistra.
Per finire, siamo internazionalisti e vediamo l'Europa, unita
dalle esigenze dei capitali, come lo spazio di collegamento
immediato della nostra azione politica un nuovo ciclo di lotte, a
partire da quella dei disoccupati francesi.
P.S.
Quello della rottura rivoluzionaria è un tema che merita un
dibattito a parte. Vogliamo solo offrire un chiarimento
preliminare. A nostro avviso le rotture rivoluzionarie di questo
secolo non possono essere riassunte nello schema della presa del
potere con il colpo di mano nei tempi brevi dell'insurrezione (e
le lotte di lunga durata?) e conseguente collettivizzazione
dall'alto. Così come non erano scontati gli esiti, a partire da
quello dell'ottobre del '17, per arrivare alla trasformazione
dell'Internazionale da strumento della rivoluzione mondiale a
strumento di politica estera dell'URSS; fino alla Spagna del '36,
dove si sono giocati buona parte dei destini, ed alle lotte
dell'altro movimento operaio. Nonera una storia scontata, ne è
stata una storia incruenta, segnata dall'eliminazione fisica di
comunisti, libertari, rivoluzionari.