La faccia sporca del miracolo

Cosa succede se i rifiuti industriali sono un vero affare, e se si tranciano le colline per estrarre sempre più argilla?

PAOLO CACCIARI -

L' ECONOMIA VENETA, compreso persino il turismo, non sembra ancora accorgersi della delicatezza, della limitatezza, della insostituibilità del suo "supporto" fisico. Vi sono seri indizi che il "miracolo economico" dell'industria diffusa del Nord-Est stia poggiando proprio sulla possibilità che è stata concessa alle imprese di "esternalizzare" i costi ambientali usufruendo di un quadro normativo drammaticamente lacunoso e di un humus culturale del tutto favorevole alle ragioni di una crescita senza regole.

Assistiamo così in tutti i sottosistemi ambientali (suolo e sottosuolo, acque dolci e salate, atmosfera) ad un crescente peso del carico antropico, ad un "prelevamento" selvaggio, ad una urbanizzazione a elevato consumo di territorio, in definitiva ad un peggioramento secco della qualità degli ecosistemi.

Un bilancio da record

Il bilancio è paradossale: più di un milione di abitanti con gli acquedotti a rischio a causa dell'inquinamento dei fiumi (soprattutto l'Adige) e delle falde (soprattutto atrazina), le marinerie pescherecce della cosata impegnate in violente liti tra loro, il porto naturale lagunare veneziano e la rete dei canali interni navigabili (idrovia Litoranea adriatica e Fissero-Tartaro-Canal Bianco) mal utilizzati, il modello urbanistico "policentrico" paralizzato dal traffico veicolare privato, una produzione di anidride carbonica da combustione di idrocarburi più alta d'Italia (qualche anno fa è stata stimata dall'Ente di Sviluppo Agricolo Regionale in 4,6 tonnellate pro capite all'anno, per via delle megacentrali di Porto Tolle e di Marghera), una altissima produzione di rifiuti solidi urbani pro-capite (stimata in 370 kg per abitante all'anno, per un totale di 1 milione e 724 mila tonnellate all'anno di rifiuti solidi urbani a cui aggiungere 4 milioni e 600 mila di rifiuti industriali "autodichiarati") che costringono le città in uno stato di emergenza permanente a causa della carenza di impianti di smaltimento, per contro sono installati nella regione inceneritori di rifiuti industriali e discariche per rifiuti tossici/nocivi con una potenzialità nominale (forni dell'Eni di Porto Marghera e discariche della provincia di Treviso) eccedente la domanda locale, così da ingenerare consistenti traffici di rifiuti in entrata da altre regioni ed anche dall'estero.

Assessore e cacciatore

L'elenco dei paradossi veneti potrebbe continuare a lungo, voglio ricordare ancora solo le mappe delle zone a rischio idraulico, delle frane e degli smottamenti che periodicamente isolano intere vallate montane o allagano parti della pianura. In questa situazione la strumentazione giuridico-normativa messa in campo dalla Regione soffre di un evidente strabismo: da una parte una legislazione generale, risalente ai primi anni '80, di grande respiro, con la pretesa di offrire una protezione organica del territorio e delle sue risorse naturali, dall'altra la sua pressoché totale inapplicazione. La conseguenza è una regione in balia della forza di ogni interesse potenzialmente dannoso all'ambiente, con le sue popolazioni costrette a lottare "corpo a copro", impianto per impianto, autorizzazione per autorizzazione, come per comune.

E', questa, una condizione ideale per quelle forze politiche della nuova destra (Forza Italia, Alleanza nazionale, Ccdi-Cdu) che da un anno si sono insediate al governo del Veneto e che guardano con insofferenza a qualsiasi politica di vincolo ambientale, così come ad ogni iniziativa di pianificazione territoriale. Nel Veneto poi c'è da notare come ambedue gli assessori "verdi" (ambiente e agricoltura) siano stati assegnati ad esponenti di An: il leader dell'ex partito dei cacciatori e un ex ufficiale di carriera dell'esercito. Con un simile quadro politico di riferimento, per tutte le forze d'opposizione si è reso quindi necessario aggiornare le proprie strategie per la difesa dell'ambiente, senza più poter fare alcun affidamento alla "sponda" istituzionale.

Fossò nei rifiuti

Fossò è un piccolo comune tra Venezia e Padova, nel cuore del distretto industriale del calzaturiero. Nella sua brava Zona artigianale si sono insediate (in variante al piano urbanistico), l'una accanto all'altra, due industrie insalubri di prima categoria, la Seven Srl (Servizio ecologico veneto) e la Cal, due ditte di certi fratelli Candian che trafficano in rifiuti e che da tempo preoccupano non poco gli abitanti della zona per aver provocato già tre gravi incendi. Uno nell'89, quando ancora la Seven operava in un capannone in area residenziale, e poi nel '94 alla Cal quando già si era insediata in "Via dell'industria". Infine l'ultimo, scoppiato quando già avevo finito di scrivere questo articolo. La popolazione, che non era stata mai informata di come siano finite le indagini sui primi due incendi, ha occupato il Municipio fino ad ottenere ciò che chiedevano da tempo alla Provincia di Venezia: la sospensione delle autorizzazioni per la Seven. Solo promesse, invece per la Cal, separata dalla prima solamente da un cortile.

La popolazione aveva perso la pazienza e si era già mobilitata in un comitato, quando venne a sapere che la Seven non si accontentava di ciò che faceva ed aveva presentato un progetto di ristrutturazione dei suoi impianti per allargare le attività dallo stoccaggio provvisorio di rifiuti speciali, pericolosi e tossico-nocivi, al trattamento (triturazione e miscelazione) di alcune tipologie di rifiuti. Contemporaneamente un'altra società, la Energom di Suzzarra (Mantova), chiedeva di poter realizzare, in un terreno dei Candian, adiacente alla Seven, un altro impianto per la combustione di pneumatici e resine non clorurate, cogenerando energia elettrica. Le pratiche sono sui tavoli dell'amministrazione comunale e della Regione Veneto da un anno, ma solo a fine '95 viene alla luce il problema.

La gente insorge, si forma un comitato comprendente anche comuni limitrofi. Nell'assemblea pubblica del 27 febbraio la popolazione riempie un tendone di un circo che era nella piazza di Fossò. Sono presenti oltre duemila persone e chiedono di fermare tutto.

Autorizzazioni a rate

Si scopre che i fratelli Candian hanno ottenuto in varie rate dalla Provincia e dalla Regione le autorizzazioni necessarie all'esercizio di attività di raccolta, trasporto, cernita e stoccaggio provvisorio di una larghissima tipologia di rifiuti speciali, pericolosi, ospedalieri, tossici e nocivi, provenienti anche dall'estero. Si scopre anche che da tempo la ditta non gestisce alcuna discarica autorizzata, né le è mai stato chiesto dove vanno queste grandissime quantità di rifiuti (550 tonnellate, tra cui amianto, alla Seven, 400 alla Cal) che si accumulano all'interno dei capannoni. Le visite dell'Ulss e della Provincia sono state incredibilmente rare, comunque vi sono state contestazioni tecniche che non hanno mai avuto seguito. Il tentativo di allargare le attività anche alla triturazione e miscelazione e all'incenerimento di pneumatici, altro non sarebbe che un modo per smaltire l'accumulato.

La Regione sperimenta

Se nel caso di Fossò ci troviamo di fronte alla "libera intrapresa", ben più grave è il caso di Cadola, frazione del comune di Ponte delle Alpi (Belluno). Qui la Regione non è spettatrice, ma principale promotrice di una allucinante "sperimentazione" dell'uso di rifiuti tossico-nocivi come "combustibile alternativo" in un vecchio altoforno di un cementificio della Unicem (Fiat). Il business è doppio: da una parte una ditta (la Ecora) di raccolta e trasporto di rifiuti speciali, tossici e nocivi della zona industriale di Longarone funge da conferitore, dall'altra la Unicem brucia. Il tutto sotto il controllo di una commissione di esperti composta da tecnici della locale Ulss, del Comune e della Regione, sotto l'alta sorveglianza di un professore universitariod i Padova. E' nato un comitato che sta cercando di ricordare che simili esperimenti in altre parti del mondo (Francia e Usa) vengono svolti in impianti pilota appositamente costruiti e gestiti direttamente dalle massime autorità scientifiche pubbliche.

La pattumiera

E' stata definita la pattumiera d'Italia. Stiamo parlando di Porto Marghera. Nei forni degli impianti Tdi dell'ex-Montedipe, ora Enichem Polimeri, in quelli denominati CS28 dell'Enichem-Anic spa e in quelli SG31 della Geos ambiente spa (Ex Monteco) si possono smaltire oltre 250 mila tonnellate anno di residui industriali liquidi (solventi e acque di processo, sostanze organo-clorurate). All'Agip petroli altre 7.000 tonnellate l'anno di fanghi. In fase di realizzazione vi sono poi le linee dell'impianto di Fusina dell'Azienda municipalizzata che oltre ai rifiuti solidi urbani dovrà trattare anche fanghi da depurazione.

In questa situazione di già altissima concentrazione di inceneritori, l'Enel sta trattando con la Regione la possibilità di utilizzare quattro linee della centrale termoelettrica di Fusina (600 kilo-watt, attualmente alimentata a carbone) e due linee della centrale di Marghera per lo smaltimento Rdf in mattonelle ricavato dalla frazione solida dei rifiuti urbani che andrebbe miscelato (al 2, secondo le "verifiche tecniche e teoriche" dei tecnici dell'Enel) con il carbone.

L'idea, che appare come un sogno agli amministratori locali da sempre alle prese con lo smaltimento di 480 tonnellate/giorno di rifiuti della città, non sembra però trovare grandi alleati alla Elettroambiente di Milano, la nuova società fondata proprio dall'Enel per occuparsi delle piccole produzioni indipendenti di energia, dopo la liberalizzazione e la privatizzazione, e quindi della "termovalorizzazione" dei rifiuti.

La pressione che si registra in questo campo è altissima, nonostante i problemi ecologici ed economici dell'operazione. Legambiente di Padova ha calcolato che il costo dell'impianto di San Lazzaro a Camin, l'unico gestito dalla azienda municipalizzata di Padova che sembrava offrire serie garanzie ambientali, costa attorno alle 200 lire al chilo.

Fuochi artificiali

Il 15 marzo ultimo scorso è esploso un deposito di smistamento di gpl della Butangas a Paese, un piccolo centro vicino a Treviso. Il custode e un operaio sono morti, un vigile del fuoco è ancora ricoverato in rianimazione al centro grandi ustioni di Padova, altri suoi colleghi sono rimasti gravemente feriti. Nel 1995 in Veneto vi sono stati 150 morti sul lavoro e 128.650 infortuni con feriti con prognosi superiore a tre giorni.

Quello di Paese è stato il terzo incidente avvenuto nel Veneto negli ultimi due anni in impianti compresi nell'elenco del decreto "Seveso". Incidenti annunciati, quindi. Nel caso della Butangas, poi, la commissione nazionale di valutazione aveva giudicato incompatibile la sua localizzazione perché troppo vicina all'abitato, così come avevano sempre affermato il Comune e la popolazione. L'azienda aveva avanzato una istanza di trasferimento in altro luogo, si era in attesa di un passaggio regionale. Attesa inutile. La Regione Veneto non ha mai adempiuto agli obblighi del Dl 175/88. Montagne di "piani di sicurezza" giacciono da anni in un ufficio in attesa che si concluda un "corso formativo" riservato a tecnici delle Ulss che poi, forse, potranno verificarli. Una diffida e un esposto non hanno finora smosso l'interesse della magistratura su questo argomento.

Una collina alla volta

Lo hanno chiamato "ripristino ambientale"; in realtà si tratta dello spianamento di una intera collina, la dorsale di Costalunga, detta "Pareton", che divide le valli del Pasubio (dove sorge il tempio del Canova) e dell'Asolano, storici siti in provincia di Treviso. Vorrebbero "addolcire" le pendenze della collina, gravemente compromessa da una lunga e dissennata attività di escavazione, abbassando il crinale per una altezza che varia dai 30 ai 70 metri. A proporre il progetto che prevede l'estrazione di 7 milioni e 700 mila metri cubi, una quantità che non ha pari almeno nella storia del Veneto, sono i potenti fornaciai della zona (nove stabilimenti e una attività che interessa oltre mille persone che vorrebbero concentrare in un unico punto di cava il loro fabbisogno pluri-decennale di argille e di calcare.

Approfittando del vuoto normativo (il Piano regionale dell'attività di cava avrebbe dovuto essere approvato nel lontanissimo 1983), il progetto è già stato approvato dalla Commissione tecnica regionale, anche se in contrasto con le indicazioni del Piano Territoriale Provinciale che, però, il Consiglio provinciale di Treviso non ha ancora approvato in via definitiva. La Giunta regionale, con l'insperato appoggio di parte dei partiti di opposizione (Pds), oltre che dei sindacati, è intenzionata a dare il proprio placet non appena scadranno i termini delle norme di salvaguardia del Piano Territoriale. A resistere è rimasto il solo comune di Montecucco, sul versante asolano della collina, e un comitato popolare che ha raccolto migliaia di firme e la solidarietà di molti uomini di cultura.

Due progetti alternativi presentati da una Associazione per la Salvaguardia, la Tutela e l'Educazione Ambientali e da uno studio professionale (Geo Habitat) di un ex assessore provinciale, non sono stati tenuti in considerazione perché prevedono l'escavazione di una quantità molto inferiore di argille. Si chiede di rispettare le procedure della Valutazione dell'impatto ambientale. E' sicuro, infatti, che se passasse il progetto, oltre al danno paesaggistico vi sarebbero ripercussioni sul sistema acquifero e sullo stesso microclima.

"il manifesto" 8-Agosto-1996



Associazione Difesa Lavoratori

adl@ecn.org.
35043 Monselice (Pd) via Marendole 7 Ph. +39 429 74459 FAX 783733

Riunione ogni mercoledi' alle 21.30. consulenza legale ogni giovedi' dalle 16.00 alle 18.00.


la corte ECN Home Page adl