CONTRIBUTO AL DIBATTITO DELL'ASSOCIAZIONE DIFESA LAVORATORI DI PD Federata SLAI-COBAS

Le diverse esperienze di autorganizzazione maturate in questi ultimi anni all'interno dei posti di lavoro, nel territorio e nel sociale, rappresentano, pur nella loro differenza e complessità, l'unica vera innovazione politica nei tristi scenari di questo fine secolo.

SE... il grande sogno che, da sempre, accompagna i capitalisti ed il loro stato è quello di una realtà completamente pacificata, addomesticata e piegata alle ferree leggi del mercato, dell'impresa, del profitto, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo...
SE... il capitale vuole un "popolo di scimmie" all'interno di una gabbia d'acciaio...

SE... intellettuali post moderni, lacchè e cortigiani di varia natura a servizio dei potenti si affrettano a decretare la " fine della storia" e concepire questo come il migliore dei mondi possibili...

Le varie espressioni di autorganizzazione operaia e sociale sono la dimostrazione concreta, al di là di tanti discorsi, non solo che la storia non è finita, ma che è possibile e necessario iniziare una nuova storia, costruire e sperimentare nuovi percorsi collettivi di lotta ed organizzazione autonoma. Solo il conflitto produce nuovi diritti, apre gli orizzonti della democrazia radicale, spazi di libertà e di futuro per gli sfruttati e gli oppressi! In una realtà omologata ed appiattita sulla logica del mercato e sull'ideologia neo liberista, con i suoi miti individualistici e meritocratici, con le sue discriminazioni e disuguaglianze di classe, di razza, di sesso; in questa moderna versione del "totalitarismo, mascherato da democrazia pluralista". L'esistenza stessa dell'autorganizzazione si pone come anomalia, un dire di no, forte e chiaro, la volontà di non accettare le regole del gioco...

- significa contare sulle proprie forze, fondare un percorso autonomo ed indipendente, senza delega a partiti e sindacati... senza l'illusione di ri-fondare ciò che non esiste più!!

- significa rompere la superficie dura e compatta dell'ordine costituito e della sua "legalità" ed immettere disordine e sovversione in questa mortifera e mortificante pace sociale, contro il lavoro di merda e la vita di merda.

- significa, in sostanza, mantenere aperto il senso della storia, la possibilità di costruire un mondo migliore, di difendere e conquistare, nella lotta, nuovi diritti per tutti.

Per molti di noi, lo sviluppo dell'autorganizzazione fra i lavoratori, giovani, studenti, dopo anni di devastazione della solidarietà sociale e pesanti sconfitte ed arretramenti sul piano del salario, reddito, dei servizi, delle condizioni di lavoro, dei diritti sindacali e sociali, della qualità della vita, ha toccato corde profonde della nostra soggettività ed identità, riaccendendo il fuoco dell'entusiasmo per una nuova stagione di lotta. Ma proprio per questo motivo, per l'importanza strategica che diamo al principio stesso dell'autorganizzazione, ci sembra che oggi questa grande forza, ricchezza, potenzialità vadano progressivamente esaurendosi. Si sta spegnendo il "fuoco iniziale", la spinta propulsiva che ha visto molti giovani, lavoratori, uomini e donne avviare percorsi differenti ed autonomi, rompere con i sindacati e le burocrazie di partito, spezzare le gabbie del controllo sociale, contrastare l'egemonia politica e culturale delle classi al potere, aprire spazi di libertà.

Riflettiamo e guardiamoci attorno, interroghiamoci in profondità:

1) Perché chi ha rotto con il sindacato, propone un'altra forma di sindacato?

2) Perché chi ha rotto con la "forma partito" per costruire ed essere interno ad esperienze autorganizzate finisce per considerarle strumenti tattici, punti di appoggio, articolazioni strumentali della strategia del nuovo partito, questa volta veramente "comunista?"

3) Ha ancora senso, se mai ne ha avuto uno, distinguere tra lotta economica e politica, come se fossimo ancora nelle prime fasi dello sviluppo capitalistico e dell'industrializzazione, con una peculiare composizione di classe ed uno specifico rapporto, storicamente determinato, tra classe operaia ed "intellettuali?" Per quale motivo i lavoratori dovrebbero essere, appunto, un "popolo di scimmie", capace di lottare solo per la pagnotta, mentre la strategia complessiva dovrebbe essere prerogativa di una élite illuminata?

4) Che senso ha questo proliferare di una molteplicità di sindacatini che scimmiottano spesso in forma caricaturale, quelli maggiori? Cosa c'entra più lo spirito originario dell'autorganizzazione con tutto questo?

La storia del movimento operaio e delle lotte sociali dimostra che è sempre fallimentare riprodurre specularmente in piccolo ciò che potenti organizzazioni di sindacato, partito, o stato, rappresentano in grande. Viceversa, solo le rotture della tradizione e l'innovazione politico organizzativa sono in grado di produrre nuove lotte e conquistare nuovi diritti: lo spirito di innovazione ed il desiderio di sovvertire l'ordine di cose esistente sono l'anima stessa della lotta di classe. Ci viene in mente la storia dei gruppi della sinistra extra parlamentare anni 60/70: ognuno chiuso nella sua nicchia particolare, con la presunzione di rappresentare l'interesse della maggioranza, con l'ansia paranoica e maniacale di voler costruire o essere il "vero partito" o il "vero sindacato di classe". Riflettiamo, discutiamo, rompiamo la routine!!

Alcuni punti ci sembrano importanti:

1) La "forma sindacale" è puramente uno strumento tecnico, non è l'essenza dell'autorganizzazione. Ormai è tempo di die chiaramente che la stessa forma sindacato, così com'è nata storicamente quale rapporto di mediazione tra capitale e lavoro o di contrattazione della vendita della forza - lavoro, non ha più senso dal punto di vista "strategico". Certo, essa può essere mantenuta come strumento di difesa ed assistenza, ma il cuore dell'autorganizzazione, la sua forza e potenza, consiste nello sviluppo del contropotere, nella capacità di porre nella lotta la soddisfazione dei bisogni sociali, il protagonismo dal basso, l'azione diretta dei lavoratori, senza "mediatori" di professione o politicanti di mestiere.

2) La forza dell'autorganizzazione non consiste nel riprodurre in piccolo un sindacato( o più sindacati) nazionale, non è la sommatoria meccanica delle sigle già esistenti, infatti sarebbe come dire che più debolezze costituiscono una forza! L'elemento fondante, propulsivo, invece consiste nelle capacità ricompositive, nel duplice rapporto tra radicamento e radicalità:

a) RADICAMENTO NEI PROPRI POSTI DI LAVORO E NEL TERRITORIO;
b) RADICALITA' NELLE FORME DI LOTTA E NEL CONFLITTO.

La cosa più giusta, in questa prospettiva, sarebbe lo scioglimento di tutte le sigle o siglette, gruppetti o sindacatini per la costruzione del MOVIMENTO DELL'AUTORGANIZZAZIONE SOCIALE , dentro un processo di autorganizzazione dal basso. Attenzione: non vogliamo essere fraintesi! Già altri della sinistra, istituzione partito e sindacato, ( Rifondazione Comunista e CGIL) pagherebbero qualcosa perché lo SLAI non ci fosse! E' indubbio che la formula organizzativa SLAI per noi ora è indispensabile proprio per avere quel minimo di diritti sindacali all'interno del posto di lavoro, senza creare sindacalisti di mestiere!, e rendere usufruibili i "diritti forti" a tutti i lavoratori (elezione democratica di chi va a trattare proponendo le RSU pur sottolineandone e combattendone i limiti di autonomia). Evitare di fare propria la logica gruppettara significa per noi porre già nel nostro agire l'oltrepassamento dello stesso SLAI, il problema è come, e verso cosa! Per esempio, "autorganizzazione dal basso" è l'esatto opposto di una Consulta dei vertici di sindacati e sindacatini. Come pure, realtà che si federano tra loro è l'opposto del costruire l'ennesimo sindacato "nazionale" con tutta la gerarchia interna che ne segue.

3) IL CHIAPAS E' LONTANO, sicuramente, ma crediamo che alcune indicazioni e messaggi provenienti da laggiù, siano d'importanza fondamentale anche per noi. Radicamento - Radicalità : la rete delle comunità indigene locali fortemente radicate nel loro territorio, in una dimensione di conflitto permanente, di contropotere, di lotta armata, è riuscita a trovare una propria espressione complessiva del tutto originale, oltre qualsiasi ipotesi di "centralizzazione" partitica ed organizzativa. E' possibile, anche qui, nelle ricche metropoli dell'occidente, tradurre questo messaggio, questa nuova dialettica ed unità tra locale e globale? E' possibile concepire una rete di associazioni di lavoratori, in fabbrica o nel sociale, in grado di federarsi e cooperare tra di loro, oltre la forma partito o sindacato, e conquistare nella lotta, un punto di vista comune, un progetto ricompositivo, al di là della pura e semplice difesa dei vari interessi particolari?

4) L'inflazione di "manifestazioni nazionali a Roma" allude ad un immaginario frutto di una vecchia logica: a Roma c'è la sede del governo centrale, dunque andiamo a protestare, a fare pressione secondo una versione di tipo insurrezionalista, senza insurrezione, senza lotte, senza antagonismo! Perché con tutte le manifestazioni fatte, con centinaia di migliaia, milioni di persone, non si sono spostati di un millimetro i rapporti di forza? Il problema è che il potere e il comando del capitale non sono concentrati nel palazzo, ma dislocati nel sociale, in una molteplicità di luoghi e di centri. Com'è possibile incidere e lottare contro il potere se non si parte dalla sua moderna configurazione, dalla sua diffusione, dai luoghi della sua produzione e, anzitutto, dalla fabbrica al sociale? Nella storia dell'Altro movimento operaio, quello non codificato dalla storiografia ufficiale o di regime, le manifestazioni avevano un senso ben preciso: momenti culminanti di un intenso ciclo di lotta; oggi, la contrario, la manifestazione diventa il momento che supplisce o sostituisce il momento di lotta! Mera rappresentazione o simulazione! L'inversione metodologica non potrebbe essere più completa: invece di partire da lotte radicali - radicate all'interno dei vari luoghi della produzione sociale, di cercare o sperimentare nuove forme di rapporto tra esperienze autorganizzate, di tipo federativo e non centralistico, per trovare in alcuni momenti forme alte e potenti di ricomposizione, si fa esattamente l'opposto.

5) Una tematica epocale è certamente rappresentata dalla riduzione della giornata lavorativa sociale: ma come si pensa di ottenerla, per decreto parlamentare, o con infinite manifestazioni nazionali a Roma? Crediamo che questo obiettivo così importante si possa ottenere a partire da un nuovo radicale e diffuso ciclo di lotte, cominciando per esempio, dal blocco degli straordinari alla FIAT di Torino!

6) La problematica del fisco: lasciamo perdere, per ora, chi paga e chi non paga. Sarebbe già tanto portare al centro dell'attenzione e del dibattito dell'autorganizzazione l'importanza di questo aspetto. Intanto, primariamente, sulla funzione che da sempre il potere d'imposizione fiscale ha nella ridistribuzione del reddito e ripartizione della ricchezza tra le classi, sul ruolo dello stato, come strumento di riproduzione del capitale sociale complessivo; sulla possibilità , per quanto utopica, di concepire un controllo diretto, dal basso, sull'uso e la destinazione della ricchezza prodotta dal lavoro sociale, sui possibili meccanismi di ridistribuzione, radicalmente democratici, la cooperazione tra associazioni ed esperienze autorganizzate nei territori, la creazione di una sfera pubblica, di un "bene comune" oltre l'orizzonte statalista... Solo in questo contesto, imponendo il riconoscimento del carattere cooperativo e collettivo del lavoro sociale contro lo Stato, è possibile ridisegnare dal basso la sfera dei nuovi diritti.

7) Qualità della vita, rapporto con il territorio, l'ambiente naturale e sociale:

COME, COSA, QUANTO PRODURRE, E PER CHI?

L'assurdità di mantenere produzioni nocive, devastanti per la salute e l'ambiente, si accompagna alla necessità di ribellarsi contro il ricatto occupazionale, in nome dell'interesse della collettività. Per quale motivo, per ottenere un reddito bisogna vendersi a tal punto da essere costretti, lavorando, a creare la propria ed altrui distruzione? Si tratta di un puro non senso alle soglie del Duemila: dobbiamo rompere il meccanismo perverso di rapporto reddito - lavoro. Perché subordinare il bisogno di reddito alla costrizione ad un lavoro qualunque esso sia e nelle condizioni più schifose che la logica del profitto impone? Cos'è più assurdo lottare per un lavoro nocivo a sé e agli altri, oppure per un reddito garantito, per un nuovo valore d'uso della produzione sociale ed una migliore qualità della vita collettiva?

Padova ottobre 96

n.b.

Quanto abbiamo scritto è semplicemente una riflessione a voce alta che non ha la pretesa di essere un documento organico, ma semplicemente un work in progress all'interno del dibattito del 3° Congresso SLAI.

CONTRIBUTO AL DIBATTITO DELL'ASSOCIAZIONE DIFESA LAVORATORI DI PD Federata SLAI-COBAS

Buon lavoro, compagni.




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