TERRE DI CONFINE



Periodicamente la Corea si presenta, nell’ immaginario italiano, come qualcosa di molto lontano ma terribilmente prossimo, come una possibilità remota ma realizzata.
Forse questa strana contiguità è data dal essere, tra mille differenze, terre e realtà sociali di confine. Italia e Corea, quindi, quali crinale tra blocchi, un tempo, politicamente contrapposti, tra aree di sviluppo ed influenza economica nell’ economia mondo, oggi.
Se gli anni 50 per la Corea hanno significato la deflagrazione della guerra civile in guerra imperialista di contenimento del pericolo rosso, per l’ Italia, come ci ricordano la vicenda Gladio e il retaggio della città-stato di Trieste, gli stessi anni sono sfilati con davanti sempre lo spettro di tragiche evenienze ed oscuri ricatti.
Negli anni 60, del boom economico planetario, l’ Italia ha agganciato i partner europei, surclassando la nuova Corea, ma al contempo ne ha importato dei pezzi nei quartieri dormitorio della nuova immigrazione (chiamati appunto coree) nelle città del nord, e ne ha subito la nemesi (calcistica) nella mitica sconfitta ai mondiali del 66 ad opera del piede del dentista-calciatore(il nome lo ricorda marzio).
Gli anni 70 hanno allargato la forbice tra i due paesi, in Italia sono stati quelli della riplasmazione sociale e del contropotere operaio, in Corea sono stati quelli della formazione di una nuova generazione ribelle e della verificata possibilità di sconfiggere l’ imperialismo americano.
L’ insurrezione di operai e studenti di Kwangiu, repressa nel sangue di oltre 500 morti e migliaia di feriti, connota gli anni 80 come quelli dell’ allontanamento dei dittatori, dell’ assunzione di un controllo più soft degli americano per tramite dell’ esercito, dell’allentamento della corda economica da parte delle corporation coreane (cebol) e giapponesi (zaibastu), capaci di produrre dagli stuzzicadenti alle petroliere, passando per i quartieri per i propri dipendenti .
Questi sono gli anni del grande balzo delle Tigri asiatiche (Singapore, Hong Kong, Malesia, Indonesia e Corea), sono gli anni di uno sviluppo ad un tasso a due cifre, sono gli anni della scolarizzazione di massa, di conquiste salariali, di costruzione della autoorganizzazione operaia, della formazione di un’ opposizione sociale diffusa, dell’ affacciarsi agli anni 90 con una classe operaia socialmente pesante e numericamente enorme, definita dai comparti siderurgico, navale, dell’ auto, dell’ elettronica, tessile, edile, a forte densità fordista, pur nell’ accezione servile-paternalista del modello applicato nei paesi di seconda industrializzazione.
Gli anni 90 sono quelli della globalizzazione, della fine dei blocchi, del crollo delle frontiere per il capitale, delle guerre commerciali, della ridislocazione dei cicli produttivi oltre che del decentramento delle imprese, delle produzioni informatizzate e delle società strutturate a rete, del capitale come know-how, del just in time, dell’ imposizione sull’ intera società civile delle modalità produttive della qualità totale.
In Corea come in Italia, quale nuova determinazione globale del comando capitalistico, quella imposizione politica per i cittadini che Ignatio Rammonet ha chiamato “pensiero unico”.
Così, oggi, nei due paesi le grandi corporation di capitale negano esplicitamente il riconoscimento alle organizzazioni dei lavoratori, quali esse siano, e spingono per la riduzzione e/o la conversione del rapporto di lavoro a puro rapporto soggettivo, rifiutando in maniera dichiarata ogni possibile rapporto dialettico tra le classi sociali, pena lo scollamento dalle dinamiche dell’ economia globalizzata.
Quello che Giuseppe Bronzini ha denominato come nuovo “rapporto di lavoro servile”, senza alcuna rigidità e garanzia per il lavoratore.
Una condizione politica comune, una situazione di classe parallela, segnate da mille differenze culturali e sociali, e così è stata percepita anche dagli operai italiani con la fascia rossa con su scritto “Kontratto-Korea” stretta in fronte, che a Bologna hanno preso a sassate la sede del convegno organizzato dalla Federmeccanica, chiudendo quella forbice che dagli anni 70 aveva diviso queste due terre di confine.
a cura dell’ Associazione Difesa Lavoratori federata allo SLAIcobas
pd. 29.01.97
http://ecn.org/lacorte/adl.htm



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