un traffico lucroso, NEL DISPREZZO DELLE LEGGI

Il vagabondaggio dei rifiuti tossici in Europa


Nel marzo 1996, 200 tonnellate di olio al piralene sono state scoperte nel cuore di Bordeaux. Uno scandalo tra tanti altri, la conferma che le pattumiere industriali dell'Unione europea traboccano. Eppure, la recentissima decisione politica dei Quindici di dotarsi di una legislazione efficace sembra più il risultato della pressione delle opinioni pubbliche che della volontà di limitare i pericoli dell'inquinamento industriale. Benché dal 1993 siano state adottate importanti disposizioni sull'esportazione e il trattamento dei rifiuti, l'Unione europea non riesce ancora a far applicare negli stati membri una strategia adeguata alla loro gestione. Dopo una lunga inchiesta, Jean-Loup Motchane e Michel Raffoul rivelano le disfunzioni della politica comune europea relativa all'inquinamento industriale, individuano il ruolo dei gruppi di pressione e descrivono il vagabondaggio dei rifiuti attraverso il continente.

di JEAN-LOUP MOTCHANE e MICHEL RAFFOUL *

"Per quanto incredibile ciò possa sembrare, non siamo ancora in grado di conoscere il percorso dei rifiuti industriali tossici dal momento della comparsa a quello della loro eliminazione".
Una constatazione certo inquietante, soprattutto perché a farla è un alto funzionario della Commissione europea, incaricato precisamente della gestione dei rifiuti. A meno di quattro anni dal 2000, nessuno, a Bruxelles come altrove, è in grado di fornire dati precisi sui circuiti, il trattamento e persino sul volume dei rifiuti industriali tossici, la categoria più pericolosa di scorie.
"Non riusciamo neppure a metterci d'accordo sulla semplice definizione del termine di rifiuto, e meno ancora su quella di rifiuti tossici" deplora il nostro interlocutore.
Un dibattito bizantino contrappone i fautori di una definizione limitativa agli industriali, i quali vorrebbero una maggior flessibilità per poter esportare facilmente le loro scorie verso impianti di riciclaggio o di eliminazione. Le opinioni si esprimono in modo tanto più passionale, quanto più ingenti sono gli interessi economici in gioco. A seconda della sua classificazione come scoria o merce, una sostanza può ricadere in pieno nell'ambito dei vincoli amministrativi e finanziari imposti da Bruxelles, o beneficiare al contrario delle sacrosante regole della libera circolazione sul mercato interno.
I metalli non ferrosi (compresi il cadmio, il piombo e lo zinco..
.) ridiverrebbero merci a riciclaggio avvenuto. Questi prodotti non presentano in ogni caso alcun pericolo, secondo Jean-Pierre Lehoux, amministratore della Federazione francese degli industriali del riciclaggio dei rifiuti (Federec).
Al momento dell'elaborazione, in questi ultimissimi anni, delle direttive sui rifiuti, i funzionari europei hanno beneficiato della sollecita attenzione di potenti gruppi di pressione, e in particolare del Bureau International du Recyclage (Bir), che associa gli industriali di questo settore e decanta i vantaggi del liberismo.
"La pressione volta a escludere le sostanze riciclabili ad alto rendimento finanziario dall'infamante definizione di rifiuti era tale che riuscivamo a individuare la lobby che aveva pesato sull'adozione o sul blocco di una direttiva, ricorda Alexander Roo, ecologista olandese, membro del gruppo del Verdi al parlamento europeo. A volte, bastano due o tre industriali e i francesi sono ben messi in questo campo per pesare su tutta la legislazione comunitaria".
Si è dovuto attendere il 1991 perché la Commissione europea si decidesse a stabilire un semplice catalogo dei rifiuti (decisione 94/3), a ben sedici anni dall'adozione della legge quadro del 1975. E si è trattato solo di un episodio della guerra delle liste che si gioca tra l'Unione europea e ... i suoi stessi stati membri. Il problema non è più tanto l'assenza di riferimenti quanto la loro anarchica moltiplicazione.
L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) aveva proposto, il 30 marzo 1992, tre liste (verde, arancio e rosso) a seconda della pericolosità dei rifiuti. La Convenzione di Basilea, sottoscritta nel 1989 sotto l'egida delle Nazioni Unite. si accontenta di fornire alcuni allegati sui rifiuti pericolosi da controllare (leggere il box in questa stessa pagina).
L'Unione europea dispone di un catalogo comprendente venti voci e 120 sotto-voci, di un inventario e di una terza nomenclatura, a sua volta suddivisa in tre parti, la quale riprende quella dell'Ocse, che evidentemente può modificare a piacimento! E dato che le cose non possono mai essere semplici, a tutto questo si aggiungono le rilevazioni effettuate dagli stati membri, in ambiti e con scopi diversi.
"Tutte queste liste sono sovrapponibili, ma presentano varie lacune. Nessuna è riconosciuta come riferimento, spiegano alla DG XI, la direzione incaricata dell'ambiente presso la Commissione europea. Come dire che sono perfettamente inutilizzabili. Se non, ovviamente, per taluni industriali che giostrano abilmente approfittando delle loro ambiguità, e possono trasformare a volontà pericolosissimi rifiuti tossici in innocenti merci riciclabili". La situazione è così confusa che si è dovuto più volte ricorrere ai lumi della Corte europea di giustizia di Lussemburgo per dissipare le incertezze giuridiche. La Corte, nella sua grande saggezza, ha emesso invariabilmente lo stesso parere: quale che sia la sua destinazione, un rifiuto è un rifiuto (1).
Questo dibattito è forse destinato a risolversi in una vana disputa tra esperti? "E' una vera e propria bomba a orologeria! esclama Paul Lannoye, parlamentare belga e deputato al parlamento europeo dove ha presieduto il gruppo dei Verdi. Senza una definizione chiara è impossibile stabilire una lista sulla cui base conoscere il volume dei rifiuti e realizzare quindi in Europa una gestione delle scorie degna di questo nome". Antonia Diakantoni sospira. Funzionario della Commissione europea alla DG XI, incaricata di elaborare le statistiche, ha valorosamente raccolto tutti i dati disponibili presso l'Ocse, la principale fonte di riferimento. E ha scoperto che tre quarti dei rifiuti pericolosi europei, (valutati in 30 milioni di tonnellate) sono di origine e di composizione sconosciute; che il Lussemburgo e la Germania non hanno fornito nessuna cifra sulla loro produzione totale; che il Belgio non ha fatto alcuna distinzione tra i rifiuti pericolosi e gli altri, e che i suoi dati sull'esportazione di scorie industriali includono anche i rifiuti domestici, mentre quelli dell'Olanda escludono i metalli non ferrosi (2).
"Come potrebbe essere altrimenti? si interroga Antonia Diakantoni. Queste cifre, risultanti da inchieste, sono fornite volontariamente dagli stati, e sono state rilevate in anni diversi (in qualche caso addirittura nel 1984), con differenti metodologie, e con classificazioni e definizioni che variano da un paese all'altro!". La Francia ha incontrato gravi ostacoli nello stabilire un inventario preciso della sua produzione. Eppure, nell'ottica di Bruxelles, questo paese può vantare uno dei migliori dispositivi di controllo: l'Agenzia per l'Ambiente e l'Energia (Agence de l'Environnement et de la Maötrise de l'Energie Ademe). Ma Christian Militon, del dipartimento dell'industria, ammette che per quanto riguarda la valutazione della quantità di rifiuti industriali speciali "si possono ipotizzare, per taluni residui e talune regioni, margini di errore del 50% (3)".
"L'Unione europea non sta affatto bene. Non si vede allora perché le cose debbano andare meglio in questo campo specifico sospira il nostro alto funzionario incaricato della gestione dei rifiuti alla Commissione europea. L'ostacolo più sorprendente all'armonizzazione delle legislazioni lo troviamo presso le stesse amministrazioni nazionali". La strategia globale, attesa dal 1975 e invocata più volte dal parlamento, è stata presentata per la prima volta dalla Commissione nel settembre 1989, e giudicata "inoperante" in un parere emesso dal parlamento (4).
Nel 1994 un rapporto del deputato tedesco al parlamento di Strasburgo Karl-Heinz Florenz, destinato alla Commissione europea e rimasto celebre (5), denunciava senza troppe perifrasi la disastrosa assenza di proposte concrete e di risultati, e invocava "con insistenza" una reale strategia per l'Europa. Leggendo con attenzione l'ultima versione del progetto di strategia (6) della Commissione si possono scoprire, espresse nel classico stile incravattato, osservazioni inattese da parte di funzionari incaricati dell'attuazione delle regole comunitarie: "Nel corso dei prossimi anni si vigilerà sull'applicazione integrale ed efficace delle disposizioni esistenti. In effetti, nulla compromette la credibilità di una politica di gestione dei rifiuti più dell'approvazione di norme che non vengono rispettate". Paul Lannoye si indigna: "Di fatto, gli stati non sono disposti a cedere neppure una briciola della loro sovranità nel campo dell'ambiente... Ci trovamo davanti a un caso esemplare di mancanza di volontà politica".
Le fissazioni ideologiche manifestate dagli stati alle riunioni sulle scorie del Comitato dei rappresentanti permanenti (incaricati di preparare le deliberazioni del Consiglio europeo) illustrano efficacemente quest'inerzia. "I paesi del Nord dell'Europa adottano sistematicamente posizioni ecologiste estremiste di scarso realismo, che però conferiscono loro un'immagine tale da metterli in buona luce davanti all'opinione pubblica, nota un osservatore. I tedeschi con gli inceneritori, e i francesi con le discariche abilitate a ricevere rifiuti tossici (discariche di 1a classe) cercano di imporre le loro norme e la tecnologia che ne consegue al resto dell'Europa. I britannici rimangono confinati in una visione molto liberista centrata sul rapporto costi-benefici, dove l'ambiente ha scarso peso. I belgi si dibattono nelle controversie federali, mentre i paesi del Sud tentano di ottenere rinvii e sovvenzioni".
Nella strategia del catenaccio il Regno unito dà prova di virtuosismo: ha ottenuto una deroga che lo autorizza, nonostante i rischi, a continuare fino al 2000 a riversare i suoi rifiuti domestici ordinari e alcuni tipi di scorie industriali in discariche cumulative. Un documento ufficiale britannico precisa con cinismo che la prassi suddetta potrebbe continuare "per lunghi anni" e che queste discariche "restano un mezzo accettabile per liberarsi di taluni rifiuti tossici" (7).
L'Italia sfrutta le carenze delle definizioni europee, e nonostante un ammonimento della Commissione del febbraio 1996 continua a sommergere la Corte di Giustizia di Lussemburgo di richieste di pareri sull'interpretazione della direttiva europea del 1975, a proposito di quelli che si ostina a chiamare "residui". Sono gli stessi stati a dover vigilare sulla corretta applicazione delle disposizioni europee. Si spiega così, indubbiamente, il "turismo" dei rifiuti, in assenza di una strategia comune per il controllo delle pratiche locali. E' stata necessaria la scoperta di numerosi scandali relativi a traffici illeciti ma anche legali in seno alla comunità, perché si tentasse di porvi termine con un regolamento europeo sulla sorveglianza e il controllo dei trasferimenti (8).
La Francia, che Greenpeace, l'organizzazione ecologista internazionale, ha definito allora la "pattumiera d'Europa", a partire dal 1992 ha ridotto del 90% il volume dei rifiuti accolti (9). Imitando il suo esempio, la maggior parte dei paesi dell'Unione ha posto un freno alle proprie importazioni dopo il maggio 1994, in concomitanza con l'entrata in vigore della regolamentazione sui trasferimenti e con la maggiore efficienza dei controlli che ne è risultata. "Questo regolamento si è rivelato dunque molto efficace... a parte un dettaglio: non si sa bene a quali sostanze vada applicato, dal momento che non esiste una lista comune dei rifiuti", si ammette alla Commissione europea. Criteri poco chiari Cos, nel campo cruciale delle esportazioni, in cui numerosi scandali hanno sottolineato la necessità di una regolamentazione chiara e di controlli rigorosi, si lascia ai produttori un ampio margine di interpretazione della legge. Alla fine del ciclo, nella fase dell'eliminazione, le cose non vanno affatto meglio.
Secondo la legislazione europea gli industriali sono tenuti a valorizzare, incenerire, trattare o stoccare i loro rifiuti, sia nell'area appartenente all'impresa, sia tramite un'organizzazione esterna. In Italia, il 90% dei rifiuti tossici ufficialmente censiti non subisce alcun trattamento; in Spagna, questo tasso si attesta sul 75% (10). Il Portogallo e la Grecia sono privi di discariche abilitate a ricevere rifiuti pericolosi.
Per migliorare il controllo del trattamento sarebbero necessari mezzi umani e materiali che sembrano superare largamente le possibilità della maggior parte degli stati membri. Persino in Germania, dove la legislazione è molto rigorosa in ragione della forte pressione dell'opinione pubblica, i controlli sull'eliminazione delle scorie nell'area di proprietà delle imprese sono "inadeguati se non inesistenti (11)".
In Francia il numero degli ispettori incaricati della sorveglianza della produzione è fermo a 650 per ... 568.000 impianti classificati. "Guarda caso, lo stato non ha mai concesso crediti aggiuntivi per migliorare il controllo sugli industriali", ironizza Bertrand Gontard, presidente-direttore generale della Sarp Industrie, la Sezione incenerimento della Générale des Eaux, e interessato direttamente, a questo titolo, a una valutazione realistica della massa dei rifiuti. "Le grandi imprese sono le meglio controllate e le meno sospette, protesta René-François Bizec, presidente del Gruppo Rifiuti al Consiglio nazionale del Padronato francese (Cnpf, la Confindustria francese) e direttore dell'ambiente all'Usinor Sacilor. Per loro è più facile rispettare le direttive europee: possono ammortizzare i maggiori costi legati al trattamento dei rifiuti senza rischiare una perdita di competitività".
Il problema è ben diverso per le piccole e medie imprese, "dimenticate" dal rappresentante del sindacato padronale. I costi dell'eliminazione, in costante aumento, le dissuadono dal far trattare all'esterno i loro rifiuti. "Sono pochi gli inceneritori interni che rispettano le norme europee, e il loro adeguamento costerebbe decine di milioni di franchi", commenta Alain Lambert, direttore generale della Sita, un settore della Lyonnaise des Eaux associato alla Rhône-Poulenc per l'incenerimento nella produzione cementiera e la valorizzazione delle scorie speciali. "Come dire che mancano del tutto gli incentivi per indurre i piccoli imprenditori a dichiarare la parte dei loro rifiuti trattata nei loro stabilimenti, che rappresenta, secondo una valutazione, la metà delle scorie industriali pericolose prodotte in Francia! (12)". "Nessuna amministrazione europea è in grado di controllare, con la bilancia in una mano e una provetta nell'altra, i detriti di centinaia di migliaia di imprese, aggiunge un industriale dell'incenerimento. Indirettamente, i dispositivi europei incoraggiano la frode".
In applicazione della legge francese del 1992, i piani regionali di eliminazione dei rifiuti industriali speciali (Predis) sono stati concepiti per recensire il fabbisogno di impianti di trattamento e di stoccaggio di ciascuna regione: una tappa fondamentale per la realizzazione di un controllo efficace dell'eliminazione dei rifiuti. Il Consiglio regionale del Nord-Pas-de-Calais, prima regione produttrice, presieduto da Marie-Christine Blandin, dei Verdi, ha denunciato in un comunicato ufficiale inviato al prefetto all'inizio del 1996 il fatto che questo piano non comportava alcun obbligo quanto ai risultati, e inoltre si fondava su cifre lacunose che rendevano aleatoria la sua concezione e la sua applicazione, e formulava raccomandazioni consensuali senza prevedere né un calendario né un budget! "Lo stato non ha intenzione di spendere neppure un soldo per questi piani. Chi mai adempirà ai propri obblighi in materia di eliminazione dei rifiuti? Si domandano con preoccupazione in alto loco, al ministero dell'ambiente! Un appello è stato lanciato agli investitori privati affinché assicurino un servizio pubblico per la protezione dell'ambiente: c'è davvero di che preoccuparsi".
Dal canto suo, il vice-direttore per i prodotti e i rifiuti alla Direzione per la previsione degli inquinamenti e dei rischi, François Copigneaux, sogna ad alta voce: "Con una spesa di soli 5 milioni di franchi potremmo realizzare un controllo informatizzato dei trasferimenti di rifiuti e della loro corretta eliminazione. Aggiunge però perfidamente: La Germania dispone di mezzi dieci volte maggiori della Francia. Ma si può forse dire che là l'ambiente sia dieci volte meglio protetto?" Se si crede ad Alain Lambert, della Sita, "la Germania è al tempo stesso il paese più esigente sul piano ecologico e quello che più tende a barare nei fatti. Questo paese obbedisce alle norme europee più rigide sui residui dell'incenerimento: un rispetto che comporta costi di trattamento da tre a quattro volte superiori a quelli della Francia. E' vero però che i Lènder non hanno preoccupazioni di competitività".
Non c'è da sorprendersi se le imprese tedesche, che ancora ieri polverizzavano i record dell'esportazione dei rifiuti, continuano a cercare oltre i loro confini modalità di eliminazione meno costose o ... più concilianti. E' vero che fino al prossimo ottobre avranno la possibilità di esportare in piena legalità le loro scorie tossiche riciclabili con la denominazione di "residui", ma con il rischio, come sottolinea un documento dell'Ocse, che il paese importatore "ravvisi un traffico illegale di rifiuti (13)".
Così, i paesi vicini alla Germania incamerano, a volte a loro stessa insaputa, le pattumiere industriali tossiche di uno stato molto rispettoso del proprio ambiente. A questo si collega indubbiamente il maggior paradosso di una legislazione la cui assenza era criminale nei confronti dell'ambiente, ma che, una volta in vigore, può rivelarsi più perversa ancora, se gli stati europei non la correderanno di controlli efficaci. "Con l'appesantimento dei costi del trattamento, le direttive comunitarie hanno indirettamente favorito le esportazioni di rifiuti dai paesi ricchi verso quelli poveri, nota il deputato Paul Lannoye. La mancata armonizzazione delle legislazioni dà risalto alla legge per la quale i rifiuti seguono la loro naturale inclinazione, verso gli stati con norme meno vincolanti".
Di fatto, una linea di frattura divide i membri dell'Unione. Da un lato paesi del Nord, sufficientemente dotati di centri di trattamento e sensibilizzati ai problemi dell'ambiente, e dall'altro quelli del sud, poco attrezzati e scarsamente informati, ai quali va aggiunto il Regno unito, poco motivato.
Per compensare gli squilibri e favorire la prevenzione, la strategia comunitaria si sforza, tra l'altro, di promuovere incentivi affinché ogni stato introduca una tassa nazionale sulle industrie. Sono pochi però gli stati che hanno fatto ricorso a questa formula. In Francia la legge Barnier, del febbraio 1995, impone una tassa sui rifiuti industriali trattati esclusivamente all'esterno, destinata solo alla riabilitazione dei siti inquinati "orfani", il cui responsabile non può essere identificato. "Questa tassa è un premio al trattamento interno, che è proprio quello meno affidabile, e oltre tutto è in contrasto con il principio chi inquina paga", protestano al Sipred, sindacato professionale per il riciclaggio e lo smaltimento delle scorie industriali.
Per limitare quanto più possibile i trasferimenti, generatori di rischi, le direttive europee portano avanti due grandi principi: l'autosufficienza di ciascuno stato e il riciclaggio o l'eliminazione dei rifiuti in prossimità del rispettivo luogo di emissione. Ma al Cnpf, questa pianificazione suscita molti dubbi.
"Come si può stabilire per decreto che la Catalogna e la Ruhr abbiano le stesse necessità?" "E' ridicolo! rilanciano i cementieri-inceneritori. Perché moltiplicare in ogni paese impianti costosi, quando ne esistono già di molto efficienti, competitivi, sotto-utilizzati, e oltre tutto quelli francesi figurano tra i migliori?" Le norme sempre più rigide imposte agli industriali hanno gonfiato il settore del trattamento e aguzzato taluni appetiti.
Le principali imprese europee di smaltimento di scorie si contendono le pattumiere industriali con tale energia da essere riuscite a escludere il numero uno mondiale, l'americana Waste Management International, che aveva cercato di installarsi in forze in Francia tra il 1989 e il 1992.
Benché la produzione di scorie industriali sia destinata a diminuire (-3% nel 1996) le prospettive restano allettanti.
Molte piccole e medie imprese saranno costrette a ritirarsi; la complessità crescente delle sostanze da eliminare fa esplodere i costi ... e i benefici. Senza contare il fatto che la Spagna, il Portogallo, il Belgio e il Regno unito sono ancora ben lontani dall'essere dotati di impianti di trattamento in misura soddisfacente. Nel suo complesso, nella prospettiva del 2000 il mercato dell'incenerimento in Europa è valutato a 13 miliardi di franchi.
Nel settembre 1994 il mensile L'Usine nouvelle denunciava, sotto il titolo "Les profiteurs de l'environnement" (i profittatori dell'ambiente) i tre principali industriali francesi nel campo dello smaltimento dei rifiuti: la Sarp Industries (Compagnie Générale des Eaux) La Sita (Lyonnaise des Eaux) e la Tredi (Traitement et valorisation des déchets industriels), filiale del gruppo chimico nazionalizzato Entreprise minière et chimique (Emc), accusate di aumentare indebitamente i costi, di concordare i prezzi, di costituire un monopolio di fatto e persino di barare sulle analisi delle scorie per gonfiare le fatture. Nella risposta di diritto, la Sarp e la Sita, infine alleate, hanno sostenuto che il fenomeno della concentrazione è normale in un settore che richiede forti investimenti, che un monopolio non può riguardare tre imprese e che i loro prezzi rimangono molto inferiori a quelli praticati dalla concorrenza estera. Ma uno studio realizzato nel 1993 dal ministero dell'industria e dall'Agenzia per l'ambiente e l'energia conferma che l'aumento di oltre il 40% in due anni del costo dell'incenerimento delle scorie alogenate si spiega solo con il carattere monopolistico di un mercato che lo stato non intende controllare.(14).
Una gestione concertata, rispettosa sia dell'ambiente che degli imperativi economici, somiglia forse troppo a una missione impossibile? In maggioranza, gli organismi interessati (Commissione e parlamento europei, governi, esperti, ecologisti e industriali) ammettono che l'obiettivo è ben lontano dall'essere raggiunto. Fatta eccezione per i fautori di un liberismo senza vincolo alcuno, tutti sono d'accordo sulle misure indispensabili: creare un quadro giuridico e sistemi di controlli coerenti, che sottopongano gli industriali a un grado di pressione sufficiente a spingerli a ridimensionare i loro rifiuti alla fonte e a ricorrere più largamente al riciclaggio, e soprattutto affermare la loro responsabilità penale (il consiglio europeo non ha mai adottato quest'ultima misura). La strategia europea si va elaborando a bordate successive, sotto la pressione dei cittadini, tramite le associazioni di protezione della natura.
Bisognerà aspettare la prossima catastrofe ecologica perché l'Europa dimentichi le sue divergenze e superi l'onnipossente logica liberista del mercato unico, per dotarsi dei mezzi atti a preservare la sicurezza dei cittadini?


note:
* Rispettivamente: fisico, docente all'Università Parigi VII e giornalista
torna al testo (1) Marzo 1990 (caso Zanetti), luglio 1992 (caso Vallone) e maggio 1996 (condanna della Germania per aver escluso dalla sua legislazione le scorie riciclabili).
torna al testo (2) Movimenti transfrontalieri di scorie pericolose, statistiche 1991, Ocse, Parigi, 1991
torna al testo (3) Si veda l'intervista concessa a L'environnement Magazine, Parigi, n 1540, settembre 1995.

torna al testo (4) Rapporto Bowe, A3-366/90, Parlamento europeo, Strasburgo, 1990.

torna al testo (5) Rapporto sulla necessità di sviluppare la strategia comunitaria di gestione dei rifiuti. Parlamento europeo, Strasburgo, 8 aprile 1994, A3-224/94
torna al testo (6) Strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti. Riesame 1996 Projet, Bruxelles, 1996.

torna al testo (7) Rapporto presentato al Parlamento britannico dal segretario di stato all'ambiente nel dicembre 1995 su richiesta di Sua Maestà.

torna al testo (8) Regolamento 259/93 del 1 febbraio 1993 sulla sorveglianza e il controllo dei trasferimenti di scorie all'entrata nell'Unione europea, all'interno del suo territorio e all'uscita, Bruxelles.

torna al testo (9) Rapporto del ministero dell'ambiente al Parlamento francese sull'importazione e l'esportazione di scorie nel 1992, Parigi, 1993.

torna al testo (10) Der Spiegel, ripreso da Courrier International, Parigi, hors série, maggio 1992: intitolato "Alerte à l'écologie".

torna al testo (11) Esame dell'azione svolta per l'ambiente in Germania, Ocse, Parigi, 1993.

torna al testo (12) Inventario nazionale dei flussi di rifiuti, ministero dell'ambiente, Parigi 1993.

torna al testo (13) Si veda la nota 11. Una legge più conforme al diritto comunitario dovrebbe entrare in vigore nell'ottobre 1996.

torna al testo (14) Studio di Mathieu Glachant, ricercatore al centro di economia industriale dell'Ecole des mines di Parigi, pubblicato in un numero speciale di La Lettre de l'Ademe, Parigi, settembre 1995.
(Traduzione di P.M.)


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