Da un articolo di Valerio Evangelisti in cui parla della rivista da lui diretta, Carmilla e della letteratura di genere. Di questo si parlera' venerdi' 19 dicembre al Leoncavallo.

Si tratta di una rivista semi-professionale, stampata in poche centinaia di copie e presente solo in alcune librerie. Ha però una caratteristica oggi inconsueta: accanto a racconti e articoli dedicati alla letteratura fantastica, conduce anche un proprio discorso estremamente radicale sulla realtà sociale, nonché sul ruolo che il fantastico e la letteratura "di genere" potrebbero giocarvi.

In pratica, "Carmilla" pretende di dare spessore critico e autocritico a quel tipo di narrativa che, in Italia, fino a poco tempo fa veniva considerato "di serie B". E lo fa non per chiedere alla "serie A" un qualche riconoscimento per la serie B, ma rivendicando l'autonomia di quest'ultima categoria. In nome di una sua maggior adeguatezza al mondo attuale, tale da fare del fantastico in tutti i suoi aspetti l'unica possibile forma di realismo.

È un discorso complesso, per il quale rimando alla lettura della rivista. Qui mi limiterò a un'altra riflessione. Non si troverà nessun critico cinematografico che giudichi "alto" il cinema di Ingmar Bergman solo perché si occupa di drammi psicologici in interni familiari e "basso" il cinema di John Ford perché appartiene al genere western. Nell'ambito letterario italiano, invece, questa distinzione viene costantemente praticata, nelle pagine culturali dei grandi quotidiani come, a maggior ragione, nel grosso delle riviste specializzate. Le ombre parallele di Croce e di Zdanov si distendono ancora oggi a segnare i confini di ciò che è cultura e ciò che non lo è, a partire dalla superiorità accordata per postulato, magari inconsapevole, allo stile narrativo "realistico" (o poetico).

Per fortuna, una leva di giovani scrittori, in gran parte coincidente con quelli a suo tempo etichettati come pulp, sta operando per sottrarre la letteratura italiana al provincialismo asfittico in cui era rimasta confinata; e lo fa proprio aprendo gli steccati agli apporti della narrativa "di genere", di cui riconosce il contributo essenziale alla costruzione dell'immaginario moderno. I workshops annuali della Scuola Holden di Torino sono anzi divenuti un importante momento di scambio e di confronto, in cui autori di enorme cultura e di enorme talento come Dario Voltolini, Niccolò Ammaniti, Tiziano Scarpa, Enzo Fileno Carabba e tanti altri dello stesso calibro non si peritano di entrare in rapporto con gli esponenti della narrativa "di consumo", innescando, al di là della naturale simpatia reciproca, forme di fattiva collaborazione.

Ma si tratta ancora di eccezione, come è un'eccezione l'opera sinergica condotta dalla rivista "Pulp". La distinzione tra "serie A" e "serie B" continua a pesare come un macigno, quanto quella ancestrale tra anima e corpo di cui non è, in fondo, che l'estrema proiezione. L'esito perverso è l'automatica glorificazione di qualsiasi espressione del minimalismo imperante, sia pur letterariamente dubbia, e l'oblio di tutto il resto.
In perfetta controtendenza con quanto sta avvenendo in ogni altro paese occidentale.

Ma tant'è. La letteratura popolare, "di genere", in fondo non ha bisogno di scoperte nè di legittimazioni. È perfettamente autosufficiente.
Riesce a condizionare l'immaginario di intere generazioni, a contare su ristampe che si ripetono per decenni, talora persino a innescare trasformazioni sociali e di costume, fin dai tempi del vecchio Sue. Quando poi si tratta di letteratura fantastica, è capace persino di cambiare il nostro modo di vedere le cose, dando evidenza all'invisibile e abituando all'individuazione delle alternative.