Centro Sociale Leoncavallo
Fax da Centro sociale Leoncavallo a Giorgio Bocca e Redazione di Repubblica
Milano, 27 agosto

Caro Bocca,

leggendo l'articolo di questa mattina "Un ghetto chiamato Leonka",
mi coglie sentito stupore.
Involuzione al  peggio, scrive. Decliniamola con correttezza. C'e'
una legge  del 1990, la 162, voluta dall'allora partito socialista
- Craxi fulminato sulla via di Washington - e votata a larghissima
maggioranza, che tutto o quasi avrebbe dovuto risolvere in materia
di stupefacenti. A distanza di cinque anni si e' rivelata un errore
catastrofico che  ha imposto  al paese  enormi costi  sociali    e
l'aggravamento  della  situazione.  Cominciamo  da  questa,  vera,
generale involuzione, in cui l'azione dello Stato si e' risolta in
una, inefficace, azione repressiva.
Possiamo chiamarlo  il ghetto dei proibizionisti. Assai piu' grave,
temo, di qualunque fortino perimetrato di giovanotti riottosi.
In questo la borghesia  milanese, perche' di Milano in particolare
parliamo, ha  dimostrato la  luminescenza della famosa notte senza
luna,  con  l'avvertenza  che,   credo  bisogna   avere  l'onesta'
intellettuale di  dirlo,   vi e' stato in  questo la  mancanza del
coraggio di  interrogarsi su  qual'era la  provenienza  di  quelle
vacche grasse che hanno costruito fulminanti fortune immobiliari e
finanziarie.
Dal ghetto  del Leoncavallo, e per fortuna non solo da quello (139
deputati,  un'infinita'  di  associazioni,  gruppi,  singoli)  una
proposta di  ragione: fuori  dal ghetto del proibizionismo per una
normativa che  recepisca nuovi  criteri di  riduzione  del  danno,
prevenzione, diverso regime di legalizzazione degli stupefacenti.
Avendo,  a   Luglio,  pubblicamente  annunciato  l'inizio  di  una
"disobbedienza civile"  volta ad  affermare questa proposta, credo
mi sia consentito il non simpatico sospetto che proprio questa sia
la ragione dei nostri recenti guai.
Lavorando volontariamente e gratuitamente da anni, in luoghi senza
luce, telefono, gas, grazie alla sensibilita' dell'amministrazione,
e in  condizioni generali impossibili, personalmente riesco bene a
capire come  ci si  possa alzare  ogni mattina  con l'idea che sia
quella   buona   per   l'apparire,   all'orizzonte   del   deserto
metropolitano,  dei   Tartari,  si  chiamino  di  volta  in  volta
Pillitteri, Formentini, la volgarita' del Corsera.
Ma quanto  al ghetto, poi, non scherziamo troppo. I centri sociali
hanno sviluppato  in questi  anni - non nei formidabili  '70 -  un
volume di iniziative culturali che nessuno ha saputo eguagliare. E
attenzione, non  stiamo  parlando  di  espressioni  marginali.  Se
chiacchieriamo   di ghetti  come  considerare  buona  parte  delle
principali istituzioni culturali milanesi? Cellette di punizione o
gabbiette per canarini, secondo i gusti.
Grande  il difetto: aver mantenuto una iniziativa politica. Finite
le  grandi  narrazioni,  direbbe  qualcuno,  l'eta' degli  spettri
vagabondi, hanno  intrapreso, alcuni  centri sociali, la difficile
strada di  una ricerca, a volte giovanile e ingenua,  comunque non
omologata, al  pensiero unico  del mercato. Ahinoi, comunisti, per
quello  che   puo'  significare   in  una  metropoli  dai  rapporti
produttivi e sociali polverizzati.
E allora via con la droga, la violenza, il rumore e la birra senza
licenza, ad  uso dei  bravi cittadini  della forca  e delle vacche
grasse. Con una nuova normativa resterebbero il rumore e la birra.
Ma ancora  non ci siamo; tuttavia, quanto alla violenza, quando si
schierano gli  eserciti e si buttano i miliardi per sequestrare 10
grammi di  hashisc a  un immigrato,  mi consenta  in  assoluto  di
dubitare che la risposta possa cosi' chiamarsi, e che piuttosto non
si tratti  di quella  forma di  autodifesa che  Malcom X  chiamava
intelligenza.
Pero' si  tranquilizzi, e con le lei tutti i lettori di Repubblica:
e' tutta  pasta fatta  in casa.  Il grande  vecchio siede  in  quel
dimenticatoio della  storia, dal quale, poveretto, in anni passati
e' stato evocato.
In ultimo,  mi consenta  uno scherzo  di Stefano Benni: "Tu mi dai
mezza idea/  e le  facciam pubblicita'/  stampa, tv,  manifesti/ in
tutta la citta'/ vedrai che nessuno si accorge che ne manca meta'".

Daniele Farina