Al ciaro di luna, e con la lanterna

Il miracolo economico italiano significo' anche una delle piu' grandiose migrazioni dalla campagna alle citta', dal Sud sottosviluppato verso il triangolo industriale e l'Europa.

Gli anni piu' intensi di esodo si collocano tra il 1955 e il 1963, ma l'emigrazione massiccia duro' fino ai primi anni Settanta, coinvolgendo piu' di 9.000.000 di persone.

In questo cataclisma demografico, la classe dirigente italiana aspetto' il 1961 per abolire la legge, emanata in epoca fascista, che limitava l'emigrazione interna e l'urbanizzazione. Questa legge imponeva di essere regolarmente assunti per ottenere la residenza nel luogo di dimora. Ma per poter essere assunti si doveva esibire un certificato di residenza.

L'effetto di questo paradosso era la relegazione dell'emigrante nell'illegalita' con conseguente esposizione a ricatti da parte di datori di lavoro e padroni di casa. Ai meridionali gli appartamenti non si affittavano, in compenso scantinati, solai, edifici cadenti, cascine abbandonate divennero un buon affare per chi ne aveva (si veda il film di Luchino Visconti Rocco e i suoi fratelli).

Alla periferia di Milano sorsero le "coree", zone di case edificate nottetempo: "Ci ho messo un anno. Quando che ho avuto un po' di materiale, ho cominciato dalle 9, le 10, le 11, alla sera, perche' lavoravo al ciaro di luna, e con la lanterna." (Testimonianza di un emigrato veneto)
Il primo impiego era in generale nell'edilizia. Il primo contratto con il sistema di fabbrica spesso avveniva attraverso una forma di caporalato, le cosiddette cooperative, a cui il lavoratore aderiva versando una quota di iscrizione. Gli iscritti alla cooperativa venivano mandati a lavorare in fabbrica e l'azienda retribuiva la cooperativa, ossia il capo, esonerandosi dal versare i contributi e di rispettare le paghe contrattuali, con un tanto a lavoratore. Il capo versava al lavoratore non piu' della meta' della somma percepita.

Questo fu anche un motivo che alimento' l'avversione nei confronti dei terroni, pronti a lavorare a qualsiasi prezzo. Per le donne del Sud c'era il lavoro a domicilio. L'ingresso in fabbrica per le piu' giovani di esse fu il primo passo verso una sorta di emancipazione: "Nella fabbrica siamo in tante e ci possiamo sentire indipendenti".

Ma percepivano salari di meta' inferiori a quelli degli uomini. I ragazzi, pagati un terzo meno dei fratelli maggiori, potevano fare i fattorini, i garzoni da bar ecc. Eppure era diffuso il pregiudizio che i meridionali non avessero voglia di lavorare.