Periodico prodotto dai detenuti di San Vittore con il progetto Ekotonos dicembre 97 - n. 3

San Vittore zona 21   Custodia attenuata
Non passa lo straniero   Corsi "si" corsi "no"
E' necessario sognare   Il mio impatto con l'Aids
Dimensione "Extra"   Aiuto sto male
Il ricordo di Tadic   Basta un'unghia
Suicidi e allora?   Gli occhi dei bambini
Accade a "Le Vallette"    

 

Editoriale

Non solo "nero"

Ancora una volta il carcere di San Vittore è salito alla ribalta in seguito a episodi di cronaca nera. La notizia della morte di un detenuto per leptospirosi, e di un altro caso fortunatamente risoltosi, ha riportato il penitenziario milanese di nuovo sotto i riflettori. Certo non saremo noi a sminuire la gravità di ciò che è successo; non è da oggi che denunciamo le pessime condizioni in cui sono costretti a vivere circa 1700 detenuti in una struttura concepita per ospitarne 800.

E nemmeno il direttore, dott. Pagano, ha sottovalutato i rischi, tant'è che ha dato subito disposizioni per aumentare il numero delle derattizzazioni e delle disinfestazioni, e chiesto al Progetto Ekotonos di rafforzare gli interventi di educazione sanitaria utilizzando anche risorse del carcere. Tuttavia, non ci sentiamo di accordarci al coro di coloro che enfatizzando e strumentalizzando questi episodi contribuiscono a dipingere San Vittore solamente di "nero", dimenticando e annullando tutto quanto di vivo e di propositivo nasce e cresce dentro a queste mura. Ci riferiamo al fermento di iniziative, di incontri, di rapporti con l'esterno che le detenute e i detenuti tenacemente portano avanti giorno dopo giorno.

Certo, per ora il coinvolgimento è di una minoranza della popolazione detenuta ma l'obiettivo di umanizzare e migliorare le condizioni di vita di chi sta dentro è generale (per quanto sia possibile fare ciò in un'istituzione come il carcere). Domandiamoci quali e quante galere permettono tutto ciò. C'è, insomma, uno "spazio" di colori da riempire. San Vittore non è solo "nero".

 

Toy Racchetti

 

 

San Vittore zona 21

Dal mese di Ottobre il capogruppo in consiglio comunale di Milano Umberto Gay (Partito della Rifondazione Comunista) si aggira per i raggi di San Vittore con frequenza insolita. Quale il motivo di questa costante presenza l'abbiamo chiesto direttamente a lui.

Consigliere Gay, come mai è così interessato a questo carcere?

In questo momento mi sto occupando di San Vittore per contribuire a far partire due iniziative molto concrete: l'apertura di uno sportello del Comune di Milano all'interno del carcere e la creazione di una "consulta cittadina della comunità carceraria".

Può spiegare sinteticamente di cosa si tratta?

Il primo progetto consiste nell'apertura di un vero e proprio ufficio decentrato del comune dentro la struttura carceraria in modo da poter offrire ai "cittadini detenuti" e alle altre persone che operano e lavorano nel carcere un servizio pubblico di facile accesso. Il senso di tale impegno è quello in primo luogo di snellire e facilitare il rapporto delle persone detenute con l'istituzione Comune di Milano e, possibilmente, anche con le altre istituzioni pubbliche. In sostanza tutti coloro che hanno bisogno di documenti amministrativi, certificati, autentiche ecc. potranno accedere a questo ufficio interno senza essere costretti a superare le notevoli difficoltà pratiche dovute alle lentezze burocratiche proprie del sistema penitenziario.

Quindi se un detenuto ha bisogno, per esempio, dello stato di famiglia non dovrà più far correre all'esterno un famigliare o un assistente volontario?

Esattamente, i contatti saranno diretti, non più per interposta persona. Questo significherà anche il superamento di quella barriera che i detenuti definiscono come la "via crucis delle domandine".

Va bene, ma i problemi qui dentro non sono, purtroppo, solo quelli dell'accesso ai documenti amministrativi. C'è, per citarne uno, quello della distanza enorme tra detenuto e servizi sociali.

Certo, infatti il progetto di sportello non si limita alla funzione che ho appena spiegato, ma ha anche il compito di mettere in contatto le persone detenute con quei servizi che rispondono a bisogni precisi, quali quello dell'inserimento lavorativo, della casa, dell'assistenza più in generale

E la consulta?

È la concretizzazione del regolamento per l'attuazione dei diritti di partecipazione popolare previsto dallo Statuto del Comune di Milano.

La Consulta sarà una struttura permanente all'interno della quale opereranno rappresentanti delle detenute e dei detenuti, delle associazioni, dei lavoratori del carcere, del Comune di Milano e di altri enti. Compito di questo organismo sarà quello di occuparsi dei problemi del carcere, programmare interventi, organizzare le risorse, stimolare il confronto tra le parti.

Chi rappresenterà la popolazione detenuta?

La scelta sta alle/ai detenute/i stessi che si stanno confrontando e verificando le disponibilità. Successivamente la direzione dovrà autorizzare la partecipazione alla Consulta delle persone indicate.

Per finire, una curiosità: com'è nata l'idea di dar vita a queste due iniziative?

Per quanto mi riguarda sono anni che mi occupo di carcere, ma non sempre alle promesse delle istituzioni sono seguiti i fatti concreti.

Nello specifico, l'idea mi è stata suggerita da alcuni detenuti che ho incontrato durante la mia ultima campagna elettorale.

Mi sono sembrate subito interessanti e utili, al punto che le ho inserite nel mio programma.

Come si sa, non sono diventato io sindaco di Milano, tuttavia l'iniziativa, ha riscosso l'interesse anche dell'attuale primo cittadino.

Ecco dunque, la Commissione carcere dell'assessorato ai servizi sociali che, tra le prime cose in agenda, ha messo proprio lo sportello e la Consulta.

 

 

Non passa lo straniero

La percentuale dei detenuti stranieri all'interno del carcere di San Vittore è decisamente alta; a partire dai colloqui che abbiamo con molti di loro, possiamo affermare che le zone di provenienza sono prevalentemente il nord-Africa, il centro/sud-America, l'est-Europa, l'Africa subsahariana.

Sono generalmente piuttosto giovani: hanno dai 20 ai 35 anni d'età. Molti sono "recidivi".

Riteniamo che la consistente presenza di stranieri a San Vittore sia dovuta solo in parte ad un'effettiva loro partecipazione a "situazioni criminose".

Altri fattori spiegano, secondo noi, un numero così elevato di presenze; a cominciare dalla loro "irregolarità" (frequentissima) che, di per sé, li rende "criminali" o meglio "criminalizzabili" e senza dimenticare che, tanto ragioni culturali quanto necessità oggettive, li portano a vivere in gruppo e "in strada", a vivere, cioè, situazioni in qualche modo "a rischio" o precarie, oltre che altamente visibili per le autorità/forze dell'ordine.

Queste, dal canto loro, trattando "gli stranieri" (oggi! ieri erano "i drogati", "i barboni", ecc., ma lo stereotipo del senso comune non muore mai) come categoria generale, quasi si trattasse di un "unico gigantesco e spaventoso individuo", invece che di una realtà multiforme e complessa, non esitano ad arrestare indiscriminatamente un individuo o un altro, indipendentemente da ogni evidenza contraria. Per dire che spesso la "colpa" è proprio "essere stranieri", ed è difficile uscirne illesi.

Quanto alla questione dell'irregolarità, oltre ad essere di fatto un fattore determinante nel massiccio afflusso di stranieri in carcere, è poi forse la principale responsabile del loro mancato deflusso dal carcere: è l'irregolarità che non consente di usufruire degli arresti domiciliari, in attesa di giudizio, né delle misure alternative dopo la condanna.

Il problema principale e più sentito, non appena entrati in carcere, è la lingua (soprattutto per chi è in Italia da poco tempo); comunicare con le forze dell'ordine, con le autorità giudiziarie e ancor più con gli avvocati, diventa di primaria importanza ed è spesso tutt'altro che semplice.

In secondo luogo ci si trova totalmente sganciati da tutto ciò che è fuori; spesso senza famiglia e amici in Italia, o con famiglia e amici a loro volta 'irregolari', è difficilissimo o impossibile instaurare contatti con l'esterno (e viceversa), anche quando le esigenze siano di denaro o di effetti personali o di disperati tentativi di trovare un avvocato che segua il proprio caso.

Il bisogno di denaro riporta immediatamente ad altre due questioni fondamentali:

la prima riguarda il funzionamento della struttura carceraria stessa, quantomeno discutibile sul piano dell'igiene e dell'offerta di beni di prima necessità, cosa che non garantisce, come invece dovrebbe, ad un livello adeguato, obbligando così i detenuti a fare delle sgradevoli rinunce anche sul piano delle più elementari necessità.

L'altra è legata alla gravosa questione della difesa: la difficoltà o impossibilità di pagarsi un difensore di fiducia, si presenta, tale e quale, con il difensore d'ufficio che, sempre che non trovi il modo di sottrarsi al dovere d'ufficio, assume generalmente la difesa con scarso interesse, partecipazione, attenzione al caso. A questo proposito è difficilissimo, in mancanza di documenti, o per la scarsa collaborazione da parte di alcuni Consolati, attestare la propria indigenza per ottenere il patrocinio gratuito.

Infine riteniamo che l'istituzione in genere, che qui, nello specifico, si veste da personale carcerario o da autorità giudiziaria, sia troppo spesso incapace ed ignorante di fronte al processo che vede la popolazione straniera crescere sempre più varia e numerosa: diversità religiose, culturali, linguistiche, ecc. sono ancora troppo frequentemente trattate con acritica ostilità o del tutto ignorate, il che non facilita certo le umane relazioni in generale, né tantomeno addolcisce quelle, già per loro natura disumane, interne al carcere.

A cura de Il segretario sociale

 

 

È necessario sognare

 

Se penso a te, mi tormenta il desiderio di vederti;

se ti dimentico, piango e mi tormento.

Sono diventato tutto cuore;

t'imploro di farmi soffrire d'amore,

ed eccomi trafitto dal dolore!

 

Strofe in solitudine

 

Da per tutto, ho viaggiato

Invano, un Amore ho cercato

Sempre bugiarde ho incontrato.

Maledetto me e in che ho sperato

Nel leggere nei tuoi occhi mi sono ingannato

E dando retta al mio cuore ho errato.

Capire; che da te Amore mi sono allontanato

E adesso nel mare della solitudine

sono annegato.

 

A cura di Ayad

 

Dimensione "Extra"

Il sistema giudiziario italiano non ci sembra che applichi le leggi in modo giusto nei confronti di noi extra-comunitari. Se si tratta di infliggere una condanna, i giudici non considerano la nazionalità degli imputati, per cui si presume che le pene siano distribuite in ugual misura (o quasi). Per quanto riguarda invece i cosiddetti 'benefici di legge' (arresti domiciliari prima o dopo un giudizio di primo grado, obbligo di firma, affidamento sociale, permessi premio ecc.) le cose diventano problematiche. Essendo molti di noi reputati senza "fissa dimora" poiché, pur avendo una casa, privi di permesso di soggiorno (cosa difficile da ottenere viste le leggi senza senso che vigono), ci rifiutano gli arresti domiciliari anche per reati considerati "poco gravi". Molto spesso ci viene contestato anche il pericolo di fuga, senza tener conto che la maggior parte dei detenuti extra-comunitari ha già avuto un "foglio di via" o un'espulsione ma nonostante tutto è ancora qui in Italia!!! Non parliamo poi dell'affidamento sociale perché, come tutti sappiamo, ciò comporta: un lavoro, cosa per noi difficilissima da ottenere, una famiglia disposta ad accoglierci, e la maggior parte di noi ha la famiglia nel proprio paese d'origine. Per i permessi premio siamo arrivati alla conclusione che è addirittura inutile chiederli perché sussistono comunque gli ostacoli già elencati.

Anche l'espulsione ci è rifiutata per i cosiddetti "reati gravi", mentre ci viene proposta quando si tratta di "reati minori". Non vi sembra un paradosso, per noi, ma soprattutto per le tasche dello Stato italiano???

E veniamo a un altro importante problema, il razzismo, spesso e volentieri dimostrato nei nostri confronti da quelli che in principio dovrebbero essere i nostri "compagni di sventura". Non stiamo qui a dilungarci dandovi esempi inutili, ma purtroppo giornalieri, perchè la parola razzismo non necessita di spiegazioni. Sarebbe costruttivo però un bell'esame di coscienza generale per cercare, nei limiti del possibile, di considerarci per quel che siamo: dei detenuti.

A cura di Grisel (sezione femminile)

 

 

Il ricordo di Tadic

Caro compagno, non ho mai avuto la fortuna di conoscerti personalmente e nemmeno ho avuto la forza di avvicinarmi al tuo dolore, al tuo star male.

Alcune volte ho incrociato il tuo sguardo, mentre scendevi le scale di questo inferno; ho sentito il bisogno di parlarti perché nei tuoi gesti era chiaramente leggibile la tua sofferenza, il tuo non accettare, la ribellione e la tua stanchezza di dover vivere una vita che forse non sentivi più appartenerti.

Purtroppo non ne sono stato capace, non ho trovato il coraggio di avvicinarmi e di parlarti e forse anche per questo mi sento responsabile della tua scomparsa.

Poi, come sempre accade, con il trascorrere del tempo tutto si dimentica e il ricordo svanisce nel nulla e così la vita riprende a scorrere dentro di noi e fuori di noi, con pensieri diversi, con problemi diversi, con prospettive diverse.

Vorrei che la tua scomparsa servisse a far riflettere l'uomo che c'è in ognuno di noi, a partire da me stesso, perché se fossi stato capace di seguire quello che il cuore mi diceva, forse saremmo potuti divenire amici e forse saremmo qui riuniti insieme per parlarci.

Troppi amici ho perso nel tempo e forse molti altri ne perderò, comunque voglio dirti grazie per avermi fatto riflettere sul mio errore commesso.

Voglio sperare che tu possa ancora raccogliere il mio saluto.

 

Ciao Tadic, ... con il cuore e con amore. Arrivederci, Tadic.

 

 

Suicidi e allora?

Parliamo di chi si suicida, io per esempio, strano vero?

Infatti sono qui a scrivere, forse non volevo veramente morire e mi domando: ma di tutte le persone che si sono suicidate quante volevano veramente morire?

Chissà, forse se un compagno di cella fosse stato più attento o una guardia meno menefreghista, chissà, forse tanti sarebbero qui con me a scrivere questo pezzo.

Ma ricominciamo da capo, molti di quelli che si sono suicidati sono qui con me.....uno mi sta proprio dicendo:

"Pam io sto male, sto talmente male che preferisco farla finita, non sopporto sto cavolo di astinenza".

Io vorrei rispondergli, ma io non ho voce, posso solo ascoltare...e continua a dirmi:

"Però se mi dessero qualcosa io ... io non lo farei, o forse è meglio che lo faccia così si accorgono di me e riesco ad ottenere qualche cosa".

Ecco subentra un'altra voce: "Pam, ho preparato il lenzuolo, cribbio come l'ho fatto bene, e se non l'ho fatto da solo mi ha dato una mano il mio compagno di cella che è dalla mia parte, mi ha anche detto che appena mi appende lui chiama, si mette ad urlare e fa venire le guardie.

Porca potta Pam, quel cretino si è addormentato ed io come un salame sono rimasto qui appeso, è un attimo, ma non riesco a chiamare, non riesco neanche più a pensare...cribbio...sto morendo!"

Silenzio e mi sento un po' rilassata; sembra che questo silenzio porti la pace, ma non è così, da un carcere lontano arriva un calore tremendo, mi sembra di essere all'inferno, e una ragazza che chiama aiuto.....

aiuto.... aiuto....., ma la cella è tutta un rogo, dall'altra parte del cancello chi chiama, chi urla, chi piange?

Sono urla strazianti, è come un animale in trappola.

Si, voleva morire veramente, ma all'ultimo momento anche lei sperava che qualcuno la tirasse fuori di lì, sento un ultimo grido, Dio mi sembra già di essere all'inferno, si io, Pam, mi sento nell'inferno!

Non sto qui a chiedermi perché o per come, per colpa di chi.

Mi sembra tutto così buffo per me che fortunatamente non ho avuto il coraggio di perpetuare quell'idea del suicidio, perché poi è prevalsa in me la voglia di vivere e con il mio solito culo sfacciato sono qui a raccontarvela.

Ma per tutti quelli che non hanno più voce, né altro, come posso io, piccola tentatrice suicida mai morta, parlare a nome di chi voleva urlare, gridare, correre e vivere e invece non c'è più?

Con la mia presunzione ho detto: "scrivo io un pezzo ironico sul suicidio", ma amici miei, non ci sono riuscita; provo solo un gran rimpianto per non poter avere avuto voce in quei frangenti, forse anche solo una parola di conforto avrebbe dissuaso quelle persone.

Io non so chi abbia scritto una cosa che ho letto sul davanzale all'8° piano di un ospedale, ma mi ha lasciata sempre molto perplessa...

"Meglio una fine disperata o una disperazione senza fine?"

A cura di Marylin

 

Custodia attenuata

Avendo la Direzione inoltrato agli esponenti del progetto Ekotonos la richiesta di elaborare un progetto per la riorganizzazione del II raggio del suddetto carcere, con il fine di attivarvi un nuovo regime detentivo di custodia attenuata, i detenuti del II raggio e le detenute della sezione femminile hanno pensato ad una nuova dimensione esistenziale e rieducativa per i detenuti tossicodipendenti cui tale progetto è rivolto.

In tale nuova dimensione i detenuti potranno trovare le condizioni per una completa espressione di loro stessi e per una maggiore responsabilizzazione; tale nuova realtà avrebbe come punti di forza la condivisione di momenti primari nel percorso rieducativo ed esistenziale e cioè il pensare ed il fare, che diventerebbero quindi il pensare e il fare insieme.

Elemento basilare per la realizzazione di tale progetto è la costituzione di vari laboratori in cui svolgere differenti attività lavorative; laboratori che secondo la logica che sostiene il progetto Ekotonos, logica di continuo scambio e contatto tra il "dentro" e il "fuori", dovranno avere nella realtà esterna al carcere il loro doppio e una rete di distribuzione degli articoli prodotti, in modo tale da assicurare anche all'esterno la continuità lavorativa dei detenuti coinvolti.

Le tipologie di attività individuate come realizzazione all'interno della struttura carceraria, compatibili con essa e realmente richieste dal mercato, sono:

EDITORIA (impaginazione, rilegatura, etc.)

RESTAURO (mirato a piccoli oggetti, doratura cornici, etc.)

LABORATORI ETNICI

Come si può notare sono attività che permettono l'utilizzo di piccoli macchinari per cui facilmente adattabili agli spazi disponibili all'interno del carcere e soprattutto molto richieste oggi nel mercato del lavoro.

In questa nuova ottica il detenuto non trascorrerà più la maggior parte del tempo chiuso in cella inattivo, ma nei suddetti laboratori in regime di attività.

Diviene così altrettanto basilare la condivisione con gli altri detenuti dei momenti cosiddetti di routine quali, ad esempio, quelli dei pasti.

Sarà quindi un nuovo modo di vivere il carcere che vedrà insieme, in un secondo tempo, uomini e donne, in quanto essendo un progetto pensato per i detenuti tossicodipendenti dovrà prevedere l'inserimento delle detenute tossicodipendenti.

Questo regime di custodia attenuata in socialità potrebbe rivelare la capacità dei detenuti di gestire responsabilmente tale nuovo modo di vivere IN e IL carcere e permetterebbe loro di acquisire fiducia nelle proprie capacità lavorative e personali e di investirle una volta usciti.

Dal punto di vista dell'organizzazione pratica e materiale il progetto dovrebbe avere come momento iniziale la creazione di corsi riguardanti le attività che verranno poi intraprese nei laboratori, corsi tenuti da artigiani e professionisti regolarmente stipendiati. Per la retribuzione si potrebbe pensare alla Regione.

Altrettanto importante, al fine della riuscita del progetto, sono le riunioni di fine giornata, pensate come momento finale di ogni giorno lavorativo alle quali parteciperanno tutti i detenuti; tali incontri avranno come obiettivo la discussione di eventuali problemi insorti nell'ambito dell'attività svolta.

Riteniamo che un riassetto del II° raggio ispirato a questi criteri, potrebbe fornire una nuova, vera, importante opportunità di realizzazione, rieducazione e crescita personale per i detenuti tossicodipendenti e sarebbe in grado di fornire nuovi strumenti e stimoli per affrontare il domani e il "fuori".

 

Re Cesare

Abdelhamid Ayad

Maria Ines Petit De Murat

Maria Gabriella Barni

Pierangela Calloni

 

 

Corsi "si" corsi "no"

E giù idee, chi più ne ha più ne metta. Già si immaginavano stanze adibite a corsi di estetica o parrucchiera o fotografia. Donne intente al restauro di tappeti nella stanza già a disposizione, oppure bellissimi dipinti su stoffe o porcellane.

Un sogno che è durato solo una notte, perché l'indomani abbiamo scoperto che i sogni, i nostri sogni, sono forse troppo grandi e belli.

Come e da chi vengono scelti i corsi?

Come e da chi la selezione delle partecipanti?

Questi i veri quesiti

A domanda formulata ai vari responsabili non abbiamo mai avuto una risposta "PRECISA" e tutto passa e continua come sempre, tutto accantonato e dimenticato.

Disinteresse totale su tutti i fronti, vuoi per mancanza di tempo o perché, alla base di tutto, noi ci lamentiamo subito e ci rassegnamo immediatamente considerando che quasi sempre non ci rimane altro da fare.

Proviamo ora a spiegare com'è la situazione vista "al di qua" del blindo.

Si potrebbe semplicemente definire una grossa beffa dal momento che, quando si fissano le riunioni (partecipanti meno di pochi per mancanza di informazione - avvisi in bacheca ben nascosti) le nostre richieste vengono sistematicamente negate.

Che strana vanità pensare di cambiare qualcosa in questo sistema così ben omologato!

Nessun referente disposto a fornire chiarimenti:

la Direzione (non di competenza);

l'Educatrice (competenza solo in parte);

gli Assistenti Volontari (la parola stessa spiega la loro posizione; noi li chiameremmo piuttosto "assistenti fantasma", con l'attenuante che forse - e diciamo forse - hanno soltanto scarsa voce in capitolo.

Che dire di più?

Passiamo ai vari corsi approvati, o meglio imposti.

Taglio e cucito:

novità dell'anno; vorremmo sapere come si è arrivati a tale scelta, a chi può interessare tale corso e quante adesioni ci sono state su 130 detenute.

Computer:

bel corso, complimenti! Utile anche per un futuro fuori di qui.

Chi ci andrà?

Dove si svolgerà?.

Chi ci andrà non lo sappiamo, ma dove si svolgerà si: una stanzetta di mq. 4 circa, capienza 4 persone.

Quante possibilità ci sono per ogni detenuta di potervi partecipare?... Quasi nessuna!

Inglese: niente da commentare.

Questo è tutto ciò che occuperà le nostre lunghe giornate invernali, un po' poco, non vi pare?

Ultimo, ma non per importanza, è il problema psicologico ed economico conseguente alla presa in giro degli educatori riguardo all'Art. 21.

Ti informano, ti scelgono e ti illudono, questa è la prassi.

Ma vediamo cosa succede. Dopo un percorso di sfruttamento da parte di varie aziende, illusoriamente finalizzato ad una assunzione definitiva, arriva puntuale il divieto posto dal Giudice di Sorveglianza in merito alla idoneità; così svanisce il sogno di un'occupazione onesta, e rimane, oltre all'amaro in bocca, la frustrazione per la perdita di un posto di lavoro alternativo all'interno del carcere. Questo è il successo dell'Art. 21, creato solo per renderci delle pecore. Come può un'educatrice, o chi per essa, giocare sulla pelle di persone, ancor prima che detenute, che già si vedevano proiettate verso la tanto decantata triade

DIGNITÀ'

ONESTÀ'

RECUPERO?

È forse solo per creare un ulteriore alibi di sovralavoro alla nostra educatrice (sconosciuta alle più) che lavora in rapporto 1/130 anziché 1/18 come dovrebbe essere?

Ma è forse nostra la colpa di tutto ciò?

A cura di

Paola Bianco

Pina Auriemma

Anna Barbuto

 

Il mio impatto con l'Aids

Mi ricordo che quando mi trovavo detenuto nel carcere di Cremona non sapevo nulla del virus, ma nella mia cella capitò un ragazzo sieropositivo.

I compagni ed io non sapevamo come comportarci. Tutti erano sulla difensiva, lo trattavano come un appestato. Io invece non condividevo il loro pensiero, ero l'unico con cui poteva sfogarsi, in me vedeva la persona più ragionevole e disponibile e io facevo di tutto per tenerlo su di morale. Dopo qualche mese scoppiò il caso "Freddy Mercury" e nel carcere fu il caos. Volevano allontanare dalla cella il ragazzo sieropositivo, addirittura farlo isolare. Ma la colpa di tutto ciò non era dei detenuti, ma dell'assenza di informazione, di prevenzione. Lui ed io lottammo con tutte le nostre forze per cercare di far capire agli altri che per infettarsi bisognava avere contatti col sangue, ma non servì a niente. I detenuti diventarono via via più scettici, incominciarono a segnarsi il bicchiere, il piatto, le posate e via dicendo. Anziché informarsi su come conoscere la malattia, la ignoravano, e andavano avanti nella loro ignoranza. Il ragazzo restò con noi fino alla liberazione.

Dopo 4 anni fui rinchiuso nel carcere di Busto Arsizio, dove incontrai vecchi compagni di Cremona.

Parlando chiesi informazioni degli altri vecchi compagni di cella.

Mi risposero che i 4 cremonesi rinchiusi con noi erano morti di AIDS.

Io ci rimasi male, sentendo quella notizia, perché tre di loro non erano nemmeno sieropositivi quando li conoscevo. Nella mia ira mi misi a maledire l'ignoranza.

Oggi, dopo 11 anni dall'esplosione dell'AIDS, ringrazio Dio di essere ancora negativo.

Eppure di sieropositivi ne ho avuti vicini: ho mangiato insieme a loro, ho bevuto nel loro bicchiere, li ho abbracciati, ma non ho mai avuto contatti di sangue.

Questo grazie al buon senso e a maggiori informazioni.

A cura di Vittorio

 

 

Aiuto sto male

Aiuto, sto male! Potrebbe sembrare un vecchio titolo di giornale che parla del governo italiano, invece no, è la realtà del modo in cui si pone il problema della sanità all'interno di San Vittore, struttura ormai in coma irreversibile.

Elencheremo ora quello che giornalmente accade nei tre piani di questo paese dimenticato dagli uomini e da Dio.

Solo topi e gatti vivono indisturbati e a proprio agio in quest'area ben fortificata da muri, sbarre e agenti.

Ci piacerebbe, prima di ogni cosa, poter avere chiaro dove finisce la responsabilità della direzione e dove incomincia quella del clero, poiché è una responsabilità che le due istituzioni si rimbalzano come una palla pesante e sempre in gol.

Il medicinale più usato ed efficace in alternativa a qualsiasi terapia è la così antica CAMOMILLA; infatti, quando una compagna sta male e chiede aiuto, si sente rispondere "camomillati".

Tutte le detenute hanno in comune un divieto d'incontro, con chi?

Ma con il "medico" naturalmente; forse bisognerà fare una specifica domandina al GIP?

Non riusciamo più a distinguere, camminando per le sezioni, quali siano le scene felliniane e quali quelle lageriane.

Se poi volessimo parlare dell'"isolamento sanitario", ci troveremmo in grave difficoltà non sapendo da che parte cominciare.

È un isolamento solo per mettere in pace le coscienze dei sanitari perché la cella è sul piano, le docce (solo 2) sono le stesse, il disinfettante è acqua all'80% e l'aria è comune; quindi di "isolamento" rimane solo il nome.

Per malate non gravissime ci siamo sentite dire dai medici di formare dei gruppi, per non creare troppo disturbo o lavoro, in modo che il dottore possa effettuare un'unica visita.

Pensiamo che neppure il peggiore dei veterinari si comporterebbe così con un gregge di pecorelle.

Inoltre, siamo convinte che i tagli della sanità partano da qui, considerando anche che gli sponsor dei medicinali in uso sono pochi e sempre gli stessi: "AULIN - VELAMOX" (sono i primi in graduatoria ed efficaci per tutti i mali).

C'è comunque anche la possibilità di essere ascoltate e visitate quasi tempestivamente quando entra in campo la parola spauracchio: "DIRIGENTE SANITARIO".

Ma non sempre si ha la voglia di passare a questo genere di minacce o compromessi.

Forse ha ragione il nostro amico quando dice che è presunzione voler caricare il peso di un cavallo su di un piccolo pony.

Comunque, uscendo nei corridoi per andare a prendere il solito AULIN, abbiamo notato che si vedono i primi risultati dell' "effetto Topo" (casi di leptospirosi - n.d.r.): ci sono i corridoi stipati di mobili, forse stanno imbiancando e disinfettando in modo serio?

Se un topo può fare tutto ciò, che ben venga!

A cura di

Paola Bianco

Pina Auriemma

Francesca Raia

Maria Chiazzolla

Gabriella Barni

Anna Barbuto

Piera Calloni

 

Basta un'unghia

Tanti, troppi sono i piccoli e grandi problemi che quotidianamente affliggono le persone detenute e che vanno ad aggiungersi alla pena da scontare.

Rispetto alle problematiche più importanti, i possibili cambiamenti chiamano in causa, inevitabilmente, diversi livelli e ambiti di natura politica-giudiziaria-istituzionale con conseguente allungamento dei tempi.

Tuttavia, ci sono aspetti afflittivi della detenzione che potrebbero essere alleviati con interventi immediati e soluzioni piuttosto semplici.

Un piccolo segnale di cambiamento potrebbe essere quello di risolvere, per esempio, il problema dell'igiene e cura personale dei piedi (pedicure).

Attualmente chi ha problemi con le proprie unghie dei piedi ha due possibilità:

&endash farsi visitare dal podologo, spendendo L. 25.000.= per volta;

&endash tenersi il dolore e soffrire.

Crediamo che introdurre una prassi che preveda la possibilità di recarsi in infermeria per utilizzare uno per volta il tronchesino per le unghie, in presenza dell'agente stesso dell'infermeria, sia necessario e possibile.

Gli strumenti indispensabili, debitamente sterilizzati, potrebbero essere altresì utilizzati da tutti, riducendo così anche il rischio di un uso promiscuo all'interno delle celle di lamette, tagliaunghie per le mani, etc.

Tutto ciò è molto difficile?

No, basta volere!

A cura di Alcuni detenuti del C.O.C.

 

 

 

 

 

Gli occhi dei bambini

L'altro giorno, stando in una stanza con altre compagne alla C.P.A., erano presenti madri con bambini e mi sono accorta che ... lo sguardo dei bambini era vivo, ammiccante, profondo; volevano guardare fuori, oltre le sbarre, il loro sguardo era rivolto verso l'esterno.

Noi, stupidamente, cercavamo la loro attenzione senza pensare che, forse, li stavamo disturbando.

Poi mi sono chiesta: ma com'è il rapporto di questi bambini con il padre? Padre, figura vista al massimo un' ora a settimana, com'è l'incontro e il distacco? Come possono viverlo?

Potrei immaginarlo e trarne delle conclusioni, ma io non sono la persona più idonea, così ho chiesto qualche informazione alla puericultrice Signorina Margherita che li segue, li accompagna e a volte li porta fuori dalla sezione femminile, anche se sempre all'interno del carcere.

Margherita, prima di lavorare qui, ha svolto il suo compito al Brefotrofio Istituto C.A.F.

Questo, sintetizzato, il risultato:

I bambini che stanno qui sicuramente sentono la mancanza della figura paterna; bisogna considerare che, all'incirca fino all' età di 3 anni, stanno con la madre, poi, se non ci sono parenti "affidabili" secondo la legge, vengono accompagnati al brefotrofio.

Si, è vero, ai bambini manca la figura del padre, ma almeno sono a San Vittore con la mamma; meglio così.

Vedo ancora la loro voglia di spaziare oltre, cosa che io più non faccio, vedo la serenità e purezza in loro; e mi sento stringere il cuore quando, dando i calci al blindo, strillano e piangono.

A cura di C armela

 

 

Accade alle "Vallette"

Dichiarazione del Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati Giuliano Pisapia

La sottoposizione da parte del personale penitenziario del carcere Vallette di Torino di circa 70 detenuti in semilibertà al controllo delle urine, denunciata dall'associazione Antigone, è un fatto di estrema gravità. Esso viola la dignità della persona, il diritto alla riservatezza e il principio stabilito dall'art. 32 della Costituzione in virtù del quale nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari senza il proprio consenso. Ancora più grave - prosegue Pisapia - il fatto che il personale interpellato dai detenuti non abbia voluto o saputo dire da quale autorità fosse stato disposto il controllo, e di fronte al rifiuto di un detenuto di sottoporsi al prelievo abbia addirittura minacciato la revoca della semilibertà: si tratta di una condotta tale da integrare una responsabilità disciplinare se non addirittura penale.

Del tutto inconsistente appare poi la presunta motivazione del controllo, quella di accertare l'eventuale consumo di stupefacenti: il mero consumo, come è noto, non è un reato, e anche se lo fosse non sarebbe stato comunque ammissibile un controllo a tappeto.

Ho presentato - conclude Pisapia - un'interrogazione al Ministro di Grazia e Giustizia, per conoscere da chi e per quali motivi è stata assunta l'iniziativa e quali provvedimenti si intendono adottare nei confronti dei responsabili di un così grave abuso.

 

 

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