Questa veloce memoria, che accompagna la lettera nella quale spiego le ragioni che mi spingono a tentare la strada del rientro in Italia, vuole essere uno strumento per situare la mia militanza politica, per far conoscere le mie vicende giuridiche e il mio percorso durante l'esilio
La mia esperienza politica, nelle province di Venezia e Padova, dall'inizio degli anni '70 fino alla data del mio arresto, il 2 febbraio 1982, si colloca all'interno dei movimenti della sinistra extraparlamentare e dell'Autonomia Operaia. che sono stati protagonisti delle lotte sociali di quegli anni.
Un percorso che si è articolato in una attività politica svolta nei Comitati di base, nei Circoli giovanili del proletariato nei Comitato di Agitazione di Scienze Politiche a Padova, nel Comitato di quartiere Aretusa a Mestre, per concludersi nel Comitato Operaio dei Petrolchimico e nel Comitato dei Lavoratori in Cassa Integrazione a Marghera, attorno alle tematiche del salario, della qualità della vita, della lotta contro la Cassa Integrazione per la riduzione dell'orario di lavoro.
Quello che segue non è, non vuole e non può essere un luogo deve ritornare su decisioni e valutazioni che appartengono, in maniera irrevocabile e definitiva, alla mia storia giudiziaria.
In Francia dopo un inizio difficile durante il quale ho fatto i mestieri più disparati, dal 1988 sono entrato al giornale "Politis le Citoyen" in qualità di fattorino. In seguito ho assunto la funzione di responsabile del servizio contabile e della gestione del personale e sono diventato membro dei Consiglio di Amministrazione di una delle due società editrici della pubblicazione. Nei corso degli anni e dopo diverse ristrutturazioni, al settimanale iniziale sono state affiancate altre due pubblicazioni: un mensile e una rivista trimestrale.
Allo stesso tempo ho collaborato alla rivista "Futur Anterieur" ed effettuato, sotto pseudonimo, per conto di una società di analisi finanziarie, uno "studio" di carattere economico, finanziario e strategico sul Gruppo Ferruzzi e uno sull'Industria del Mobile in Italia e in Europa. Nonostante avessi trovato una collocazione stabile non ho mai smesso di pensare al rientro in Italia.
Nell'ottobre del 1993, grazie anche al fatto che non esisteva nessuna misura restrittiva nei miei confronti e che per delle ragioni di competenza nessuna decisione era sta presa in merito alle mie vicende giuridiche, ho cominciato a cercare di concretizzare la mia volontà di rientrare a vivere in Italia.
Da un lato ho sollecitato la definizione della mia situazione giuridica: calcolo del residuo della pena, definizione del Tribunale di competenza, applicazione della disciplina della continuazione dei reati e richiesta di sospensione della pena; dall'altro, in vista dalla possibilità di ottenere l'affidamento sociale in prova, pur continuando a gestire fino al maggio 1994 la stesura dei bilanci 1993 delle due società editrici, ho diversificato la mia attività cominciando ad assumere la funzione di redattore, titolare di una "Chronique" e ho preso contatto con il Gruppo Abele per costruire la possibilità di una mia collocazione all'interno di una delle sue attività.
Dopo il motivato rigetto della mia prima istanza di sospensione della pena in quanto la. stessa era stata calcolata, dalla Procura della Repubblica di Trieste in 6. anni 6 mesi e 20 giorni (superiore al limite di 3 anni previsto dalla legge Gozzini) ho presentato una istanza di applicazione della disciplina della continuazione dei reati.
Il 28 giugno 1994 la Corte d'Assise d'Appello dei Tribunale di Trieste accettava il calcolo effettuato dalla procura e non poteva prendere in esame l'istanza presentata dal mio difensore di fiducia (avv. Lucio Calligaris) perché la stessa non si trovava nel fascicolo esaminato dalla Corte.
La mia istanza è stata perciò ripresentata immediatamente e sarà esaminata alla fine di settembre. Questo non ha bloccato però l'ordine di carcerazione conseguente alla scadenza del 28 giugno.
Quello che chiedo con questa mia istanza è ampiamente previsto dal codice di procedura penale e aprirebbe la strada alla possibilità della sospensione della pena ed eventualmente dell'affidamento sociale in prova dopo l'esame, da parte del Tribunale di Sorveglianza competente, di una mia richiesta.
Nel caso di una decisione positiva, possibile data l'autonomia e la discrezionalità che regolano l'applicazione della normativa sulla continuazione dei reati, potrei continuare a sperare di tornare in Italia
Sono ormai passati più di 12 anni dal giorno del mio primo arresto (2 febbraio 1982), addirittura 17 dalla data della prima condanna (27 settembre 1977).
Durante questo periodo: la carcerazione, lo sciopero della fame, l'esilio in Francia, la prigione a Parigi, in Tunisia e di nuovo in Italia, quindi ancora l'esilio e sempre con la speranza e la voglia di poter tornare a vivere non piu' ostaggio del passato ma libero di decidere della propria vita con dignità.
La decisione maturata in questi ultimi tempi di rientrare in Italia, dopo tanti anni di esilio volontario, non è una scelta di comodo. Avevo una situazione lavorativa stabile (membro del Consiglio di Amministrazione della società editrice di un periodico nella quale ero impiegato in qualità di responsabile della gestione del personale e del servizio contabile), avevo acquisito la nazionalità francese, ero insomma un uomo libero.
Aver deciso di tornare significa perciò rinunciare a queste sicurezze, quasi ricominciare una nuova vita, ma significa anche trovare una libertà altra. La possibilità di vivere in maniera critica e contraddittoria, di potersi confrontare con il proprio passato, senza fughe e rimozioni, deve far parte del presente di un uomo, solo così il futuro può essere il risultato di una scelta e non un percorso obbligato e separato.
L'esilio è stato per me il disagio della solitudine, dell'incertezza, dello sradicamento e della mancanza di punti di riferimento, del tentativo abortito di ricominciare una vita sociale. Esso ha rappresentato anche l'incapacità/impossibilità di vivere una vita affettiva normale, una sofferenza diversa, e forse minore rispetto a quella di chi ha vissuto la galera o comunque le conseguenze della stagione politica passata.
Poter tornare, usufruendo delle possibilità che l'attuale legislazione offre in materia di misure alternative alla prigione (affidamento sociale in prova) vuol dire avere la possibilità di riprendere una esistenza normale, costruire un progetto di vita senza più essere separato da una parte di se stesso. Abbandonare il ruolo dell'esiliato/emigrante per tornare ad essere un Cittadino.
Il reato più grave e la conseguente pena maggiore alla quale sono stato condannato, nel corso delle procedure penali che mi hanno coinvolto, è di carattere associativo.
Alla fine di settembre la Corte d'Assise d'Appello del Tribunale di Trieste, in qualità di giudice esecutore della pena deciderà sulla mia istanza di applicazione della disciplina della continuazione dei reati.
Una volta accertata la fondatezza della mia istanza apparterrà alla Corte di calcolare il mio residuo pena.
Nel caso la condanna, così determinata, fosse contenuta nei limiti dei 3 anni, il Tribunale di Sorveglianza competente potrebbe esaminare una mia richiesta di affidamento sociale in prova secondo i criteri stabiliti dalla "legge Gozzini".
L'affidamento sociale in prova significa sottoporsi a delle misure comunque restrittive della propria libertà, rispettare gli obblighi fissati dalle autorità competenti, ma allo stesso tempo offre la possibilità di ricostruirsi una vita sociale e lavorativa, di ritrovare una stabilità affettiva per tornare a vivere.
La stagione politica alla quale appartengono i reati per i quali sono stato condannato si è da tempo conclusa, il problema oggi non è dimenticare, ma probabilmente darsi gli strumenti o fare un adeguato uso di quelli già esistenti per andare oltre. In Italia in questi anni da molte parti, le più diverse, si sono sollevati dibattiti, aperti confronti, fatte proposte per una soluzione equa e rispettosa delle sofferenze maturate con e durante gli anni dell'emergenza.
Mi rendo conto che accanto alla volontà di alcuni di affrontare questo problema, esistono il fastidio, la noia, e anche l'ostilità di molti.
Quegli anni sono però anche storie personali, storie ognuna diversa dall'altra e allo stesso modo degne di considerazione e attenzione. Affrontarle, con la volontà di capire, offrire e ricercare delle soluzioni non vuol dire cedere, non è un messaggio di debolezza
Confrontarsi a quegli anni con questo spirito può significare solamente superarli, finalmente passare oltre.
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