- Cercheremo di sviluppare un cosa tranquilla, che sia un racconto personale ma che cerchi anche di entrare nel merito sulle categorie generali. Una premessa: non forziamo a dare un giudizio sugli anni settanta, se no qui ci dividiamo in 350 opinioni. Il problema è di vedere se riusciamo a raccontare come effettivamente li abbiamo vissuti, senza le ideologie che sono state messe sopra, senza falsi racconti. Questo è il senso di questa cosa. Non filtriamo rispetto a quello che siamo oggi, col senno di poi, per cui diciamo: quella è stata una troiata, ecc. Con la premessa fondamentale che quelli che sono qua danno un giudizio non di merda su quegli anni. Non è che facciamo un libro alla Franceschini. Non vogliamo dire quanto siamo stati strumentalizzati, quanto siamo stati stronzi, quanto siamo stati imbecilli. In realtà sicuramente i limiti verranno fuori, però credo che il dato fondamentale sia che quelli che sono qua diano un giudizio personale positivo. Per me sono stati gli anno migliori della mia vita. Per altri sono stati anni meno belli, però sicuramente significativi, che hanno segnato in certi termini la nostra esistenza, con un aspetto di utopia che in quel momento abbiamo tentato di realizzare. Non ci siamo riusciti, ma credo che quell'utopia rimanga ancora viva all'interno di quello che pensiamo.
- Ridurrò al minimo il mio intervento, affrontando alcune coordinate essenziali che ci permettono di introdurre proprio questa dimensione di approccio alla memoria che riguarda essenzialmente i protagonisti di quelle vicende di quegli anni. Inizierei col dire che proprio per capire il primo anno da cui partiamo oggi, questo 1974, mi è sembrato necessario fare i classici due passi indietro. Nel senso che è difficile comprendere anche le vicende locali padovane se non le inseriamo in uno scenario che è in evidente mutazione, sta cambiando, si sta modificando a partire dal 1973. Individuare qualsiasi suddivisione cronologica, è una operazione di comodo, è una forzatura che si fa proprio rispetto a quel vissuto soggettivo che costituisce un po' il nocciolo duro del lavoro che si vuol fare. Mi sembra comunque importante che assumiamo, proprio per ragioni di comodità, di semplificazione storica, una schematizzazione, una periodizzazione, una scansione cronologica. Nell'introdurre alcune coordinate generali sarò molto sintetico, non cercherò di fare il lavoro che poi altri hanno fatto di ricostruzione puntuale della cronologia, dei fatti ecc. Ci sono alcune date, alcune vicende, che possono essere assunte come paradigmatiche di un'epoca, di una fase, di un periodo che vale la pena di ricordare. Direi intanto che un po' tutti dovremmo cercare di essere consapevoli dell'originalità del lavoro che si sta cercando di fare. Nel senso che negli ultimi anni c'è stata una produzione di memorialistica sugli anni settanta addirittura sovrabbondante, che ha però avuto alcune caratteristiche particolari in negativo. Nel senso che gran parte di questa memorialistica assume una veste, e questo lo anticipo già, sulle generazioni più giovani, sui frequentatori dei centri sociali, sugli studenti medi e universitari; questo ha pesato negativamente, la memorialistica che oggi è in circolazione sugli anni settanta è per la stragrande maggioranza dedicata alle esperienze combattenti. Sulle esperienze dei movimenti invece c'è poco, il materiale non è copioso, in particolare manca secondo me di una caratteristica importante che questo lavoro dovrebbe cercare di ripristinare. Intendo dire che tutte le esperienze degli anni settanta italiane sono esperienze profondamente segnate dal rapporto con il territorio, con le caratteristiche produttive e sociali, con la composizione di classe particolare che in quel territorio si dà. E' impossibile capire il 68-69 se non si pensa alle caratteristiche di Torino città-fabbrica, faccio un esempio, e al particolare rapporto tra una realtà come quella piemontese e l'immigrazione massiccia dal sud di questo paese. Così come non si può capire tutta la storia dell'esperienza veneta se non la si pensa come un'esperienza che è fortemente marcata, fortemente segnata, dalla realtà territoriale in cui nasce, cresce e si sviluppa. Da questo punto di vista questa ricognizione preliminare, che per me ha significato soprattutto una rilettura di alcuni materiali dell'epoca, di interviste scritte e di documenti prodotti successivamente, e poi di alcuni colloqui con alcuni compagni, da questa ricognizione preliminare viene fuori che in realtà ci sono stati due assi centrali. Se applichiamo questo schema territoriale due assi centrali che hanno determinato e condizionato le esperienze venete e che hanno avuto un peso diverso nel tempo. Possiamo individuare un asse che ruota intorno al petrolchimico di Marghera dalla metà degli anni sessanta fino ai primi anni settanta, 73-74. Poi vediamo come l'asse politico dei movimenti in questo territorio si sposta sulla città di Padova e sulla provincia di Padova a partire appunto dal 73-74, periodo di cui iniziamo ad occuparci questa sera. Sono esperienze anche queste fortemente caratterizzate dalle trasformazioni e dalla composizione di classe che le attraversano. Questo come premessa molto generale al lavoro che ci apprestiamo a fare. Ho cercato di individuare alcune parole chiave che caratterizzano questa svolta, che secondo me si può collocare intorno al 1973. Assumendo come riferimento un orizzonte che sia quello internazionale, quello italiano, ecc., le due parole chiave sono quelle della crisi e della ristrutturazione. Di crisi si inizia a parlare in Italia a partire dal 1971. Inizia a parlarne una figura che oggi è dimenticata, ma che ha rappresentato il tecnico ante litteram per eccellenza: il governatore della Banca d'Italia e anche ministro del Tesoro Guido Carli, che dal 1971 inizia a parlare di circolo vizioso in cui l'economia italiana si trova, coinvolta in una crisi che dal 1971 appare di dimensione internazionale. La tenaglia che si stringe intorno al capitale a livello internazionale. Una tenaglia che ha da una parte della morsa le lotte operaie, il ciclo delle lotte dell'operaio massa che culmina nel biennio rosso del 68-69 in tutta Europa con un'omogeneità di comportamenti, di radicalità e di diffusione delle lotte, di straordinaria omogeneità dei contenuti e dei terreni in cui queste lotte si muovono. Quindi di fondo questo elemento dell'egualitarismo, le rivendicazioni di aumenti salariali, di condizioni uguali per tutti. Dall'altro lato della tenaglia le lotte di liberazione in quello che adesso chiamiamo sud del mondo, che allora si chiamava Terzo Mondo, e che culminano proprio come risultato di questa pressione congiunta nella scelta del governo federale degli Stati Uniti, nel 1971, di sganciare il dollaro dall'oro, di rompere la parità dollaro-oro. E' un segnale importante non soltanto economico, finanziario e monetario, è un segnale politico. Come dire: adesso passiamo alla controffensiva, abbiamo subito fin troppo, abbiamo subito questa ondata eccezionale di lotte operaie nelle metropoli, abbiamo subito l'impatto della guerriglie nei tre continenti: adesso passiamo alla controffensiva. Cosa vuol dire? Che il dollaro non conta più una piccola quantità di oro che deve essere depositata a Fort Knox, nei forzieri del governo degli Stati Uniti, nella riserva aurea federale, ma vale per quello che il governo degli Stati Uniti riesce ad esprimere in termini di comando politico militare in giro per il mondo. Non solo: significa che il deficit che gli Stati Uniti hanno accumulato sulla pressione delle rivendicazioni, che anche negli stessi Stati Uniti aveva portato ad un allargamento del welfare, e sulla pressione delle spese militari per sostenere i costi della guerra nel Vietnam, questo deficit enorme accumulato dal bilancio statale americano deve essere fatto pesare, fatto pagare a livello mondiale. E' un segnale che apre da un parte la strada ai processi di ristrutturazione produttiva in tutto l'occidente sviluppato e dallaltra a quella che sarà nel 73-74 la crisi petrolifera, con il rialzo del prezzo del greggio e una serie di effetti in Italia. Uno degli effetti sarà la cosiddetta austerità. Lo vedevo dalla cronaca locale del Gazzettino, ma è un ricordo anche della mia infanzia: le domeniche in cui si andava in giro in bicicletta con mamma e papà perché le macchine non circolavano e si poteva finalmente scorazzare in bicicletta in centro.
Una cosa che a me piacerebbe capire, lo dico subito così poi magari quando passiamo alle testimonianze..., a me piacerebbe capire perché serve anche per l'oggi come dato generale: quanto di questi grandi processi, queste grandi trasformazioni epocali che possono innescarsi a partire anche da fatti che da una prima lettura possono sembrare marginali, quanta consapevolezza, quanta coscienza c'era di questi processi in atto e quanto non c'era. E' anche per capire oggi che cosa ci sta sfuggendo delle trasformazioni che possono essere in atto. Come vivano l'apertura di questi grossi processi ristrutturativi che riguardavano la divisione del lavoro a livello internazionale, che riguardavano la struttura produttiva come inizio della fine della grande fabbrica, inizio dell'attacco alla composizione dell'operaio massa. Come erano vissuti dai compagni in quel periodo e in quella fase. Sicuramente, penso al 1973, ha assunto un peso maggiore, questo lo posso facilmente immaginare, ha colpito di più l'immaginario. Anche immagino sia entrata molto nel dibattito politico del tempo la vicenda cilena. Nel settembre 73 il golpe fascista del generale Pinochet mette fine all'esperienza della presidenza Allende, il governo socialista di Unidad Popular. Segue un'ondata di repressione, che sicuramente voi ricorderete meglio di me, meglio di quello che è possibile ricostruire oggi. Sicuramente questa vicenda cilena pone a livello internazionale il tema, il problema dello scontro, dell'impatto che un determinato livello di lotte operaie e proletarie ha nei confronti dell'apparato statale e della rete di poteri a livello internazionale che sostengono questo apparato statale. Ho portato il numero 0 di Controinformazione, che mi sembrava molto moderna come rivista: scorrendo il sommario, che è dell'ottobre del 1973, si ha un quadro abbastanza preciso di quelle che potevano essere le tematiche dominanti di quel periodo. C'è una inchiesta molto documentata di controinformazione sul rogo di Primavalle, un inserto veramente fatto molto bene su un altro dei fatti caratterizzanti il 1973 nel febbraio-marzo: la vicenda legata al rinnovo contrattuale dei metalmeccanici, la famosa occupazione dei fazzoletti rossi alla FIAT. E' una delle vicende che colpì molto le esperienze anche padovane. Lesperienza della FIAT, l'occupazione degli stabilimenti di Mirafiori, lette a posteriori, rappresentano sicuramente il punto più alto espresso dalla composizione dell'operaio massa, ma anche un po' il suo canto del cigno. Perché dentro alla FIAT poi non si produrranno momenti di lotta così alti negli anni successivi e nonostante questo proprio quell'occupazione vedrà al suo interno la messa in discussione radicale (parlo sempre di quello che si può dedurre a posteriori non rappresenta necessariamente l'esperienza di chi l'ha vissuta) dicevo quell'occupazione rappresenta nella sua pratica il momento più alto di superamento anche di tutto un dibattito precedente sul rapporto avanguardia-massa. Perché quella che si espresse nell'occupazione Mirafiori è, come la chiameranno i documenti di Potere Operaio di quel periodo, un'avanguardia di massa, è la composizione operaia degli stabilimenti FIAT di Torino che esprime una capacità di autorganizzazione, di organizzazione anche militare, di difesa dell'occupazione della fabbrica, di punizione dei capi-reparto. Una capacità di produrre e di articolare in fabbrica un livello grosso di contropotere operaio. Ma rappresenta anche un'esperienza che rimane all'interno dei cancelli della fabbrica, mentre già il padrone sta organizzando il decentramento produttivo, sta già organizzando la disarticolazione, la disgregazione di quella composizione dell'operaio massa.
Questa è un'esperienza particolarmente significativa e di questa mi piacerebbe capire quale sia stata allora l'impressione, come sia stata vissuta.
Tra gli elementi più interessanti che precedono il 1974 ne vorrei sottolineare un altro. A cavallo tra 72 e 73 inizia ad assumere una certa consistenza anche l'ipotesi lottarmatista, l'ipotesi combattente, proprio nel 73 legata alla vertenza FIAT. Le BR compiono a Torino due dei sequestri più significativi legati a questa vicenda operaia. Sono il sequestro di Labate, un sindacalista e il sequestro del direttore del personale di Mirafiori Amerio, che personalmente conosco bene perché poi finì a fare il sindaco nel mio paesello...
Tornando invece alla vicenda cilena: è l'occasione per il Partito Comunista Italiano di annunciare un cambio di strategia. Tra il 71 e il 73 le parole d'ordine ufficiali del PCI erano quella delle riforme di struttura. Nel 73, di fronte alla vicenda cilena, la proposta era quella del compromesso storico, che porterà poi ai governi con l'astensione del PCI e tutto quello che vedremo meglio riguardo agli anni successivi. Rispetto alle fabbriche c'era un'altra cosa da sottolineare, che emergeva un po dai materiali che ho potuto scorrere e recuperare. Dopo il 68-69, tra il 71 e il 73, c'è una ripresa di presenza e di egemonia sindacale. Questa trova una proposta di mediazione nel discorso sui consigli di fabbrica, che rappresentano da una parte il recupero di alcune istanze operaie autonome, con l'elezione di delegati espressi da aree omogenee, di gruppi omogenei di lavoratori dai settori di catena, i cui delegati sono il riconoscimento anche di alcune avanguardie militanti di fabbrica emerse dalle lotte del 68-69. Dall'altra è evidente una tendenza ad istituzionalizzare questa forte spinta operaia. Tra i gruppi che vengono dall'esperienza del 68-69 ci sono degli atteggiamenti diversi. Per alcuni prevale un'impostazione ideologica, penso a Lotta Continua, alla "siamo tutti delegati" rifiutando in blocco la proposta dei consigli di fabbrica. Dall'altra mi pare ci fosse il riferimento all'esperienza successiva, quella delle lotte nell'alta padovana. Questa può essere un'altra considerazione interessante: quale valutazione, e quale poi esperienza concreta si fece con questo tentativo sindacale di recupero di egemonia nella fabbrica, un po' il segno di una metodologia che caratterizza anche tutta l'impostazione successiva.
Questi sono alcuni flash su alcuni momenti significativi. In queste trasformazioni, in questa svolta che parte dal 73 in poi, c'è la vicenda soggettiva dei gruppi. La crisi dei gruppi che vengono dall'esperienza del 68. Paradossalmente, ma non troppo, è proprio l'esperienza del gruppo che ha cercato di essere più innovativa sul terreno del rapporto tra avanguardia e massa. L'esperienza di Potere Operaio registrò per prima la crisi della forma partito nella proposta dei gruppi e si sciolse nell'ormai celeberrimo congresso di Rosolina. Sul perché di questo scioglimento, non tanto sulle linee che all'interno di Potere Operaio si scontravano, ma sul tipo di nodi politici e sociali che quello scioglimento metteva in luce, sarebbe interessante soffermarsi. Credo che se facciamo una ricostruzione della memoria a partire dal vissuto, verifichiamo che documenti e mozioni contrapposte al vissuto dei soggetti in carne ed ossa assumono meno valore di esperienze concrete, giornate. Sarebbe interessante vedere anche questo.
L'impressione mia qual è stata? Che nel 74 vengono registrate alcune di queste trasformazioni. Tutta la vicenda del referendum sul divorzio non fa altro che registrare una trasformazione che c'è stata complessivamente nella società italiana. Come limpatto fortissimo delle lotte operaie, studentesche, della critica dell'autoritarismo. Questo portato del 68, della critica alle istituzioni sociali cardine di una società borghese, trova una sua sanzione anche formale nella vittoria dei NO all'abrogazione del divorzio. Così come tutta la vicenda, importante perché poi nella vostra storia soggettiva assumerà un significato rilevante, tutta la vicenda delle stragi, del maggio quella di piazza della Loggia, dell'agosto quella dell'Italicus, è un po' il portato, l'onda lunga di alcune scelte che gli apparati di Stato avevano fatto già a partire nel 69. Il risultato di scelte che stanno a monte: l'utilizzo dei fascisti in funzione antioperaia, degli apparati di Stato in termini di attacco diretto, questa scelta stragista, in quelle che sono le grandi trasformazioni mi sembra poco rilevante, perché fa parte di una scelta con cui già il movimento aveva cominciato a confrontarsi a partire da piazza Fontana, a partire dal 12 dicembre del 69. Però è chiaro che poi nella vicenda di cui andiamo ad occuparci abbiano assunto un peso rilevante...