- Un veloce ricordo: come ho vissuto quegli anni ? Intanto avevo 21 anni. Il primo dato da riscontrare è che avevamo tutti intorno ai 20 anni. Il secondo dato è l'aspetto di semplicità con cui persone di 20 anni affrontavano quel tipo di realtà. Non è che mancava il terreno della discussione, anzi in Potere Operaio non si faceva altro che discutere, la maggioranza di persone di Potere Operaio era di persone che discutevano, teorizzavano, pochissimi praticavano. Questa era una verifica nostra, nel nostro percorso di giovani militanti di Potere Operaio, che poi ha anche influenzato la nostra decisione di stare o non stare dentro Potere Operaio Nel senso che più che un discorso di analisi generale influiva molto l'aspetto della pratica politica. Noi eravamo orientati verso chi era coerente rispetto a quello che diceva. Le cose che si dicevano in quel periodo erano anche quelle estremamente semplici, diventano complesse se uno le analizza adesso. La rivoluzione era all'ordine del giorno. La rivoluzione era stata possibile in più parti del mondo. La discussione era come fare la rivoluzione, non se era possibile fare la rivoluzione. Per cui termini come guerra civile e lotta armata, erano luoghi comuni. Può sembrare oggi assurdo, ma non è che il termine guerra civile fosse un termine su cui si ragionava come possiamo ragionare adesso, come problematica che può produrre disastri. Per noi guerra civile era una prospettiva secondo cui in un determinato territorio e zona si sarebbe determinato un processo rivoluzionario. Uno scontro tra classi, tra minoranze e maggiornaze. Il ragionamento era poi sul come fare. Lì c'erano varie scuole di pensiero. Lasciamo stare le scuole di ML, analizziamo la scuola di pensiero dei gruppi: tutti eravamo per l'uso della forza, per la rivoluzione che doveva essere armata, doveva essere distruttiva dello stato di cose presenti. Da Lotta Continua ad Avanguardia Operaia nessuno sosteneva altre cose: la distinzione era fra riformisti e rivoluzionari. I riformisti volevano ottenere il potere con le riforme, le "riforme di struttura" diceva il PCI, possibili attraverso le elezioni, attraverso la difesa dello stato democratico. Attraverso le riforme di struttura trasformare lo stato borghese capitalistico in uno stato socialista. I rivoluzionari extraparlamentari dicevano no, questa cosa non è possibile. Primo perché non solo non erano sufficienti le riforme di struttura, ma bisognava rivoluzionare invece tutto il sistema; secondo perché comunque le riforme di struttura il sistema non te le faceva fare. E qui mi collego al discorso del Cile. La rivoluzione del 74 era lampante: qualsiasi altro terreno che non fosse quello del percorso rivoluzionario armato che poneva il problema del potere come conquista era un terreno perdente. Allende lo dimostrava. Non è che poi attorno a questo c'erano delle problematiche. Noi ma anche la stragrande maggioranza del quadro militante dei gruppi extraparlamentari, non è che si viveva una problematica esistenziale più complessa, nel senso che già funzionava questo tipo di visione. Rivoluzionari, riformisti e via di questo passo. In realtà poi venivano fuori le impostazioni. C'era un discorso che si rifaceva a un concetto di classi di tipo marxista o maoista, piccola borghesia..., in base a quanto guadagnava uno, a quanto era collocato nel sistema produttivo classico. Per cui gli insegnanti erano sempre borghesi, secondo gli ML. Altri dicevano: il sistema capitalistico si trasforma, trasforma anche la società, non rimane sempre uguale. Questa trasformazione era frutto anche delle lotte di questo periodo, per cui anche l'insegnante poteva trasformarsi in proletario, in base alle modificazioni, per cui in realtà invece che parlare di classe si parlava di composizione di classe. Quello che interessava era il processo produttivo, le modificazioni del sistema capitalistico e questa cosa produceva sul piano del rapporto col terreno della composizione di classe. La composizione di classe era soprattutto un insieme di comportamenti, per il filone operaista. Voglio dire che non era tanto interessante il fatto che l'operaio era d'accordo, era comunista ed era rivoluzionario. Perché molti operai erano degli stronzi, come erano stronzi i medici. Non è che ci fosse un discorso ideologico come facevano gli ML, la santa classe operaia. Infatti chi poi si ricordava i terreni di lotta nelle fabbriche, sul piano della cosiddetta coscienza all'interno della classe operaia, in realtà erano elementi di minoranza, le avanguardie coscienti rispetto ai processi complessivi. La stragrande maggioranza viveva di una dinamica di tipo corporativo, cioè faceva i cazzi, gli interessi propri. L'unica differenza è che erano centrali rispetto a un discorso politico marxista: la classe operaia in base al proprio interesse veicolava una trasformazione generale. Quello che interessava non era un discorso sull'ideologia o sulla coscienza, ma un discorso su quali erano i comportamenti che questa benedetta classe, con tutte le sue articolazioni, manifestava. Lì c'era il discorso del rifiuto del lavoro, dell'egualitarismo, il sabotaggio, tutta una serie di comportamenti della pratica interna alla fabbrica, ma anche nei territori, che venivano colti e trasformati in un ragionamento. Non sto dicendo se questa era una semplificazione o no, però questa è la questione. Eravamo giovani, eravamo molto semplici, affrontavamo la vita e i punti di vista in maniera molto semplice: la rivoluzione era un processo di conquista del potere, la divisione era sul come farla. C'era poi tutta una serie di ragionamenti sul terreno dell'analisi: invece di parlare di classe dicevamo composizione di classe, alcuni dicevano ideologia del lavoro, noi dicevamo rifiuto del lavoro, rispetto a una serie di discorsi... Però tutto era legato alla convinzione che tu eri parte di qualcosa di consolidato in questo mondo, che era comunque forte, diviso al proprio interno, con strategie, tattiche. In questo la valutazione in campo salista? non era mai così netta, da parte di nessuno: in realtà c'era una critica, comunque c'era un ragionamento su cosa era stata la rivoluzione russa, cinese, c'era un ragionamento comunque di parte, quello era comunque una nostra parte. Questo era l'altro aspetto che rendeva semplice l'approccio di quel periodo. Questo per far capire che nel 74, dopo lo scioglimento di Potere Operaio, noi non contavamo un cazzo a Padova. All'interno di tutte le manifestazione del 74 eravamo sempre in coda. Eravamo la parte folcloristica e casinista del movimento padovano, ma questa cosa non ci poneva problemi esistenziali, oh siamo una minoranza.... Ce la godevamo, perché praticare e dire delle cose, per esempio gridavamo molto champagne molotov, ricordo Icio che gridava potere operaio e noi rispondevamo potere proletario, gli anarchici potere a nessuno... Era un meccanismo molto meno drammatico, molto meno esistenziale, filosofico, era molto legato a un sentire inserito in quel mondo che si viveva e che in realtà rendeva semplici le cose. Insomma il 74 lo vivevo personalmente in una forma allegra e spensierata. Si voleva sicuramente fare alcune cose, a Padova per noi gli elementi fondamentali sono stati: il terreno dell'illegalità, cioè la traduzione pratica del fatto che il potere si conquista e non si riforma; il fatto che bisognava determinare alcune pratiche, legate a categorie generali, ma anche il fatto che bisognava rompere i coglioni. Era una pratica quotidiana, da rubare, ad andare a fregare al supermercato, da spaccare la testa al fascista, a sputare addosso al professore... L'illegalità per noi non era soltanto uno schema interpretativo logico, era una pratica di vissuto. Ricordo molti di noi che vivevamo questa situazione minoritaria e molto giovanile, di tutte le riunioni in quel periodo non ce ne fregava assolutamente un cazzo. Perché poi ci si trovava in piazza dei Signori e c'era ogni giorno da rompere i coglioni a qualcuno. C'è forse un concetto che può essere trasformato in qualcosa di segno opposto, di bande, di ultras, ecc., ma sicuramente l'aspetto fondamentale era un terreno di comportamento di questo tipo. Chiaramente con alcune condizioni molto semplici: la rivoluzione e alcuni terreni di analisi ben precisi. Quell'anno ricordo che eravamo usciti dalla crisi di Potere Operaio, di cui non avevamo capito assolutamente niente, nel senso che avevamo capito che c'era un dibattito di questo tipo: si poneva il problema che non era più possibile nessun terreno di avanguardia esterna dentro la classe operaia, perché non si parlava di impiegati, iniziava un discorso sul terziario che però non aveva ancora assunto elementi di categoria politica, si parlava sempre di studenti e operai, operaio massa e studente massa, le due categorie erano molto più semplici, non c'erano gli elementi di differenziazione che ci possono essere oggi. Sempre dentro un terreno della fabbrica. In realtà c'era una crisi della forma gruppo, di fronte all'emergere della lotta armata delle Brigate Rosse e dell'illegalità operaia in fabbrica, due categorie che sfuggivano alla logica della forma gruppo ma erano elementi nuovi che avevano posto a tutti un terreno di discussione, Potere Operaio per primo perché da parte dei dirigenti c'era una grande capacità di tendenza, di proiezioni. Però la traduzione pratica che noi abbiamo colto qual era? Che mentre per qualcuno c'era questo ragionamento sul fatto che bastava coniugare come sempre in termini oggettivi, in termini di grande operazione machiavellica, le assemblee autonome operaie che c'erano, che però non erano dirette da nessuno se non in maniera parziale al Petrolchimico, queste forme di comitati operai e di assemblee autonome che avevano vita propria, dando per scontato elementi maturi, elementi di prefigurazione di altro tipo, mentre dall'altra parte esistevano le Brigate Rosse come espressione della lotta armata. Mettendo insieme in termini politici i 2 aspetti si determinava il salto di qualità. In realtà questo tipo di cosa per noi ha significato invece che il terreno del dibattito vero era che noi studenti non potevamo fare più lavoro esterno operaio, perché eravamo avanguardie esterne. Io e Gianni al bar abbiamo detto: ma se noi non siamo operai che cazzo facciamo? Il terreno dell'organizzazione complessiva rimaneva. Poi si aprirà un discorso su che cos'è un'organizzazione complessiva, che si modificherà anche per noi, perché già in quell'anno cominciava ad evidenziarsi il concetto di territorio. Non bastava più l'attivo del gruppo, si decideva di dividersi per collettivi, che non erano già elementi di configurazione politica complessiva, nascevano come divisione del lavoro. Nel senso che noi siamo rimasti in Potere Operaio perché non abbiamo capito un cazzo del perché gli altri lo hanno sciolto. Con quelle categorie a noi non ce l'hanno fatto capire e ci convinceva di più chi diceva che comunque, era meglio rispetto a un salto nel buio, (perché si parlava sempre di Marghera e dell'Alfa), piuttosto che andare a Marghera e all'Alfa come molti hanno fatto creando disastri. Gente che partiva e andava a lavorare esterno, a fare le assemblee autonome dell'Alfa, poi dopo un anno erano tutti scoppiati. O le grandi concentrazioni operaie o le grandi operazioni di coniugazione: questa la logica che tutti di Potere Operaio hanno sempre avuto. Coniugare sempre gli altri, grandi operazioni senza tenere conto delle persone e dei processi reali. Questa, siccome non era spiegato bene (poi è stato spiegato molto meglio nei processi), è la verità. Dopo ci hanno spiegato che per alcuni Potere Operaio poteva essere nel terreno anche armato l'espressione complessiva di riferimento di queste trasformazioni. Altri dicevano invece no, perché le avanguardie armate si stavano organizzando da una parte e le avanguardie operaie si stavano organizzando in un'altra maniera. Per cui mettere insieme Assemblee Autonome e Brigate Rosse. Controinformazione doveva essere l'organo di questa cosa. Dopo un anno è fallito tutto perché tra i grandi capi non si sono messi d'accordo. Al di là dell'operazione e dei grandi teoremi questo comunque era il terreno concreto, di cui noi non abbiamo capito un cazzo perché in realtà non era possibile spiegarlo, se non in una dinamica di grandi teorie per il quadro militante abbastanza confuse. Si parlava di Fondo Monetario, si diceva: dobbiamo sciogliere l'organizzazione complessiva. Voi o andate a Marghera a fare lavoro esterno o non si capisce cosa. Noi, rispetto a un discorso che non era spiegato, abbiamo scelto di rimanere. Rimanere voleva dire che nel 74 avevamo un attivo che si trovava. La traduzione pratica del fatto che bisognava cambiare l'avevamo avuta vedendo gli attivi. La stragrande maggioranza di noi andava lì. La maggioranza delle persone era gente che veniva soltanto a fare i fighi. Molti di questi, il gruppo che continuava a tirare avanti le cose, erano sempre i soliti disgraziati, che dopo si prendevano anche per il culo: voi fate antifascismo, che stronzi, il problema è la terziarizzazione del lavoro. Poi non li vedevi più da un attivo all'altro. Per far capire che poi noi non siamo figli di nessuno. Siamo figli teorici, come categorie che per noi sono state fondamentali: io e Giovanni siamo stati folgorati dal rifiuto del lavoro, per andare dal Manifesto in Potere Operaio quando abbiamo incontrato Toni Negri che ci ha spiegato quella cosa. Però dal punto di vista dei percorsi materiali non siamo mai stati aiutati da nessuno. E' stato un percorso di convinzione rispetto a un terreno di questo tipo. Ricordo che abbiamo mantenuto l'attivo di Potere Operaio, alcuni di noi, quelli più giovani che venivano fuori dagli istituti medi, dicevano: andando avanti così non si può combinare un cazzo, qui stanno cambiando le cose, bisogna fare un discorso di organizzazione complessiva. Organizzazione complessiva significa che tutti fanno qualcosa. Invece di avere questa struttura di attivo, di discussione generale, dividiamoci per collettivi. Il terreno dei Collettivi nasce all'inizio del 74 come scelta non di carattere strategico. E un discorso che poi produrrà i Collettivi Politici Padovani: nasce da questi ragionamenti molto semplici, però secondo me pregnanti di una politica vera, di un percorso vero. Dalla fine del gruppo non contavamo un cazzo a Padova ci siamo posti il problema di come reintervenire. Abbiamo cominciato a discutere e poi abbiamo detto: dividiamoci per collettivi. E lì nascono i gruppi omogenei dei collettivi. Il gruppo omogeneo era il Collettivo Padova Nord, frutto del gruppo degli studenti medi usciti dal ciclo precedente e un gruppo di universitari, omogenei rispetto ad alcune pratiche quotidiane, l'antifascismo e altre cose. All'inizio prendiamo la sede all'Arcella, è un discorso di decentramento e di apertura al territorio. Non è legato anche questo a un ragionamento troppo sofisticato. Sicuramente il concetto del decentramento produttivo era nel dibattito interno, come il discorso della fabbrica che si ristrutturava, ma sicuramente era una scelta di tipo espansivo, la necessità di doversi radicare all'interno di un territorio che in quel momento conoscevamo poco. Conoscevamo piazza dei Signori, le piazze, i bar, le scuole medie, e le osterie dei colli. Ci siamo posti il problema di conoscere il territorio. In questo sta anche un'altra scelta fondamentale: abbiamo detto basta con chi ci vuole prendere per il culo. Dopo un viaggio che alcuni di noi hanno fatto in giro per l'Italia durante il quale ci raccontavano che Potere Operaio esisteva ancora, noi due o tre che siamo andati in giro abbiamo capito che non c'era più un cazzo neanche di Potere Operaio. Abbiamo deciso di fare delle cose nel nostro territorio, contare e verificare le cose per quello che riusciamo a fare. Basta con grandi operazioni nazionali, ci mettiamo a Padova e vediamo quello che riusciamo a fare a Padova. Questa è un'altra scelta fondamentale, nel 74 rompiamo col meccanismo di essere interni a un progetto nazionale. No, siamo all'interno di noi stessi, questa è un'autodeterminazione vera. Questo è un altro aspetto derivato da un ragionamento molto terra terra ma secondo me preciso: il territorio acquista importanza fondamentale, ma soprattutto rispetto a queste verifiche, a questi passaggi che ho descritto prima, più che soltanto per un ragionamento. In questo un po' ci ha aiutato l'esperienza di Potere Operaio. Sicuramente nella lotta sui trasporti eravamo molto abituati a vedere questo tema dei bisogni che venivano seguiti anche nel territorio, visto anche il concetto di fabbrica diffusa che il Veneto rappresentava. Questo dei trasporti è stato uno degli elementi centrali nelle lotte di Potere Operaio. Anche dopo era una lotta sui bisogni, era un discorso che legava il territorio alla fabbrica, il tempo di lavoro che non è solo tempo di fabbrica ma tempo anche di come arrivarci, tutta una battaglia di questo tipo, la lotta sui trasporti ci ha aiutato a comprendere questo tipo di dinamica. Ora, questa decisione di partire da quello che eravamo, non tutti quelli dell'attivo di Potere Operaio rimasti eravamo omogenei: si sono prodotte varie selezioni negli anni successivi. Si era determinato un livello di omogeneità tra un gruppo di ex medi, qualche universitario che aveva fondato il gruppo Padova Nord, con quelle caratteristiche che avevo detto prima, che doveva essere inizialmente un lavoro su Mortise-Arcella. Poi per culo, perché quell'anno Susanna aveva conosciuto uno studente, Ciano di Pieve di Curtarolo, del Curiel, questo ci ha introdotto nell'alta padovana. Noi all'alta padovana non avevamo pensato neanche quando avevamo aperto la sede dell'Arcella. All'Arcella avevamo messo in piedi la lotta sulle case popolari, dove abitavo con mio fratello, lì avevamo fatto la prima iniziativa contro l'aumento degli affitti delle case popolari. Poi questo intreccio col gruppo rimasto dei medi, (Icio, Susanna, Bacchin e gli altri) che aveva continuato questa esperienza di Comitato Interistituto, questo gruppo di persone che verso la fine dell'anno aveva già aperto la sede, quella in ghetto se non sbaglio ...
- Ricordo che quando abbiamo fatto la divisione per territori e collettivi, non intesi come collettivi come si sono costituiti poi, ma intesi come collettivi territoriali, eravamo nella sede di via Campagnola, quella che era stata di Lotta Continua.
- Avevamo avuto una sede in via Bartolomeo Cristofori, dove c'era prima il Teatro Popolare dell'Arcella, c'era una vetrina, Emilio Vesce ed Ettore Gasparini l'hanno affittata come redazione di Controinformazione, numero zero, e dopo siamo andati via.
- Nel 73 avevamo la sede in via Cristofori, poi entro quell'anno si apre sia la sede Padova Nord, sia la sede in via... Dopo ognuno dirà la sua, dico quello che mi ricordo. Padova Nord all'Arcella, questa continuità con gli studenti medi: queste erano le due strutture omogenee, nel 74, per il tipo di pratica. Dentro a questo tipo di discorso comincia a venir fuori l'intervento nell'Alta padovana. Infatti nel 74 c'è il primo bollettino del Collettivo Padova Nord, fatto di tutte le esperienze che abbiamo incontrato in quell'anno, da Pieve di Curtarolo a Limena, interventi nelle piccole fabbriche. Questo intervento nasce da un compagno del Comitato Interistituto che abitava a Pieve di Curtarolo, e chiedeva di poter far qualcosa nel paese. Lì cominciamo, alcuni, io, Giovanni, Fabrizio, facciamo le prime riunioni a Pieve di Curtarolo, nasce il gruppo, un gruppo che poi si svilupperà, con la Carraro, ecc. Insomma inizia nel 74 questo lavoro nell'Alta padovana. Sull'Alta il ragionamento è questo: siamo stati aiutati da un errore strategico sul terreno della tendenza. Questo concetto individuava i consigli di fabbrica come istituti di potere in crisi che si potevano trasformare in istituti di potere operaio. Era il discorso di Piperno e del gruppo rimasto in Potere Operaio, che in realtà, col senno di poi, faceva un ragionamento in alternativa al concetto di assemblee autonome, di comitati operai che in quel momento stavano nascendo e che comunque erano minoritari dal punto di vista della rappresentanza. E' vero che nel 73-74 con le lotte alla FIAT c'è il massimo di espansione dei Consigli di Fabbrica, come terreno di sindacalizzazione, ed è vero anche che i Consigli di Fabbrica di quel periodo non erano i consigli di fabbrica di adesso. Però sul piano strategico, sul piano della tendenza, questa cosa, guardando il 75-76-77, era perdente perché il concetto delle Assemblee Autonome è stato quello vincente, su cui poi abbiamo determinato azione politica. Sicuramente per la realtà padovana, che non aveva nessuna forma di struttura autonoma dentro la cosiddetta classe operaia decentrata delle fabbriche territoriali, se non l'esperienza che dirà Gianni, con cui abbiamo giocato per anni e con cui però ci siamo anche rovinati... Comunque l'unica realtà di comitato operaio su cui giocavamo tutto era il Comitato Operaio dell'Utita. Con alcune iniziative di struttura, le Bambole Franca, altro capo la Maria Luisa Pavanello, per cui le uniche strutture autonome nel territorio erano guidate da due potenziali infami, quali poi diventeranno nel 79. Per fortuna nell'Alta padovana questa cosa non c'è stata, nel senso che in realtà era un terreno completamente aperto. C'erano solo strutture di consigli di fabbrica in fase di espansione, noi avevamo addirittura fatto il ragionamento di promuovere i consigli di fabbrica, per cui paradossalmente da un discorso di tendenza sbagliata, quell'anno ci ha permesso di andare a dire delle cose, a parlare con le realtà dell'Alta padovana e non solo. Con un altro tipo di ragionamento, che rapportava la metropoli al terreno della fabbrica diffusa in maniera meccanica, sicuramente questa cosa non si sarebbe verificata. Ci ha permesso di produrre i Coordinamenti dell'Alta padovana, che erano un insieme di delegati, consigli di fabbrica, persone individuali e qualche sindacalista. In quell'anno, dentro al discorso che hai detto, secondo cui eravamo al massimo dell'espressione della forza operaia ma con la crisi petrolifera ecc., cominciava ad esserci il processo massimo di ristrutturazione e di crisi. La forma e l'istituto operaio per eccellenza era il Consiglio di Fabbrica, che viveva questa crisi di passaggio, poteva essere trasformato nei soviet dentro a un meccanismo molto semplificato.
Per quanto riguarda Padova c'è un travaglio in un gruppo di Potere Operaio rimasto, che apre un'iniziativa in zona industriale: la maggioranza di questi erano degli incapaci, grandi parole ma incapaci di ogni intervento. C'è un collettivo di Zona Industriale che nel giro di un anno si scioglierà e una parte entrerà nel Collettivo Padova Nord, esiste un gruppo universitari, quei pochi rimasti, poi dirà anche Marco, che continuava ad esserci nell'Università e che in realtà continuava a sviluppare alcune questioni e via dicendo. C'era comunque un'unica presenza significativa in quel momento a Padova: erano i medi, comunque c'era un filo di continuità rispetto agli anni precedenti. Quell'anno fu un anno travagliato perché non si formalizza il Comitato Padova Centro, si formalizza un po' più avanti, perché qualcuno del Padova Nord si sposterà a costruire il Padova Centro. Il Collettivo Padova Centro non esisteva nel 74.. Sul piano dell'impostazione abbiamo detto facciamo il Padova Centro, ma in realtà non si forma come struttura omogenea, nel senso che nel 74 c'erano i medi che si trovavano con i medi, chi doveva costruirlo era Paolo Benvegnù, e Paolo Benvegnù era un incapace ...