- È vero quello che dici, nel senso che la dimensione sostanzialmente credibile sul piano politico del Collettivo Padova Centro si dà successivamente, però come definizione di sigla esiste già. Che cos'è il Collettivo politico Padova Centro in quel periodo? E' una specie di serbatoio degli sfigati, cioè quelli che non avevano avuto una collocazione interna a un dibattito politico sensato. Il discorso dell'omogeneità che si faceva prima mancava completamente. Era la raccolta di quelli che si erano trovati a seguire un'onda politica che era comunque vincente, però dentro un dibattito che invece era molto ma molto scarno, per le ragioni che tu hai spiegato. Perché l'esperienza dei medi, del Collettivo Padova Nord aveva condotto a una dimensione di omogeneità tale per cui la discussione e anche la pratica politica avevano un certo tipo di qualità, il Padova Centro si dà per decidere che una serie di compagni non vengano buttati a mare. Va tenuto presente che l'esperienza più forte era quella dell'Università lì dentro. E l'Università era stata in quegli anni una cosa abbastanza scombinata, con un grandissimo turn over di persone, gente che entrava e usciva, con figure anche... Rizzotti per esempio, che era stato segretario di PO, una volta che si è laureato e ha trovato la figlia del primario è partito per la tangente, e altra gente come lui, dalla Lisi Dal Re a tanti altri. La mia esperienza è stata: esco dal liceo, entro in Potere Operaio nel 72. Perché? Come tutti gli altri che entrano nei gruppi per una serie di simpatie e di amicizie, non perché avendo letto tutto il Capitale e tutti i Grundrisse avessi deciso che la linea di Potere Operaio era la migliore. Semplicemente Potere Operaio era in quel momento l'organizzazione forte, quella che aveva la creatività, un taglio, un temperamento, un modo di affrontare le cose su un terreno sostanziale. Che poi voleva dire anche antifascismo, pacche, spranghe, e cose del genere, per cui ti misuravi con quel tipo di realtà. Entro nel 72, nel 73 mi dicono ci siamo sciolti, io non capivo un cazzo in quel momento. Perché non capivo né chi eravamo, né perché ci eravamo sciolti, né che cazzo ne sarebbe stato di noi. Capivo che comunque della pratica del Manifesto, del Centro Lenin, di Lotta Continua, non me ne fregava un cazzo, e quindi sono rimasto lì. C'è stato un periodo che è durato un paio d'anni in cui da una parte c'era l'affezione a questo tipo di realtà, a questo tipo di compattezza, dall'altra parte però c'era un certo contrasto con altri compagni che stavano crescendo più rapidamente, che discutevano di più, che si trovavano di più, che tra il terreno della fabbrica e il terreno della scuola media avevano degli obbiettivi forti, con cui si confrontavano ogni giorno, e noi eravamo lì appunto capitanati da...non facciamo nomi ma hai detto bene poco fa... Chi erano gli altri? Erano personaggi dell'Università, sostanzialmente della Facoltà di Medicina, che erano passati “dalla medicina al servizio delle masse popolari” a un qualcosa che non si capiva più bene cos'era. Però il Collettivo Padova Centro in quel periodo c'era, si riuniva in via Campagnola regolarmente, discuteva un casino, non faceva un cazzo, continuava ad andare a Roma a parlare con Pifano, Migliucci, il Policlinico, discussioni avanti e indietro. Nasceva una specie di cosa strisciante verso gli operai delle telecomunicazioni, che portava verso dimensioni di sabotaggio e di lotta, però tutto in maniera mafiosetta, molto poco chiara e non del tutto esplicitata politicamente. Siamo andati avanti così finché c'è stato il discorso: qui ci si confronta sul terreno dell'omogeneità, e lentamente il Collettivo Padova Centro è stato visto come un qualcosa che andava valorizzato attraverso tutta una serie di discussioni con compagni che uscivano dall'esperienza dei medi ed erano anche loro in una fase di transizione verso la scelta poi dei quartieri, delle zone omogenee. Lì si è rifondato, si è ripartiti, ma si è ripartiti credo a cavallo tra il 75 e il 76. Questa è una storia successiva. Però noi eravamo tutti lì ed eravamo in tutte le questioni che ci sono state di piazza, o anche di cosucce da fare, ma in maniera non del tutto consapevole di chi cazzo eravamo. Non è rimasto più nessuno. Solo io.

 

- Non è un problema tanto di ricordi, è un problema di definizione di due o tre cose. L'unica cosa che secondo me è reale dentro tutta questa storia, dentro questo iter, la cosa più importante secondo me è che tutto quello che abbiamo fatto, soprattutto in quegli anni che sono stati il momento più difficile perché era un laboratorio continuo e senza fine, è stata una ricerca quasi quotidiana. Dovevamo inventarci il fatto di essere presenti e comunque di maturare delle cose in termini di iniziativa politica dentro a una situazione che era determinata dalla presenza matura e forte di tutta la sinistra extraparlamentare, che probabilmente in quegli anni ebbe i momenti più importanti, tra Avanguardia Operaia e Lotta Continua, che usufruiscono di un quotidiano nazionale, la presenza all'interno dei consigli, di cose che sono enormi, ma che in realtà non manifestano niente, se non una opposizione di carattere ideologico, della famiglia di quel porco di Longo e di Berlinguer e compagnia cantante.

Oggettivamente all'interno del nostro territorio la presenza della grande fabbrica non esisteva. Quando invece, in termini di assunzione dei testi sacri, per noi il punto di riferimento era la classe, i consigli, l'operaio massa, e a partire da ciò tutto si determinava. I grandi scontri sui morti che ci sono stati, sulle battaglie antifasciste, venivano da Milano, noi non avevamo un'identità. Le Brigate Rosse hanno sempre definito il nostro territorio, le nostre esperienze legate a una composizione di classe di studenti, piccolo-borghesi, un po' drogati, un po' fuori di testa, un insieme di elementi completamente deleteri che manifestano ancora una volta la loro deficienza politica. Però questo è un altro paio di maniche, è un giudizio personale che do su questa gente. Il problema è che tutta questa fase (che è una fase transitoria verso quella fase, che secondo me è stata la più bella, il 76-77-78) è probabilmente quella più importante. Nel senso che noi, come Commissione Scuola dei medi di Potere Operaio, siamo usciti e abbiamo tentato di riuscire a capire dove stavamo andando, perché nessuno ce lo spiegava. Le risoluzioni erano da un'altra parte Le definizioni, le categorie politiche non ci appartenevano, proprio perché non avevamo nessuna identità, né in termini editoriali, né in termini di identità politica. L'unica identità che avevamo era il fatto che ci conoscevamo, avevamo alcune convinzioni nella testa e alcune scommesse da giocare. E questa secondo me è stata la nostra forza, è stata questa ricerca continua, un laboratorio itinerante, che in seguito ci ha portato a fare la lotta per il pane e altre cose... Ci siamo inventati tutto dalla A alla Z. Era un problema proprio di composizione di noi stessi, all'interno del territorio. Non ci siamo mai posti il fatto di andare a lavorare in fabbrica. Non è che voglio definire questa cosa ideologicamente, però oggettivamente abbiamo fatto tante altre cose, per il semplice motivo che per certi versi siamo stati precursori, dal punto di vista della composizione, di una figura nuova che si manifestava nel tessuto sociale. Questo era direttamente legato al tessuto produttivo della nostra regione. Non esisteva il grande polo industriale, se non Porto Marghera, che già stava chiudendo. Tutto quello che viviamo dal 69 in poi a Porto Marghera è resistenziale, non è d'attacco rispetto alla configurazione del mondo del lavoro. Per cui, in sintesi, rispetto al 74 e probabilmente rispetto al 75, l'unica cosa che secondo me ci accomuna tutti è che non facciamo parte della famiglia della Quercia e dell'Ulivo, che abbiamo sempre manifestato un'antitesi politica nei confronti di queste cose. E l'abbiamo manifestata poi anche nel fatto che proveniamo da altre esperienze, da altri percorsi. Non è un caso che la composizione stessa della struttura sociale in cui abbiamo vissuto, quella veneta, abbia introdotto nel nostro percorso di vita alcuni elementi che poi sono stati determinanti nella nostra pratica politica, che è stata, ripeto, una ricerca continua, a cominciare dal punto di vista delle forme. Perché abbiamo costituito un comitato Interistituti quando all'epoca esistevano già sigle, tipo le sezioni di Lotta Continua o le sezioni di Avanguardia Operaia all'interno delle scuole, e noi all'epoca facevamo parte di un'organizzazione politica che era quella di Potere Operaio. Già all'epoca avevamo proposto un organismo di ordine diverso, rappresentativo e politicamente differente da quello che era lo scenario politico che si proponeva. Questo tipo di tendenza e questo tipo di ricerca ha sempre prodotto il fatto che non ci siamo mai basati sull'esistente, ma abbiamo sempre spinto più avanti, sulla ricerca di nuove formule e di nuove strutture che potessero praticare dei terreni di lotta che all'epoca non si davano. Tutto era basato su un terreno esclusivamente ideologico, legato ai testi sacri della sinistra, con tutte le loro diatribe che la più parte del tempo non producevano un cazzo. Noi abbiamo proposto l'immediatezza, la necessità di vivere, di essere protagonisti, in un modo o in un altro, della nostra vita e comunque anche dei nostri errori. Questo tipo di limite è stato anche la nostra forza: superare le ideologie e probabilmente lavorare più sul terreno dell'utopia, essere comunque protagonisti di piccole cose che però ritenevamo importanti rispetto al nostro essere e alla possibilità che attraverso di noi altre persone potessero stare assieme e vivere delle stagioni importanti della loro vita. Però si diceva giustamente che all'epoca avevamo 19-20 anni e questo tipo di cose, a differenza di altri che le vivevano nelle sezioni o nelle cellule di partito o di organizzazione della sinistra extraparlamentare, attraverso una scuola quadri, in termini ideologici, attorno a quello che aveva detto Bordiga o quello che aveva detto Lenin ecc., noi lo praticavamo su un altro piano, che era il fatto di andare a mazzate la mattina con i fascisti perché ritenevamo che fosse opportuno, il fatto di andare a distruggere le macchinette degli autobus perché dovevamo fare la battaglia per i trasporti gratis. Questa è stata una cosa che ci ha sempre caratterizzato e che ha sempre fatto la differenza anche nei termini delle proposte. E' difficile secondo me oggi riuscire a definire, e lo dico come provocazione, se facciamo veramente parte della famiglia della sinistra come l'abbiamo sempre conosciuta attraverso i testi sacri o se per certi versi abbiamo rappresentato qualcosa di differente in quegli anni. Mi pongo questo problema adesso.

 

- Su quello che dicevi prima, sulla capacità di estendersi nel territorio: era molto legata, oltre alle singole conoscenze personali, al fatto della lotta sui trasporti che era stata fatta nel 73. Ricordo Alberto e altra gente di Saonara: erano quelli che bloccavano le corriere. Anche a Pontelongo e in altri posti era tutta gente che bene o male aveva partecipato a questa lotta sui trasporti. L'altra cosa secondo me importante, che ha fatto sì di essere riusciti ad espandersi e a radicarsi, è stata anche la capacità di inventarsi le singole lotte. Prima Icio parlava di quella sul pane. Siamo riusciti a tirare giù il prezzo del pane di 300 lire, che è una cosa da ridere pensandoci adesso, ma allora ha funzionato, come tante altre lotte che ci si era inventati direttamente sul posto a seconda dei problemi. L'altra cosa dei primi sei mesi del 74 che è stata importante e ci ha dato la capacità di riuscire a fare giornali, è stata quella dei fascisti, le fotografie fatte durante l'attacco, coi cerchietti, coi nomi... Per Padova è stata la prima operazione di controinformazione che ha funzionato a livello di massa, abbiamo fatto 2 o 3 mila giornali quella volta.

 

- Volevo chiarire una cosa. Noi non abbiamo mai fatto un ragionamento di carattere generale sull’ipotesi che lo Stato diventasse fascista, come Lotta Continua. Per noi il riferimento era il fanfascismo, la trasformazione socialdemocratica dello Stato, ecc. In quel periodo il compromesso storico aveva dimostrato che era giusto nel 74 individuare nel PCI l'elemento con cui lo stato si trasformava ... non erano centrali a quel livello i fascisti. Ma sicuramente esisteva un terreno predisposto, c'erano le stragi, c'era un sistema che interveniva pesantemente e c'era un terreno anche di piazza. Padova non era assolutamente una città liberata. Ricordo che il primo aspetto incredibile, il primo impatto rispetto ai primi anni settanta, rispetto a Padova era questo: assemblee di studenti, arrivavano i fascisti, 100 persone andavano via. Tre fascisti riuscivano a fare questo. Le lotte del 68-69 non hanno mai prodotto un cazzo su questo terreno a Padova. Questa è la verità. La presenza dei fascisti era consistente, fino al 71-72, al Bo o al Liviano, eravamo solo io, Picchiura e Mazzacurati. In quel periodo là abbiamo tentato di ribellarci, ma... Alcuni di quelli di PO avevano l’atteggiamento di prenderci per il culo, ma bisogna rendersi conto che lì cresceva una generazione che praticava una conquista delle piazze e una capacità di confrontarsi sul terreno dello scontro.