- Nel 67, parlo da fuori sede, sono arrivato a Padova da un'altra realtà, come anche molti dei compagni che non erano autoctoni. Come formazione politica alcuni erano figli di comunisti. E quindi c'era tutta una cultura a Padova, ma anche penso a livello nazionale, legata agli anni 60, che nel 68-69 si è manifestata al massimo, legata a un discorso anche non violento, anarchico non violento... Tanti compagni hanno avuto una costruzione politica, culturale, mentale diversa da quella che è stata poi il prosieguo. Di fatto questo è stato un elemento che ha condizionato molto il movimento nel suo complesso. Nel senso che appunto c'erano i fascisti che avevano uno strapotere, qui a Padova c'era proprio la culla. In 3 o 4 si permettevano di bloccare assemblee di 200-300 persone, venivano con la spranga o anche senza e c'era il fuggi fuggi generale. Tutti, io compreso, ci si allontanava perché vedevi questi personaggi come Munari e altri specializzati in arti marziali, e pensavi che se andavi là ti spaccavano la testa, uno ci tiene... Non mi ricordo bene l'anno, forse il 70, che c'è stata la comparsa ennesima dei fascisti ad una manifestazione grossa, saranno stati minimo 2 o 3 mila studenti medi, là è stato un po' rotto questo mito. Alcuni compagni che ora non sono qui presenti, compagni più vecchi, gliele hanno date a questi fascisti, li abbiamo inseguiti e questi sono scappati via. Lì c’è stato un momento di presa di coscienza: si poteva anche andare oltre, difendersi. Poi c'è stata questa crisi, ci si è ricomposti in forma sistematica su questo elemento dell'antifascismo a Padova. Eravamo noi, il Manifesto e Potere Operaio, i ragazzi del movimento, i giovani, legati più che da una dimensione ideologica, dal fatto di aggregarci e di andare avanti. Riuscivamo a garantirci delle cose. Lo scontro con i fascisti non era un fatto di tipo estetico, era legato al fatto che questi rompevano i coglioni e ti impedivano di portare avanti processi di aggregazione reali, legati a punti di vista diversi da quelli dei gruppi, che anche secondo me all'inizio erano abbastanza smorzati. I primi anni c'era il Manifesto e poi c'era questa formula di collettivo autonomo, che era come un laboratorio, una grossa esperienza di formazione quadri di alcuni compagni che si sono aggregati in quella fase. Nel senso che quella esperienza ha riproposto una pratica di laboratorio: nella verifica pratica siamo cresciuti, anche se in forma schematica e semplificata. In quegli anni eravamo più giovani e con più entusiasmo, la formula era quella della reale autonomia che c’eravamo data, anche in forma di spaccatura rispetto a istituti sacri, di queste riunioni di Potere Operaio, che erano di una noia mortale perché parlavano un linguaggio abbastanza vecchio rispetto alla nostra formazione. A partire da questa esperienza ci siamo dati un percorso nostro, su cui poi ognuno si è organizzato in forma di laboratorio, quindi anche con la diversità reale da un'area all'altra della provincia e della regione, proprio perché c'era questo momento di incontro e scontro circa le formule di aggregazione su cui andavamo a muoverci. Poi non so se alcune erano vincenti, alcune erano perdenti, ma comunque su certe aree, proprio legandosi alla composizione, legandosi all'internità di classe, a partire molto spesso da quella che era la nostra interpretazione della composizione che ci trovavamo davanti, ci si legava alle dinamiche reali. Dove, a un certo momento, non si faceva il discorso di iscriversi come operai nelle liste di collocamento; anche se qualcuno lo ha fatto perché ognuno aveva il suo carattere, il suo approccio. Quindi sempre da esterni c'era questa capacità, duttile ed attenta alle realtà, di ricomporsi dentro a una dimensione di internità reali, perché altrimenti non avremmo avuto il futuro che poi c'è stato, in qualche zona di più in qualche zona di meno.

 

- Nel 74 c'è anche la lotta sui trasporti che parte dalle scuole medie. Quell'anno è importante perché è la prima volta che riusciamo a essere interni al Marconi con quel gruppo di ex anarchici che dà vita al Comitato di base. Inizia la pratica sui fascisti che poi produce le prime azioni militanti. Il fatto di distruggere la Ezzelino, la libreria di Freda, sul piano simbolico ha significato molto per Padova, perché rompeva un meccanismo mitizzante rispetto ai fascisti. Freda e quel giro non erano cosa da poco, c'erano morti, erano gente impunita. La lotta sui trasporti è stata importante per il giro dei medi perché coinvolge il Marconi, che gli anni precedenti non era riuscito ed entrare E’ stata una lotta consistente che ha prodotto iniziative grosse di fermate degli autobus, e ha dato continuità al rapporto con il territorio della provincia che poi produrrà le conoscenze che si determineranno nei percorsi territoriali.

 

- Bisogna tenere presente anche un'altra cosa: sempre di più dentro il lavoro degli studenti medi, soprattutto a partire dai tecnici, si configura una composizione di studenti che partecipa all'attività dei Comitati di Base e in seguito al Comitato Interistituto, che è un po' diversa da quella classica, che aveva fatto parte del Tito Livio e dei licei scientifici. All'epoca i tecnici, il Belzoni, il Comitato di Base dell'Agrario, il Selvatico, trasformano un po' lo scenario dell'attività all'interno degli istituti medi e delle scuole perché i punti di riferimento tradizionali, dove c'era un po' di attività politica, i comitati, erano legati ai licei scientifici e classici.

 

- C'era una separazione anche di formazione mentale secondo me, tra gli istituti tecnici e i licei. Quelli dei licei proponevano una tematica più ideologica, più teorica, meno pratica. Già su quello ci sono state le prime separazioni e poi le ricomposizioni che ci vedevano come traino, come capacità reale di modificare la realtà.

 

- Non è un caso che noi all'epoca saltiamo completamente la presenza dei gruppi, soprattutto Lotta Continua e Avanguardia Operaia, che ha una base all'interno della città nei licei scientifici e classici. Noi per le nostre storie veniamo fuori da presenze sui tecnici, dunque con una distribuzione sul territorio che è enorme. Il vettore della lotta sui trasporti viene dai tecnici, perché nelle scuole dove andavamo noi venivano studenti che facevano più di 90 Km al giorno, tra andata a ritorno. Queste cose faranno la differenza in seguito. Questo discorso sul blocco delle corriere e sul blocco degli autobus in provincia, per quelle poche volte che anche noi ci siamo andati - ma c'erano compagni autoctoni che lo praticavano direttamente sul luogo - sono state cose veramente importanti, c'era veramente un livello di partecipazione grossa, anche perché toccava anche i loro genitori, che in parte si spostavano sull'asse industriale da Pordenone a Marghera, facevano 90 Km al giorno per andare a lavorare in fabbrica.

 

- Sul discorso Brigate Rosse, lotta armata, Cile e internazionale. L'altra cosa che caratterizza punti di vista di omogeneità nostra in questo percorso è il discorso sulle dinamiche internazionali. Il fatto di dire: il Vietnam è a casa nostra. In quell'epoca, dopo il Cile, c'è un'enfasi, una totalizzazione incredibile rispetto a gruppi di appoggio, rispetto al Cile. Il concetto era: armi a noi. E questo ci è servito anche dal punto di vista dell'analisi sull’aspetto dell'anello più debole del sistema capitalista. Di fronte a un sistema mondo con determinate caratteristiche la dinamica che potevamo proporre sul piano dell'internazionalismo era riuscire a rompere sul piano rivoluzionario, sul punto più alto dello sviluppo capitalistico. Questo si traduceva nel concetto che il Vietnam è a casa nostra. E’ inutile che portiamo armi al MIR quando questi saranno sempre distrutti, se in realtà non riusciamo a sparare anche qua, in un sistema mondo che aveva nel punto più alto la capacità di distruggere il Terzo Mondo. Per cui l'altro aspetto, all'inizio del 74, era questo discorso di diversità rispetto ai gruppi, che dal 73 costruivano comitati su comitati, contro i fascisti senza praticare l'antifascismo militante molte volte, se non in termini soltanto di difesa, in termini di attacco un cazzo. Un piano sull'internazionalismo, armi al MIR e anche qua un cazzo. Era un discorso di grandi comitati senza un’analisi sul fatto che il vero internazionalismo era produrre rotture rivoluzionarie nei punti più alti. In questo sicuramente le prime azioni delle Brigate Rosse producono un dibattito nuovo in Italia. Si sviluppa nel 73-74 tutto un ragionamento sul chi li paga. Anche Dario Fo, che viene a Padova alla Fusinato a fare il concerto, organizzato anche da noi, l'intervento che fa, dopo aver denunciato Andreotti e Fanfani e i democristiani, è: chi li paga? Anche le Brigate Rosse le metteva come provocatori, come pagati dalla CIA. Per noi tutto il discorso delle risoluzioni strategiche in realtà non ci apparteneva come percorso di analisi, ma sicuramente ci interessava come terreno di pratica questa ipotesi di assumere il politico e il militare. In quegli anni, nel 74 inizia un ragionamento: il quadro, anche se riformato e anche se riarticolato in forma territoriale e in forma non più da gruppo, in forma di assemblee autonome o di altro tipo, ha come caratteristica il concetto di politico-militare. Per noi non andava diviso, non era possibile introdurre l’ipotesi di braccio armato, chi teorizzava doveva assumere in proprio la responsabilità di praticare. C'era assonanza rispetto a personaggi come Renato Curcio e via dicendo, non su quello che faceva, ma sul fatto che chi teorizzava saltava il bancone. E su questo discorso inizia anche il ragionamento nostro che d'ora in poi il terreno dell'organizzazione si costruisce col riferimento di complessità politico-militare per cui chi teorizzava, a vari livelli, doveva anche determinarsi. Questa era l'altra discriminante che poi produrrà un ragionamento di costruzione del quadro. Si rompe con tutta una serie di tradizioni, anche dentro i gruppi, tra servizio d'ordine, braccio politico e braccio armato, che in realtà rimane dentro a Lotta Continua e dentro ad altri gruppi porterà loro alla crisi del 75-76, col discorso del dualismo... Cosa che molte volte in forme diverse vedo riprodurre oggi, non solo sulla violenza: c'è chi mena e chi critica quelli che menano e gli altri stanno a guardare come se fosse una cosa delegata. Questa problematica della complessità nel 74 è stato un elemento importante in cui il terreno delle iniziative delle Brigate Rosse, il fatto di colpire i capi, di creare un potere operaio attraverso iniziative non solo di sabotaggio ma anche di colpire i capetti, era un terreno su cui noi eravamo d'accordo. Come anche sul discorso della complessità, della dinamica della complessità del quadro: chi teorizzava poi praticava.