- Come è stato il dibattito sui fatti di via Zabarella?

 

- Un disastro, la sera stessa è uscito un volantino che praticamente diceva che si trattava di una provocazione, che i fascisti si erano ammazzati fra di loro. Un volantino che era stato prodotto dalla Casa dello studente Fusinato e alla sera stessa era uscita la rivendicazione delle BR sulla cosa. Per quello che mi ricordo la cosa era in questi termini: in tutta Padova c'erano una serie di manifesti con 10-15 nomi, tra cui una buona parte dei presenti, che sarebbero stati gli assassini di Girallucci e di Mazzola, e che c'era una specie di adunata nazionale dei fascisti a Padova.

 

- Girallucci l'avevamo menato qualche mese prima con altri fascisti vicino al Torresino. Loro avevano fatto denuncia e alcuni di noi vengono anche fermati e portati in questura dopo la cosa. Per cui i fascisti avevano fatto il manifesto.

 

- Alla fine nel gran disordine mentale e tutto il resto doveva uscire questo volantino, di cui ho ancora una copia a casa, e poi la sera stessa esce la rivendicazione delle BR per cui questo volantino non è mai uscito. Per questo in realtà c'era una grande confusione sulla cosa.

 

- Anche perché la cosa non è stata gestita in maniera subito chiarissima. Alla fine si è saputo dopo che è stato un incidente di percorso. C'è stata questa decisione di rivendicare per la prima volta dei morti, per far capire la differenza tra quando si parla di guerra civile e quando poi succedono le cose sotto casa, come in realtà fosse diverso. Quando succede, anche noi stessi ci si chiede delle cose. Invece poi con l'incidente che è stato rivendicato più tardi, c'è stato un periodo di grande confusione. Inizialmente la non rivendicazione e alcuni discorsi che venivano fatti passare sostenevano questo discorso che si erano ammazzati fra di loro, della provocazione, perché quel tipo di discorso non era venuto fuori in maniera lineare. Come il fatto di Calabresi e di Primavalle con la faccenda di Lollo. La pratica dell'antifascismo, di bruciare le case, produce il fatto che poi la casa brucia troppo e muoiono quelli dentro. Dopodiché ovviamente c’è un problema di gestione.

 

- Si diceva: noi gestiamo solo fino alla prognosi da 90 giorni.

 

- Il problema era che c'era un ragionamento ancora non chiaro tra organizzazione pubblica e prime forme clandestine. Lotta Continua faceva l'articolo su Calabresi e diceva che loro non c'entravano un cazzo. Potere Operaio scriveva sul giornale che bisognava ammazzare i fascisti, teorizzava la guerra civile, c'erano termini come lotta armata, ecc.. Naturalmente quando si producevano c'era sempre il problema di pararsi il culo, perché in quell'anno c'era un discorso di transizione. Era un periodo di passaggio da un problema di dinamica extraparlamentare a quella che è stata la dinamica della lotta armata, nelle sue varie forme. In questo periodo transitorio tutte queste cose avvengono in forma molto contraddittoria, molto incasinata. Si diceva una cosa e poi bisognava smentirla.

 

- Queste prime esperienze di lotta armata ti costringevano a riconfrontarti su un terreno reale, mentre fino a quel momento giocavi sul tema dell'allusione, della pratica di massa, della pratica di strada. Un conto è trovarsi due cadaveri qua a venti metri, in città, che nessuno sapeva che cazzo fare, o i due cadaveri a Roma. Erano proprio spinte, scarti, e la morte di Feltrinelli tanto quanto...

 

- Con Feltrinelli non era possibile dire che uno poteva fare la scelta di mettere la bomba sul traliccio, mentre in realtà...(?) A parte Potere Operaio, gli altri gruppi si sono schierati sul fronte della provocazione o del provocatore. Per cui questa tematica guerrigliera passava sul piano ideologico (infatti tutti leggevano libri sui tupamaros, Che Guevara, come oggi i giovani e il rap e le bombe) ma quando qualcuno passava al lato pratico, quando qualcuno ha cominciato a praticare alcune cose, in quel periodo dal 70 alla fine 74, la realtà assumeva caratteristiche molto contraddittorie, molto incasinate.

 

- Anche il problema di Calabresi, per esempio. Ero di Avanguardia Operaia. Non c'era assolutamente una preparazione per affrontare il dibattito su quella cosa. Indipendentemente dal fatto che si potesse essere d'accordo non sapevamo cosa pensare, se era vero o non era vero. Eravamo chiusi nell'ideologia come dicevi, è verissimo questo, passavamo le giornate facendo scuola quadri, discutendo contro Stalin e dicendo viva la Quarta Internazionale, era una cosa demenziale. Cercavamo di riportare gli stessi schemi sulla pratica degli studenti medi o degli universitari a Padova, cosa che non aveva un senso comune in realtà. Eravamo organizzati nei licei, ma avevamo una struttura ideologica diversa e quindi eravamo completamente impreparati. Infatti nel 76-77 siamo completamente squagliati. Un po' sono entrati nel PDUP, alcuni sono entrati nel PCI.

 

- Prima di venire non mi ricordavo niente del 74, o quasi, adesso tutti questi discorsi mi hanno risvegliato un po' la memoria. Un aneddoto prima di tutto, rispetto alla lotta sui trasporti che è stata importante perché ha legato Padova al territorio provinciale. L'aneddoto riguarda Zanonato. Ero con la Barbara a bloccare le corriere alla Siamic ed è arrivato Zanonato con la cellula non so quale del PCI a romperci le palle, per menarci. Chiuso l'aneddoto. Ritorno un po' al 74 e alla creazione del Collettivo Padova Nord e degli universitari Mi riallaccio un po' al discorso che faceva Giovanni riguardo al retroterra culturale e politico del Padovano. Effettivamente a Padova, Veneto, estrazione cattolica, fino al 72-73 i gruppi antimilitaristi non-violenti erano forti, erano radicati. Perché fino al 72-73? Perché dopo è stata fatta la legge sull'obiezione di coscienza e questi sono spariti, ovviamente spazzati via dall'ondata dell'egemonia della pratica violenta antifascista. Testimonianza mia che, come diceva Giovanni, nel 72 facevo parte, dopo il servizio militare, di questo gruppetto. Dopo un soggiorno in galera proprio in quanto militante antimilitarista ho risolto le contraddizioni fra violenza e non violenza. Nel 73 mi sono iscritto a Psicologia e lì a Psicologia, per riallacciarmi a quello che diceva Marco, c'è stato un periodo di iniziative che erano legate al contesto universitario, occupazioni di facoltà, lotte per i voti politici, prezzi politici, la casa ecc. In realtà in quegli anni dal 74 al 75 fino al 76-77 l'Università è stata un po' sottotono. Invece quello che è stato importante per noi di Psicologia sono state quelle iniziative antifasciste che poi comunque, per quello che riguarda gli studenti che abitavano a Padova, sono state un serbatoio per una militanza, per alcuni militanti. Io, Francesco Lo Piccolo e qualcun altro di cui non ricordo più i nomi, per quanto riguarda l'intervento per esempio a Padova Nord. Da studenti universitari che praticavano l'antifascismo e intervenivano in facoltà, in quanto padovani ci siamo interessati a quello che avveniva intorno, nel territorio. Effettivamente l'università in quel periodo è stata anche un serbatoio, magari minimo. Il 74 vedeva una scarsezza notevole di militanti, eravamo in pochi. Il ruolo di quelli che intervenivano nell'università è stato utile proprio perché attraverso anche lotte sui trasporti ecc. siamo riusciti a creare questo rapporto con il territorio, nella fattispecie il Collettivo Padova Nord.

 

- Non è facile ricordare in maniera particolareggiata un periodo come il 74, cercherò di vedere quali sono i punti che più mi sono rimasti impressi di quel periodo. Se cominciamo dal discorso di come è stata vissuta la spaccatura in Potere Operaio, per me che ero stabilmente nella Bassa padovana, a Monselice, e c'erano però rapporti molto frequenti con i compagni di Padova, posso dire che alcune dette l'altra volta mi trovano abbastanza d'accordo. Erano le stesse sensazioni, non è che c'era un ragionamento molto profondo, soprattutto perché anche chi aveva determinato la spaccatura non era stato in grado di spiegarla. Non si capivano le motivazioni che avevano dato sullo scioglimento di Potere Operaio; non si capiva che cazzo erano queste assemblee autonome. Uno che era studente cosa faceva rispetto alla fabbrica? Cose che possono sembrare anche molto banali, ma che poi sono state aspetti che hanno fondato un discorso. Perché l'autonomia operaia nasce anche da alcune intuizioni teoriche che vengono fuori al congresso di Potere Operaio di Rosolina, ma sono state male espresse, mal spiegate e sicuramente hanno prodotto il fatto che per quanto riguardava noi, il gruppo di compagni giovani, tra Padova e la Bassa Padovana, c'è stata la scelta più ovvia: quella di dire manteniamo il gruppo perché con l'organizzazione era possibile comunque costruire un progetto complessivo, generale, vedevamo questa cosa come un qualcosa che non aveva senso. Questo era un po' il ragionamento molto terra terra. A Este c'era questa struttura, il Comitato Operaio dell'UTITA, che era l'unica realtà significativa a livello operaio in provincia di Padova, composta da un gruppo abbastanza consistente di operai. Attorno a questo organismo nella Bassa Padovana, alcuni come Gianangelo Gennaro assieme a Carmela di Rocco, avevano fatto la scelta di stare con le assemblee autonome, cioè con Toni Negri. Quindi la fase di Este Monselice ha avuto una particolarità perché nonostante la spaccatura che c'è stata avevamo un organismo che si chiamava Comitato Politico Este-Monselice e siamo riusciti a mantenerlo unito. Nel senso che ci sembrava una cosa assurda il fatto di produrre una spaccatura all'interno del Comitato Politico quando comunque gli elementi sostanziali, concreti di lavoro politico non erano cambiati, non è che si era determinata una spaccatura di linea politica rispetto all'intervento che si faceva. Alcuni ragionamenti rimanevano molto astratti, nel concreto non si capiva dove stava la differenza, soprattutto nelle cose che alcuni operai dentro al comitato politico non erano riusciti a capire. Per questo si era mantenuta l’unitarietà del Comitato Politico. Ma c'erano alcuni che cercavano di tirare il Comitato dalla parte delle assemblee autonome, con discorsi che purtroppo poi sono stati anche molto nocivi per noi. Il fatto che Calogero ha tirato fuori che BR e Potere Operaio e Autonomia erano la stessa cosa, che la spaccatura in Potere Operaio era stata una spaccatura fasulla ma in realtà c'era un'unica direzione politica, da una parte c'era l'aspetto politico e dall'altra l'aspetto militare, non è stato completamente frutto della fantasia di Calogero. Qualcuno, evidentemente per accaparrarsi i favori, per tirarsi dietro il Comitato Operaio dell'UTITA, è andato a dire a Romito che c'era un progetto per cui da una parte c'erano le Assemblee Autonome come aspetto politico e dall'altra parte c'erano le BR come braccio armato. Questa era la cosa che poi ci siamo ritrovati all'interno del processo e che ha rappresentato uno dei cardini dell'accusa del “7 aprile”. Queste sono cose che bisognerebbe ricordare all'assessore Gianangelo Gennaro. Ci sono state anche meschinità e cose di bassa lega per cercare di tirarsi dietro il Comitato Operaio. La cosa poi non ha sortito nessun tipo di risultato, perché c'era comunque un intreccio di rapporti, di legami, che andava al di là dell'aspetto politico, di rapporti personali che hanno fatto sì che la struttura rimanesse compatta. Romito è uno di quelli che ha partecipato al convegno di Rosolina e poi è diventato il testimone principale del “7 aprile”. Era anche il leader del Comitato Operaio dell'UTITA. In quell'anno all'UTITA avvengono fatti molto importanti. Durante le lotte per il rinnovo del contratto nel 73 si organizzavano cortei interni molto combattivi che rastrellavano i reparti, entravano negli uffici spaccando le porte, sputavano addosso ai capi, facevano coi pezzi di ferro dei campanacci e li sbattevano nelle orecchie dei dirigenti e dei capi. Intimorivano realmente tutti i crumiri che volevano lavorare, attuavano forme di sabotaggio reale. Sabotaggio non era solo una parola d'ordine, il sabotaggio nelle fabbriche della bassa padovana era una pratica costante. Romito in prima persona (era addetto al taglio del ferro) stabilmente faceva sì che ci fossero due o 3 macchine rotte, interrompendo l'impianto elettrico, in maniera che non se ne accorgessero, per cui dovevano fermare le macchine, non trovavano il guasto, le mandavano a Milano, ecc. E così all'ITALCEMENTI di Monselice dove dentro alle macchine che rompevano il sasso buttavano pezzi di ferro per spaccare le lame. Questa era la pratica, così alle Bambole Franca e in altre fabbriche. Abbiamo anche verificato alcuni ragionamenti di carattere teorico. Mentre a livello di sindacato e di PCI si sosteneva che non si poteva.

Abbiamo verificato che questo discorso sull'operaio massa, cioè su questa omogeneizzazione dei livelli della composizione di classe all'interno delle fabbriche, operaio massa significava che le categorie e le divisioni tra un reparto e l'altro si erano molto appiattite, ogni lavoro era molto simile all'altro. Questo funzionava a Torino, a Milano e anche nella Bassa Padovana: il taylorismo, la catena di montaggio, avevano unificato gli operai da Torino fino a Este e Monselice. Questa è stata la grande scoperta che abbiamo verificato anche là. Per cui le forme di lotta avanzate, come gli scioperi selvaggi all'Alfa Romeo e alla Fiat, con forme articolate di lotta che andavano dal fare mezza ora di sciopero e un quarto d'ora di lavoro (che significava praticamente bloccare la produzione cercando di avere minor danno sul salario e maggior danno per il padrone) erano cose che facevano sia alla Fiat che nelle fabbriche della Bassa Padovana. Anche altre forme come i cortei interni erano state una pratica diffusissima all'interno dell'UTITA o forme di picchettaggio molto duro fuori dalla fabbrica, quando era necessario fare uno sciopero duro. Questo credo che sia stato uno degli elementi più importanti che ha caratterizzato quel periodo e che ha portato al fatto che dopo una di queste lotte e di questi cortei interni, all'UTITA, dove noi avevamo un rapporto con i consigli di fabbrica.... Qui si entra nel discorso dei rapporti con i consigli di fabbrica: avevamo un Comitato Operaio e però una buona parte di operai che facevano parte del Comitato Operaio era dentro anche al Consiglio di Fabbrica, perché erano eletti comunque dagli operai. Le avanguardie di lotta all'interno della fabbrica venivano anche elette nel Consiglio di Fabbrica, anche se chiaramente nel Consiglio trovavi anche i lecchini del sindacato. Però noi avevamo il controllo del Consiglio di Fabbrica attraverso questo organismo che si trovava esternamente alla fabbrica e che discuteva politicamente di cosa bisognava andare a dire, a fare all'interno del Consiglio e all'interno delle assemblee. Siamo riusciti a far passare una cosa fondamentale in quel momento, perché era un periodo in cui il sindacato proponeva solo forme di lotta tipo sciopero-vacanza, cioè per fare 4 ore di sciopero la gente stava a casa e non si creava nessuna forma di combattività. Noi abbiamo proposto prima la forma di lotta più dura all'interno dell'UTITA e si è cominciato a fare lo sciopero articolato, poi si è proposto all'interno - perché si trovava ed era una struttura reale - la riunione generale di tutti i Consigli di Fabbrica delle metalmeccaniche della provincia di Padova. Era un'assemblea con 300-400 persone. Abbiamo fatto una mozione, che abbiamo scritto noi assieme al Comitato Operaio, proposta al Consiglio di Fabbrica, e passata a maggioranza all'interno dell'assemblea generale dei Consigli di Fabbrica delle metalmeccaniche di Padova. Era una proposta del passaggio dallo sciopero-vacanza allo sciopero articolato, fare i 20 minuti di sciopero e mezza ora di lavoro. Questa è stata una cosa estremamente importante e ha fatto capire alla Confindustria padovana che all'UTITA bisognava dare una risposta molto pesante, tant'è vero che, verso giugno o settembre del 73, c'è stata questa mazzata, 13 licenziamenti in tronco, tra cui anche Romito e altri del Comitato Operaio. Questa cosa ha prodotto una risposta anche abbastanza dura inizialmente, continuata con manifestazioni anche a Padova. Era un periodo in cui i licenziamenti erano stati fatti un po' in tutta Italia, la linea che avevano scelto a livello nazionale era quella di buttare fuori tutte le avanguardie reali dalla Fiat. Ricordo un'assemblea a Torino, un'assemblea generale di tutti i Consigli di Fabbrica: c'erano Trentin, i caporioni del sindacato. Hanno fatto sedere Romito insieme ad altre avanguardie della Fiat che erano state licenziate, tutti al tavolo della presidenza. Il discorso era: non si firma il contratto se non rientrano tutti gli operai licenziati. Questa cosa ovviamente poi non è stata rispettata dal sindacato: hanno firmato il contratto e tanti operai sono rimasti fuori. Per Romito la cosa nel primo grado è andata bene, anche agli altri, nel senso che hanno vinto perché eravamo ancora nella fase alta della lotta, la pretura di Este ha dato ragione a Romito e sono stati riammessi nel posto di lavoro. Nel frattempo eravamo riusciti a farli rientrare qualche volta, a fare riunioni dentro alla fabbrica. Questo per dire che all'inizio del 74 c'è invece poi il segno inverso. I proprietari dell'UTITA ricorrono un'altra volta e la seconda sentenza riconferma il licenziamento, vengono ributtati fuori dalla fabbrica. Perciò il 74 comincia con un periodo in cui viene firmato il contratto nazionale, si aprono tante vertenze aziendali e però queste vertenze non riescono a determinare delle forme più consistenti di lotta, il sindacato tende ad abbassare molto il livello dello scontro, anche sul piano nazionale. Solo in alcune situazioni, grazie anche allo sforzo delle avanguardie non legate al sindacato, c'è stata una ripresa degli scioperi.

Eravamo rimasti in Potere Operaio nel 73, poi alla fine del 73 non riuscivamo a capire cos'era ancora questo Potere Operaio, perciò nel gennaio del 74 in 4 o 5 decidiamo di andare a fare un giro per l'Italia per andare a vedere che cazzo stava succedendo. Siamo andati a Roma, a Firenze, a Torino e a Milano. In questo giro abbiamo verificato l'inconsistenza di Potere Operaio e capito che era chiusa quell’esperienza. Bisognava pensare ad altro. Quando siamo andati alla Fiat nel gennaio del 74, dopo un periodo in cui c'era stata la firma del contratto e un calo delle lotte, siamo capitati quando avevano appena liberato Amerio. L'avevamo incontrato alla porta di Mirafiori, aveva tentato di entrare e c'erano tutti gli operai con lo stemma del MIR, sardi, che facevano battute ad Amerio in tono di minaccia, questo era il livello. Con questa massa di impiegati fuori che aspettava di entrare Amerio ha avuto il coraggio di arrivare fino alla porta per entrare. Lo avevano appena liberato le BR, era stata una delle prime azioni che avevano fatto alla Fiat. Quello sciopero era andato molto bene, era la prima volta dopo un periodo di stanca. Erano riprese le lotte anche in grande alla Fiat ma questo segnale non ha avuto grossi risultati. All'UTITA la lotta per il contratto aziendale, ma anche in molte altre fabbriche della provincia, ha avuto come esito che hanno firmato con neanche 10 ore di sciopero, con delle briciole che hanno raccolto, perché il problema era di cercare di recuperare sul terreno dell'egualitarismo. Questo era il problema centrale: tutte le vertenze e le lotte del 72-73-74 avevano come elemento fondamentale il tema dell'egualitarismo, la battaglia contro le categorie. Ho riletto qualche volantino di quel periodo, dove l'intervento nella fabbrica entrava nel merito delle mansioni, del fatto che i passaggi di categoria non potevano essere discrezionali da parte padronale, un arbitrio da parte della direzione, mentre invece la battaglia che avevamo fatto era che i passaggi di categoria dovevano essere legati a un discorso di anzianità e basta, un meccanismo valido per tutti, automatico e non legato ad un ipotesi di premialità per il livello di subalternità che uno esprimeva nella fabbrica. Questi erano elementi fondamentali, perché quello che noi pensavamo realmente era che l'organizzazione del lavoro, così come era stata costruita nell'arco degli anni 60-70, aveva prodotto effettivamente un livellamento delle mansioni. Per cui lotta sugli aumenti uguali per tutti, lotta sul salario, contro le categorie, contro gli incentivi materiali, contro i premi di produzione, battaglia per il punto unico di contingenza (che sarà poi dell'anno successivo, del 75) perché la contingenza veniva pagata come adesso in maniera proporzionale, cioè legata al salario, invece la battaglia era per l'ugualitarismo, dovevano avere salario uguale. In questa lotta sul salario si voleva innescarne una più generale rispetto a un discorso sullo Stato. Questa era la dinamica che volevamo portare avanti. A parte l'UTITA nel 74 c'erano altri livelli di intervento, alle Bambole Franca e in tutto il settore del giocattolo nella Bassa padovana. Poi gli studenti hanno fatto questa grossa lotta sui trasporti, che inizia nel settembre-ottobre, contro i costi della scuola. Si arriva come a Padova anche a Monselice a un accordo con gli autisti della Siamic, per cui, siccome l'autista quando salgono più di 5 persone che stanno in piedi potrebbe far scendere la gente o rifiutarsi di partire, ci siamo messi d'accordo con gli autisti di salire in tanti sulla corriera e a quel punto l'autista la fermava. Con questa tecnica siamo arrivati a fermare a Monselice 37 corriere, una cosa allucinante per un paese piccolo come Monselice. Quell'anno abbiamo sperimentato l'autoriduzione, dopo gli aumenti della Siamic, abbiamo stampato dei tesserini con scritto “rifiutiamo gli aumenti”. Questa lotta è stata una cosa molto simpatica e discussa all'interno delle assemblee degli istituti. Siamo riusciti portarla avanti per una ventina di giorni circa, durante i quali gli studenti pagavano con un conto corrente preso in posta, intestato alla Siamic e con la ricevuta postale si mostrava al bigliettaio che c'era comunque il pagamento. Dopo un po' di giorni sono cominciati ad arrivare i carabinieri, per chiedere la tesserina dell'abbonamento. Rifiuti l'aumento però pratichi immediatamente il terreno che hai scelto.

Questi i vari spezzoni di ricordi legati a questa storia. Per quanto riguarda invece il discorso di come abbiano visto la fine di Potere Operaio, il discorso dei Collettivi: c'è stata una fase transitoria in cui anch'io mi sono trovato a non riuscire bene a capire che cazzo bisognava fare. Questo coincideva con il periodo di massima espansione di Lotta Continua, non nella Bassa Padovana ma nella zona dei Colli, e non ho mai avuto intenzione di entrare in Lotta Continua: ho avuto qualche momento di discussione e di riflessione su cosa si doveva fare. Ricordo una discussione con Ernesto Brasola che mi ha convinto definitivamente a non entrare in Lotta Continua perché sosteneva che la lotta doveva essere solo di massa, la violenza solo di massa. Ero del parere che la violenza poteva anche essere non di massa e mi sono convinto che la strada giusta non era quella. Quindi noi con caratteristiche diverse ci siamo trovati nella formazione del Collettivo Padova Sud che si trovava nella zona di Albignasego... Ho memoria per quanto riguarda Monselice del fatto che nel primo embrione di Collettivo c'ero io e altri sfigati, sottoproletariato, bravissimi compagni, ma io ero quello che aveva più studiato... Però le cose sono andate molto naturalmente e in quel periodo le dinamiche di costruzione delle forme organizzate, che poi diventeranno molto consistenti, si sono molto intrecciate con la vita del paese, nel senso che i rapporti di bar sono stati determinanti rispetto alla costruzione di dinamiche organizzative. La politica era il dato che discutevi prima di tutto al bar giocando a biliardo o a tresette, legami di questo tipo hanno determinato la crescita e lo sviluppo successivo. Chiaramente anche con dibattiti e discussioni politiche, ma non è che c'era molto da discutere su alcune cose.