- Non vorrei dire cose che sono già state dette e in parte ricordate questa sera rispetto all'esperienza della Bassa Padovana. Cercherò di essere un po' più sintetico di Gianni. In qualche maniera le storie personali sono abbastanza importanti. Ero un po' l'alter ego di Gianni a Padova, nel senso che mi sono sempre occupato di intervento nelle fabbriche. Questo perché ho avuto la disgrazia di incappare in un professore di Scienze Politiche che si chiama Ernesto Simonetto, di avergli calato il cappello sino agli occhi e di essere stato accusato di averlo sequestrato. Per cui i compagni (è stato un periodo un po' burrascoso) mi hanno consigliato di abbandonare lintervento all'Università e dedicarmi all'intervento nelle fabbriche, e così è stato. Ho seguito come Potere Operaio l'intervento nelle fabbriche, ho seguito tutte le dinamiche che si sono avute qui a Padova, assieme ad altri compagni. Quando c'è stata la rottura di Potere Operaio non ero al convegno semplicemente perché ero da un'altra parte a lavorare. Ho saputo di quella scissione a posteriori, l'ho vissuta come racconto politico delle diatribe della spaccatura, dei perché e dei per come. Sostanzialmente quello che mi si era fissato nella testa era che il gruppo da una parte privilegiava l'intervento di massa e dall'altra parte privilegiava l'intervento militante e militare. Quella che è stata anche l'accusa e la ricostruzione del processo "7 aprile" fatta da Calogero. Naturalmente questo non era vero, però in alcune cose c'erano degli elementi che potevano portare a questa conclusione. Questo tipo di discorso a me venne fatto subito dopo la spaccatura da uno che mi disse: tu con chi intendi stare, con Negri o con Piperno? Questa persona mi spiegò i perché della spaccatura più o meno nei termini che vi ho accennato, questo compagno che si chiama Scarpantibus cercò di convincermi della giustezza della sua tesi. Naturalmente presi atto della cosa, quando terminai il mio periodo di lavoro rientrai a Padova e andai a discutere con i compagni con cui avevo più familiarità e fiducia del suddetto Scarpantibus.
In quella occasione decisi di rimanere nel gruppone dei padovani che facevano fede alla vecchia sigla di P.O. sempre appunto occupandomi di quello che sarebbe stato l'intervento fabbriche. Sono stato uno di quelli che ha portato in giro per Padova il Romito facendo le carovane di macchine nella zona industriale, agitando il discorso dei licenziamenti politici e via dicendo.
Però, diversamente dalla valutazione che si faceva, giustissima per altro rispetto al riflesso delle vertenze nelle fabbriche, specialmente nelle grosse fabbriche, nella Bassa Padovana, devo dire che il periodo a cavallo fra il 73 e il 74 per le piccole fabbriche della zona industriale di Padova e dintorni è stato un periodo estremamente positivo. Nel senso che il settore metalmeccanico in Italia e anche a Padova è sempre stato un po' in ritardo e quindi anche la radicalità delle lotte l'ha vissuta un po' in ritardo, appunto intorno alle vertenze aziendali che si sono aperte subito dopo il contratto chiuso alla fine del 73 e a ridosso di quello che è stato il punto unico di contingenza. Che è stato dopo, però nella nostra gestione è cominciato un anno prima: dicendo sostanzialmente che tutti avevano diritto di mangiare la stessa bistecca. A mia memoria una rete operaia si costituisce proprio mentre Potere Operaio a Padova non c'è più. Ci siamo noi, un gruppo di studenti o ex studenti che fa riferimento a quella passata esperienza organizzativa e ancora usa quella sigla, perché ne è in qualche modo agganciato. Sono alcuni compagni importanti che conoscevamo, sono responsabili di Potere Opraio, per cui c'è un legame che mantiene viva la sigla, anche se in fondo non sapevamo bene cosa fosse questo P.O., almeno io. Dopodiché diciamo che a cavallo di quel giro di cui Gianni ha accennato prima, cioè di un giro per l'Italia che venne fatto per verificare la consistenza o meno del gruppo e quindi prendere noi nelle mani il nostro destino per decidere che passi fare, si brancolava un po', o almeno io brancolavo nella ricerca di capire meglio la situazione che si stava vivendo. Anche perché era vero che a Porto Marghera c'erano delle riunioni di organizzazioni operaie che stavano marciando, io che avevo fatto sempre intervento all'interno del mondo operaio in qualche modo conoscevo le persone che agivano a Porto Marghera, le avanguardie operaie che al Petrolchimico facevano un discorso contro la nocività e alcuni discorsi molto interessanti che sono anche oggi validi dal punto di vista della critica alla produzione capitalistica. C'era un interesse che andava al di là di quello che era il portato che riuscivamo ad esprimere materialmente. Nella primavera del 74, quando ancora eravamo mezzi Potere Operaio, mezzi Collettivi e mezzi non sapevamo bene cosa, andavamo ad una specie di incontro seminariale che si svolgeva in una casa di un noto pubblicitario padovano, in cui si parlava di terziario, di terziarizzazione. Che valeva a dire che si stava analizzando questa prima crisi della fabbrica fordista, con forme di decentramento, di trasformazione della produzione. Questo a ridosso della crisi petrolifera, tutta una serie di elementi che segnavano delle innovazioni politico-teoriche, che incuriosivano un po' tutti i compagni che facevano riferimento alla nostra esperienza, chi più chi meno.
Faccio riferimento specialmente ad alcuni personaggi che facevano parte della ex cellula di Potere Operaio dell'Università, della Facoltà di Medicina, tipo Norberto, Adolfo, dei soggetti che ancora a quel tempo giravano con noi e che erano interessati a discorsi che andavano al di là della visione prettamente di gruppo. Gianni si è fermato a ridosso di questa situazione, poi ci sono state delle forzature, una logica quasi di gruppo di amici, di banda, con cui si sono fatte alcune cose rispetto ai fascisti, alcune cose rispetto a dei professori, si è cominciato ad usare le mani e non solo le mani, come tentativo di capire come andare ad organizzarsi, a modificare quella specie di passività a cui eravamo stati indotti, una passività che era coperta da un gran rumore di parole, come insurrezione, armi agli operai, che avevano circondato un po' lalone mitico del gruppo Potere Operaio. Dal basso, quasi con unorganizzazione amicale o comunque di conoscenza stretta reciproca, di base, cui accennava Gianni, si sono cominciate a fare alcune cose.
Me ne viene in mente una. Nei primi mesi del 74 la prima cosa che mi ricordo è un'operazione contro un professore di un Istituto per Geometri cittadino, che è fallita clamorosamente, nel senso che l'abbiamo organizzata in maniera ipermeticolosa, creando alibi e controalibi, mosse strategiche ecc., e in 4 o 5, usando una macchina di un amico, andammo verso l'abitazione di questo professore, verificammo che non era possibile raggiungerla e tornando indietro scoprimmo che c'era la Polizia che controllava quest'auto che avevamo usato. Ci sbarazzammo delle bottiglie che avevamo addosso e quasi quasi una che avevamo si stava accendendo. Quella mi ricordo è stata una delle prime cose che ho fatto come azione da commando, mentre le cose di piazza in quel periodo erano più comuni, più facili da incappare o da verificare. Non vorrei aver fissato l'attenzione solo su questa cosa da bombarolo, ma questo è stata uno dei passaggi, almeno per me, nei quali ho scelto di misurarmi individualmente, assieme ad un gruppo di amici e non in piazza assieme ad altre centinaia di persone. Siamo andati in 4 o 5 a fare una cosa ed è andata male.
- Molto in breve, rispetto alla fine di Potere Operaio e a come nasce il 74, rispetto alle testimonianze personali, ho sempre avuto l'opportunità di vedere la storia padovana abbastanza dall'esterno per collocazione personale, mentre la storia di Potere Operaio l'avevo vissuta dall'interno. La mia impressione, che però era comprovata da quello che si stava vivendo in quegli anni e negli anni precedenti, era che Potere Operaio fosse un grosso gruppo con una grossa capacità di previsione e di analisi. Ero a Rovigo in quegli anni, dopo il 74 sono stato a Pordenone. L'impressione che si aveva allora e che fu confermata dopo rispetto alla vicenda dello sgretolamento del gruppo è che Potere Operaio aveva una grossa capacità di produzione di discorsi, un buon livello di quadro dirigente, ma mancava completamente di quadro intermedio. C'erano invece alcune situazioni di massa che rispetto a questo discorso stavano già abbastanza sperimentando altre cose. Devo dire che anch'io, che avevo seguito tutta la discussione, il convegno di Rosolina, ecc., ho avuto non poca difficoltà a capire cosa voleva dire rompere Potere Operaio in quel momento. Il discorso più convincente fu quello di Linea di Condotta, la rivista teorica che raccoglieva soprattutto il punto di vista dei romani e di Franco Piperno. La cosa era un po' delicata nel Veneto, nel senso che anche come impostazione ideologica l'uscita di Marghera (perché poi l'Assemblea Autonoma nel Veneto fu essenzialmente Marghera) l'impressione che dava era che fosse l'uscita della parte operaia. Il dibattito era: restano gli studenti da una parte, continuano a fare andare avanti un gruppo, Potere Operaio nel primo periodo, che poi non ci sarà più perché nazionalmente si sfascia, gli operai invece, che sono Porto Marghera, vanno con le Assemblee Autonome. Dopo Rosolina fui personalmente contattato da un compagno che purtroppo è morto, un compagno di Este, il quale mi fece esattamente questo ragionamento, invitandomi ad andare ad una assemblea a Porto Marghera, un'assemblea realmente di composizione operaia. Fui contattato soprattutto perché questo compagno cercò di spiegarmi che comunque si trattava di intrecciarsi, perché noi a Rovigo non è che avessimo situazioni operaie. L'anomalia poteva essere questa: i padovani studenti, Marghera erano gli operai, era meglio andare con gli operai che sono sostanzialmente più seri e affidabili. A Rovigo però eravamo grosso modo degli studenti, allora ci fu offerta una possibilità di fare un lavoro di supporto, di lavorare all'esterno e costruire percorsi organizzativi paralleli e militanti. Il problema era questo, ed è importante anche cercare di capire questa cosa. Rimasi nell'esperienza di Potere Operaio essenzialmente per due motivi: primo perché mi sembrò di rimanere con l'organizzazione, cioè con un progetto che comunque manteneva il problema dell'organizzazione; secondo perché non mi convinse l'aspetto di questa contrapposizione in cui non si capiva bene la collocazione che avrebbero avuto quelli che erano gli esterni. Anche perché il tentativo di convincerci del fatto che c'erano a disposizione delle cose, degli strumenti, in realtà funzionò stante il fatto che in quel tempo stranamente in qualsiasi situazione e anche a Rovigo avevamo avuto la possibilità di avere strumentazione "militare". Troiate, che si potevano recuperare fortuitamente. In realtà si stavano predeterminando delle condizioni, questo poi diverrà utile per capire i discorsi che verranno fatti successivamente su chi arma chi, ecc. C'era una relativa facilità di dotarsi di strumenti che sembravano decisivi rispetto alle sorti di collocarsi da una parte o dall'altra e questa cosa mi ha fatto rimanere con Potere Operaio. Devo dire che però l'uscita della parte operaia di Marghera fu per me un problema non di poco conto; nel senso che li conoscevo personalmente, avevano avuto peso sia rispetto alle riflessioni teoriche sia alle pratiche politiche che avevano messo in piedi. Insomma fu una cosa abbastanza traumatica la fine dell'esperienza di Potere Opraio che era comunque una dimensione nazionale, pur con i limiti che si dicevano prima, con questa divaricazione appunto tra l'Assemblea Autonoma operaia da un lato e gli studenti padovani dall'altro.
- Volevo aggiungere una cosa, ribadendo questo discorso che ha fatto Marzio adesso e che condivido appieno. Nella vita concreta si intrecciavano le cose più incredibili. Abitavo con un compagno che aveva fatto una scelta diversa dalla mia, aveva scelto di andare con il gruppo che faceva riferimento alle Assemblee Autonome. Giusto nel periodo in cui come compagni di Padova ci spaccavamo in quattro per rilanciare il gruppo, la sigla ecc., lui se ne andava a Torino a fare intervento alla FIAT, ci vedevamo i fine settimana e scambiavamo reciproche esperienze dal punto di vista del dibattito e delle cose che si facevano e non si facevano. Nella stessa casa e nella stessa abitazione convivevano due compagni che fino all'estate erano stati assieme nello stesso gruppo e facevano le stesse cose, poi uno si è ritrovato a prendere il treno e andare fino a Torino a fare intervento alla FIAT e l'altro a riprendere in mano l'iniziativa nella zona industriale di Padova. Tutto si intrecciava e tutto era fluido, pur nella determinazione dei compagni che poi facevano e operavano concretamente nella politica di ogni giorno. Però l'intreccio, il dibattito e la discussione, gli scazzi e quindi anche l'arricchimento generale erano continui.
- Una cosa di cui ci hanno sempre accusato, il PCI e tutti quanti, è di essere gruppetti minoritari. Credo invece che una delle cose che va assolutamente chiarita (se ce ne fosse bisogno) è che effettivamente non siamo mai stati minoritari. Le battaglie che abbiamo condotto dal 69-70 in poi, in questi anni ma anche dopo, sono state battaglie di maggioranza, a volte anche numerica oltre che politica. Sia all'interno delle scuole che delle fabbriche dove siamo riusciti ad intervenire si riusciva ad organizzare le lotte con la maggioranza degli operai. All'UTITA distribuivano volantini con scritto "chi li paga?". Erano i volantini che faceva il PCI all'UTITA e ricordo situazioni molto simpatiche di operai dell'UTITA che prendevano i volantini e li stracciavano in faccia a quelli del PCI nonostante tutte le dietrologie incredibili sul fatto che eravamo provocatori pagati dai padroni, che dividevamo il sindacato, ecc. La realtà era che quel tipo di contenuti e di obiettivi che noi portavamo avanti erano obiettivi sui quali si riconosceva la maggioranza degli operai. Sicuramente dell'UTITA ma anche alle bambole Franca, all'ITALCEMENTI ecc.
- C'era una giustificazione politica, credo fosse giunta a maturazione l'esperienza un po' di tutti i gruppi, era la fine comunque dei gruppi. Potere Operaio aveva anch'esso una connotazione come gruppo, come esperienza legata ad una struttura soggettiva.
A proposito dei Consigli di Fabbrica. La componente negriana definiva non il Consiglio di Fabbrica come istituto del Potere Operaio, ma l'Assemblea Autonoma. Il tutto si giocò molto probabilmente anche (questo credo che si possa dire ma si poteva dire anche allora, perché alcuni usarono questo tipo di ragionamento) dentro a una invenzione di due livelli: uno di intervento politico pubblico, l'Assemblea Autonoma, e una specie di braccio armato che poteva essere sia un'avvicinamento alle prime esperienze delle Brigate Rosse, sia il fatto che l'Assemblea Autonoma si dotava autonomamente di un percorso organizzativo parallelo. Poteva essere comunque la necessità di sintetizzare gli embrioni delle esperienze combattenti che stavano nascendo in quel periodo. Questi infatti sono gli anni in cui nascono a livello nazionale le prime forme di organizzazioni combattenti. Questa è stata un po' la motivazione, non andiamo a cercarne altre tra diatribe interpersonali del gruppo dirigente...