- Tutti i gruppi nascono dopo il 68. Non nascono come gruppo già stabilito, nascono come prime esperienze di gruppi di compagni che escono dalla tradizione del sindacato e del partito comunista. Questo riguarda gli ML, il PCI-ML, Avanguardia Operaia, Lotta Continua e Potere Operaio. Nel 68-69 si formano queste esperienze di persone che escono dalla tradizione del Partito Comunista e danno vita a queste formazioni, gruppi di compagni. Diciamo la verità: tutti noi eravamo comunisti, avevamo il lenin-pensiero in testa, eravamo maoisti come tradizione legata al concetto di rivoluzione culturale e alcuni di noi erano legati alla tradizione operaista, rispetto ad alcune categorie, circa l'operaio massa e la composizione di classe. Ma fondamentalmente alcune categorie erano unitarie per tutti. Non c'era nessuno che era contro il partito o contro l'organizzazione, né Negri, né Piperno, né Avanguardia Operaia, né Lotta Continua. Tutto avevano alcuni principi che venivano fuori dalla tradizione del Movimento comunista internazionale. Poi dentro a questa tradizione ci sono varie ipotesi differenti. Solo gli anarchici sono storicamente anti-partito, punto a capo. Chi si definiva comunista era per il partito, per l'organizzazione. Tutto quello che hanno raccontato dopo è stata una falsità e una stronzata perché uno che era contro il partito era anarchico. La cosa era molto semplice: c'era il filone anarchico che era un filone antipartito, tutta la tradizione che il movimento anarchico portava (vedete anche l'ultimo film di Ken Loach) poi c'erano tutte le varianti comuniste, i trozskistsi, gli stalinisti. In Italia c'erano quelli che danno vita al filone operaista, ma sono tutti quanti dentro alla tradizione comunista. Alcuni escono dal Partito Socialista, ma dentro l'orizzonte ad esempio della rivoluzione russa, la discriminante era il "Che fare?" di Lenin, era il Pensiero della Rivoluzione Permanente di Mao Tze Tung, erano alcuni concetti molto precisi. In realtà anche i gruppi che nascono rompendo col Partito Comunista lo fanno non sulla forma del partito ma sul problema del fare la rivoluzione. Il PCI aveva scelto dal dopoguerra di fare le riforme e di non fare la rivoluzione perché dentro la spartizione di Yalta c'era il discorso che in Italia non si poteva fare la rivoluzione. Togliatti sceglie la via democratica al socialismo e tutta la tradizione, dagli ML ai gruppi, ha come punto di riferimento unitario il convincimento che la rivoluzione si poteva fare, si doveva fare. Si fa con cosa? Qua si apre la discussione. Perché gli ML dicono che bisogna fare la rivoluzione e punto. Alcuni altri dicono che bisogna fare la rivoluzione organizzando le masse, per quello che si manifesta in quel periodo storico preciso. Non si possono organizzare i contadini, come dicevano gli ML, perché l'Italia era un paese industriale. Molti ML, con lo schema classico che gli aveva insegnato Mao, dicevano che siccome in Cina la rivoluzione l'avevano fatta i contadini, in piazza dicevano che i contadini dovevano fare la rivoluzione. Vagli a spiegare che in Italia i contadini non hanno lo stesso ruolo che in Cina. E questi un cazzo, perché c'era il Vangelo, c'era un approccio dogmatico rispetto ai testi sacri.

Altri invece cominciavano a ragionare su quella che era la composizione di classe in quel periodo, di qui il discorso operaio. Dentro a questa ipotesi operaia c'era in particolare il filone operaista che dava sostanza al concetto dell'operaio massa: un discorso fondamentale, centrale, che dava fisionomia ad una figura sociale e politica nuova per cui non si può parlare solo di operaio, bisogna guardare all'operaio in rapporto alla catena di montaggio, l'operaio in rapporto alla società, l'operaio in rapporto allo Stato. Le cose cambiano: l'operaio nel 17 in Russia era l'operaio professionale, aveva un rapporto con la fabbrica, un rapporto con la catena, con il cosiddetto capitale morto, le macchine, agiva dentro un tessuto sociale di un certo tipo, aveva un rapporto con lo Stato, lì c'era lo zar e qui c'era invece una democrazia con alcune caratteristiche... L'operaismo che cosa era sostanzialmente? La lettura intelligente di quello che in America stava succedendo 10 anni prima, la capacità di andare a leggere dove lo sviluppo capitalistico era più avanzato. Invece che guardare solo alla Cina alcuni marxisti italiani dicevano andiamo a vedere cosa succede in America. Parlare di America per la tradizione comunista era come parlare del diavolo, si diceva che qualsiasi cosa che veniva dall'America era stregato, perciò non si andava a vedere quali erano i comportamenti della classe operaia americana, non si distingueva quello che era lo stato americano dalla classe operaia americana. Che al di là di tutto esprimeva, e pochi lo sapevano, una conflittualità molto alta, a livello forse più altro di altre classi operaie del mondo occidentale di quel periodo. Quindi c'è stata un'analisi, uno studio di quello che sviluppava l'operaio americano sul salario, sul lavoro, ecc. Poi si è passati dall'America come punto più avanzato alle grandi concentrazioni industriali in Europa: Germania, Torino, Milano. E si scopre che questo operaio è in realtà una persona in carne ed ossa, ha alcuni comportamenti, non è un comunista. Questa è la lettura fondamentale che dà l'operaismo, che fa cambiare dall'essere un comunista idiota all'essere un comunista che comincia a pensare. L'operaio sono tante persone che si comportano in una certa maniera, hanno alcuni bisogni, alcuni comportamenti che si devono analizzare. Allora si scopre che non è vero, come diceva il Partito Comunista, che l'operaio ama tanto il lavoro. L'operaio professionale lo amava, perché in realtà aveva un rapporto con il mezzo di tipo artigianale. Amava il lavoro perché si appropriava del proprio lavoro. L’operaio della catena di montaggio, che doveva avvitare e svitare bulloni, come cazzo poteva amare il suo lavoro? Chiaramente non poteva che odiare il lavoro. E qui che nasce il concetto del rifiuto del lavoro, si scopre che l'operaio della catena di montaggio, cosiddetta fordista, odia il lavoro. Questa è una discriminante fondamentale in quegli anni: fa passare alcuni discorsi, fa riflettere alcuni di noi. In questo sono fondamentali alcuni professori, il fatto di avere incontrato a Padova alcune persone, perché a Padova c'è l'istituto di Scienze Politiche che produce alcune persone e dice alcune cose. Questa è una cosa fondamentale. Dopodiché si formano i gruppi. Potere Operaio nasce da un intervento alla FIAT, in cui c'erano insieme il futuro Lotta Continua e il futuro Potere Operaio. Dopodiché, come sempre, ognuno sceglie le proprie esperienze. Tra Potere Operaio e Lotta Continua non c'era una grande differenza, non c'era una differenza pratica enorme, alcuni discorsi sull'autoriduzione in realtà funzionavano. Alcuni discorsi di carattere generale, di carattere teorico poi erano diversi, come diceva Gianni. Lotta Continua teorizzava che bisognava fare la lotta di massa e poi in realtà è stato condannato per l'omicidio Calabresi, il primo omicidio in Italia. Ma nel frattempo scrivevano altre cose, era un discorso di doppio gioco, un classico esempio della tradizione comunista internazionale, fare di nascosto e non rivendicare mai. E quando si veniva scoperti si diceva che erano i fascisti, questo era quello che la tradizione comunista insegnava: il fine giustifica i mezzi. Nella tradizione comunista se ne facevano di tutti i colori, ci si è ammazzati tra amici, tra compagni, tra trotzkisti, tra anarchici. Ma non si diceva mai, era sempre il nemico ad aver fatto. La verità è sempre rivoluzionaria, cioè di parte, cioè di quello che diceva il partito. Ma mentre Potere Operaio diceva che Feltrinelli era un rivoluzionario, Lotta Continua diceva che era un matto, oppure che era una provocazione, che erano stati i servizi segreti. Non si poteva ammettere che uno decide di andare a mettere una bomba contro la NATO. Tutti pensavano che era così, ma era impossibile per la tradizione comunista dire queste cose. Questo era il gap culturale che c'era in quegli anni. In quegli anni però alcuni fanno il salto del bancone. Non solo di Potere Operaio, pochissimi di Potere Operaio, perché in Potere Operaio molti parlavano e scrivevano, pochissimi agivano, era il massimo dei tromboni. Poi c'è la tradizione mista tra emmellismo e altri che dice: basta con l'emmellismo, che parla di rivoluzione e fa il salto del bancone. Nascono le esperienze combattenti, BR, NAP, e varie altre. Si inizia in quel periodo a colpire, a fare azioni armate e a teorizzare che il potere si abbatte e non si cambia non a parole ma coi fatti. Tutti dicevano bisogna fare la rivoluzione, ma la rivoluzione che cos'è? Un atto di forza. Si parlava di guerre civili, queste parole erano all'ordine del giorno. Oggi sembra incredibile: rivoluzione, dittatura del proletariato, erano concetti cardine della formazione comunista in cui anche noi eravamo inseriti. Adesso fanno ridere dopo quello che è successo nel mondo, però allora si pensava di poter fare la rivoluzione, in cui una parte veniva schiacciata. Una maggioranza politica, o numerica, questo discorso della maggioranza politica o numerica ognuno se la gestiva come voleva. Quando non era numerica era politica, si dimostrava che tra 3000 suore e 3000 operai, rispetto alla valenza sociale, chi è che conta di più? 3000 operai. Allora si dimostra che anche se numericamente sono uguali chi ha potere di decidere è una parte, tutto questo ragionamento sulla maggioranza è sempre stato problematico nella tradizione di sinistra. Si è visto poi come è andata a finire, alcuni enfatizzavano le masse, ma il fatto che le masse fossero consapevoli del processo rivoluzionario non era vero...

C'è tutto un ragionamento sulla scuola di massa, sullo studente massa, ma fondamentalmente è sempre rapportato a questo discorso dell'operaio massa. Dentro le fabbriche in quegli anni inizia un discorso di organizzazione operaia direttamente da parte operaia. Come sempre però gli operai sono anche un po' stronzi. Cosa succede? Enfatizzare il dato come alcuni compagni hanno fatto, nel senso che è vero che a Porto Marghera gruppi operai hanno detto: ci siamo rotti i coglioni di essere diretti da gruppi esterni, vogliamo essere noi l'organizzazione. Come sempre però l'operaio, come anche l'imprenditore bossiano oggi, è egoista, non è di per sé altruista. Gli diamo una valenza per cui il suo egoismo diventa rivoluzionario, porta avanti un egoismo di parte che però cambia il mondo. In realtà questo discorso era esclusivo nel senso che siamo noi l'elemento, noi decidiamo, noi facciamo, le nuove forme di Assemblea Autonoma sono le nuove forme. Però gli operai non fanno tutte le cose direttamente sempre, alcuni sì, ma non tutti. C'è il ragionamento: utilizziamo alcuni per il nostro progetto. Qui c'era il discorso: chi utilizza chi?

Allora c'erano gruppi di operai che anche dentro Potere Operaio dicono basta con il gruppo, siamo noi il futuro progetto. Per cui gli esterni devono rifarsi a noi, alle nostre forme: i Comitati Operai, l'Assemblea Autonoma di Porto Marghera, l'Assemblea dell'Alfa Romeo, ecc. Con una dinamica esclusiva, non complessiva, questo è poi il problema. Per questo non avevamo capito un cazzo, perché gli operai, in una logica chiusa, parlano per sé e utilizzano praticamente gli altri. Gli altri dicono: noi non siamo operai, che cazzo dobbiamo fare? Devi fare volantinaggio esterno. Puoi solo fare manovalanza. Per cui tutta l'enfasi di quell'anno, di gente che va a Torino, in realtà sono finiti tutti male perché in questo discorso di manovalanza uno parte caricato e poi si trova a non contare un cazzo, ad essere trattato come una merda. Ti utilizzavano e però se uno aveva problemi lo mandavano a casa. La gente non mangiava, stava 5 mattine a volantinare, picchetti, si faceva un culo così, però l'organizzazione era l'Assemblea Autonoma Operaia. Ma il discorso che noi facevamo era che l'organizzazione deve essere complessiva, che al di là del discorso strategico la complessità sta nel fatto che tutti siamo all'interno di questa organizzazione. L'organizzazione contiene studenti, operai, è meglio un'organizzazione che si dice complessiva e non un'organizzazione che si dice operaia anche se autonoma. In questo tipo di dinamica, il dibattito sulle avanguardie operaie avveniva con questo criterio. Con le prime forme di lotta armata il gruppo si spacca perché tutti cominciano a pensare chi a fare manovalanza con gli operai, chi a fare i gruppi armati, chi vuole stare a casa e continuare a fare un cazzo. Il gruppo che era nato da un ciclo di lotte entra in crisi perché di fronte a queste cose, che ho ridotto all'osso per far capire come si articolavano i terreni di discussione, in realtà poi ha prodotto questo tipo di rottura. Per questo dico che la maggioranza di noi non ha capito realmente perché si era spaccato, se non in una dinamica confusa di dirigenti, tra la linea Piperno e la linea Negri. Piperno a Roma e quell'altro a Milano e nel Veneto si stavano sul cazzo. Uno diceva che bisogna andare con le Assemblee Autonome, il gruppo è finito: l'altro diceva che il gruppo può essere ancora il motore di un progetto complessivo. Al di là di queste banalità la maggioranza è stata tenuta all'oscuro. La maggioranza dei militanti non aveva capito un cazzo degli elementi generali, leggi questo, Marx ecc., tante discussioni, ma sul piano decisionale erano cose settoriali, i gruppi dirigenti erano gruppi dirigenti veri, chiusi, che non facevano molte volte un cazzo sul piano pratico. Erano gli attivi, di cui un terzo faceva politica, due terzi faceva salotto: questa è la storia dei gruppi. Interessantissima perché poi si socializzava, si andava ad ombre, però concretamente la struttura era questa. Dentro a questo delirio entra per primo in crisi Potere Operaio perché comunque aveva una sensibilità politica maggiore degli altri gruppi tipo Avanguardia Operaia e Lotta Continua che dopo due anni sono finiti anche peggio: una rissa furibonda fra militaristi e donne, una rissa indegna. Poi si comincia a parlare del fatto che il personale è politico, diventa tipo una parrocchia, "io soffro", lettere al direttore. Cose che vengono spacciate come grandi novità erano invece miserie umane. Questo in linea generale. Abbiamo spiegato perché alcuni di noi a Padova sono rimasti in Potere Operaio non per un discorso chiarissimo, ma per il fatto che di fronte a un niente decidiamo di mantenere una sigla che è una forma di identità. Come sempre quando c'è un passaggio nuovo è più difficile. Soprattutto tra i compagni che hanno poche certezze si dice: piuttosto che buttare via quel poco nel nuovo è meglio mantenersi quello che c'è. Nota che noi ci abbiamo messo 4 mesi per capire che era meglio interrompere quell'esperienza, per vedere che effettivamente il gruppo non c'era più.

Bisognerebbe anche discutere rispetto alle sensazioni e le prospettive di chi girava in quel periodo, entrare un po' più nel merito. Quest'opzione di Lotta Continua era un'opzione che girava, ci sono state riunioni con Boato, con Cerrone, che era leader della Fusinato. In quell'anno ognuno faceva riunioni con tutti, senza dire anche all'altro che riunioni faceva. Nel senso che l'entità del gruppo si era rotta e ognuno faceva il cazzo che voleva. Tutti facevano riunioni e discussioni con tutti in base anche alla propria disposizione in quel momento. Alcuni avevano una disposizione spiccatamente offensiva, erano giovani e dicevano: mi sono rotto il cazzo di tanti discorsi e qua se è vero che bisogna tentare tentiamo, abbiamo 20 anni, se non tiriamo qualche bottiglia e non spariamo adesso quando lo facciamo? Altri avevano più disposizione per le masse, altri per la teoria. Ognuno ha seguito le proprie attitudini, però in quel periodo credo che per Padova sia stato importante il discorso del passaggio in collettivi territoriali. Questo tipo di realismo e di unità comunque di base, da parte di compagni anche diversi di carattere, di indole, come modo di pensare, il fatto di tentare un discorso comune, che significava nel 74 costruire ognuno un proprio collettivo territoriale e di lavoro. Abbiamo deciso di mantenere un'unità almeno di circolazione di idee. In quel periodo viene fuori anche un giornale dei Collettivi, "Fuori dalle linee", una cosa del genere, che però non aveva un'omogeneità di fondo, aveva un'omogeneità di intervento in cui viaggiavano opzioni diverse. Che fondamentalmente erano tre: Lotta Continua, forme combattenti e tentativo di creare una forma nuova che partendo da una critica alla forma precedente mantenesse un senso di complessità. Si diceva: emotivamente sono dalla parte delle Brigate Rosse più che dalla parte dei gruppi e chi parla solo, perché comunque questi saltano il bancone e hanno il coraggio di passare all'azione. Però non mi convince il discorso che fanno, nel senso che dicono che bastava organizzare l'esercito, perché le masse sono già organizzate. Bisognava garantire il volantinaggio, costruire i comitati operai, i comitati di studenti, le radio, costruire un altro movimento, non il movimento ufficiale del Partito Comunista, non il movimento operaio classico, come facevano le BR che dicevano: il movimento c'è già, è il sindacato, il PCI, bisogna infiltrarsi dentro a questo, fare la lotta armata, e spingere le avanguardie del Partito Comunista ad essere per un Partito Comunista Rivoluzionario. Noi dicevamo invece che bisognava costruire l'altro movimento perché venivamo fuori da una tradizione di analisi operaista, con categorie diverse e c'era un approccio metodologico diverso. Più che di fare l'assalto al Palazzo di Inverno, di fare una rivoluzione un po' più complessa, per paesi avanzati, era il concetto di contropotere. Abbiamo detto: non è possibile fare come in Cina o in Russia, dove c'erano 90% di poveri. Nei paesi occidentali in cui c'è il consumo bisogna creare un discorso in cui l'illegalità e la conflittualità costruisca delle basi, un contropotere deve crescere e solo se cresce potrà anche dar vita a un dualismo di potere e quindi sfociare in una rivoluzione. Un concetto un po' più moderno della rivoluzione, che non era scritto nei libri classici. Un concetto che diceva: bisogna coniugare lotta armata e contropotere. Questa era la terza opzione che ho scelto io, perché non credevo in Lotta Continua, ero molto attratto dalle Brigate Rosse, non mi convinceva quella semplificazione sul terreno del progetto. Per cui, cogliendo questo input che le esperienze combattenti davano, pensavo che dovevamo muoverci su quel terreno, dovevamo fare anche noi le cose. Perché non possiamo criticare, essere tromboni, e non fare. Organizzare le azioni di lotta armata dentro a un progetto che non è quello di essere infiltrati o interni al Partito Comunista o al sindacato, ma interni a un movimento, che poi si definirà Movimento Comunista Organizzato, un movimento comunista alternativo, diverso, che rompeva con la tradizione del partito comunista e che in realtà aveva le proprie sedi, le proprie radio, la propria comunicazione. Aveva una struttura sociale alternativa in cui la lotta armata si inseriva. Questa è la terza opzione che nasce e si sviluppa in maniera molto empirica, molto da bar, non come una cosa precisissima.

 

- Un elemento forte che continuava all'interno della tradizione di Potere Operaio era il discorso dell'insurrezione operaia elemento di rottura. Tanto è vero che uno degli slogan più urlati era "Detroit, Torino, Danzica Stettino, lotta di classe vincerà", per capire i nostri punti di riferimento.

Volevo dire che come esperienza di nascenti Collettivi abbandoniamo il discorso insurrezionale per costruire un’ipotesi di contropotere e quindi di organizzazione sia all'interno della città che all'interno dei quartieri e delle scuole, che pratichi direttamente quella che era l'espressione e la volontà dei compagni che operano nella situazione concreta. Per cui un ribaltamento della concezione politica. Invece che un accumulo di forze per poi giocare tutto in una fase insurrezionale si faceva un discorso di costruzione di tanti piccoli episodi che creassero un'organizzazione capillare in grado di svuotare il potere che veniva rappresentato in una determinata zona della città, in una determinata scuola, università o fabbrica. Questa secondo me era anche una delle idee-forza che ci ha guidato nel costruire il nostro percorso, sia dal punto di vista politico che dal punto di vista militare. L'altra cosa che tra di noi discutevamo e che abbiamo cercato di praticare è stata quella di tenere sempre presente nella medesima persona sia la gestione del politico e del militare. Ogni compagno, ogni avanguardia, ogni compagno che lavorava con noi doveva essere disponibile a dare il volantino e a fare dell'antifascismo militante. Questo come percorso iniziale, poi ci sono stati i vari passaggi che hanno costruito i Collettivi nel corso del tempo. Però da subito il discrimino è stato l'antifascismo militante, da praticare immediatamente. A Padova è stata una cosa fondamentale, importantissima, perché il movimento degli studenti e dell'università nel corso dei primissimi anni settanta, pur essendo enorme, di fronte ai fascisti ha sempre calato le braghe. Nel senso che ha avuto difficoltà ad impattare, nel senso che i fascisti controllavano alcune situazioni: Giurisprudenza,, il centro cittadino, per cui si cercava di evitare di passare per certo i luoghi, ecc. Con la costruzione dei Collettivi si decise di mettersi in gioco su queste cose, di sfondare questa situazione che si era ingenerata all'interno della città. E in questo ci siamo misurati, ci siamo costruiti, sia come studenti medi, sia come università, sia come compagni che agivano nei quartieri. Questo secondo me è stato uno degli elementi centrali nella questione pratica e politica del quotidiano. Al di là delle grosse discriminanti di fondo che sono state delineate dagli altri compagni questi sono stati i passaggi decisivi, molto semplici e molto materiali.

 

- Quello che mi sembra si va delineando in questo passaggio del 74, anche per fare degli esempi concreti, è che noi nel 73-74 ci rendiamo conto che esiste una crisi. Qualcuno ha avuto questa intuizione certamente molto felice: i gruppi stavano andando verso la loro fine, noi abbiamo fatto quella scelta però il gruppo poi finisce molto poco dopo. Nei gruppi c'era il servizio d'ordine: alcuni compagni, una parte solo, erano il servizio d'ordine che andava a fare addestramenti, con bottiglie e robe varie, ecc. Pratica e iniziative concrete quasi niente, però c'era l'addestramento all'insurrezione armata, alla guerra civile. La cosa che invece col passaggio del 74 si va delineando è che non ci doveva più essere separazione tra chi faceva il politico e chi faceva il politico e il militare o solo il militare. Stava maturando anche tra i compagni l'idea che fare politica era fare tutto complessivamente, dai volantini ad altre cose. Questo era il senso di questo passaggio che ha determinato l'esperienza assolutamente originale dei Collettivi. Finito Potere Operaio c'era una debolezza legata al livello dello scontro di classe e il problema era di riuscire comunque a radicarsi nei territori, avere forme di radicamento all'interno di quella composizione di classe, perché solo dal radicamento nel territorio poteva darsi un’iniziativa che riuscisse ad arricchire anche altre esperienze. Perché ad un certo punto per un po' di tempo ce ne siamo sbattuti i coglioni delle altre cose a livello nazionale. Come adesso, è molto simile. Per un periodo di tempo ce ne siamo sbattuti il cazzo di cosa facevano in giro in Italia e abbiamo puntato semplicemente a costruire un'esperienza che fosse forte e radicata intanto nel territorio della provincia di Padova. Questa era la cosa, a partire da quella rete e ramificazione di compagni che erano rimasti a condividere alcune scelte, rispetto a tutta una serie di aspetti teorici... Anch'io mi rifacevo più che altro all'esperienza dell'UTITA, alle Bambole Franca, i volantini. Sul piano del dibattito teorico non avevo capito quasi un cazzo dello scioglimento di Potere Operaio, però anche delle cose successive, alcune cose... Ti rendevi conto: chi cazzo faceva l'insurrezione armata? Mentre invece questa idea del contropotere era una cosa molto più chiara, fattibile. Gli brucio la macchina al padrone, gli spacco la testa... In quella fabbrica gli operai stanno meglio, come nella scuola, se spacco la testa ad un insegnante o se faccio una lotta sui trasporti. Riesco ad ottenere qualcosa, in piccolo riesco a costruire una forma di soddisfacimento di alcuni bisogni fondamentali, riesci anche a prenderti delle soddisfazioni, a stare meglio nella fabbrica, nella scuola, nel quartiere, perché sei organizzato. E' un po' la riproduzione della banda che ha interesse generale, della classe, dei più oppressi. Questo concetto è l'elemento fondamentale e ed è stata la differenza fondamentale tra la visione delle BR e i gruppi combattenti e l'esperienza nostra. Non tutti però hanno avuto lo sviluppo che abbiamo avuto noi, Roma ha avuto alcuni aspetti simili a quelli veneti. Questo comunque è stato il nodo centrale del passaggio dal gruppo PO alla formazione dell'Autonomia.

 

- Rispetto a quel periodo ho le idee non confuse, perché mi ricordo non tanto situazioni particolari, ma soprattutto l’entusiasmo del porsi noi in prima persona rispetto ad una dinamica che poi si è sviluppata nel tempo e quindi tutti questi ricordi tipo "Gioventù bruciata". A parte questo c'era una grossa vivacità rispetto al politico-militare, era uno degli elementi assolutamente caratterizzanti e innovativi anche rispetto al ricomporsi e all'aggregare tutti quelli che abbiamo aggregato.

Al di là di piccoli episodi, non mi ricordo molto. . Per quanto riguarda il nord padovano, nel 74, addirittura ricordo che ci si riuniva nella sede del PSI a Limena, con Verrecchia, il futuro prosindaco di Padova, che aveva questo approccio così di sinistra perché veniva fuori dal Collettivo Studenti Medi, quindi dalle lotte. Poi tanti si sono buttati sulla linea istituzionale di costruzione di partiti e di potere, personale e di gruppo e noi siamo stati anche molto usati. Eravamo anche un po' bonaccioni sotto certi aspetti. Ci hanno dato da ristrutturare il teatrino cinema di Limena e noi ci siamo messi ad imbiancarlo, poi ci hanno dato l'autorizzazione a gestirlo come cineforum: è stato una punto di aggregazione importante nel nord padovano. Anche perché in quella zona, al di là dei contatti sporadici, non c'era una base acquisita e siamo andati a costruire qualche cosa dal niente, guardando non tanto alla fabbrica ma più al territorio in quanto tale e quindi alla formula di aggregazione giovanile soprattutto. Da là è un po' nata l'esperienza di Padova Nord.

Probabilmente anche lo scioglimento di PO è stato un po' uno psicodramma collettivo (mi piaceva Piperno) come dinamiche mentali, c'erano tutte quelle riunioni alla Fusinato di preparazione a Rosolina, e tutti gridavano al tradimento. Ma tradimento di cosa? In realtà non c'era più un cazzo in giro per l'Italia. Probabilmente si erano costruiti tutta una serie di ruoli, di sovrastrutture, ma su poco. C'era una base teorica molto ricca, una capacità di analisi eccezionale, probabilmente irripetibile, dei vecchi compagni e dirigenti e tutto il resto è stata verifica pratica su una linea abbastanza precisa, molto ricca. In via Temanza, mi pare nel 74, c’era una sede importante è stato il centro da dove un po' alla volta ci siamo ristrutturati e riprodotti in giro nelle varie dinamiche. Chi più con attenzione alla fabbrica, perché era inserito nel contesto specifico, e altri più nel sociale, nel contesto padovano, anche con soddisfazione ed entusiasmo. C'era una grossa capacità di aggregare, di discutere, molto diversa da quella della Bassa padovana perché lì c'erano comportamenti più legati alle dinamiche dell’operaio massa. Nell'Alta padovana c'era il contadino veneto, gente piuttosto ricca... e in più c'erano queste dinamiche legate alle ACLI, alla sinistra cattolica, a Fronte Unito, realtà che sul sociale si sono dimostrate sempre abbastanza coerenti, disponibili. C'era una forma di reciproca stima, nonostante gli scazzi.